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Condanna in appello dopo assoluzione di primo grado: processo non equo? (Corte EDU, Tondo vs. Italia 2020)

22 ottobre 2020, Cassazione penale

Non rispetta il diritto ad un processo equo il giudice di appello che non si limiti a procedere a una nuova valutazione di elementi di natura puramente giuridica, ma si pronunci su una questione fattuale, ossia la credibilità di un testimone chiave a carico, modificando in tal modo i fatti constatati dai giudici di primo grado: la valutazione della credibilità di un testimone è un compito complesso, che, normalmente, non può essere compiuto attraverso una semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni di quest'ultimo, riportate nei verbali delle audizioni.

Non viola il diritto al processo equo una condanna del giudice d'appello che riformi la sentenza di assoluzione del primo grado quando ciò avvenga dopo l'interpretazione di una questione di diritto e senza elementi tali da far ritenere che sarebbe utile una nuova escussione dei testimoni. 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA TONDO c. ITALIA

(Ricorso n. 75037/14)

SENTENZA

STRASBURGO
22 ottobre 2020

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Tondo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Aleš Pejchal, presidente,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato (n. 75037/14) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Fernando Tondo («il ricorrente»), che, il 21 novembre 2014, ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Rilevando che il 20 febbraio 2018 il ricorso è stato comunicato al Governo,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 29 settembre 2020,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

Il ricorso riguarda, dal punto di vista dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, la mancata nuova audizione, da parte del giudice di appello, del testimone a carico prima di ribaltare il verdetto di assoluzione pronunciato in primo grado.

IN FATTO

1 Il ricorrente è nato nel 1978 e risiede a Torchiarolo. È stato rappresentato dagli avvocati P. Medina e M. Vitone, del foro di Bari.

2 Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex-agente, E. Spatafora.

3 Il ricorrente e suo fratello, F.T., furono accusati di aver ucciso con colpi di pistola S.M. e di aver ferito la madre di quest'ultimo, L.B.R., dopo una violenta lite.

4 Gli stessi furono rinviati a giudizio dinanzi alla corte d'assise di Lecce per rispondere di omicidio e tentato omicidio.

5 Durante il dibattimento, i due imputati dichiararono di essersi recati a casa di S.M., una guardia giurata, al solo scopo di risolvere un conflitto tra familiari che aveva già portato a diverse aggressioni fisiche commesse da S.M. e da altri membri della sua famiglia. Essi spiegarono che si erano muniti di un tubo di ferro, che avevano messo nel bagagliaio della loro autovettura, da utilizzare nel caso in cui S.M. si fosse mostrato violento.

6 Vedendo i due fratelli, S.M. estrasse la pistola e sparò al ricorrente, ferendolo a livello della spalla. F.T. colpì quindi S.M. con il tubo di ferro mentre il ricorrente si gettava su di lui colpendolo per disarmarlo. Ne seguì una violenta colluttazione tra le tre persone. In quel momento arrivò sul posto un carabiniere, A.G. Costui cercò, invano, di immobilizzare S.M., che si dirigeva verso il ricorrente minacciandolo. Temendo per la sua vita, il ricorrente afferrò la pistola e sparò due colpi a terra. Poi, sostenuto da suo fratello, raggiunse l'auto e si diresse verso l'ospedale.

7 Stando alle perizie balistiche, il secondo colpo uccise S.M. e ferì L.B.R., che era arrivata nel frattempo per difendere suo figlio e rimaneva dietro di lui, nascosta alla vista dei due fratelli.

8 La corte d'assise sentì una ventina di testimoni, compresi L.B.R. e A.G. Quest'ultimo affermò di essere arrivato sul posto allertato dal rumore dei colpi di arma da fuoco e di aver visto il ricorrente e la vittima, con il volto insanguinato, mentre si azzuffavano. Dichiarò di aver tentato di separarli, ma invano, e di essere stato colpito violentemente in faccia da S.M. In quel momento il ricorrente avrebbe sparato a S.M. e poi sarebbe andato verso la sua auto, lasciando il luogo a tutta velocità con un altro uomo.

9 L.B.R., per quanto la riguardava, dichiarò che era a casa sua quando sua figlia l'aveva avvertita dello scontro in atto. Sarebbe quindi uscita e avrebbe visto il ricorrente puntare la pistola a terra. Si sarebbe gettata sul figlio, che sarebbe stato ferito gravemente e sarebbe rimasto piegato in avanti, e lei lo avrebbe spinto a terra per impedirgli di essere colpito dai proiettili.

10 La corte d'assise sentì anche la sorella della vittima, che dichiarò di aver visto suo fratello mentre veniva picchiato violentemente da F.T. e da un altro uomo, nonché un altro testimone, A.F., che dichiarò di aver sentito il rumore di un colpo di arma da fuoco, di aver poi visto S.M., a terra, mentre veniva picchiato da due uomini, e di aver finalmente deciso di allontanarsi da quel luogo.

11 Con sentenza del 29 gennaio 2009, la corte d'assise assolse i due fratelli, ritenendo che il ricorrente avesse agito per legittima difesa e che F.T. non avesse commesso alcun reato.

12 Considerando che non aveva prove per confutarle, la corte d'assise ritenne attendibili le affermazioni dei due imputati circa l'assenza di qualsiasi intenzione di uccidere S.M. e lo svolgimento della fase iniziale dello scontro. Considerò che i due fratelli si fossero avvicinati alla vittima con lo scopo di avviare un confronto verbale, e che non fosse stato il loro comportamento ad aver provocato la reazione armata della vittima. Affermò che in queste condizioni, si doveva concludere che i due imputati avevano agito per legittima difesa di fronte ad un atteggiamento pericoloso e determinato della vittima, sia quando F.T. aveva usato il tubo di ferro, sia quando il ricorrente si era servito della pistola.

13 La corte d'assise osservò che i rapporti balistici avevano permesso di stabilire che, nel momento in cui era stata colpita dal colpo mortale, la vittima o aveva il busto piegato in avanti con una inclinazione superiore a 45°, o era in posizione rannicchiata. Considerò che, sebbene imprecisa, la testimonianza di L.B.R., avvalorasse l'ipotesi secondo la quale la vittima si trovava in questa posizione al momento dello sparo. Constatò che in ogni caso S.M. non era certamente in piedi, contrariamente a quanto aveva detto A.G., il carabiniere. Aggiunse che riteneva che questo testimone mancasse di credibilità perché era nel suo interesse distorcere i fatti e non ammettere che un uomo si era fatto uccidere in sua presenza senza che egli avesse potuto impedire un simile atto.

Per quanto riguarda gli altri testimoni, ritenne che nessuno di loro avesse fornito informazioni utili per la ricostruzione dei fatti.

14 La corte d'assise valutò che, alla luce di queste circostanze, la versione degli imputati secondo cui la vittima si stava rialzando per aggredire il ricorrente sembrava plausibile, e che la reazione armata del ricorrente, che si trovava quindi in situazione di legittima difesa, era giustificata. Per quanto riguarda F.T., ritenne che quest'ultimo non avesse contribuito, con le sue azioni, alla morte di S.M. Pertanto la corte d'assise assolse i due imputati.

15 Il procuratore e le parti civili interposero appello. Queste ultime chiesero alla corte d'assise d'appello di sentire nuovamente F.T. A sostegno della loro richiesta, esse argomentarono che le dichiarazioni che F.T. aveva reso nel corso delle indagini preliminari su come erano iniziati i fatti erano diverse da quelle che aveva reso durante il dibattimento, e che erano state dichiarate inutilizzabili dalla corte d'assise. Il 21 aprile 2010 la corte d'assise d'appello accolse la richiesta e ordinò una nuova audizione di F.T.

16 All'udienza del 22 aprile 2010 la corte d'assise d'appello sentì F.T. e inserì nel fascicolo le dichiarazioni che costui aveva reso dinanzi al giudice per le indagini preliminari. Da queste dichiarazioni emerse che F.T. aveva inizialmente indicato, prima della sua parziale ritrattazione durante il dibattimento in primo grado, che aveva colpito S.M. con il tubo di ferro subito dopo essere sceso dalla macchina, prima che S.M. sparasse al ricorrente. F.T. spiegava, inoltre, che lui e il ricorrente erano andati a casa della vittima allo scopo di «dargli una lezione».

17 Con sentenza del 27 novembre 2012, la corte d'assise d'appello ribaltò la sentenza di primo grado e condannò i due imputati.

18 Essa considerò necessario riesaminare tutte le loro dichiarazioni – ritenute attendibili dalla corte d'assise – alla luce delle deposizioni che erano state fatte durante il dibattimento in primo grado. A questo proposito, ritenne che la testimonianza di A.G. fosse decisiva, poiché A.G. era l'unica persona che aveva assistito alla fine della scena e che aveva visto il ricorrente prendere la pistola e sparare senza mirare in direzione della vittima da una distanza di circa due metri. Secondo la corte d'assise d'appello, non vi era alcun motivo per dubitare della credibilità di questo testimone, che aveva peraltro dichiarato che la vittima era già gravemente ferita al momento dello sparo, che era in piedi leggermente piegata in avanti e che non si era realmente gettata sul ricorrente minacciandolo, fatto che corroborava la testimonianza di L.B.R.

19 La corte d'assise d'appello ritenne che le prove raccolte nel corso del processo dimostrassero che i due fratelli avevano deciso di affrontare S.M. anche se sapevano che era violento e armato, e che si erano quindi messi in una situazione di pericolo di loro propria iniziativa. Facendo riferimento ai principi della giurisprudenza in materia, concluse che i due fratelli non potevano quindi invocare la legittima difesa, e ritenne inoltre che risultava chiaramente da diverse testimonianze che i due imputati non si trovavano più in situazione di pericolo nel momento in cui il ricorrente aveva sparato contro S.M., dato che quest'ultimo era ferito e disarmato.

20 Dalle dichiarazioni di L.B.R. risultava chiaro che la vittima era rannicchiata perché le gravi ferite provocate dai colpi, soprattutto dal tubo di ferro, che aveva ricevuto durante la rissa per mano dei due fratelli, le impedivano di alzarsi. La corte d'assise d'appello rilevò che, pur essendo anch'egli ferito, il ricorrente non aveva subito né fratture né lesioni interne, per cui era perfettamente in grado di camminare e aveva potuto raggiungere facilmente l'auto e lasciare il luogo. Per valutare la gravità delle lesioni ricevute dalla vittima e dal ricorrente, la corte d'assise d'appello si basò sulle conclusioni di una perizia medico-legale affidata a dei periti nominati dalla procura. Decise, invece, di non accogliere le conclusioni dei periti della difesa che consistevano nel dire che S.M. era ancora in grado di battersi e di aggredire il ricorrente nonostante le percosse ricevute.

21 La corte d'assise d'appello dichiarò che i due fratelli erano colpevoli di aver causato intenzionalmente la morte di S.M. e di aver ferito L.B.R., e che F.T. aveva contribuito all'omicidio commesso dal ricorrente. Oltre al risarcimento concesso alle parti civili, essa condannò il ricorrente a 23 anni di reclusione e F.T. a 21 anni di reclusione.

22 Il ricorrente e F.T. presentarono ricorso per cassazione sostenendo, tra l'altro, che la corte d'assise d'appello aveva agito senza rispettare le condizioni previste dall'articolo 6 della Convenzione in quanto aveva rivalutato la credibilità del testimone a carico, A.G., senza ordinare una nuova audizione di quest’ultimo. F.T. contestò la sua condanna per concorso nell'omicidio.

23 Con sentenza emessa il 21 maggio 2014, la Corte di cassazione accolse parzialmente il ricorso. Per quanto riguarda la dedotta violazione dell'articolo 6 della Convenzione, essa osservò innanzitutto che la corte d'assise d'appello aveva valutato in maniera logica e appropriata gli elementi di prova in suo possesso, e aveva ampiamente e validamente motivato il ragionamento che aveva portato alla condanna degli imputati. La Corte di cassazione osservò che tra questi elementi vi era la testimonianza di A.G., che i giudici di primo grado avevano scartato perché giudicata inattendibile, e il cui valore probatorio era stato rivalutato dalla corte d'assise d'appello con un esame approfondito.

24 La Corte di cassazione concluse, tuttavia, che la corte d'assise d'appello aveva effettivamente violato l'articolo 6 della Convenzione, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza Dan c. Moldavia (n. 8999/07, 5 luglio 2011), poiché aveva rivalutato l’attendibilità di una testimonianza decisiva senza sentire direttamente il testimone. Rilevò che A.G. era l'unico testimone in grado di descrivere il comportamento e le posizioni dei due imputati e della vittima al momento della commissione del reato, e considerò che i giudici d'appello avrebbero dovuto sentirlo nuovamente prima di giungere alla conclusione opposta a quella del giudice di primo grado riguardo alla sua credibilità.

25 Detto questo, la Corte di cassazione precisò che tale conclusione valeva unicamente per F.T., che era stato condannato dalla corte d'assise d'appello per concorso in omicidio, e non per il ricorrente, che era incontestabilmente responsabile della morte di S.M., in quanto aveva chiaramente sparato il colpo mortale. Confermò quindi la condanna del ricorrente, che pertanto divenne definitiva. Infine, considerò che la corte d'assise d'appello aveva avuto torto a non concedere delle circostanze attenuanti ai due imputati.

26 Di conseguenza, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte d'assise d'appello nella sua parte relativa alla condanna di F.T. e al calcolo delle pene dei due imputati, e rinviò la causa dinanzi ad un'altra corte d'assise d'appello.

27 Con sentenza del 21 agosto 2015, dopo aver sentito A.G. e averlo giudicato credibile, la corte d'assise d'appello di Taranto condannò F.T. a dodici anni di reclusione e fissò la pena del ricorrente in diciannove anni di reclusione dopo avergli concesso delle circostanze attenuanti.

IL QUADRO GIURIDICO INTERNO PERTINENTE

28 Il quadro giuridico interno pertinente nel caso di specie è descritto nella sentenza Lorefice c. Italia, n. 63446/13, §§ 26 28, 29 giugno 2017.

IN DIRITTO

I SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

29 Il ricorrente afferma che la corte d’assise d’appello di Lecce lo ha dichiarato colpevole senza avere proceduto all’escussione diretta di un testimone chiave a carico, che era stato dichiarato non credibile dai giudici di primo grado.

Egli invoca l’articolo 6 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

30 Il Governo contesta questa tesi.

A Sulla ricevibilità

31 Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno dei motivi indicati nell’articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.

B   Sul merito

32 Il ricorrente lamenta che la corte d’assise d’appello sia ritornata sui fatti accertati in primo grado e abbia in sostanza basato la constatazione di colpevolezza sulla deposizione di A.G., testimone dichiarato non credibile dalla corte d’assise, ma senza una nuova escussione diretta.

33 Egli afferma che questa testimonianza era fondamentale per la ricostruzione della fase finale dei fatti, e più precisamente del momento che aveva preceduto lo sparo mortale, e che si trattava dunque di un elemento determinante nell’esercizio di valutazione dell'elemento psicologico del reato.

34 Egli considera pertanto che la sua condanna sia stata decisa in violazione dei suoi diritti alla difesa sanciti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

35 Il Governo afferma che non vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione, e sostiene che la corte d’assise d'appello non ha fondato la condanna del ricorrente sulle dichiarazioni di A.G., ma ha esaminato in maniera approfondita tutte le prove che erano state acquisite al fascicolo alla luce di un nuovo elemento di prova, la nuova deposizione di F.T., e ha tenuto in maggiore considerazione le conclusioni della perizia disposta dalla procura.

36 Secondo il Governo, la Corte di cassazione si è basata sulla testimonianza decisiva di A.G. per annullare la condanna di F.T., e ha pertanto agito, per quanto lo riguarda, in applicazione dei principi enunciati nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia. La Corte avrebbe fondato la condanna del ricorrente sulle circostanze fattuali della causa e sul ruolo che quest’ultimo avrebbe manifestamente svolto in quanto autore materiale dell'omicidio. Oltre alla testimonianza di A.G., la Corte di cassazione si sarebbe basata su altri elementi di prova, ossia la nuova deposizione di F.T., le testimonianze di L.B.R., della sorella della vittima e di A.F., che i giudici di primo grado avrebbero ignorato, e sui risultati della perizia disposta dalla procura. In queste circostanze, la testimonianza di A.G., lungi dall’essere decisiva, avrebbe semplicemente confermato ciò che gli altri elementi di prova avrebbero già permesso di dimostrare. La Corte di cassazione avrebbe qualificato le dichiarazioni di A.G. come decisive unicamente nel caso di F.T.

37 La corte d’assise d'appello avrebbe rettificato alcuni errori logici e fattuali commessi dai giudici di primo grado, i quali avrebbero ignorato alcune prove e omesso di valutare adeguatamente tutti gli elementi raccolti, soprattutto per quanto riguarda l'esistenza, nel caso di specie, di una situazione di legittima difesa. Il Governo ritiene che il ricorrente abbia chiesto alla Corte di procedere a una nuova valutazione della causa, il che significherebbe per quest’ultima diventare un giudice di «quarto grado».

38 La Corte rammenta che le modalità di applicazione dell'articolo 6 della Convenzione ai procedimenti di appello dipendono dalle caratteristiche del procedimento in questione; è necessario tenere conto dell’intero procedimento interno e del ruolo attribuito al giudice di appello nell’ordinamento giuridico nazionale (Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996, § 39, Recueil des arrêts et décisions 1996 I). In particolare, quando un giudice di appello deve esaminare una causa in fatto e in diritto e studiare complessivamente la questione della colpevolezza o dell’innocenza, detto giudice non può, per motivi di equità del procedimento, decidere su tali questioni senza una valutazione diretta delle testimonianze presentate personalmente dall'imputato che afferma di non avere commesso l'atto considerato come illecito penale (si vedano, tra altre, Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, § 32, serie A n. 134, Constantinescu c. Romania, n. 28871/95, § 55, CEDU 2000 VIII, Dondarini c. San Marino, n. 50545/99, § 27, 6 luglio 2004, e Igual Coll c. Spagna, n. 37496/04, § 27, 10 marzo 2009) o dai testimoni che hanno reso una deposizione durante il procedimento e alle cui dichiarazioni il giudice vuole dare una nuova interpretazione (si veda, ad esempio, Lorefice, sopra citata, § 36). Infatti, anche se spetta in linea di principio al giudice nazionale decidere sulla necessità o l'opportunità di citare un testimone, alcune circostanze eccezionali possono portare la Corte a concludere che la mancata audizione di una persona in qualità di testimone è incompatibile con l'articolo 6 della Convenzione (si vedano, tra molte altre, Bricmont c. Belgio, 7 luglio 1989, § 89, serie A n. 158, e Lazu c. Repubblica di Moldavia, n. 46182/08, § 34, 5 luglio 2016).

39 Al contrario, la Corte ha dichiarato in alcune cause che la condanna dei ricorrenti da parte del giudice di ricorso era intervenuta soltanto dopo l'interpretazione di una questione di diritto e che gli interessati non avevano apportato elementi tali da far ritenere che sarebbe stata utile una nuova escussione dei testimoni. In queste cause, i ricorrenti avevano avuto la possibilità di essere sentiti e di esporre le loro argomentazioni dinanzi al giudice di ricorso (Leș c. Romania (dec.), n. 28841/09, §§ 18 22, 13 settembre 2016, Mujea c. Romania (dec.), n. 68964/13, §§ 22 25, 28 novembre 2017, e Pătuleanu e altri c. Romania (dec.), n. 22941/13, 9 ottobre 2018).

40 Ritornando ai fatti della presente causa, la Corte osserva anzitutto che la corte d’assise di Lecce ha assolto il ricorrente dopo aver sentito vari testimoni. I giudici di primo grado hanno valutato che, considerati complessivamente, i documenti del fascicolo non permettevano di escludere che il ricorrente avesse agito per legittima difesa. Ritenendo che non disponevano di alcun documento che permettesse di confutare questa versione, i suddetti giudici hanno deciso di accettare la versione dei fatti fornita dagli imputati. A questo proposito, hanno concluso che le dichiarazioni dell’unico testimone ad aver assistito all’omicidio, A.G., non erano attendibili, e che le stesse non erano compatibili con le conclusioni dei periti, soprattutto per quanto riguarda la questione delle posizioni nelle quali la vittima e l'imputato si trovavano al momento dello sparo mortale.

41 La Corte osserva inoltre che i giudici d'appello avevano la possibilità di confermare la soluzione del ricorrente o di dichiararlo colpevole dopo aver proceduto a una valutazione della questione della responsabilità dell’interessato. A questo scopo, hanno ordinato una nuova audizione del coimputato del ricorrente, F.T. Non hanno invece sentito né gli altri testimoni né il ricorrente, sebbene quest'ultimo fosse stato presente al dibattimento.

42 La Corte osserva anche che i giudici di appello hanno invalidato la sentenza di primo grado e hanno dichiarato il ricorrente colpevole dopo aver escluso l'esistenza di una situazione di legittima difesa idonea a fondare una decisione di irresponsabilità penale dell'interessato. Per giungere a questa conclusione, i giudici di appello hanno considerato che era necessario tenere conto delle dichiarazioni di tutti i testimoni, anche di quelle che la corte d’assise aveva ritenuto non pertinenti, qualificando come «decisiva» la deposizione di A.G. e discostandosi dal parere dei giudici di primo grado per quanto riguarda la credibilità di tale testimone e l'interpretazione delle sue dichiarazioni.

43 La Corte ritiene, alla luce di questi elementi, che il giudice di appello non si sia limitato a procedere a una nuova valutazione di elementi di natura puramente giuridica, ma si sia pronunciato su una questione fattuale, ossia la credibilità di un testimone chiave a carico, modificando in tal modo i fatti constatati dai giudici di primo grado (si vedano, a contrario, Leş e Pătuleanu e altri, decisioni sopra citate). Essa rammenta che la valutazione della credibilità di un testimone è un compito complesso, che, normalmente, non può essere compiuto attraverso una semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni di quest'ultimo, riportate nei verbali delle audizioni (Lorefice, sopra citata, § 43).

44 Come il Governo, la Corte osserva che la Corte di cassazione, adita dal ricorrente, ha applicato questo principio giurisprudenziale e ha ordinato al giudice di rinvio di sentire nuovamente A.G. nella sua qualità di unico testimone diretto dell’omicidio. Essa non comprende invece il motivo per cui la Corte di cassazione abbia considerato che questo principio si applicasse unicamente nel caso di F.T., che era imputato di concorso in omicidio, e non in quello del ricorrente. Se non vi erano certamente dubbi sul fatto che la vittima fosse deceduta per gli spari del ricorrente, rimaneva comunque il fatto che i giudici di appello avevano valutato la colpevolezza dell'interessato basandosi su una versione diversa dei fatti che si erano svolti nella fase finale dello scontro, soprattutto per quanto riguarda la posizione in cui si trovava la vittima al momento dello sparo e il pericolo che la vittima poteva rappresentare per il ricorrente. Ora, questi elementi imponevano una valutazione diretta delle testimonianze pertinenti.
In questo contesto, la Corte non condivide la tesi del governo che consiste nell’affermare che le dichiarazioni di A.G. erano determinanti ai fini della valutazione della colpevolezza di F.T. e non ai fini di quella del ricorrente.

45 La Corte considera che, non procedendo a una nuova audizione di A.G. o di altri testimoni prima di invalidare il verdetto di assoluzione di cui aveva beneficiato in primo grado, la corte d’assise d'appello ha notevolmente limitato i diritti della difesa del ricorrente.

46 Infine, la Corte osserva che i giudici che lo hanno dichiarato colpevole non hanno sentito il ricorrente – sebbene quest'ultimo fosse presente al dibattimento –, privandolo in tal modo della possibilità di esporre le proprie argomentazioni su questioni di fatto determinanti per la valutazione della sua colpevolezza (Lacadena Calero c. Spagna, n. 23002/07, § 48, 22 novembre 2011, e, a contrario, Mujea, decisione sopra citata, §§ 22 25).

47 Considerate tutte le circostanze del caso di specie, la Corte conclude che il ricorrente è stato privato del suo diritto a un processo equo. Pertanto vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

48 Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A   Danno

49 Il ricorrente chiede la somma di 500.000 euro (EUR) per danno morale. In riparazione del danno materiale che ritiene di avere subìto, chiede alla Corte di annullare gli effetti derivati dalla decisione dei giudici nazionali di condannarlo a versare un indennizzo alle parti civili.

50 Il Governo si oppone a questa richiesta.

51 La Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto. Essa respinge pertanto la domanda formulata a questo titolo, e accorda invece al ricorrente la somma di 6.500 EUR per danno morale.

B   Spese

52 Il ricorrente chiede la somma di 16.450 EUR – calcolata sulla base del tariffario nazionale – per le spese che ha sostenuto nell'ambito del procedimento condotto dinanzi alla Corte.

53 Il Governo si oppone a questa richiesta.

54 Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, poiché il ricorrente non ha prodotto alcuna fattura o parcella, la Corte respinge la domanda formulata a questo titolo.

C   Interessi moratori

55 La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

Dichiara il ricorso ricevibile;
Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
Dichiarache lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi , la somma di 6.500 EUR (seimilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 ottobre 2020, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Aleš Pejchal
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto