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Reato per ufficiale di polizia mandare mail con atti di indagine ad un giornalista? (Cass. 5544/22)

16 febbraio 2022, Cassazione penale

Deve escludersi il reato di rivelazione di notizie segrete quando l'atto sia stato già portato legalmente a conoscenza dell'indagato, fatta salva l'ipotesi in cui il P.M. ritenga necessario, al fine di evitare pregiudizio per la prosecuzione delle indagini, disporre, ai sensi del dell'art. 329/3 c.p.p. la segretezza dell'atto stesso.

E' peraltro configurabile il reato anche nel caso in cui il fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di diffonderlo in un ambito più vasto, ma l'atto sia ancora coperto da segreto.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 23/11/2021) 16-02-2022, n. 5544

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano - Presidente -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.B., nato a Padova il 19/08/1966;

avverso la sentenza del 01/02/2021 della Corte di appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PERELLI Simone, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia riformava - quanto alla pena che riduceva - la sentenza del Tribunale di Padova del 20 febbraio 2017, che aveva condannato l'imputato A.B. per i reati di cui all'art. 326 c.p., commessi il 16 novembre 2013, il 4 e l'8 gennaio 2014.

All'imputato era stato contestato di aver, quale Comandante della Polizia municipale di (OMISSIS), rivelato a terze persone notizie di ufficio che dovevano rimanere segrete: segnatamente aveva inviato con e-mail ad una giornalista atti costituiti da informazioni di garanzia e da invito di persone indagate a presentarsi davanti al magistrato, ricevuti dalla Procura della Repubblica, nonchè una comunicazione di notizia di reato da lui redatta e presentata alla Procura della Repubblica.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 247 e 354 c.p.p.; inammissibilità della fonte di prova (la mail, mezzo per la rivelazione dei segreti di ufficio).

La difesa con l'appello aveva censurato la modalità di acquisizione delle mail, utilizzate quale prova del reato. Queste erano state acquisite dall'ufficio dell'imputato, dopo la sua sospensione dal servizio (10 febbraio 2014), senza un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria procedente e senza assicurare la fonte di prova costituita dalla casella di posta elettronica in uso all'imputato in ufficio (che era messa a disposizione del nuovo comandante dal maggio 2014, mentre il computer era stato sequestrato solo il 17 novembre 2014).

Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che le mail siano state acquisite a seguito di un incarico - mai conferito in realtà - attribuito al nuovo comandante, che aveva in carico altra indagine diversa.

2.2. Violazione di legge, con riferimento agli artt. 326 c.p. e 329 c.p.p..

All'epoca delle rivelazioni, i soggetti indagati avevano già ricevuto l'informazione di garanzia e l'invito a comparire e quindi, a norma dell'art. 329 c.p.p., non vi era più la segretezza di tali atti.

2.3. Vizio di motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

La motivazione sul punto non ha preso in considerazione tutte le argomentazioni della difesa versate nell'appello (incensuratezza e contegno processuale) e si presenta comunque illogica, avendo la Corte di appello concesso all'imputato uno sconto di pena, e carente, non avendo chiarito l'influenza degli elementi ostativi e avendo utilizzato dati che sono insiti nella stessa struttura del reato.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020, (così come modificato per il termine di vigenza dal D.L. n.105 del 23 luglio 2021, convertito dal L. 16 settembre 2021, n. 126), in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

Anche la difesa del ricorrente ha fatto pervenire conclusioni scritte, con le quali ha contrastato la requisitoria del P.G., chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione


1. Il ricorso va accolto per le ragioni di seguito illustrate.

2. Fondato, se pur in parte, è il secondo motivo.

2.1. L'art. 329 c.p.p., è chiaro nello stabilire che vige la segretezza degli atti compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria "fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza".

Come già affermato da questa Corte (per tutte, Sez. 6, n. 25167 del 19/03/2008, Rv. 240358), deve escludersi il reato di cui all'art. 326 c.p. quando l'atto sia stato già portato legalmente a conoscenza dell'indagato, fatta salva l'ipotesi (che non ricorre nella fattispecie in esame) in cui il P.M. ritenga necessario, al fine di evitare pregiudizio per la prosecuzione delle indagini, disporre, ai sensi del dell'art. 329 c.p.p., comma 3, la segretezza dell'atto stesso.

Con il citato arresto, la Corte di legittimità ha evidenziato tra l'altro come non fossero pertinenti quei precedenti giurisprudenziali - richiamati nella specie dalla Corte di appello nella sentenza impugnata - i quali hanno ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 326 c.p., anche nel caso in cui il fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di diffonderlo in un ambito più vasto (Sez. 6, n. 929 del 05/12/1997, dep. 1998, Rv. 210438; da ultimo in senso conforme, Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Rv. 257057). Essi, infatti, presuppongono che l'atto sia ancora coperto da segreto.

2.2. Nel caso in esame, dalle sentenze di merito si evince che le comunicazioni, oggetto di imputazione, avevano ad oggetto da un lato atti già portati a conoscenza degli indagati (capo A e capo B, punto n. 1) e dall'altro una sintesi del contenuto di sommarie informazioni rese da persone informate sui fatti, di denunce sporte e di immagini di documenti inerenti al caso (capo B, punto n. 2), invece ancora coperta da segreto all'epoca dei fatti.

Pertanto, erroneamente i Giudici di merito hanno ritenuto integrata la fattispecie delittuosa per le prime delle suddette comunicazioni, per le quali va quindi pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.

3. Quanto alla residua imputazione (capo B, punto n. 2), commessa l'8 gennaio 2014, il ricorso non può ritenersi inammissibile, con riferimento al motivo sul trattamento sanzionatorio, posto che la Corte di appello ha giustificato il diniego delle attenuanti generiche, anche facendo leva anche sulla pluralità delle condotte riguardanti più soggetti. Pertanto, venuto meno tale presupposto giustificativo, si rende necessario un nuovo giudizio per l'esame di tale punto.

Quanto precede consente quindi di rilevare in questa sede la prescrizione del suddetto reato, anche tenuto conto della sospensione intervenuta (ovvero di 64 giorni, per effetto dell'emergenza Covid-19, D.L. n. 18 del 2020, ex art. 83, comma 4).

Non emergono, alla luce della sentenza impugnata, elementi che debbano comportare, ex art. 129 c.p.p., comma 2, il proscioglimento nel merito dell'imputato. Al riguardo, occorre osservare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274): "constatazione" cui non si può accedere nel caso di specie alla luce delle sentenze di merito e delle censure proposte dal ricorrente.

Non sono rilevabili, infatti, in sede di legittimità, in presenza di una causa di estinzione del reato, i vizi di motivazione della sentenza impugnata o anche nullità (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275), quand'anche assolute e insanabili (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269810).

4. Conclusivamente sulla base di quanto premesso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto al capo A) e al capo B), punto 1, perchè il fatto non sussiste, mentre, quanto al capo B), punto 2, perchè il reato è estinto per prescrizione.

La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al capo A) e al capo B), punto 1, perchè il fatto non sussiste, e, quanto al capo B), punto 2, perchè il reato è estinto per prescrizione.

Manda alla Cancelleria per la comunicazione di cui all'art. 154-ter disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022