Quanto maggiore è il potere esercitato, tanto maggiore è l’esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell’opposizione politica che dei cittadini.
L’art. 21 Cost., analogamente all’art. 10 Cedu, non tutela unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che "urtano, scuotono o inquietano", con la conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva, che, una volta riscontrata, integra l’esimente del diritto di critica.
La sussistenza dell’esimente del diritto di critica presuppone per sua stessa natura la manifestazione di espressioni oggettivamente lesive della reputazione altrui, la cui offensività può, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza dello stesso diritto. L’esercizio di siffatto diritto consente il ricorso anche ad espressioni forti e persino suggestive al fine di potenziare l’efficacia del discorso o del testo e richiamare l’attenzione dell’interlocutore destinatario.
Con specifico riferimento al diritto di critica politica, il rispetto del principio di verità si declina peculiarmente, assumendo limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza che il medesimo dispiega sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica.
Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che, comunque, non si trascenda in gratuiti attacchi personali.
Corte di Cassazione
sez. V Penale, sentenza 24 gennaio – 18 febbraio 2019, n. 7340
Presidente Sabeone – Relatore Tudino
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza del 12 settembre 2016, la Corte d’appello di Napoli ha, in riforma della decisione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 28 gennaio 2013, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di D.F.C. in ordine al reato di diffamazione aggravata, dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione.
I fatti riguardano la diffusione di un volantino, poi trasfuso in una pubblicazione sul quotidiano “(omissis) ", contenente affermazioni lesive della reputazione di M.L., Presidente provinciale della (omissis), profferite nell’ambito di un risalente contrasto, acuitosi nel corso della campagna elettorale per il rinnovo della carica, e relative a fatti che avevano dato luogo al commissariamento dell’ente.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, Avv. AB, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo, censura la sentenza impugnata in riferimento all’esclusione della causa di giustificazione del diritto di critica, in presenza di manifestazioni di censura legittimate dalla condotta del M., successivamente destituito dalla carica ed anche indagato, ritenute invece penalmente rilevanti dalla corte territoriale in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia vizio della motivazione sotto forma di travisamento della prova per avere la corte d’appello escluso il ruolo di avversario politico rivestito, in ambito associativo, dal M., come risulta dalle deposizioni testimoniali (B., dirigente nazionale della (omissis), Ma. e S. ).
2.3. Il terzo motivo censura mancata assunzione di prova decisiva, non avendo la corte d’appello ammesso la acquisizione documentale comprovante lo scontro politico e giudiziario intercorso tra la persona offesa e la CIA nella sue articolazioni regionale e nazionale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2.Alla disamina dei motivi d’impugnazione va premesso come nel giudizio di cassazione, l’obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ove risulti l’esistenza della causa estintiva della prescrizione, opera nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione, la quale, a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n.48461 del 28/11/2013, P.G., Fontana e altri, Rv. 258169, N. 9944 del 2000 Rv. 217255, N. 10216 del 2003 Rv. 223575, N. 27944 del 2008 Rv. 240955, N. 35627 del 2012 Rv. 253458).
3.Nella delineata prospettiva ed alla stregua dei parametri declinati dall’art. 129 cod. proc. pen., s’appalesa evidente l’erronea valutazione della causa di giustificazione operata dalla corte territoriale.
3.1. Risulta, invero, dal testo del provvedimento impugnato che le espressioni censurate sono state profferite nell’ambito di una accesa contestazione, insorta in ambito confederativo, verso il Presidente provinciale della (omissis) M.L., a cui venivano addebitati comportamenti scorretti che avevano dato luogo al commissariamento dell’ente e persino all’iscrizione del medesimo nel registro degli indagati per reati commessi nell’esercizio del mandato.
Siffatta contrapposizione si era, poi, acuita nel corso della campagna elettorale per il rinnovo della carica, nel cui ambito le rilevate criticità erano state agitate per rimarcare l’inaffidabilità del presidente uscente.
Ed è, pertanto, in un contesto competitivo così connotato che risultano formulate le espressioni riportate nell’imputazione, riferite a vigliaccheria del M. nell’evitare il confronto ed affrontare le critiche relative alla criticabile gestione, ed al declino inarrestabile del personaggio.
3.2. Ebbene, è evidente dallo stesso tenore del testo del comunicato come il D.F. - in qualità di iscritto alla confederazione e dunque legittimato dal suo ruolo politico ed amministrativo nello specifico settore abbia voluto offrire all’attenzione della pubblica opinione il proprio punto di vista sulla figura del presidente ricandidatosi e provocare una approfondita riflessione su di un tema di rilevante interesse pubblico, quale la credibilità di un aspirante al ruolo di vertice che aveva, invece, dimostrato nel corso del mandato di non saper gestire la confederazione, tanto da essere commissariata; tema vieppiù di interesse del contesto ambientale di riferimento, essendo stato il M. denunciato per reati commessi nell’espletamento del mandato.
Di guisa che si tratta, all’evidenza, di una questione di interesse della pubblica opinione in genere e degli iscritti alla confederazione in particolare.
3.3. Il volantino risulta, dunque, riguardare un tema di interesse pubblico, specificatamente inerente la sostanziale legittimazione del M. alla presidenza ed avente ad oggetto una vicenda non solo potenzialmente suscettibile di approfondimento, ma effettivamente nota all’opinione pubblica e portata all’attenzione anche dell’autorità giudiziaria.
4. Così ricostruite le coordinate fattuali dell’imputazione, va, in punto di diritto, premesso come la sussistenza dell’esimente del diritto di critica presupponga, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente lesive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza dello stesso diritto (Sez. 5, n. 3047 del 13/12/2010 - dep. 27/01/2011, Belotti, Rv. 249708).
L’esercizio di siffatto diritto consente il ricorso anche ad espressioni forti e persino suggestive al fine di potenziare l’efficacia del discorso o del testo e richiamare l’attenzione dell’interlocutore destinatario.
4.1. In via generale, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati in riferimento ai requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento degli interessi in conflitto, individuati nell’interesse sociale all’informazione, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato.
In tal senso, è stato evocato anche il parametro dell’attualità della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico, e dunque nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica (tra le tante, Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789).
4.2 Con specifico riferimento al diritto di critica politica, il rispetto del principio di verità si declina peculiarmente, assumendo limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza che il medesimo dispiega sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n.25518 del 26/09/2016, Rv. 270284, Sez. 5, n.7715 del 04/11/2014 - dep. 2015 Rv. 264064, Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 - dep. 2011, Rv. 249239).
4.3 Siffatta impostazione si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’art. 10 CEDU, a meno che non sia "prescritta dalla legge", non persegua uno o più degli obiettivi legittimi ex art. 10 par. 2 e non sia "necessaria in una società democratica".
In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la verità del fatto narrato per ritenere giustificabile la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione: ed ha declinato l’argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva eccessiva, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali.
In tal senso, la Corte Europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che è il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti da non travalicare nel caso di critica politica.
Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce la più avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di art. 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo dell’articolo o dello scritto, nel quale è tollerabile - data la sua natura - exaggeration or even provocation, sia neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è gratuito e pertanto ingiustificato e diffamatorio.
4.4. Nel quadro così sommariamente delineato, ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005, Rv. 231764).
Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che, comunque, non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010, Rv. 250218; Sez. 5, n. 38448 del 25/09/2001, Rv. 219998).
4.5 In un quadro di valori di riferimento così peculiarmente connotato, va poi considerato il depotenziamento della carica semantica di talune espressioni in riferimento al contesto in cui vengono utilizzate, quale quello politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati, ed il rilievo secondo cui la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più rilevante sia la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Rv. 237260). Di guisa che il livello e l’intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate sotto forma di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l’operatività della scriminante, poiché nell’ambito politico risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, 232125).
Di conseguenza quanto maggiore è il potere esercitato, tanto maggiore è l’esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell’opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362).
5. Applicando gli enunciati principi al caso in esame, si appalesa evidente l’erronea applicazione dell’art. 51 cod. pen.. e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della scriminante.
L’imputato si è limitato ad evidenziare il declino politico di un presidente al centro di aspre contestazioni, risalenti al 2004 (v. f. 5 sent. imp., in cui è contenuto un erroneo e determinante riferimento alla "gestione del D.F. ") in un contesto prodromico alla sua candidatura a ricoprire nuovamente una carica di vertice non solo criticata, ma che aveva addirittura determinato il commissariamento dell’ente e l’approfondimento in sede giudiziale della rilevanza penale delle contestate condotte, formulando valutazioni espresse con un linguaggio del tutto consono alla sede e congruo in riferimento ai fatti rappresentati.
Non può infatti ritenersi che il D.F. abbia posto in essere una gratuita aggressione alla persona del querelante, che peraltro rivestiva una posizione di notorietà nel locale contesto proprio per la carica rivestita e le polemiche che aveva generato.
5.1 In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Sez. 5, n.4853 del 18/11/2016 - dep.2017 Rv. 269093, N. 13735 del 2006 Rv. 233986, N. 48712 del 2014 Rv. 261489, N. 5695 del 2015 Rv. 262531, N. 7244 del 2015 Rv. 267137, N. 7715 del 2015 Rv. 264064, N. 4298 del 2016 Rv. 266026, N. 37397 del 2016 Rv. 267866, N. 41414 del 2016 Rv. 267865).
Di guisa che va senz’altro riconosciuto nel testo del volantino - e della successiva pubblicazione - il requisito della continenza con riferimento all’art. 51 cod. pen., così come declinato nella giurisprudenza di questa corte nell’accezione di "...proporzione, misura e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati" (Sez. 5, n. 3356 del 27/10/2010).
E siffatta valutazione è tanto più appropriata ove si consideri che la prospettazione del declino del presidente è stata formulata non già quale critica decontestualizzata al M., bensì quale indicatore della mancanza di rappresentatività del medesimo in seno alla Confederazione, con ulteriore depotenziamento di una pretesa offensività ad hominem, apparendo all’evidenza l’interesse del D.F. finalizzato alla tutela della credibilità dell’ente e non all’indiscriminata lesione della reputazione del querelante.
5.2 Il tenore delle espressioni adoperate, peraltro non esorbitante dal taglio proprio connesso al ruolo di iscritto del propalante, rende, peraltro, comunque ultroneo richiamare, in questa sede, anche il limite allargato del principio di continenza che comunque ricorre in presenza di modalità espressive ironiche, irridenti o sarcastiche, quali manifestazioni di legittima polemica in ordine a contrapposte opinioni e comportamenti comunque di interesse pubblico (Sez. 5, n. 13563 del 20/10/1998, Senesi, Rv. 212994).
Si è sottolineato, infatti, che l’art. 21 Cost., analogamente all’art. 10 Cedu, non tutela unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che "urtano, scuotono o inquietano", con la conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva, che, una volta riscontrata, integra l’esimente del diritto di critica. (Sez. 5, n. 25138 del 21/02/2007, Rv. 237248).
6. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello di Napoli non sono, dunque, condivisibili, poiché la critica è stata formulata con modalità che costituiscono espressione della libertà di manifestazione del pensiero, che mediante prospettazione di una obiettiva situazione di contrasto finalizzata alla rivendicazione della correttezza dell’azione della Confederazione - rientra nella scriminante dell’esercizio del diritto tutelato dall’art. 21 Cost. e art. 51 cod. pen..
6. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, con conseguente revoca delle statuizioni civili in essa contenute.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il fatto non costituisce reato; revoca le statuizioni civili.