Il diritto di cronaca e critica riconosciuto al giornalista non limita l’oggetto delle sue indagini a quanto accertato nelle varie sedi istituzionali, ed in particolare a quelle processuali; anzi, il giornalista ben può svolgere approfondimenti di pubblico interesse ed il suo contributo può anche svolgere un ruolo di ausilio o stimolo per le stesse attività istituzionali, quali le indagini che possano prendere origine o spunto da notizie giornalistiche.
Ciò non significa, tuttavia, che il giornalista sia legittimato a scegliere casi ritenuti simbolici di battaglie da lui condivise e renderli alla pubblica opinione distorcendone la verità processuale accertata e smentendola apertamente, o prescindendone, non essendogli riconosciuto il diritto di rappresentare come veri fatti contrari a quanto accertato nelle competenti sedi istituzionali, senza specificare quanto è stato effettivamente riconosciuto nelle competenti sedi.
In particolare, non compete al giornalista convincersi della violenza usata nell’ambito di un determinato rapporto familiare, benché smentita nella relativa esistenza nelle sedi deputate al relativo accertamento, e proporre tale contenuto al pubblico come se corrispondesse a verità.
Una corretta cronaca giudiziaria in un caso siffatto, al limite, avrebbe dovuto dare conto anche che nel corso del procedimento ed in tutti i gradi di giudizio gli organi giudicanti avevano ritenuto del tutto insussistenti le ipotesi accusatorie in ordine alla violenza domestica subita; il giornalista, nell’esercizio del diritto di critica, avrebbe potuto legittimamente sposare l’ipotesi accusatoria, rendendo evidente però che si trattava solo delle opinioni del giornalista e non di quanto effettivamente emerso nel procedimento.
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA – SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE – CIVILE
Giudice Antonella Marrone
SENTENZA 15 aprile 2025
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 70139 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2022
TRA
Giuseppe Apadula, nato a Salerno il 13.01.1966 (c. f. ***), residente in Roma, v**, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Eleonora Fonseca Pimentel 2, presso lo studio dell’avvocato ** del Foro di Roma (pec: **), che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti in atti – attore –
E
GNN Gedi News Network S.p.A., con sede legale in Torino, via Ernesto Lugaro n. 15 (Partita Iva 01578251009), in persona del procuratore speciale e legale rappresentante pro tempore, dott. Fabrizio Di Rosario, giusta procura speciale autenticata per atto Notaio Dott. Francesco Pene Vidari Rep. n. 80.799 Racc. n. 15.346 del 14 ottobre 2021, registrata presso l'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Torino il 20/10/2021 al n. 52287 serie 1T;
Maurizio Molinari (**), nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano “la Repubblica”;
Maria Novella De Luca **), nella sua qualità di giornalista;
tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti *** ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma (**Studio Legale), **, giuste procure alle liti in atti – convenuti –
OGGETTO: risarcimento danni da diffamazione
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato alle controparti il 17 novembre 2022, Apadula Giuseppe deduceva che da molti anni viveva una tormentata vicenda giudiziaria con Laura Massaro, ex compagna e madre del proprio figlio, nella speranza di veder riconosciuto il proprio diritto di visita e accudimento. Nonostante un Decreto del Tribunale Ordinario (n. 747/2013 del 24.04.2014), molteplici Decreti del Tribunale per i Minorenni di Roma, quattro Decreti della Corte d’Appello di Roma e una Ordinanza di Cassazione avessero stabilito, in ossequio al principio della bigenitorialità, che gli spettava un ruolo di frequentazione e accudimento nei confronti del proprio figlio, tutti i provvedimenti erano stati puntualmente disattesi dalla Massaro.
In data 04.06.2021 il Tribunale per i Minorenni di Roma aveva disposto la decadenza della Massaro dalla responsabilità genitoriale e l’allontanamento del bambino dall’abitazione, al fine di consentirne il riavvicinamento al padre. Dall’emissione di tale provvedimento, la donna aveva rinchiuso il minore in casa, non consentendogli più nemmeno di frequentare la scuola e rendendolo irreperibile, al punto da rendere necessarie le ricerche a mezzo della Questura. La Corte di Appello aveva confermato il provvedimento del Giudice di primo grado ma, ciò nonostante, l’attore era riuscito a vedere il figlio fino al deposito dell’atto di citazione per un totale di 4 ore e 43 minuti, come da timing delle relazioni dei SST. Solo a fine marzo 2022, con la pubblicazione dell’ordinanza di Cassazione n. 9692/22, il bambino era stato “liberato” e aveva ricominciato a frequentare la scuola dopo ben 256 giorni di assenza.
Grazie all’intervento del Tutore e del Servizio Sociale, era stato stabilito che il minore superasse l’anno scolastico in deroga ai decreti ministeriali per non arrecargli un ulteriore danno. Nel corso della vicenda la Massaro, sin dal 2018, aveva continuato a sostenere pubblicamente di essere vittima di “violenza psicologica”, “violenza domestica”, “stalking” e ad affermare che anche il bambino era stato vittima di molestie da parte del padre, con affermazioni gravemente diffamatorie e prive di riscontro sia giudiziario che psicologico (nonostante tre CTU).
La Massaro aveva poi iniziato ad affermare di essere anche “vittima” di un sistema totalmente coalizzato contro di lei, composto da almeno 20/25 magistrati inquirenti e giudicanti, 8/9 assistenti sociali, educatori domiciliari, avvocati, Consulenti Tecnici di Ufficio e di Parte, tutore, curatori speciali, in pugno ad associazioni di padri separati che vorrebbero un ritorno alla “patria potestà” ed al dominio assoluto dell’uomo sulla donna.
Ne erano seguite innumerevoli querele non solo nei confronti di tutte le autorità che si occupavano del caso, ma anche dello stesso Apadula, che invece aveva fatto ricorso al mezzo social solo nell’anno 2020, nel tentativo di raccontare la propria versione dei fatti in alternativa alla ricostruzione di padre indegno ed abusante che era stata resa pubblicamente dalla Massaro, con il sostegno di certa stampa ed, in particolare, dal 04.01.2020, di Repubblica, che aveva pubblicato oltre 10 articoli/interviste (la maggior parte dei quali a firma della giornalista Maria Novella De Luca) raccontando solo la sua versione della vicenda giudiziaria e rifiutandosi di accettare qualsiasi replica da parte del padre.
Addirittura in data 26.03.22 la testata aveva dedicato ben 2 articoli nello stesso giorno, con titoli e sottotitoli dal contenuto gravemente diffamatorio nei confronti dell’attore. Repubblica quindi aveva dato enorme spazio all’argomento, prendendo una posizione che tradiva un evidente malanimo e una scarsa obiettività in una vicenda che vedeva tristemente protagonista un bambino che al deposito della citazione aveva l’età di 12 anni.
Gli scritti palesemente travalicavano i limiti di veridicità e continenza che delimitano la sfera di liceità del diritto di opinione, danneggiando la reputazione dell’attore in qualità di uomo, di padre del minore e di professionista, essendo egli un rispettato architetto. Tra gli innumerevoli articoli che costituivano una vera e propria campagna stampa diffamatoria, creando un caso mediatico totalmente distorto, vi era quello del 04.01.2020 (https://www.repubblica.it/cronaca/2020/01/04/news/la_mamma_mio_figlio_e_salvo_cosi_ho_vinto_la_battaglia_contro_l_alienazione_parentale_-301017075), che riportava circostanze del tutto false, visto che il bambino mai aveva raccontato di molestie subite o di aver assistito a forme di maltrattamenti o raccontato di avere paura del padre a causa di suoi comportamenti violenti, tanto è vero che i vari provvedimenti adottati nella vicenda non avevano mai accertato nulla di simile.
Piuttosto, secondo quanto osservato da entrambe le CTU esperite nel corso degli anni, il bambino era risultato invischiato in uno stritolante conflitto di lealtà con la figura materna, che ne aveva progressivamente e gravemente ostacolato il rapporto con il padre, tanto che il bambino ormai mostrava un rifiuto tanto assoluto quanto immotivato di incontrare il padre, nell’esercizio della cui responsabilità genitoriale non era emerso alcun concreto elemento di pregiudizio.
In data 28.07.2020 Repubblica aveva pubblicato l’articolo https://www.repubblica.it/cronaca/2020/07/28/news/il_dramma_dei_bimbi_sottratti_alle_madri_si_ indaga_su_572_casi_di_separazioni301069919/ di Maria Novella De Luca, che aveva citato il caso di “Laura Massaro, Ginevra Amerighi, Luana Valle, Giada Giunti, e poi le decine di altre che scelgono l’anonimato…. dossier di donne disperate…”. L’articolo proseguiva descrivendo un “esercito di madri che denunciano, anche con prove e referti, i maltrattamenti e gli abusi del partner. Ma in sede di separazione e di affido dei figli finiscono, incredibilmente, sul banco degli imputati come genitrici inadatte o incapaci, accusate di allontanare i bambini dai padri. La verità è un’altra: questi bambini sono spesso così terrorizzati dopo aver visto le madri picchiate e aggredite, da non volerne più sapere nulla di frequentare quel genitore”. L’articolo proseguiva riferendo: “Vivo nella paura che possano portare via mio figlio. Così si sveglia ogni mattina Laura Massaro, mamma di un meraviglioso ragazzino di 10 anni. Dopo essersi separata da un ex compagno denunciato per violenza, è stata accusata di alienazione parentale, è finita in un girone infernale di perizie e controperizie. Per difendere il suo bambino, che il padre (e una serie di consulenti d’ufficio) vorrebbero strappare alla sua vita quotidiana e trasferire in una casa famiglia, Laura si è incatenata per oltre un anno davanti al tribunale per i minori di Roma. Silenziosamente, giorno dopo giorno, a lei si sono unite altre madri…”
Dalla lettura di tale articolo risultava che la Massaro era una eroina che con altre madri lottava per il bene dei propri figli. Dopo la lettura di tale articolo, l’attore aveva inviato una missiva con richiesta di replica avvisando che vi era una stortura nei fatti raccontati rispetto alla realtà processuale. Poco dopo, Repubblica aveva pubblicato altro articolo (il 19.05.2021): https://roma.repubblica.it/cronaca/2021/05/19/news/roma_da_una_settimana_in_sciopero_della_fame_mi_vogliono_portare_via_il_bambino_sequestrate_il_mio_fascicolo_-301577882/, a mezzo del quale l’immagine dell’attore era stata nuovamente proposta come quella di un compagno e padre violento.
In data 06.06.2021 era seguito altro pezzo (https://www.repubblica.it/cronaca/2021/06/06/news/non_togliete_il_figlio_a_laura_massaro_appello_dei_centri_antiviolenza_a_mattarella_e_cartabia-304410530) in cui il caso della Massaro era stato presentato come “drammatico caso nazionale, emblema di una gravissima frattura… tra i tribunali per i minori e un folto gruppo di madri a cui sono stati tolti o rischiano di essere tolti i figli”, ed ancora una volta la donna era stata rappresentata inequivocabilmente ed in modo accertato come vittima di violenza da parte dell’ex compagno.
Ancora, in data 24.11.2021, Repubblica era tornata sul caso (https://www.repubblica.it/cronaca/2021/11/24/news/vittime_non_credute_e_procedure_lente_tutte_le_falle_nelle_leggi_a_difesa_delle_donne-327562237) sempre nei medesimi termini, indicando la Massaro come “una sopravvissuta della violenza”.
In data 03.11.2022 (https://www.repubblica.it/venerdi/2022/03/11/news/non_strappateci_i_nostri_bambini-340621286) era seguito altro articolo dello stesso tenore, riportando sempre il caso della Massaro come donna e madre di un bimbo che avevano vissuto con terrore le violenze attuate dal padre.
Quindi, dopo la decisione emessa nell’ambito della vicenda familiare dell’Apadula dalla Suprema Corte di Cassazione, Repubblica il 24.03.2022 aveva pubblicato altro articolo (https://www.repubblica.it/cronaca/2022/03/24/news/laura_massaro_cassazione_illegittima_alienazione_parentale-342683117) del seguente tenore:
> “La donna, vittima di violenza, da 9 anni lottava con la giustizia per non farsi portare via il figlio come richiesto dall'ex compagno. Pd: 'La PAS è bandita, una sentenza storica'. M5s: 'Mai più storie come quella di Laura e di suo figlio'. Laura Massaro ha vinto in Cassazione. La Corte ha accolto 'in toto' il ricorso presentato dalla donna, 42 anni, romana, vittima di violenza da parte dell'ex compagno, accusata di essere mamma alienante e per questo in battaglia da anni, nelle aule di tribunale per evitare che le venisse portato via il figlio oggi dodicenne come richiesto dall'uomo da cui è separata da quando il bimbo era piccolissimo. I giudici hanno ora annullato la decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, ritenendo l'uso della forza in fase di esecuzione fuori dallo Stato di diritto.”
> “Oggi – commenta Elisa Ercoli – Laura rappresenta tutte le donne per un no definitivo alla violenza istituzionale agita contro donne bambine e bambini in materia PAS, prelievi forzati e altre forme di violazione dei diritti umani.”
> E Debora Serracchiani, capogruppo alla Camera del Pd, aggiunge: “Nessuna violenza può essere tollerata o giustificata da teorie para-scientifiche.”
> Esulta anche Filippo Sensi, deputato Pd: “La Cassazione ha detto la parola fine all'abominio della PAS.”
> Per Simona Malpezzi, presidente dei senatori e delle senatrici del Pd: “La storica sentenza dimostra che avevamo ragione: strappare alla propria madre, ai propri affetti, alla propria casa e alle proprie abitudini di vita è una violenza che infrange tutte le norme a tutela del minore e delle donne.”
Due giorni dopo Repubblica aveva pubblicato due articoli (26.03.2022, https://www.repubblica.it/commenti/2022/03/26/news/pas_sindrome_da_alienazione_genitoriale_genitori_e_figli-342862432/ e https://www.repubblica.it/cronaca/2022/03/26/news/laura_massaro_sentenza_cassazione_ora_siamo_liberi-342975959/) sempre riferiti alla vicenda ed alla “liberazione” della Massaro e del figlio dopo la pronuncia della Corte di Cassazione.
Pubblicazioni dal tenore analogo erano seguite il 25.04.2022 (https://www.repubblica.it/cronaca/2022/04/25/news/alienazione_parentale_violenza_giudici_puniscono_le_donne-346767411).
Deduceva dunque l’attore di essere stato vittima di una campagna diffamatoria posta in essere da Repubblica che, senza verificare in alcun modo la corrispondenza tra i fatti narrati e quanto risultava dagli atti dei giudizi – nel corso dei quali anche le CTU avevano radicalmente escluso che il bambino fosse vittima di maltrattamenti da parte del padre ed avesse mai assistito a violenze – aveva proseguito la narrazione della vicenda rappresentandolo come tipico uomo violento, maltrattante ed abusante e perciò temuto dal bambino, mentre era stato accertato che nessuna causa effettiva poteva aver determinato tale timore se non che l’influenza della madre sul bambino.
Tale campagna diffamatoria aveva leso i diritti dell’attore, ingenerando nei lettori un’opinione sprezzante e disgustosa di lui come uomo e come padre, così da causare oltretutto immediato e rilevantissimo pregiudizio anche per il minore, a maggior ragione alla luce della diffusione del quotidiano, letto da migliaia di persone e tuttora online, e considerati la stima ed il credito di cui gode il sig. Apadula nell’ambito lavorativo, trattandosi di architetto. I fatti erano da qualificarsi come illeciti poiché difettavano sia il requisito della verità che quello della continenza, alla luce della violenza dell’aggressione ripetuta alla reputazione dell’attore.
Questi rassegnava dunque le sue conclusioni come segue:
> “Voglia il Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione e richiesta, accertare e dichiarare che gli articoli di 'Repubblica', come riportati in citazione, hanno contenuto diffamatorio e offensivo nei confronti dell’attore, ledendone ingiustamente onore, reputazione, prestigio e identità personale e professionale, e per l’effetto condannare in solido, ciascuno per i rispettivi titoli di responsabilità, i convenuti al risarcimento di tutti i danni morali, subiti e subendi dagli attori a seguito della pubblicazione sopra indicata, della somma che il Tribunale vorrà determinare in corso di giudizio, anche in via equitativa, comunque non inferiore a € 260.000,00; al risarcimento di tutti i danni patrimoniali nella misura che sarà parimenti determinata in corso di giudizio, anche in via equitativa, oltre, in entrambi i casi, gli interessi dalla data della pubblicazione del primo articolo in questione; al pagamento delle spese di pubblicazione dell’estratto della sentenza in corpo grafico superiore al normale su 'Repubblica'. Con vittoria di spese, competenze ed onorari, IVA e CAP della presente causa.”
Costituendosi in giudizio, i tre convenuti GNN Gedi News Network S.p.A., Maurizio Molinari e Maria Novella De Luca invocavano il rigetto delle domande attoree, deducendo:
- di avere inteso rappresentare a mezzo dei propri articoli che le iniziative intraprese dall’Apadula erano in contrasto con l’interesse del figlio minore, mirando a separarlo dalla madre;
- che tale fatto era vero, poteva essere apprezzato da qualunque cittadino come contrario all’interesse del bambino, ed era il tema attorno al quale si concentrava il legittimo diritto di critica di chi fa informazione;
- che lo stesso Apadula aveva fatto abbondante uso non solo dei social ma anche di una audizione alla Commissione parlamentare sull’affido dei minori, con il sostegno dell’on. Pillon, al fine di fornire la sua versione dei fatti senza diritto di replica della Massaro;
- che l’attore aveva pertanto avuto ampio diritto di replica ed aveva tenuto una condotta speculare e sovrapponibile pienamente a quella di cui attualmente si doleva;
- che non era mai stato affermato che l’attore era un violento, ma solo che era stato più volte denunciato dalla Massaro (circostanza vera);
- che le denunce fossero state archiviate non significava che fossero infondate;
- che la giornalista aveva preso visione di tutta la documentazione relativa al caso e si era formata una sua libera opinione, accertando che la Massaro non si era mai sottratta ai suoi obblighi nei confronti del ragazzino e del padre, e che era il minore a rifiutare di vedere l’attore ma tale dato era stato frettolosamente letto dalle CTU in atti come sindrome da alienazione parentale;
- che l’ordinanza della Corte di Cassazione 9691/22 aveva stabilito che l’esecuzione coattiva dell’allontanamento del bambino dalla mamma sarebbe stata “fuori dallo Stato di diritto”, e cassando le precedenti decisioni aveva sancito il principio secondo il quale la bigenitorialità non poteva ottenersi mediante la rimozione della figura materna dalla vita del figlio;
- che la versione dei fatti fornita dalla Massaro, quindi, aveva trovato un definitivo accertamento anche in sede giudiziaria;
- che il tema era di interesse generale per la sua indiscutibile rilevanza pubblica e sociale;
- che l’azione dell’Apadula era in contrasto con la libertà di stampa, costituzionalmente tutelata e difesa anche dalla CEDU;
- che la citazione avversaria era inoltre da intendersi nulla per aver riportato come fondamento della domanda dieci articoli mancando tuttavia un’esposizione altrettanto rigorosa e precisa di detti articoli e degli specifici incisi oggetto di doglianza, anche in ragione del fatto che molti articoli contenevano dichiarazioni di vari soggetti che avevano svolto un ruolo attivo e diretto (più o meno condiviso dall’attore, ma non per questo illecito) nella vicenda in esame, il cui contenuto non poteva essere di certo imputato all’estensore dell’articolo;
- che vi erano nella citazione una scomposizione e una alterazione del testo dei vari articoli, alternati alla trascrizione di incisi di provvedimenti giudiziari che all’epoca della notifica dell’atto di citazione erano già stati smentiti e cassati dall’intervento della citata ordinanza n. 9691/22 della Corte di Cassazione, con la conseguenza che l’attore non aveva individuato e illustrato al Tribunale adito i pretesi contenuti delle dieci pubblicazioni che a suo dire avrebbero contenuto diffamatorio, ma aveva richiamato solo frammenti di tali articoli, estrapolandoli grossolanamente dal complessivo tenore e significato di ciascuno scritto, alterandone e forzandone il senso in contrapposizione a parti di provvedimenti giudiziari e pretesi assunti (pseudo)scientifici già smentiti dall’intervento della Cassazione.
Dunque, la citazione avversaria non soddisfaceva i necessari requisiti di specificazione della domanda di cui all’art. 163 e 164 c.p.c., con conseguente sua nullità in ragione dell'assoluta impossibilità di determinazione dell'oggetto delle domande di parte attrice.
Nel merito, Apadula non poteva vantare un diritto di replica, di per sé inesistente al fine di consentire la legittimità della pubblicazione; non erano mai stati espressi giudizi sulla persona dell’attore; le pubblicazioni tendevano a censurare la leggerezza con cui alcune corti di merito ricorrevano all’affido dei minori alle case famiglia; in ogni caso l’attore non aveva né allegato né provato il danno di cui chiedeva il risarcimento.
Chiedevano pertanto i convenuti:
> “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis: in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità della citazione avversaria, per tutti i motivi esposti nella presente comparsa di costituzione; nel merito ed in ogni caso: rigettare integralmente tutte le domande avanzate dal signor Giuseppe Apadula poiché manifestamente infondate, sia in fatto che in diritto e comunque non provate, per tutti i motivi esposti nella presente comparsa di costituzione; in ogni caso: condannare il signor Giuseppe Apadula al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio in favore delle parti convenute”.
Il processo, una volta concessi i termini per il deposito di memorie ai sensi dell’art. 183, comma 6 c.p.c., è stato istruito con produzioni documentali e quindi, ritenuta la causa matura per la decisione, è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni, poi anticipata dinanzi a questo Giudice, nuovo assegnatario del fascicolo.
In sede di precisazione delle conclusioni, l’attore ha concluso come segue:
> “Voglia l’On.le Tribunale adito, disattesa e reietta ogni contraria istanza, eccezione e difesa: in via preliminare, accertare e dichiarare che le affermazioni come riportate in citazione e nel contenuto dei successivi atti difensivi hanno contenuto diffamatorio ed offensivo nei confronti dell’attore, ledendone ingiustamente onore, reputazione, prestigio, identità personale e professionale e, per l’effetto, condannare in solido, ciascuno per i rispettivi titoli di responsabilità, i convenuti al risarcimento di tutti i danni morali, subiti e subendi dall’attore a seguito delle pubblicazioni sopra indicate, della somma che il Tribunale vorrà determinare in corso di giudizio, anche in via equitativa, comunque non inferiore a € 260.000,00. Il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal dì del dovuto al soddisfo”,
insistendo altresì per la rimessione della causa sul ruolo per l’ammissione e lo svolgimento della attività istruttoria richiesta in atti.
I convenuti si sono riportati alle conclusioni precedentemente rassegnate e qui richiamate.
Sono quindi stati concessi i termini di legge per lo scambio di comparse conclusionali e note di replica, effettivamente depositate da tutte le parti nei termini.
***
Preliminarmente, è infondata l’eccezione di nullità della citazione notificata dall’attore, formulata dalle parti convenute.
Infatti, in tal sede sono sufficientemente indicati i fatti posti a fondamento della domanda ed individuati nel contenuto, espressamente e testualmente riportato, di alcuni articoli pubblicati da “Repubblica”; se l’attore reputa che siano diffamatorie in particolare alcune parti delle pubblicazioni, ben può limitarsi a riportare tali parti senza che dall’omessa indicazione dell’intero contenuto delle stesse discenda il risultato voluto dai convenuti, attenendo invece al merito della domanda il corretto inquadramento delle affermazioni giornalistiche per cui vi è doglianza.
Nel merito, i convenuti non possono ritenersi scriminati nel caso di specie dal diritto di cronaca e critica invocato, avendo ripetutamente pubblicato contenuti non veri riferiti all’attore, definito inequivocabilmente violento, ed avendo quindi scelto di appoggiare la posizione della Massaro, ritenuta vittima di maltrattamenti e violenza da parte dell’ex compagno ma anche ingiustamente maltrattata dalle istituzioni, sino alla pronuncia definitoria del giudizio emessa dalla Corte di Cassazione.
I convenuti, come appunto esplicitato nella comparsa di costituzione e risposta, ritenendosi investiti di un potere/dovere di effettuare autonome verifiche anche al fine di denunciare pubblicamente la violazione da parte delle Istituzioni dei diritti di donne e minori, si sono convinti di una determinata versione dei fatti che hanno reso pubblica mediante gli articoli oggetto di doglianza dell’attore, espressamente e ripetutamente rappresentando la Massaro e suo figlio come vittime di violenze domestiche anche apertamente e volutamente in contrasto con la verità processuale.
Infatti, sul punto, nei vari giudizi civili e penali tale fatto non è mai stato accertato e non può, dunque, definirsi vero; né la verità del fatto può reputarsi autonomamente accertata dal giornalista che vi si convinca, in contrasto con le risultanze processuali, senza che egli precisi trattarsi di un proprio personale convincimento non altrimenti riscontrato.
Certamente, il diritto di cronaca e critica riconosciuto al giornalista non limita l’oggetto delle sue indagini a quanto accertato nelle varie sedi istituzionali, ed in particolare a quelle processuali; anzi, il giornalista ben può svolgere approfondimenti di pubblico interesse ed il suo contributo può anche svolgere un ruolo di ausilio o stimolo per le stesse attività istituzionali, quali le indagini che possano prendere origine o spunto da notizie giornalistiche.
Ciò non significa, tuttavia, che il giornalista sia legittimato a scegliere casi ritenuti simbolici di battaglie da lui condivise e renderli alla pubblica opinione distorcendone la verità processuale accertata e smentendola apertamente, o prescindendone, non essendogli riconosciuto il diritto di rappresentare come veri fatti contrari a quanto accertato nelle competenti sedi istituzionali, senza specificare quanto è stato effettivamente riconosciuto nelle competenti sedi.
In particolare, non compete al giornalista, come invece accaduto ripetutamente nel caso di specie, convincersi della violenza usata nell’ambito di un determinato rapporto familiare, benché smentita nella relativa esistenza nelle sedi deputate al relativo accertamento, e proporre tale contenuto al pubblico come se corrispondesse a verità.
Nel caso di specie, parte attrice ha provato che le CTU svolte in sede processuale hanno escluso l’uso di violenza e maltrattamenti in ambito domestico; inoltre, i procedimenti instaurati a seguito delle denunce della Massaro ai danni dell’attore sono stati archiviati.
Quella che le pubblicazioni di *Repubblica* hanno proposto al pubblico come vittoria giudiziale della Massaro, invero, non è che una decisione della Suprema Corte di Cassazione che riformava le precedenti decisioni di merito in punto di affidamento e collocamento del minore; tuttavia, mai nessun organo giurisdizionale, né tanto meno l’ordinanza n. 9691/22 della Corte di Cassazione, ha accertato che nell’ambito della famiglia era stata esercitata violenza da parte dell’Apadula o che l’incrinarsi del rapporto tra l’attore ed il figlio fosse dipeso dalla violenza domestica esercitata dal padre.
Nel prendere posizione in ordine all’argomento generale delle madri impegnate in battaglie legali per la tutela dei figli, *Repubblica*, con le pubblicazioni oggetto di doglianza in questa sede, individuava nella Massaro un simbolo di tali donne e ne recepiva acriticamente le posizioni, finendo per diffonderne le accuse di violenza formulate nei confronti dell’Apadula che non trovavano riscontro nelle dovute sedi processuali.
I convenuti, dunque, pubblicavano a più riprese notizie relative alla vicenda Massaro – Apadula, rappresentando espressamente la prima ed il figlio minore come vittime della violenza domestica e dei maltrattamenti dell’Apadula (come risulta in modo inequivocabile dal contenuto delle pubblicazioni riportate in premessa e senza dubbio riconducibili a *Repubblica*), in modo contrario a quanto accertato in sede processuale ed al vero.
Una corretta cronaca giudiziaria in un caso siffatto, al limite, avrebbe dovuto dare conto anche che nel corso del procedimento ed in tutti i gradi di giudizio gli organi giudicanti avevano ritenuto del tutto insussistenti le ipotesi accusatorie della Massaro in ordine alla violenza domestica subita; il giornalista, nell’esercizio del diritto di critica, avrebbe potuto legittimamente sposare l’ipotesi accusatoria, rendendo evidente però che si trattava solo delle opinioni del giornalista e non di quanto effettivamente emerso nel procedimento.
Nulla di tutto ciò, invece, emergeva nel caso di specie in cui, al contrario, il caso Massaro veniva rappresentato per tutta la durata del procedimento ed in tutte le pubblicazioni di cui si duole l’attore come paradigmatico di violenza ed ingiustizia, anche istituzionale, dalla quale la Massaro aveva dovuto difendersi.
Si riporta qui per tutti, richiamando tuttavia a tal proposito quanto già riportato in premessa, l’articolo del 24 marzo 2022 in cui la Massaro veniva inequivocabilmente ed espressamente definita come “donna vittima di violenza”, come se questo fosse stato l’esito degli accertamenti processuali svolti.
Si è trattato dunque di plurime pubblicazioni di contenuto contrario al vero (dal momento che la violenza che Apadula avrebbe usato in ambito familiare è stata solo affermata da Massaro ma mai accertata in nessuna sede), ripetute e dal contenuto oggettivamente e gravemente diffamatorio ai danni dell’attore, che si è visto dipinto dinanzi ad un pubblico numericamente vasto come quello dei lettori di *Repubblica* come simbolo dell’uomo violento e maltrattante, che per di più agisce presso le competenti sedi istituzionali – che in ciò gli danno conforto – al fine di separare il figlio minore dalla madre.
In realtà, come risulta dalle produzioni documentali in atti, gli accertamenti processuali nei diversi gradi di giudizio, assolutamente accurati, escludevano qualunque forma di maltrattamento e violenza.
Tanto basta per escludere il requisito della verità anche solo putativa in capo ai convenuti, a prescindere da quelle che possono essere state le loro personali convinzioni, con ogni conseguenza sull’operatività della scriminante invocata dell’esercizio del diritto di cronaca e critica.
Nemmeno la pronuncia della Corte di Cassazione su cui si concentrano i convenuti ha accertato la verità del dato della violenza che la Massaro e suo figlio avrebbero subito dall’Apadula, mentre *Repubblica* ha dato per certo nelle sue pubblicazioni che la Massaro sia stata vittima di violenza (cfr., tra gli altri, l’articolo del 19 maggio 2021).
Si tratta, senza dubbio e come è possibile verificare dalla lettura della serrata serie di pubblicazioni, di contenuti certamente idonei a ledere l’immagine pubblica e la reputazione dell’Apadula, peraltro attribuendogli condotte particolarmente odiose quali l’uso della violenza all’interno di un nucleo familiare ed alla presenza di un minore; per di più, la stessa *Repubblica* ha eletto il caso Massaro – Apadula, sulla base di una propria convinzione, a simbolo di talune vicende violente endofamiliari, in un momento in cui legittimamente l’opinione pubblica è particolarmente sensibile al tema alla luce delle vicende di cronaca di tal genere, sempre più allarmanti.
Costituisce un principio ormai consolidato in giurisprudenza che la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore può considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca, e quindi non comportare responsabilità civile per violazione del diritto all'onore ed alla reputazione, qualora ricorrano tre condizioni:
a) utilità sociale dell'informazione;
b) verità oggettiva, o anche solo putativa, dei fatti riferiti, purché frutto di diligente lavoro di ricerca;
c) correttezza formale dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e che sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta (requisito c.d. della continenza).
Nel caso in esame non può dirsi rispettato il requisito della verità dei contenuti pubblicati, nemmeno in via putativa, con la conseguenza che non si configurano gli estremi dell’esimente invocata e non occorre sindacare l’esistenza degli ulteriori requisiti della stessa.
Costituendosi in giudizio, peraltro, i convenuti non hanno offerto alcuna prova né principio di prova in ordine alla verità anche putativa di quanto accuratamente descritto e dettagliato nelle pubblicazioni oggetto di doglianza, salve le affermazioni della Massaro acriticamente recepite dal quotidiano ed utilizzate al fine di criticare anche l’operato delle istituzioni; nel farlo, tuttavia, si è dipinto l’attore come uomo violento e maltrattante.
Sussiste pertanto una grave lesione dell’onore e della reputazione dell’Apadula; vanno ritenuti in questa sede diffamatori tutti gli articoli di cui alle doglianze attoree in quanto idonei, ciascuno singolarmente ed insieme nel complesso, a delineare una figura di uomo violento e maltrattante contro la verità processuale accertata.
Ai fini della quantificazione del danno, l’attore ha allegato la posizione ricoperta di libero professionista, lamentando che le pubblicazioni ne hanno gravemente danneggiato l’immagine pubblica, e l’ampia diffusione del giornale oltre alla diffusione anche online delle pubblicazioni; tali elementi sono assolutamente calzanti e di rilievo al fine di stabilire che, effettivamente, un danno importante vi è stato.
Le circostanze allegate relative all’essere l’attore un architetto stimato, con la conseguente compromissione della sua posizione sociale, non essendo accompagnate da specifiche valutazioni in ordine alle ripercussioni effettivamente subite nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni sociali, possono comunque essere valutate secondo l’**id quod plerumque accidit** quali argomenti di prova sufficienti a far presumere che il comportamento illecito abbia cagionato all’attore un danno non patrimoniale, limitatamente alla sofferenza prodotta dalla falsità delle notizie diffuse (**danno morale soggettivo**).
Inoltre il nome dell’attore, riconducibile in modo assai semplice tramite l’accostamento a quello della Massaro, anche per la notevole frequenza degli articoli in questione nel periodo in esame, è stato oggetto di certa lesione nelle pubblicazioni di cui è causa.
Si reputa equo, pertanto, determinare in **€ 30.000,00** il risarcimento dovuto al valore attuale. Su tale importo decorrono gli interessi legali dalla sentenza al soddisfo.
Non sono provate ulteriori voci di danno.
Alcuni degli articoli sono stati pubblicati anche sull’edizione online; del quotidiano *La Repubblica* risultava direttore responsabile all’epoca della pubblicazione e tuttora risulta il dott. Maurizio Molinari; deve ritenersi sussista anche la sua responsabilità solidale per il danno subito dall’attore ai sensi dell’art. 57 c.p., essendovi stata piena adesione del quotidiano alla linea seguita da tutti gli articoli di cui vi è doglianza, tramite la sistematica rappresentazione della dinamica familiare lamentata dalla Massaro come unica ritenuta aderente al vero.
È certamente responsabile del danno qui riconosciuto la giornalista De Luca Maria Novella, in quanto autrice degli articoli del 28 luglio 2020, 6 giugno 2021 (in cui si descriveva quello della Massaro come “un drammatico caso nazionale”), 3 novembre 2022 (“…Donne che da vittime di botte e persecuzioni si ritrovano ad essere definite colpevoli, tanto da essere punite con l'allontanamento dei figli…”), 26 marzo 2022 (“…Laura Massaro, simbolo di tutte le madri accusate di alienazione parentale…”), 25 aprile 2022 (“…Un nome simbolo: Laura Massaro…”), e dunque di cinque dei dieci articoli per cui vi è doglianza.
È equo dunque riconoscere la sua responsabilità solidale nella misura del **50% dell’importo del danno** liquidato in questa sede.
Nell’atto di citazione parte attrice ha chiesto altresì la condanna dei convenuti al pagamento delle spese di pubblicazione dell’estratto della sentenza in corpo grafico superiore al normale su *Repubblica*; a tale domanda si è altresì riportata nelle memorie depositate ex art. 183 comma 6 c.p.c.
Tale domanda, tuttavia, non è più stata ripresa negli atti successivi, ed in particolare non è stata riportata in sede di precisazione delle conclusioni né nella comparsa conclusionale e nelle repliche, pur insistendosi nella richiesta risarcitoria relativa al danno come quantificato dalla parte, con la conseguenza che essa, su cui la parte non è più tornata ad insistere, deve qui intendersi come rinunciata.
Alla soccombenza segue la condanna dei convenuti in solido al pagamento delle **spese di lite** in favore dell’attore, liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri medi attualmente vigenti.
**P.Q.M.**
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone:
- accerta la portata diffamatoria delle pubblicazioni per cui vi è doglianza e per l’effetto
- condanna i convenuti GNN Gedi News Network S.p.A. in persona del procuratore speciale, Maurizio Molinari nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano *la Repubblica* e Maria Novella De Luca, in solido tra loro, quanto a Maria Novella De Luca limitatamente al 50% dell’importo complessivo, al pagamento in favore dell’attore della somma di **€ 30.000,00** a titolo di risarcimento del danno di cui in motivazione, oltre interessi al tasso e con decorrenza di legge;
- condanna i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle **spese di lite** in favore dell’attore, che liquida in complessivi **€ 5.810,00** per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e Cassa Avvocati.
**Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025**
**Il Giudice**
**Antonella Marrone**