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Registrare di nascosto colleghi di lavoro è lecito? (Cass. 12534/19)

10 maggio 2019, Cassazione civile

L'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio; ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

 

Cassazione civile

sez. lav., 10/05/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 10/05/2019),

sentenza n.12534

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1158/2017 la Corte d'appello di Bologna ha respinto il reclamo di B.V. avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato dal Consorzio di Bonifica della Provincia di Rimini con lettera del 22.6.2015.

1.1. Il giudice del reclamo ha escluso che potesse trovare ingresso nel giudizio la domanda di annullamento/inefficacia/illegittimità di precedenti sanzioni disciplinari evocate nella lettera di contestazione non a titolo di recidiva e, quindi, quale elemento costitutivo dell'illecito addebitato ma quale espressione del persistere del B. in un reiterato e costante atteggiamento di ostilità nei confronti della parte datoriale. Ha respinto le censure avverso pretese irregolarità del modus operandi della Commissione regionale incaricata che aveva condotto e concluso la procedura avviata dal Consorzio ex art. 5 c.c.n.l. applicabile e ritenuto provati tutti gli addebiti contestati (consistenti in gravi accuse di illecito nei confronti dei vertici del Consorzio, auto assegnazione dei periodi di congedo per le ferie, sistematica registrazione dei colloqui con i colleghi all'insaputa degli interlocutori) che ha reputato integrare giusta causa di recesso ai sensi dell'art. 2119 c.c..

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.V. sulla base di sei motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
DirittoRAGIONI DELLA DECISIONE1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, vizio di ultra /extra petizione - violazione dell'art. 112 c.p.c. - nullità della sentenza, censura la decisione impugnata per avere, in violazione del principio dispositivo che rimette esclusivamente alle parti la definizione del thema decidendum, delimitato la materia del contendere al solo profilo relativo alla validità/efficacia e legittimità del licenziamento per giusta causa, senza estendere l'indagine a tutte le contestazioni di addebito dedotte in causa e poste a base del recesso datoriale.

2. Con il secondo motivo deducendo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità della sentenza per motivazione estrinsecamente contraddittoria, censura la sentenza impugnata per avere, da un lato, ritenuto la materia del contendere delimitata all'esame dei soli addebiti ulteriori rispetto a quelli già in precedenza sanzionati dalla datrice di lavoro e, dall'altro, per avere ammesso che nonostante le tre sanzioni conservative e l'atteggiamento positivo della datrice di lavoro diretto ad una composizione della vicenda il B. avesse continuato a persistere in un reiterato atteggiamento di ostilità; in questo modo la Corte di merito aveva mostrato di prendere in considerazione gli addebiti in precedenza sanzionati e comunque reso una motivazione tanto illogica e contraddittoria da rifluire nella violazione dell'art. 132 c.p.c..

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalla terza contestazione disciplinare di cui alla comunicazione inviata via pec dal Consorzio in data 8.2.2014 con la quale si ascriveva, in sintesi, al B. un'insubordinazione connessa al rifiuto dello stesso di comparire ad una seconda audizione nell'ambito di procedura disciplinare onde consentire la verbalizzazione dell'incontro non potuta effettuare per circostanze sopravvenute. Nel dedurre l'errata rappresentazione dei fatti da parte della società, il ricorrente richiama una serie di circostanze connesse alla vicenda e la querela per falsa testimonianza presentata da esso B. a carico di un teste presente all'incontro.

4. Con il quarto motivo denunziando, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dei principi di diritto nonchè dell'art. 115 c.p.c. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5, censura a sentenza impugnata per avere ritenuto, in contrasto con i principi che regolano la distribuzione della prova risultanti dal combinato disposto della L. n. 604 del 1966, art. 5 cit. e dell'art. 2697 c.c., pacifica la circostanza - oggetto di addebito- rappresentata dell'essersi il B. autoassegnato il periodo di ferie. Deduce, inoltre, l'errore di diritto della Corte di merito per avere ritenuto che le registrazioni effettuate dal B. di colloqui con i colleghi rientrassero tra le condotte non consentite laddove - sostiene- alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, la registrazione di una conversazione all'insaputa dell'interlocutore deve ritenersi legittima e validamente utilizzabile in sede processuale qualora necessaria per tutelare e far valere un diritto in sede giudiziaria.

5. Con il quinto motivo denunzia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del contratto collettivo per i dirigenti dei Consorzi di Bonifica e degli Enti similari e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c.. Premesso che l'art. 81 del contratto collettivo, con riferimento all'art. 78 del contratto collettivo del 1970 stabiliva le condotte di rilievo disciplinare del dirigente e le connesse sanzioni, assume che il giudice di appello non poteva, come, invece, avvenuto, nell'affermare la legittimità del licenziamento, limitarsi a fare riferimento alla nozione astratta di "giusta causa" contemplata dall'art. 2119 c.c. dovendo, comunque, verificarne la sussistenza in correlazione con i criteri concordati dalle parti collettive nell'individuare le condotte di rilevanza disciplinare e nel graduare le relative sanzioni.

6. Con il sesto motivo, denunziando, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell'art. 2729 c.c., censura la sentenza impugnata per avere escluso la irregolarità formale del licenziamento eccepita in relazione alle modalità con le quali era stata condotta la procedura di garanza di cui all'art. 5 comma 2 All. H al contratto collettivo, procedura conclusasi con un provvedimento che - assume- esprimeva un mero giudizio di regolarità formale del recesso datoriale riferito al provvedimento espulsivo in quanto dava atto della "congruità positiva circa la procedura di contestazione di cui agli addebiti ". Aveva, pertanto, errato i giudice di appello nel presumere, in dissonanza con le emergenze in atti ed in particolare con verbale di riunione del detto organo, che la Commissione regionale si fosse espresso anche sul merito delle condotte addebitate.

7. La preliminare eccezione con la quale la parte controricorrente ha dedotto la inammissibilità/improcedibilità del ricorso per mancata notifica della procura speciale e la nullità dello stesso nel caso di assenza della procura medesima, deve essere respinta. Rilevato che non ricorre la ipotesi di assenza di procura la quale dall'originale depositato del ricorso per cassazione risulta essere stata conferita con atto apposto su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ai sensi dell'art. 83 c.p.c., comma 2, la eccezione della parte controricorrente risulta infondata alla luce del principio secondo il quale qualora l'originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l'autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che gli ha conferito la procura, la mancanza degli stessi elementi sulla copia notificata non determina l'inammissibilità del ricorso in quanto la predetta copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell'atto da difensore munito di mandato speciale (Cass. 26/1/2018 n. 1981; Cass., 24/02/2011 n. 4548). Tali elementi, nel caso concreto, sono ravvisabili nella indicazione - nell'intestazione del ricorso per cassazione del nominativo dell'avvocato - Avv. Gianmatteo Di Fronzo del Foro di Rimini - dal quale il B. era rappresentato e difeso, e nella indicazione che la procura speciale, alla base dei poteri di rappresentanza e difesa del detto procuratore, risultava allegata "al presente atto"; ulteriore elemento di riscontro è costituito dalla circostanza relativa al soggetto che ha proceduto alla notifica, a mezzo pec, del ricorso per cassazione, identificato dallo indirizzo e mail come gianmatteo.difronzo ordineavvocatirimini.it.. Tanto è sufficiente a consentire la riconducibilità del ricorso per cassazione a persona munita di procura speciale per la relativa proposizione, di talchè, essendosi comunque raggiunta la conoscenza dell'atto e, dunque, lo scopo legale della notifica, diviene priva di concreto rilievo la circostanza che l'atto notificato alla parte controricorrente a mezzo pec non contenesse, come si assume, anche la procura speciale conferita al difensore.

8. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto. Secondo la Corte di merito, dal contenuto complessivo della lettera di contestazione si evinceva che la parte datoriale nel fare riferimento a precedenti sanzioni disciplinari non aveva inteso configurarli quali elementi costitutivi dell'illecito oggetto di addebito e, quindi, a titolo di recidiva ai sensi dell'art. 5 del contratto collettivo, ma li aveva richiamati solo in quanto significativi del persistere del B. in un reiterato e costante atteggiamento di ostilità nei confronti dell'azienda. Sulla base di questa ricostruzione ha ritenuto che nel procedimento per impugnativa del licenziamento L. 28 giugno 2012, n. 92, ex art. 1, commi 48 e segg. non potesse trovare ingresso la domanda intese alla declaratoria di nullità e/o inefficacia e/o illegittimità dei precedenti disciplinari in questione.

8.1. La interpretazione del contenuto della lettera di contestazione come operata dal giudice di appello non è validamente inficiata dalla parte ricorrente la quale si limita a prospettarne una diversa lettura senza dedurre, neppure formalmente, che la interpretazione contrastata è frutto della violazione delle regole legali di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., applicabili anche agli atti unilaterali, come prescritto (Cass. 03/09/2010 n. 19044; Cass. 12/07/2007 n. 15604, in motivazione; Cass. 22/02/2007 n. 4178).

8.2. Da tanto deriva la conformità a diritto della sentenza impugnata la quale, nel ritenere che non potesse trovare ingresso nel giudizio di impugnativa di licenziamento ex L. n. 92 del 2012 cit. la domanda di accertamento della nullità e/o inefficacia e/o illegittimità delle sanzioni disciplinari non configuranti elementi costitutivi dell'illecito addebitato, risulta coerente con il disposto della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, cit. che esclude l'applicazione dello specifico rito contemplato in tema di impugnativa di licenziamento a domande diverse da quella intesa a far valere la illegittimità del recesso datoriale con le connesse conseguenze ai sensi del novellato L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18. Quanto ora osservato esclude la configurabilità in radice del dedotto vizio di attività del giudice di merito prospettato dall'odierno ricorrente sub specie di violazione del principio dispositivo delle parti.

9. Il secondo motivo di ricorso è da respingere. Non sussiste, infatti, la denunziata contraddittorietà di motivazione che inficerebbe, nella prospettazione del ricorrente, la stessa intellegibilità del percorso logico giuridico alla base del decisum; l'avere il giudice di appello escluso che i precedenti disciplinari richiamati configurassero elementi integrativi della complessiva condotta addebitata con la lettera di contestazione del gennaio 2015 non osta, infatti, da un punto di vista logico prima che giuridico, a che tali precedenti possano venire in considerazione quali elementi sintomatici dell'atteggiamento ostile del B. verso la parte datoriale ed, in definitiva, sul piano della lesione del rapporto fiduciario (Cass. 25/1/2018 n. 1909).

10.L'esame del terzo motivo così come dei motivi quinto e sesto risulta assorbito dall'accoglimento (parziale) del quarto motivo.

11. Tale motivo è infondato in relazione alla censura che denunzia violazione della regola di distribuzione dell'onere probatorio con riferimento alla ritenuta pacificità della circostanza - oggetto di addebito- rappresentata dell'essersi il B. autoassegnato il periodo di ferie. Premesso, infatti, che alcuna specifica doglianza viene avanzata in relazione alle modalità con le quali è stata rilevata la non contestazione della circostanza in oggetto, la sentenza impugnata risulta sul punto conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che la non contestazione costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti (Cass. 21/6/2013 n. 15658; Cass. 05/03/2009 n. 5356; Cass. 25/5/2004 n. 10031).

11.1. E', invece, da accogliere la censura che investe la ritenuta illiceità tout court delle registrazioni di conversazioni fra colleghi, addebitate al B., dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio; ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10/5/2018 n. 11322; Cass. 29/12/2014 n. 27424). La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata in relazione alla censura accolta con rinvio ad altro giudice di secondo grado, che si indica nella Corte di appello di Bologna in diversa composizione, il quale procederà ai fini della verifica della esistenza della giusta causa di licenziamento alla rivalutazione degli addebiti contestati sulla base del principio richiamato. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQMP.Q.M.La Corte rigetta il primo e il secondo motivo; accoglie, per quanto di ragione, il quarto motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019