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Sessismo, violenza di genere e video virali (Tr. Torino, 20.1.25)

20 gennaio 2025

La Convenzione di Istanbul fornisce una definizione di "violenza contro le donne" assai ampia, che ricomprende qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne o che comunque colpisce le donne in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica sessuale, psicologico o economica, incinse le minacce di compiere tali atti.

 

Trib. Torino, ord., 20 gennaio 2025
Giudice Minutella

Fatto e Diritto

1. I fatti in sintesi

Il 3.11.2023 (omissis) sporge denuncia-querela per diffamazione nei confronti di ignoti. Premette di esser stata suo malgrado protagonista della vicenda sentimentale conclusasi il 27.7.2023, con una lettera letta pubblicamente dall'ex convivente (omissis) nel corso di una festa. L'episodio è stato filmato ed il video è stato ampiamente diffuso, tanto da diventare "virale", esponendola ad una serie di commenti offensivi e minacce sui social.

Tra questi commenti, la persona offesa ne ha selezionato alcuni, da lei ritenuti esageratamente volgari e offensivi.

Si riportano, a mero titolo di esempio, alcuni di questi commenti: "zoccola", "troia".

Alla querela è stata allegata la relazione di un consulente tecnico di parte, che ha proceduto a certificare l‘integrità e l'effettiva corrispondenza dei post ritenuti diffamatori, nonché ad estrapolare il numero I.D. univoco di ciascun profilo Facebook.

Il pubblico ministero avanza richiesta di archiviazione. Due gli argomenti. In primo luogo, sarebbe impossibile addivenire ad una compiuta identificazione dei responsabili, i quali spesso si celano sotto falsi profili social, utilizzando nomi di fantasia. In secondo luogo, sarebbe configurabile la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, sussistendo i tre presupposti cui la giurisprudenza subordina il riconoscimento dell'esimente in parola. In particolare, l'interpretazione del requisito della continenza non potrebbe non tenere conto dell'evoluzione della società e del suo linguaggio (soprattutto del linguaggio utilizzato sui social network), dovendosi adeguare a criteri più elastici, sino a ricomprendere anche l‘utilizzo di espressioni “forti”.

La persona offesa presenta opposizione. In merito all'asserita impossibilità di identificare gli autori del reato, evidenzia che non è stata svolta alcuna attività di indagine da parte del pubblico ministero. Rispetto all'esimente del diritto di critica, sostiene che non sia ravvisabile alcuno dei tre requisiti: non il requisito della verità della notizia (che non può esser confuso con quello della verità soggettiva raccontata da (omissis), non quello dell'interesse pubblico (dal momento che (omissis) non ricopriva alcuna carica pubblica), non certamente quello della continenza (trattandosi di insulti ed aggressioni gratuite, sessiste e volgari). La difesa dell'opponente conclude chiedendo lo svolgimento di ulteriori indagini da parte della Polizia Postale ai fini della identificazione degli autori dei commenti diffamatori.

L'opponente deposita altresì memoria ex art. 121 c.p.p., allegando taluni articoli di giornale a commento del caso in esame, critici rispetto alla richiesta di archiviazione. Lo scopo è quello di dimostrare che, anche sulla base della sensibilità comune, i toni utilizzati nei post sono da considerarsi eccessivi e non accettabili.

2. Sulla richiesta di archiviazione

La richiesta di archiviazione non può essere accolta, essendo l'opposizione fondata.

2.1 Sull'esimente del diritto di critica

Occorre partire dalla verifica in merito alla configurabilità dell'esimente del diritto di critica, dal momento che si tratta di argomento logicamente preliminare. Qualora la notizia di reato risultasse infondata, infatti, perderebbe di rilevanza il tema della identificazione degli autori dei commenti.

Sul diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero, mentano di essere sottolineati due aspetti: il primo attiene alle caratteristiche dei commenti ed alla normativa comunitaria sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei comportamenti sessisti e nei discorsi d'odio: il secondo riguarda i limiti dell'esercizio del diritto di critica, secondo l'ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale.

2.1.1 Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nella violenza sulle donne, comportamenti sessisti e discorsi d'odio

Andando a leggere i commenti indicati in querela, essi attengono tutti, in buona sostanza, alla morale sessuale femminile. Gli aggettivi ("puttana", "zoccola " per citare i più frequenti) si sostanziano in "concetti" rivolti in modo esclusivo al genere femminile. Tanto che non stupisce la successiva ed immediata evoluzione dei commenti in vere e proprie minacce ("andavi presa a calci in culo schifosa”), poi rivolte non più solo nei confronti di (omissis) ma in generale, di tutte le donne ("le troie vanno punite in questo modo”).

Si tratta di fenomeni inquadrabili nell'ambito di "comportamenti sessisti" e "discorsi d'odio", realizzati con l'utilizzo delle "tecnologie dell'informazione e della comunicazione" (TIC) - fenomeni cui la normativa comunitaria dedica particolare attenzione, ritenendoli forme di manifestazione del più ampio concetto di violenza sulle donne.

La Convenzione di Istanbul fornisce una definizione di "violenza contro le donne" assai ampia, che ricomprende qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne o che comunque colpisce le donne in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica sessuale, psicologico o economica, incinse le minacce di compiere tali atti".

La Direttiva UE n. 1385/24 del 14.5.2024 si concentra sulle forme di violenza sulle donne online, soprattutto nei casi in cui "la violenza sia intrinsecamente connessa all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e tali tecnologie sono utilizzate per amplificare in modo significativo la gravità dell'impatto dannoso del reato modificando in tal modo le caratteristiche dello stesso”.

Il riferimento, quindi, non è solo all'utilizzo di strumenti informatici per perpetrare un delitto di violenza contro le donne (diffusione non consensuale di materiale intimo o manipolato, stalking on line, molestie on line). Il concetto assume una valenza più generale, anche connessa al contrasto dei discorsi d'odio sessista (cfr. art. 8 istigazione alla violenza e all'odio online).

L‘utilizzo dei social - ricorda la Direttiva - determina una diffusione dei commenti offensivi facile e rapida, così aumentando esponenzialmente i potenziali danni per la vittima. "L'uso delle TIC comporta il rischio di un amplificazione facile, rapida e diffusa di alcune forme di violenza on line, con l'evidente rischio di provocare o aggravare danni profondi e a lungo termine per la vittima”.

Il collegamento tra sessismo e violenza sulle donne, infine, è esplicitato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 27.3.2019. "Esiste un continuum tra gli stereotipi di genere, le disparità eh genere, il sessismo e la violenza contro le donne e ragazze. Pertanto, gli atti di sessismo "ordinario" sotto forma eh comportamenti, commenti, e battute sessiste apparentemente insignificanti e privi dì conseguenze si collocano ad una delle estremità di tale continuum. Tali atti sono spesso umilianti e contribuiscono a creare un clima sociale in cui le donne sono svilite, la loro autostima è ridotta e le loro attività e scelte vengono limitate, nel contesto lavorativo, nella sfera privata, in quella pubblica e in rete". Anche in questo caso, i social e le moderne tecnologie amplificano il fenomeno e lo incrementano. "Internet ha attribuito una nuova dimensione all'espressione e alla diffusione del sessismo presso il vasto pubblico, in particolare, il discorso d'odio sessista, anche se le origini del sessismo non sono da ricercare nell'ambito delle tecnologie ma nel persistere delle disparità di genere”. Ed è proprio in questo ambito che si inserisce l'art. 8 della Direttiva citata, che introduce il "genere" fra i motivi di discriminazione che determinano la punibilità delle condotte di istigazione all'odio e alla violenza.

Alla luce dell'inquadramento normativo ora sintetizzato, i commenti in esame, proprio perché volti a stigmatizzare la parte lesa in funzione del genere, appaiono marcatamente discriminatori. Essi non sono espressione di un giudizio meramente critico, ma appaiono commenti basati su stereotipi di genere, animati in via esclusiva da finalità offensive.

In altri termini, già dal principio, appare arduo ravvisare un legittimo esercizio del diritto di critica.

Il che ovviamente non esime da una analisi nel dettaglio dei requisiti cui la giurisprudenza subordina il riconoscimento dell'esimente in parola. Analisi che ora si andrà ad affrontare.

2.1.2 I limiti all'esercizio di critica secondo l'elaborazione giurisprudenziale

Il diritto di critica, inteso come diritto di esprimere un giudizio negativo su determinati fatti, vale a scriminare un commento offensivo dell'altrui reputazione solo qualora il suo esercizio rispetti taluni requisiti. I tre limiti dell'esercizio legittimo del diritto di critica, frutto dell'elaborazione della giurisprudenza civile e penale in materia, sono: a) verità della notizia; b) interesse pubblico; c) continenza. Nessuno dei tre limiti appare rispettato nel caso in esame.

a) Nel diritto di critica il requisito della verità della notizia viene interpretato in senso più ampio rispetto a quanto non avvenga nel diritto di cronaca.

Per spiegare la differenza, la Corte di Cassazione e la Corte EDU distinguono tra statement of facts (dichiarazioni di fatti) e value judgements (giudizi di valore): solo i primi possono essere oggetto di prova, mentre i secondi non sono suscettibili di dimostrazione. Tuttavia, anche nel secondo caso, è necessario che il giudizio si basi su di un nucleo fattuale veritiero e rigorosamente controllabile: se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è gratuito e, pertanto, ingiustificato e diffamatorio. Venendo al caso di specie, gli utenti Facebook che scrivono i commenti sopra ricordati non spiegano gli elementi fattuali su cui essi fondano il loro "convincimento". Si limitano di fatto ad insultare (omissis) senza che l'offesa a lei rivolta possa essere ricollegata ad un evento verificabile. Anche assumendo che il nucleo fattuale possa identificarsi (come sostenuto dal pubblico ministero) con la verità raccontata da ** nel video, i commenti si collocano su un piano assai distante dall'evento concreto, dal quale finiscono per restare del rutto sganciati. In altri termini, se mi limito ad offendere una persona omettendo di indicare quale sia il fatto storico su cui fondo il mio giudizio, l'offesa resta tale. La critica presuppone pur sempre un ragionamento logico; ma se insulto immotivatamente, senza indicare il presupposto di fatto del mio giudizio, la frase resta diffamatoria.

b) L'interesse pubblico va legato alla notorietà del soggetto cui la notizia è riferita. In ogni caso, precisa la Suprema Corte, l'interesse pubblico manca se il giudizio non si indirizza alla dimensione pubblica della persona criticata, bensì alla sfera privata, risolvendosi così in un attacco personale.

Tornando al caso concreto, non occorre neppure interrogarsi sulle cariche pubbliche o private rivestite da (omissis) (all'epoca dei fatti o in epoca anteriore): i commenti non riguardano la dimensione pubblica di (omissis) ma la sua sfera personale. Non vi è alcun interesse pubblico da garantire. Non vi è motivo per comprimere il diritto all'onore della parte lesa, per dare spazio a un contraddittorio su comportamenti privati di (omissis) che nulla hanno a che fare con il suo operato di personaggio pubblico.

c) Il criterio della continenza è compatibile con toni aspri ed accesi, ma richiede sempre una forma espositiva funzionale alla finalità critica che si intende perseguire. I toni in ogni caso non possono esorbitare in invettive sproporzionate o in espressioni gravemente infamanti.

Nel caso di specie, pur concordando in linea generale sulla necessità di adeguare la valutazione del requisito di continenza al mutato contesto sociale ed al luogo ove il commento viene espresso (Facebook), le parole scelte dagli autori del post appaiono oggettivamente sopra le righe ed inutilmente umilianti. Sono veri e propri insulti. I temimi scelti non sono semplicemente inurbani o forti, sono volutamente ed inequivocabilmente offensivi. Sul punto è sufficiente rinviare alla lettura dei messaggi.

2.3 Sulla identificazione degli autori del reato

Sono necessarie ulteriori indagini al fine di identificare gli autori del reato.

Al riguardo, va ricordato che l'attribuzione di un profilo Facebook ad una determinata persona fisica può avvenire anche sulla base di elementi logici, desumibili dalla convergenza di plurimi e precisi dati indiziari. In molti casi, il nome dell'utente si compone di nome e cognome: visualizzando le informazioni dell'account, ecc.) eventualmente disponibili (data di nascita, città in cui vive, numero di telefono, etc.) è possibile verificare, attraverso l'ausilio delle banche date in uso alle forze dell'ordine, se esiste un nominativo con dati corrispondenti. In molti casi, gli autori hanno anche una foto profilo che (verosimilmente) li ritrae. Sono tutte informazioni utilmente sviluppabili in chiave investigativa. E' vero che esiste la possibilità di creare profili fake, ma è anche vero che gli autori del post non si inseriscono in un contesto di criminalità informatica di alto livello, essendo ben possibile che essi abbiano utilizzato il profilo a loro direttamente riconducibile, senza ricorrere a sofisticate tecniche di anonimizzazione.

In aggiunta ed m ogni caso, è percorribile la strada degli accertamenti di tipo tecnico, attraverso richieste a Facebook. La persona offesa, con consulenza tecnica, ha già individuato il numero ID univoco di Facebook di ciascun amore dei post. E' possibile quindi inoltrare una richiesta volta ad ottenere i dati di registrazione (User Basic Subscriber), quali indirizzo mail, data e ora di creazione account e degli accessi più recenti, numero di cellulare eventualmente registrato. Sarà possibile inoltre richiedere l'acquisizione dei file di log relativi agli ultimi accessi dell'ente, in modo da poter risalire attraverso l'indirizzo IP ad ulteriori informazioni utili alla identificazione dell'utilizzatore degli account.

Si ritiene congruo indicare il termine di mesi sei per lo svolgimento delle indagini.

P.Q.M.

Visti gli artt. 408, 409 c.p.p..

indica al P.M. le indagini di cui in motivazione.

Fissa un termine di sei mesi per il compimento delle indagini.

Dispone la restituzione degli atti al P.M.

Manda alla Cancelleria per le notificazioni alle parti.​