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Prove dichiarative disposte in appello, nessun diritto a prova contraria (Cass. 16444/20)

29 maggio 2020, Cassazione penale

In caso di impugnazione della sentenza di assoluzione da parte del pubblico ministero, l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, previsto dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell'atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità.

In tema di prova a discarico per la difesa su testi la cui audizione sia stata disposta dalla Corte di appello, il diritto dell’imputato non comporta automaticamente la rinnovazione dell’esame già svolto in primo grado, ove le circostanze siano state oggetto di domande già formulate e valutate. La rinnovazione è rimessa al potere discrezionale del giudice d’appello, che può disporla solo se la ritiene assolutamente necessaria ai sensi dell’art. 603, comma 1, c.p.p., e non in quanto obbligato ad ammettere nuovamente prove già acquisite e valutate nel giudizio di primo grado.

Il giudice di appello, in caso di gravame proposto dal pubblico ministero (o dalla parte civile) avverso una sentenza di assoluzione, ha il dovere di procedere ad un nuovo esame della prova dichiarativa ogniqualvolta l'impugnazione concerne motivi relativi alla valutazione della stessa, e, quindi, non solo quando si faccia questione di attendibilità, ma anche quando si contesti l'interpretazione da attribuire alle dichiarazioni, salvo che questa discenda da un errore materiale nella lettura dell'atto che le contiene.

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

 (data ud. 04/02/2020) 29/05/2020, n. 16444

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.C., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 17/01/2019 della Corte d'appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gaeta Pietro, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito, per le parti civili costituite, gli avvocati MDG  e BV, che hanno concluso entrambi per l'inammissibilità del ricorso;

udito, per il ricorrente, l'avvocato GP, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 17 gennaio 2019, la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Livorno all'esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato la penale responsabilità di C.C. per il reato di violenza sessuale in danno di minore (OMISSIS), commesso nell'(OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, con applicazione della circostanza attenuante della minore gravità del fatto, delle circostanze attenuanti generiche, ed applicata la diminuente per il rito.

Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, l'imputato avrebbe costretto la persona offesa a subire palpeggiamenti sul seno e nelle parti intime, approfittando di un lasso di tempo in cui i due erano da soli in una stanza e seduti su un divano.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe C.C., con atto sottoscritto dall'avvocato GP, articolando cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla decisione della Corte d'appello di procedere a rinnovazione istruttoria, disponendo nuovo esame della persona offesa.

Si deduce che illegittimamente è stato disposto il nuovo esame della persona offesa nel giudizio di secondo grado, perchè: a) l'appello del Procuratore generale non concerneva la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, bensì il significato che delle stesse aveva dato il giudice di primo grado; b) stante la non inerenza del gravame a valutazioni di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sarebbe stato necessario illustrare le ragioni per cui procedere a nuovo esame di questa, come invece non è avvenuto. Si sottolinea che la necessità di una specifica motivazione sul punto era ancor più stringente, per il rischio di inquinamento delle dichiarazioni in ragione del lungo tempo trascorso dai fatti e della conoscenza di quanto dichiarato nell'incidente probatorio.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 603, 190, 190-bis, e 495 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla mancata ammissione, da parte del giudice di secondo grado, delle prove indicate dalla difesa.

Si deduce che illegittimamente è stata rigettata dalla Corte d'appello la richiesta di esaminare i quattro testi nominativamente indicati dalla difesa, i quali avevano riferito dell'impossibilità per due sole persone di restare da sole, al momento del fatto, nella stanza in cui si sarebbe consumato il reato, e, quindi, costituivano prove a discarico rispetto alle dichiarazioni della persona offesa.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla mancata valutazione delle prove a discarico presenti in atti.

Si deduce che la sentenza impugnata ha completamente trascurato di esaminare: a) il contenuto delle dichiarazioni provenienti da ben nove persone, le quali tutte hanno escluso la compresenza dell'imputato e della persona offesa, da soli, nella stanza in cui si sarebbe consumato il reato; b) le indicazioni del perito sulla possibile distorsione valutativa dei fatti da parte della persona offesa, per situazioni emotive e familiari.

2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla mancata valutazione dei rischi di inquinamento delle dichiarazioni della persona offesa derivanti dalla sua situazione personale e familiare.

Si deduce che illegittimamente la Corte d'appello ha omesso di spiegare l'ininfluenza di circostanze decisive ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. In particolare, si evidenzia che la persona offesa: 1) ha ammesso di aver letto le dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio prima di deporre nel giudizio di secondo grado; 2) era, all'epoca di fatti, in rapporto fortemente oppositivo con il padre, sentimentalmente legato con la cognata dell'imputato, e soffriva fortemente per la separazione dei genitori e per le attenzioni dedicate dal padre alla figlia avuta dalla nuova compagna.

2.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla mancata spiegazione delle discrasie tra il racconto reso in sede di incidente probatorio e il racconto reso davanti alla Corte d'appello.

Si deduce che la sentenza impugnata ha dato atto della discrasia delle dichiarazioni della persona offesa sui tentativi dell'imputato di raggiungere le sue parti intime, senza però fornire alcuna spiegazione in ordine alla irrilevanza di tale divergenza. Si segnala, precisamente, che, come si evince dalla sentenza, la persona offesa, nell'incidente probatorio, ha riferito di un solo tentativo di raggiungimento delle sue parti intime, e, nel giudizio di appello, ha raccontato di due distinti tentativi di tale tipo. Si rileva, poi, che, nonostante ciò, la Corte d'appello immotivatamente asserisce che il racconto della persona offesa è rimasto sostanzialmente immutato e non arricchito da nuovi elementi significativi.

3. Ha presentato memoria, nell'interesse della persona offesa costituita parte civile, l'avvocato MDG.

Nella memoria, si rappresenta: a) quanto al primo motivo, che la Corte d'appello ha disposto il nuovo esame della persona offesa sulla base di specifica ordinanza del 17 luglio 2018; b) quanto al secondo motivo, che le dichiarazioni delle quattro persone indicate dalla difesa dell'imputato erano già in atti, trattandosi di giudizio abbreviato; c) quanto al terzo motivo, che la sentenza impugnata ha esaminato tutti gli elementi a discarico; d) quanto al quarto motivo, che la Corte d'appello ha analiticamente indicato le ragioni da cui inferire l'attendibilità del racconto della persona offesa; e) quanto al quinto motivo, che anche il tema del preteso arricchimento narrativo trova esaustiva spiegazione nella sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, nel complesso, infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la decisione della Corte d'appello di procedere a nuovo esame della persona offesa, in quanto l'appello aveva criticato non la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della stessa, bensì l'interpretazione che di esse aveva dato il Tribunale, e, di conseguenza, sarebbe stato necessario spiegare in modo specifico, diversamente da quanto accaduto, la necessità di disporre la reiterazione della testimonianza.

2.1. La questione posta richiede di precisare che il giudice di appello, in caso di gravame proposto dal pubblico ministero (o dalla parte civile) avverso una sentenza di assoluzione, ha il dovere di procedere ad un nuovo esame della prova dichiarativa ogniqualvolta l'impugnazione concerne motivi relativi alla valutazione della stessa, e, quindi, non solo quando si faccia questione di attendibilità, ma anche quando si contesti l'interpretazione da attribuire alle dichiarazioni, salvo che questa discenda da un errore materiale nella lettura dell'atto che le contiene.

Questa indicazione, ad avviso del Collegio, risulta desumibile dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Precisamente, le Sezioni Unite, proprio con riferimento al rito abbreviato, hanno enunciato il seguente principio di diritto: "E' affetta da vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni" (così Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785-01, in motivazione p. 11, la quale ha confermato l'enunciazione del principio in termini generali, ma nell'ambito di un processo definito nelle forme del rito ordinario, effettuata da Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-01).

Le Sezioni Unite, a fondamento del principio sopra riportato, risultano accogliere una nozione ampia di "diversa valutazione" della prova dichiarativa, perchè non operano mai una delimitazione di questa nozione confinandola al solo giudizio di attendibilità o inattendibilità dell'elemento istruttorio.

Emblematicamente, si può evidenziare che Sez. U, n. 18620 del 2017, Patalano, cit., da un lato, al p. 4., afferma: "Ritengono le Sezioni Unite di confermare l'orientamento già espresso con la sentenza Dasgupta, che ha esteso anche al giudizio abbreviato la regola in base alla quale, se il pubblico ministero propone appello verso una sentenza di proscioglimento per motivi relativi alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice di appello deve disporre la rinnovazione dell'esame dei dichiaranti". Dall'altro, al p. 9., indica come unico limite all'obbligo di nuovo esame il travisamento della prova, che ricorre "quando, cioè, emerga che la lettura della prova sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione", poichè, in tal caso, "la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato) e, perciò, non può sorgere alcuna esigenza di rivalutazione di tale contenuto attraverso una nuova audizione del dichiarante".

La successiva elaborazione della giurisprudenza, del resto, ha non solo ribadito, ma anche ulteriormente esplicitato le indicazioni appena riferite.

Si è infatti persuasivamente precisato che, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603c.p.p., comma 3-bis, per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma è talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, anch'esso pertanto mediato (così Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, 0., Rv. 276987-01, relativa al ribaltamento in appello della sentenza assolutoria di primo grado, disposto, senza rinnovazione istruttoria, sulla base della diversa valutazione dell'idoneità delle risultanze della prova testimoniale, indiscussa quanto ad attendibilità, a rappresentare gli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori aggravati).

Il principio appena indicato, sebbene riferito al nuovo testo dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, deve ritenersi sicuramente applicabile anche ai processi nei quali, come quello in esame, l'appello è stato presentato prima della riforma recata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103. Invero, l'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, nel prevedere la rinnovazione istruttoria in caso di appello del pubblico ministero avverso sentenza di assoluzione per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa", riprende pressochè testualmente proprio le espressioni impiegate nella motivazione di Sez. U, n. 18620 del 2017, Patalano, cit. Si è infatti già evidenziato che questa decisione, al p. 4., afferma: "Ritengono le Sezioni Unite di confermare l'orientamento già espresso con la sentenza Dasgupta, che ha esteso anche al giudizio abbreviato la regola in base alla quale, se il pubblico ministero propone appello verso una sentenza di proscioglimento per motivi relativi alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice di appello deve disporre la rinnovazione dell'esame dei dichiaranti".

2.2. La Corte d'appello ha puntualmente indicato le ragioni in forza delle quali ha ritenuto necessario procedere a nuovo esame della persona offesa.

Precisamente, nell'ordinanza pronunciata in data 17 luglio 2018, i giudici di secondo grado hanno disposto la riaudizione della vittima, rilevando che l'appello del Procuratore generale "non si risolve in una valutazione critica delle motivazioni del primo giudice, perchè sottende un giudizio diametralmente opposto rispetto a quello contenuto in sentenza sul significato della prova dichiarativa", e che la riedizione dell'atto istruttorio si rendeva necessaria in funzione del raggiungimento dello scopo del giudizio, quello del superamento di ogni ragionevole dubbio.

L'ordinanza appena indicata è stata poi richiamata nella sentenza impugnata, che, inoltre, ha evidenziato come il giudice di primo grado fosse giunto ad una pronuncia assolutoria proprio sul presupposto della "ambiguità" del contenuto del racconto della persona offesa.

2.3. In considerazione del principio di diritto applicabile e degli elementi esposti dalla sentenza impugnata, la decisione di procedere a nuovo esame della persona offesa risulta assolutamente corretta, ed anzi doverosa.

Invero, di fronte ad una valutazione della sentenza di primo grado che aveva ritenuto equivoco il significato attribuibile alle dichiarazioni della persona offesa, l'appello del Pubblico ministero, il quale contestava l'assoluzione affermando l'attendibilità di tale narrazione, richiedeva, quanto meno, una "diversa interpretazione" delle risultanze di una prova dichiarativa, e, quindi, poneva "motivi relativi alla valutazione della" stessa.

3. Infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo, che criticano la decisione della Corte d'appello di non ammettere l'esame di prove dichiarative indicate a discarico dalla difesa, già acquisite e valutate in primo grado.

3.1. E' utile premettere che, secondo un orientamento ormai diffuso in giurisprudenza, in caso di impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, previsto dall'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell'atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità (così Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318-01, nonchè Sez. 2, n. 5231 del 13/12/2018, dep. 2019, Prundaru, Rv. 276050-01).

Ciò posto, ad avviso del Collegio, il principio indicato resta fermo anche con riferimento a prove a discarico la cui rinnovazione sia chiesta dalla difesa.

Anche in questo caso, infatti, si tratterebbe di procedere ad attività istruttoria con riferimento a prove alle quali il giudice di appello ritiene di attribuire il medesimo significato già dato dal giudice di primo grado.

Nè, d'altro canto, può porsi un problema di mancata ammissione di prova contraria, almeno quando la ripetizione dell'esame riguardi le stesse circostanze già oggetto di domande formulate nel corso dell'istruttoria in primo grado al dichiarante poi "risentito" in appello. Invero, a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2, "l'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico". Ora, su tali fatti, in quanto oggetto di specifico accertamento in primo grado, l'imputato già in quella sede ha esercitato il suo diritto alla prova a discarico; sicchè, in appello, residua solo un problema di valutazione della stessa.

Questo, ovviamente, non significa che il giudice di appello, a fronte dell'impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, non possa disporre una nuova assunzione di prove a discarico già ritenute inattendibili o irrilevanti dal giudice di primo grado. Semplicemente, in tale ipotesi, il giudice di appello, a maggior ragione nell'ambito di un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, è titolare di un potere discrezionale che esercita a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 1, e cioè solo "se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti", ossia, secondo la costante esegesi della giurisprudenza, solo nel caso in cui ritiene l'assunzione della prova assolutamente necessaria, con esclusione unicamente dell'ipotesi di prova sopravvenuta o emersa dopo la decisione di primo grado (cfr., tra le tantissime, Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318-02, e Sez. 1, n. 8316 del 14/01/2016, Di Salvo, Rv. 266145-01).

3.2. La sentenza impugnata, nella sua motivazione, ha richiamato quanto affermato dalla sentenza di primo grado.

Precisamente, i testi di cui era richiesto l'esame avrebbero dovuto rendere dichiarazioni utili a dimostrare che l'imputato e la persona offesa non erano mai rimasti da soli nella stanza in cui quest'ultima ha indicato essere avvenuto il fatto delittuoso. In proposito, la Corte d'appello ha evidenziato che il Tribunale, pur ritenendo insufficiente perchè "ambiguo" il racconto della persona offesa, ha comunque affermato che "qualcosa" era effettivamente accaduto tra la persona offesa e l'imputato anche perchè il racconto della minore trovava qualche conferma nelle dichiarazioni del padre della stessa ed era "non confutato dalle generiche asserzioni dei congiunti dell'imputato". E' utile aggiungere che, già con l'ordinanza emessa in data 17 luglio 2018, la Corte d'appello aveva dichiarato inammissibili le istanze di rinnovazione istruttoria avanzate dalla difesa, osservando che le stesse "non hanno ad oggetto prove la cui valutazione sia decisiva per il presente procedimento".

La sentenza impugnata, quindi, con le modalità indicate, non solo ha concordato con le valutazioni della decisione di primo grado sulla genericità e, quindi, sulla irrilevanza delle dichiarazioni dei testi di cui la difesa ha chiesto una nuova assunzione, ma, evidentemente, ha anche escluso l'assoluta necessità di assumere le prove richieste, il cui contenuto era già acquisito agli atti.

Può concludersi, allora, che immune da vizi è la decisione della Corte d'appello di non procedere ad esame dei testi indicati dalla difesa per escuterli su circostanze già oggetto di precedenti dichiarazioni degli stessi, a loro volta pienamente e liberamente utilizzabili per la decisione.

4. Manifestamente infondate, ancora, sono le censure formulate nel terzo motivo, che lamentano la mancata valutazione delle prove a discarico presenti in atti, costituite dalle dichiarazioni di nove persone, le quali avrebbero negato la compresenza dell'imputato e della persona offesa, da soli, nella stanza in cui si sarebbe consumato il reato, nonchè dalle dichiarazioni del perito sui rischi di inquinamento del racconto della persona offesa.

Già si è detto che la sentenza impugnata ha ritenuto la irrilevanza delle dichiarazioni dei parenti ed affini dell'indagato, stante la loro genericità, richiamando la precedente valutazione del Tribunale.

Per quanto concerne, poi, le dichiarazioni del perito sulla capacità a testimoniare della persona offesa, la Corte d'appello ha evidenziato che l'esperto non solo ha concluso affermativamente sulla attitudine della minore a ricordare e riferire fatti realmente accaduti, ma ha anche spiegato come i fattori di rischio, sebbene segnalati in ossequio alle indicazioni della c.d. Carta di Noto, fossero in realtà risultati privi dei supporti fattuali necessari per essere reputati rilevanti.

Le riferite indicazioni consentono di escludere che la sentenza impugnata sia incorsa in lacune nella valutazione del materiale istruttorio.

5. Diverse da quelle consentite e prive della specificità necessaria, infine, sono le censure esposte nel quarto e nel quinto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro oggettiva connessione, e che contestano la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, in particolare in quanto tale giudizio non avrebbe preso in esame l'ammissione della ragazza di aver letto quanto dichiarato nell'incidente probatorio prima di deporre davanti alla Corte d'appello, nè il sentimento di forte opposizione della stessa nei confronti del padre, nè l'arricchimento narrativo concernente la duplicità dei tentativi dell'imputato di raggiungere le sue parti intime.

La sentenza impugnata, in realtà, procede ad un esame articolato della genesi, della esposizione e del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, e spiega diffusamente perchè queste debbono ritenersi credibili.

In particolare, si evidenziano le ragioni che rendevano non conveniente, ed in modo percepibile, per la persona offesa formulare delle accuse in danno dell'imputato, come la necessità di ripetere un racconto che aveva reso con imbarazzo anche alla madre, pur del tutto priva di legami con questo, davanti ad estranei ed in una sede ufficiale. Si rappresenta, inoltre, che la denuncia, sporta nei confronti di un parente della compagna del padre, era del tutto inidonea a conseguire il risultato di far ricongiungere sentimentalmente il padre e la madre. Si rileva, poi, che le dichiarazioni della ragazza, sebbene rese in più occasioni, tra l'altro due volte in contraddittorio (nell'incidente probatorio ed in appello), nonchè anche a distanza di molti anni, sono rimaste assolutamente costanti: l'unica "novità" riguarda il tentativo dell'imputato di toccare le parti intime della minore coperte dalle mutande, che nell'esame davanti alla Corte d'appello è stato indicato come ripetuto due volte, ma può essere spiegata come una puntualizzazione in risposta alle domande delle parti e del giudice.

Le conclusioni del giudice, nei punti indicati nel ricorso, non possono essere ritenute manifestamente illogiche, anche perchè le stesse debbono essere valutate alla luce di tutte le considerazioni esposte dalla Corte d'appello, e non compiutamente contestate nel ricorso.

La sentenza impugnata, ad esempio, per quanto riguarda la genesi delle accuse, ha rilevato che la persona offesa, subito dopo aver subito l'aggressione sul divano ad opera dell'imputato, si era mostrata al padre "con sguardo smarrito e viso pallido", ma non aveva voluto riferire nulla; ha inoltre rappresentato che la minore, all'epoca del fatto solo undicenne, aveva in seguito mostrato segni di disagio, tanto da essere affidata in cura ad uno psicologo, e da aver manifestato intenzioni di suicidio, ma, nonostante l'episodio fosse avvenuto nell'(OMISSIS), si era aperta per la prima volta con un'amica solo nel (OMISSIS), ed aveva raccontato di esso alla madre solo il (OMISSIS). Per quanto attiene alle modalità della deposizione in appello, la sentenza di secondo grado, ha rimarcato che la persona offesa ha dichiarato di essere rimasta in dubbio nella prima fase dell'aggressione, quando l'imputato le aveva palpeggiato il seno, avvicinandosi con la scusa di sistemarle le cuffiette per ascoltare musica, e di aver dato un compiuto significato a tale condotta solo allorchè la stessa era stata reiterata ed accompagnata dal tentativo di toccamento delle parti coperte dalla mutanda. Non va poi trascurato, con riferimento al contestato arricchimento narrativo, che il duplice tentativo dell'imputato di toccare le parti intime coperte dalle mutande è descritto come un comportamento unitario, avvenuto in sequenza e senza interruzioni: invero, per come si evince dalla sentenza impugnata, e non è contestato nel ricorso, dopo una prima fase in cui vi era stato solo il palpeggiamento del seno, fase interrotta dall'ingresso nella stanza dalla moglie dell'imputato, il reiterato comportamento di toccare le parti intime era avvenuto quando la donna era andata via e l'uomo e la persona offesa erano nuovamente rimasti soli sul divano.

6. All'infondatezza dei motivi, segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida complessivamente in Euro 4.000,00 oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, Ca.Ma.Gr., Ca.Mi. e F.R.S., che liquida per questi ultimi complessivamente in Euro 4.000,00 oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dispone, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria sull'originale della sentenza, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020. Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020.