Per il reato di coltivazione di marijuana, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità e luogo di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sentenza 23 ottobre - 13 novembre 2013, n. 45622
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio S. - Presidente -
Dott. GARRIBBA Tito - Consigliere -
Dott. GRAMENDOLA Francesco P. - Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - rel. Consigliere -
Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.C.G., nato il giorno (OMISSIS);
avverso la sentenza 11 luglio 2012 della Corte di appello di Catanzaro;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza;
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Carlo Destro, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonchè il difensore del ricorrente avv. Napolitano, che ha chiesto l'accoglimento dell'impugnazione.
Svolgimento del processo
1. D.C.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 11 luglio 2012 della Corte di appello di Catanzaro, di condanna per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, per aver coltivato all'interno della propria abitazione 17 piante di marjiuana, con un principio attivo pari a mg.1,25 corrispondenti a circa 0,05 dosi (recidiva reiterata infraquinquennale).
Motivi della decisione
2. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, sotto il profilo che, contrariamente all'assunto dei giudici di merito,il principio attivo era di soli mg. 0,75 pari a 0,5 dosi di marjiuana, trattasi invero a giudizio del difensore di una realtà inidonea a creare e a mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma.
3. Il motivo è privo di fondamento per più profili.
Innanzitutto è infondata la questione della diversa entità del principio attivo, comunque non dedotta nell'atto di appello, attesi i risultati dell'analisi Arpa (pag.21), che hanno indicato un principio attivo pari a gr. 1,25 equivalente a 0,05 dosi.
Ciò detto, ritiene la Corte che, nella specie, le 17 piantine di canapa indiana, dell'altezza da 8 a 15 cm., integrano e realizzano l'offensività punita dalla norma, laddove si consideri la loro media prevedibile potenzialità di sviluppo, correlata tra l'altro all'ambiente di coltivazione (davanzale di una finestra di una abitazione, luogo relativamente riparato e caratterizzato notoriamente da dispersione termica), in Catanzaro (località con clima temperato).
In proposito, premesso che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante, dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta, ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (Cass. pen. sez. 6, 22110/2013 Rv. 255733), va ribadito, in adesione ad una recente decisione di questa sezione, che detta offensività va ricercata ed individuata nella idoneità del bene (nella specie: vegetale erbaceo tipo "cannabis") a produrre la sostanza per il consumo, considerata in materia la formulazione delle norme e la "ratio" della disciplina, anche comunitaria.
Pertanto, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità e luogo di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 6, 22459/2013 Rv. 255732; Massime precedenti Conformi: N. 44287 del 2008 Rv. 241991).
Diversamente opinando, si farebbe dipendere la sanzionabilità della condotta dai "risultati a termine" della attività illecita, il che equivarrebbe a sostenere che solo la naturale crescita e maturazione finale delle 17 piante, che ben possono raggiungere l'altezza compresa tra gli 80 cm. e gli oltre due metri, renderebbe operante il divieto di coltivazione domestica, con evidente aprioristica negazione del criterio dell'offensività.
Con un secondo motivo si lamenta l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche fondato sui soli precedenti penali.
La doglianza, al limite dell'inammissibilità, è inaccoglibile.
La sussistenza di attenuanti generiche è infatti oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal Giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, per cui la motivazione, purchè congrua e non contraddittoria - come nella specie in cui si richiamano i molteplici precedenti penali del ricorrente - non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato" (Cass. Penale sez. IV, 12915/2006 Billeci).
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2013.