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Reato? No, abbraccio maldestro del padre (Cass. 10074/20)

16 marzo 2020, Cassazione penale

In tema di atti sessuali, la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva.

La condotta vietata comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, a condizione che questo sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.

Non integra il reato di violenza sessuale il toccamento del seno quando manchi la connotazione sessuale dello stesso, con una condotta senza subdola attività di persuasione e pressione, né alcuna costrizione a subire o tollerare atti sessuali non voluti e quando i gesti siano ascrivibili alla fisicità del rapporto padre-figlia, scevri da finalità sessuali, denigratorie, offensive o prevaricatorie.

 

Corte di Cassazione

sez. III Penale

sentenza 5 novembre 2019 – 16 marzo 2020, n. 10074
Presidente Izzo – Relatore Andronio

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 5 dicembre 2018, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Rimini del 20 luglio 2016, con la quale l'imputato era stato assolto, «perché il fatto non sussiste», dall'imputazione di cui agli artt. 81, secondo comma, 609-bis e 609-ter cod. pen., avente ad oggetto il compimento di atti sessuali nei confronti della figlia minore consistiti in toccamenti nelle parti intime e nel seno, posti in essere sfruttando, con gesti repentini, la sua inesperienza e immaturità psicofisica.

2. Avverso la sentenza le parti civili hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano l'erronea applicazione delle leggi penali e processuali con riferimento al diniego della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nonché il vizio di motivazione con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie della vittima. Secondo la difesa delle parti civili, il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale si pone in palese contraddizione con le risultanze processuali, dal momento che, sebbene nel capo di imputazione si faccia riferimento anche a "toccamenti nelle parti intime", l'imputato sarebbe stato giudicato solamente per i toccamenti dei seni della figlia, nonostante i giudici di merito abbiano ritenuto totalmente attendibile la ragazza con riguardo al verificarsi dei fatti narrati, ipotizzando esclusivamente un'erronea percezione della stessa circa la valenza sessuale dei gesti paterni. Dunque, poiché la persona offesa è stata ritenuta attendibile, avrebbe dovuto essere disposta la sua nuova audizione, per chiarire il motivo per cui il giudice di merito aveva escluso l'episodio dei toccamenti delle parti intime; qualora, invece, non fosse stata ritenuta attendibile, sarebbe stato necessario comunque risentirla per vagliare la tenuta logica delle sue dichiarazioni.

2.2. Con un secondo motivo, la difesa di parte civile lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento all'episodio dei toccamenti al seno, dal momento che, dalla relazione scritta della psicologa dell'ASL di Rimini che si era occupata della vicenda e dalle deposizioni dibattimentali, emerge che i toccamenti suddetti erano effettuati volontariamente con le mani e non inavvertitamente con gli avambracci nell'esecuzione di un abbraccio. Tale ricostruzione sarebbe corroborata dall'ammissione dell'imputato di volere verificare lo stato di accrescimento del seno; scopo inconciliabile con un gesto involontario. Inoltre, per la difesa, l'azione avveniva sorprendendo la figlia da dietro e proseguiva nonostante le lamentele della stessa. A fronte di queste risultanze probatorie, i giudici di merito avrebbero errato nell'escludere la connotazione erotica dei toccamenti e nell'avere definito il fatto come "un abbraccio indelicato", senza considerare che il toccamento al seno rientra in quello che la giurisprudenza definisce "atto sessuale".

2.3. In terzo luogo, si censura il vizio di motivazione circa le circostanze estrinseche che avvalorerebbero l'assenza di indole sessuale nella condotta dell'imputato, ancorate al rispetto del ruolo genitoriale del padre e alle reazioni della madre. A parere delle ricorrenti, sarebbe del tutto assente il comportamento rispettoso del ruolo genitoriale del padre, alla luce della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti per violazione degli obblighi familiari e maltrattamenti, oltre che dell'assoluzione per prescrizione in relazione al reato di cui all'art. 612 cod. pen. Dunque, sarebbe del tutto adeguata al quadro dei fatti, la reazione della madre della persona offesa, che si è semplicemente tradotta nella sua volontà di sporgere denuncia.

2.4. Con un quarto motivo, si lamentano il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla ritenuta equivocità dei gesti paterni, dal momento che non si tratterebbe di un unico episodio consistito in un fugace toccamento, ma di un sistematico disegno del padre che si sostanzia in ripetuti toccamenti del seno della figlia, nonostante il dolore da lei lamentato, da cui discenderebbe l'esclusione della connotazione equivoca dei gesti.

2.5. Con un quinto motivo, si censurano l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 526 cod. proc. pen., in quanto il giudice territoriale avrebbe errato nel valutare la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa nel quadro della burrascosa separazione coniugale, senza considerare la giurisprudenza che attribuisce estrema rilevanza a tali dichiarazioni per la prova nei reati di natura sessuale.

3. In data 15 ottobre 2019, le parti civili hanno depositato memoria, con cui hanno ribadito quanto sostenuto con i ricorsi principali, con riferimento a: 1) la carenza della motivazione per relationem della sentenza gravata, inidonea a sorreggere la pronuncia di conferma di quella di primo grado; 2) l'erronea valutazione delle dichiarazioni accusatorie della minore, corroborate anche dalle ammissioni confessorie dell'imputato; 3) l'erronea interpretazione della circostanza del presunto condizionamento indotto dalla madre sulla figlia; 4) la violazione dell'art. 609-bis, cod. pen., con riferimento alla nozione di atto sessuale e al requisito della violenza; 5) l'omessa valutazione delle dichiarazioni mendaci dell'imputato; 6) la mancata acquisizione della sentenza del Tribunale di Rimini del 30 giugno 2016, che aveva condannato l'imputato in materia di violazione degli obblighi familiari, minacce e maltrattamenti nei confronti delle stesse parte civili; 7) le sopravvenienze in sede di procedimento minorile; 8) l'erronea valutazione delle dichiarazioni accusatorie della vittima; 9) il vizio di motivazione con riferimento alla singolarità o pluralità degli atti contestati; 10) la violazione dell'art. 609-bis cod. pen., con riguardo all'elemento soggettivo.
La difesa ha anche depositato la sentenza della Corte d'appello di Bologna 14 giugno 2019, di sostanziale conferma della condanna dell'imputato di cui alla sentenza del Tribunale di Rimini del 30 giugno 2016.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.

1.1. Il primo motivo, con cui si censurano il diniego della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e il vaglio delle dichiarazioni della vittima, è inammissibile, perché non riferito a lacune o vizi logici rilevabili ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., ma a valutazioni di fatto, di per sé insindacabili in sede di legittimità.
Del resto, le argomentazioni della Corte d'appello circa l'insussistenza di elementi probatori idonei a far venir meno il ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato appaiono coerenti con l'orientamento di questa suprema Corte secondo cui, nel giudizio di appello, per la riforma della sentenza assolutoria, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (ex plurimis, Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013).

E deve anche richiamarsi il consolidato principio per cui le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (ex plurimis, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011).

Nel caso di specie, la motivazione della sentenza assolutoria, in quanto esprime un giudizio articolato in fatto, aderente al quadro istruttorio, risulta logicamente corretta quanto al diniego della rinnovazione della prova dichiarativa, essendo inutile procedere alla riapertura dell'istruttoria dibattimentale a fronte di una valutazione delle dichiarazioni della vittima che non mette in discussione l'obiettività dei fatti, ma solo la loro connotazione sessuale. Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, peraltro, la portata dell'imputazione deve essere ampiamente ridimensionata, perché l'atto sarebbe consistito in un abbraccio da dietro con toccamento del petto, ipersensibile a causa dell'incipiente maturazione sessuale della ragazza, in mancanza di elementi di riscontro della natura sessuale dell'atto stesso e, anzi, in presenza di un contesto conflittuale che induce a valutare con estrema prudenza la versione accusatoria.

1.2. Il secondo e il quarto motivo - che possono essere trattati insieme, perché attengono entrambi a violazioni di legge e vizi di motivazione con riferimento all'episodio dei toccamenti al seno - sono inammissibili per analoghe ragioni.

Dalla lettura di entrambe le sentenze di merito, di medesimo segno assolutorio, si ravvisa che, la corretta applicazione della giurisprudenza di questa suprema Corte, secondo cui, in tema di atti sessuali, la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva (ex plurimis, Sez. 3, n. 24683 del 17/02/2015).

In particolare, la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, a condizione che questo sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria (ex plurimis, Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ben puntualizzato la mancanza dell'elemento materiale della condotta, non ravvisandosi in alcun modo nei gesti descritti dalla minore persona offesa alcuna subdola attività di persuasione e pressione, né alcuna costrizione a subire o tollerare atti sessuali non voluti; così come manca l'elemento soggettivo, essendo i gesti dell'imputato ascrivibili alla fisicità del rapporto padre-figlia, risultando essi scevri da finalità sessuali, denigratorie, offensive o prevaricatorie, per cui sebbene il toccamento del seno sia astrattamente configurabile come atto "sessuale", nel caso di specie il contesto generale indice a far ritenere che manchi la connotazione sessuale dello stesso.

1.3. Il terzo e il quinto motivo di ricorso - con cui la difesa censura il vizio di motivazione circa le circostanze estrinseche che avvalorerebbero l'assenza di indole sessuale nella condotta dell'imputato, ancorate al rispetto del ruolo genitoriale del padre e alla problematica situazione di conflitto familiare esistente - sono anch'essi inammissibili.
La Corte d'appello ha motivato in modo logico e coerente in ordine alla sussistenza di un quadro familiare problematico, sottolineando che devono essere valutate sempre con eccezionale prudenza e con particolare dubbiosità le accuse dei minori che promanano dall'iniziativa del genitore di riferimento coinvolto in un acceso contenzioso di separazione con l'accusato, per evidenti motivi di implicazione di interesse personale e possibile condizionamento. In tali contesti, infatti, è necessario che le accuse siano supportate da prove oggettive, omettendo di dare eccessivo spazio a prove dichiarative di dubbia interpretazione. Né possono essere valutate in senso contrario le sentenze di condanna in primo e secondo grado prodotte dalla difesa, perché le stesse non si riferiscono a reati di carattere sessuale, ma a più limitate ipotesi di violazione degli obblighi di mantenimento e maltrattamenti, indici di una patologica situazione di conflitto priva di connotazioni prettamente sessuali. Del tutto correttamente, dunque, la Corte d'appello ha evidenziato che è ragionevole ritenere che l'accentuata sensibilità fisica della ragazza, appena entrata nella pubertà, unita alla situazione di inimicizia familiare, possa avere condizionato la sua interpretazione dei maldestri abbracci del padre, ai quali la stessa ha dato una connotazione sessuale in realtà inesistente.

2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.