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Notifica al detenuto: come fare se ha eletto domicilio altrove? (Cass. 12778/20)

22 aprile 2020, Cassazione penale

 L'ordinamento giuridico equipara il rifiuto (e, quindi, a fortiori, anche la rinuncia) di ricevere la notifica da parte del destinatario alla consegna: il difensore domiciliatario può rinunciare alla notifica per sè ma anche per l'imputato,  in quanto l'autorità notificante, essendo estranea al rapporto interno fra domiciliante e domiciliatario, non è tenuta a verificare quali siano i poteri del domiciliatario.

L 'autorità giudiziaria che debba procedere a notifiche nei confronti di un imputato non detenuto, non ha alcun obbligo di svolgere ricerche in ordine allo status libertatis, sicchè la notifica deve ritenersi ritualmente eseguita secondo il modello notificatorio previsto per l'imputato non detenuto; tale regola è derogata nel solo caso in cui lo stato di detenzione per altra causa, risulti dagli atti, nel qual caso la notifica va eseguita personalmente presso l'istituto penitenziario (o luogo diverso di detenzione) dove l'imputato risulti detenuto.

Il sistema notificatorio all'imputato detenuto può essere ricostruito nei seguenti termini:

a) mancanza di elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione: le notifiche vanno eseguite con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p.;

b) elezione (o dichiarazione) di domicilio effettuata sia prima che durante la detenzione: le notifiche vanno eseguite sempre con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p., rimanendo sospesa l'efficacia dell'elezione (o dichiarazione) di domicilio;

c) mancanza o rifiuto di elezione (o dichiarazione) di domicilio all'atto della scarcerazione:

cl) se l'imputato aveva effettuato l'elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successive alla scarcerazione, vanno ivi eseguite, in quanto riprende efficacia quella dichiarazione che era rimasta sospesa durante la detenzione;

c2) se l'imputato non aveva mai effettuato alcuna elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successive alla scarcerazione, vanno eseguite presso il difensore ossia il domicilio residuale determinato ex lege in mancanza di un'elezione (o dichiarazione) di domicilio volontaria;

d) elezione (o dichiarazione) di domicilio all'atto della scarcerazione:

d1) se l'imputato aveva effettuato l'elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successiva vanno eseguite presso il domicilio eletto (o dichiarato) al momento della scarcerazione, in quanto, in base al criterio temporale, la dichiarazione successiva prevale su quella precedente;

d2) se l'imputato non aveva mai effettuato alcuna elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le successive notifiche vanno eseguite presso il domicilio eletto (o dichiarato) all'atto della scarcerazione.

Ove vi sia un'elezione (o dichiarazione) di domicilio, si configurano, per il detenuto, due potenziali modelli notificatori: quello legale previsto dall'art. 156 c.p.p.prevale su quello affidato stessa volontà della parte, ossia quello previsto dall'art. 161 c.p.p., comma 4.  

Le notifiche all’imputato detenuto, anche qualora abbia dichiarato o eletto domicilio, vanno eseguite presso il luogo di detenzione, con le modalità di cui all’art. 156 c. 1 c.p.p., mediante consegna di copia alla persona; la notifica al detenuto eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto dà comunque luogo ad una nullità a regime intermedio, soggetta alla sanatoria prevista dall’art. 184 c.p.p.

Legittimo il rinvio tout court del verbale di udienza alle trascrizioni delle fonoregistrazioni che vengono allegate agli atti: si tratta di una modalità di verbalizzazione per la quale non è prevista alcuna nullità (non rientrando in quelle previste tassativamente dall'art. 142 c.p.p.) e, quindi, del tutto legittima: peraltro, le trascrizioni fonografiche costituiscono parte integrante del verbale di udienza cui sono allegate. Nell'ipotesi in cui la fonoregistrazione venga a mancare, per un motivo qualsiasi, dopo che la trascrizione sia stata eseguita, non è ipotizzabile alcuna causa di nullità derivante dall'assenza dei nastri, sia perchè non espressamente prevista, sia perchè la documentazione di quanto accaduto nel processo è attestata dalla trascrizione che, essendo pur sempre un atto processuale, non può essere ritenuta, sic et simpliciter, tamquam non esset, tanto più ove si consideri che, in assenza (come nel caso di specie) di comprovate e precise censure su decisive e rilevanti divergenze, prevale il principio di conservazione degli atti.

Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento

 

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE PENALI

Sent., (ud. 27/02/2020) 22-04-2020, n. 12778

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico - Presidente -

Dott. DI TOMASSI Maria S. - Consigliere -

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -

Dott. CIAMPI Francesco M. - Consigliere -

Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere -

Dott. BONI Monica - Consigliere -

Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.D., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 04/06/2019 della Corte di Appello di Roma;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Componente Dr. Rago Geppino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;

uditi, per le parti civili, gli avvocati FV, FS, SO, che hanno chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

uditi, per l'imputato, gli avvocati SG e AGS che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 4 giugno 2019 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza con la quale, in data 5 aprile 2014, il Tribunale di Tivoli aveva condannato il ricorrente per i reati di violenza sessuale continuata, ex artt. 81 e 609-bis c.p., commessi in danno delle minorenni B.S. ed E.A.M..

2. Contro la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i motivi di seguito indicati.

2.1. Nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione dell'art. 139 c.p.p., comma 6.

Il ricorrente ha premesso che, nel giudizio di appello, la difesa aveva proposto formale istanza per essere autorizzata ad estrarre copia o comunque procedere all'ascolto delle fonoregistrazioni delle udienze tenutesi in primo grado. La suddetta richiesta, tuttavia, era stata solo in parte soddisfatta, perchè era risultata mancante la fonoregistrazione dell'udienza del 13 aprile del 2012 che aveva avuto un'importanza centrale nel processo essendo stato escusso, tra gli altri, l'operante di polizia giudiziaria che aveva condotto le indagini. Di conseguenza, era stata eccepita la nullità di ordine generale, per violazione del diritto della difesa di ascoltare le fonoregistrazioni dell'udienze di primo grado al fine di verificare la correttezza della trascrizione.

La Corte di appello aveva respinto la censura rilevando, da una parte, che, agli atti, erano allegate le trascrizioni di tutte le udienze - compresa quella del 13 aprile - e, dall'altra, richiamando il principio do diritto secondo il quale l'art. 139 c.p.p., comma 6, dispone che le registrazioni fonografiche sono unite agli atti del procedimento, ma non prevede sanzione alcuna, in particolare quella della inutilizzabilità della trascrizione, in caso di omessa osservanza della norma (Sez. 3, n. 1698 del 26/07/1993, Petrone, Rv. 194461).

Ad avviso del ricorrente, tuttavia, il suddetto principio di diritto non sarebbe applicabile al caso di specie, perchè era stato affermato in relazione alla limitata ipotesi della richiesta, da parte del pubblico ministero, di una misura cautelare. Nella fattispecie in esame, invece, era configurabile una nullità di ordine generale in quanto era rimasta frustrata la finalità perseguita dall'art. 139 c.p.p. e cioè quella di consentire alla difesa il diritto di controllare la regolarità della trascrizione attraverso l'ascolto diretto della fonoregistrazione.

2.2. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 156 c.p.p., comma 1 e art. 179 c.p.p., comma 1, sotto un triplice profilo:

- perchè il difensore domiciliatario aveva rinunciato alla notificazione oltre che per sè, anche per l'imputato, nonostante non ne avesse alcun potere in mancanza di una procura speciale; inoltre, non risultava "nemmeno alcuna identificazione di chi tale impropria e illegittima attività abdicatoria abbia posto in essere";

- perchè la notificazione era stata effettuata a mani del difensore domiciliatario, sebbene l'imputato, al momento della stessa, fosse detenuto in carcere per i fatti oggetto di procedimento e, quindi, andasse eseguita ex art. 156 c.p.p.;

- perchè, comunque, la notificazione era stata erroneamente effettuata al difensore domiciliatario, mentre avrebbe dovuto essere eseguita in (OMISSIS) e cioè presso il domicilio che l'imputato, al momento dell'ingresso in carcere, aveva dichiarato, come risultava dal certificato in atti rilasciato dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.).

Le suddette irregolarità integravano, pertanto, un'ipotesi di totale omissione della notificazione all'imputato, con conseguente nullità assoluta ed insanabile eccepibile e rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.

2.3. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione dell'art. 191 c.p.p., comma 2.

Ad avviso del ricorrente, sarebbero inutilizzabili gli incidenti probatori del 26 aprile 2010, la consulenza tecnica del pubblico ministero del 1 giugno 2010 sulle condizioni fisiche dell'imputato, l'accertamento del (OMISSIS) sul materiale biologico consegnato dalle minori, trattandosi di atti istruttori compiuti dopo il termine di 90 giorni dall'iscrizione della notizia di reato avvenuta il 30 luglio 2009 ed essendo stata l'azione penale esercitata con richiesta di giudizio immediato. Erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto tardiva l'eccezione per non essere stata dedotta al momento della formazione del fascicolo per il dibattimento: in realtà, con il motivo di appello era stata dedotta l'inutilizzabilità dei suddetti atti, deducibile in ogni stato e grado.

2.4. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione dell'art. 234 c.p.p. e artt. 15 e 24 Cost..

La Corte territoriale non avrebbe motivato sui motivi di appello con i quali era stata contestata l'acquisizione di alcune conversazioni tra presenti, senza che fosse stato sottoposto a sequestro - al fine di garantire la genuinità dei files - il telefono cellulare utilizzato per la registrazione. I colloqui fra le minorenni ed il ricorrente, essendo stati registrati dalle suddette minorenni mediante un apparecchio fornito loro dalla Polizia giudiziaria, avrebbero dovuto essere dichiarati inutilizzabili in assenza di decreto di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria.

La Corte, poi, aveva omesso di motivare sulla eccepita inutilizzabilità della foto degli s.m.s. in quanto non fornivano alcuna garanzia di rispondenza agli originali e dell'epoca in cui erano stati inviati e letti.

2.5. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione degli artt. 465, 467 e 468 c.p.p. e art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 111 Cost., comma 6.

In punto di fatto, il ricorrente ha premesso che, nel giudizio di primo grado, la difesa aveva eccepito la nullità dell'ordinanza del Tribunale con la quale, all'udienza del 17 novembre 2010, senza alcuna motivazione, non era stata ammessa la testimonianza delle consulenti della difesa, Sa. e C., che avevano partecipato all'incidente probatorio, con ciò violando il diritto dell'imputato a difendersi provando.

La difesa, ha eccepito che, nonostante uno specifico motivo di appello sul punto, la Corte di appello, aveva omesso di motivare.

Ulteriore omessa motivazione era, poi, rinvenibile in relazione al motivo di appello con cui era stato impugnato il rigetto della richiesta dell'imputato di procedere all'accertamento della capacità a testimoniare delle minori, accertamento che deve precedere la loro audizione secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto.

2.6. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 2, nonchè vizio della motivazione, anche per travisamento della prova, nella parte in cui la Corte aveva ritenuto che l'assenza delle tracce biologiche sui capi intimi, sulle lenzuola e sulle federe consegnate dalle persone offese alla Polizia giudiziaria, fosse giustificata dalla loro degradabilità, senza che tale affermazione fosse confortata da riscontri scientifici ed, anzi, fosse in contrasto con gli accertamenti irripetibili eseguiti dalla Polizia scientifica e con la relazione del consulente tecnico della difesa, P.V..

La Corte di appello aveva ignorato l'assenza di d.n. a. del ricorrente sui pigiami delle minori, la presenza del d.n. a. maschile non riconducibile all'imputato sul pigiama di E.A.M., l'assenza sulle lenzuola di tracce di interesse, il rinvenimento di d.n. a. femminile diverso da quello delle denuncianti, mentre il rinvenimento delle tracce biologiche del ricorrente e delle minori sul (solo) copriletto sarebbe spiegabile con l'uso promiscuo della stanza.

La Corte di appello non aveva risposto al motivo di appello con il quale era stata dedotta l'assenza di d.n.a. delle minorenni sui cuscini nonostante costoro avessero dichiarato che li mordevano nel corso delle violenze subite: la circostanza era importante ai fini della valutazione dell'attendibilità delle suddette persone offese.

2.7. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c).

La difesa ha eccepito il vizio della motivazione in relazione all'ottavo motivo di appello, con il quale era stato dedotto che la sentenza di primo grado non aveva tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute dell'imputato, affetto da impotenza oerigendi e da un quadro di importante deficit erettile su base arteriosa in paziente affetto da diabete mellito, che lo avrebbero reso non in grado di commettere le condotte ascritte.

La decisione della Corte di appello si fondava sulla consulenza tecnica del pubblico ministero che, però, era stata redatta da un medico-legale che non aveva visitato il ricorrente e non era uno specialista in urologia; non erano, poi, state valutate le prove scientifiche prodotte dalla difesa fra cui le relazioni degli specialisti ed i relativi esami testimoniali.

Le croniche condizioni di salute descritte dai consulenti tecnici della difesa e di parte civile nonchè dalle testi M. e Sc., non sarebbero in ogni caso compatibili con il racconto delle persone offese neanche ove si ritenesse che il ricorrente facesse uso di farmaci con punture intra cavernose: la Corte, sul punto, si sarebbe limitata ad osservazioni di tipo personale, senza riscontro negli atti.

2.8. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sul nono motivo di appello relativo alle modalità di assunzione delle testimonianze delle persone offese, escusse a sommarie informazioni una pluralità di volte, senza che si fosse proceduto alla registrazione audio o video e rendendo così inutile l'incidente probatorio. Con il motivo di appello era stato, infatti, eccepito:

- che le minori avevano reso dichiarazioni in presenza delle rispettive madri, che erano intervenute in chiave accusatoria;

- che erano state accompagnate dalla polizia giudiziaria da più adulti che, in pari data, avevano proposto querela contro il ricorrente e si erano, poi, costituiti parti civili nel processo celebratosi presso il Tribunale di Roma all'esito del quale il ricorrente era stato assolto.

Ciononostante, la Corte di appello non aveva motivato sull'esistenza dei suddetti fattori di inquinamento che avevano reso le dichiarazioni delle minori, assunte in violazione dei principi stabiliti dalla Carta di Noto, del tutto inattendibili.

2.9. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sul sesto motivo di appello con il quale era stata dedotta l'inattendibilità della ricostruzione operata dalle minori, in relazione al luogo in cui sarebbero avvenute le violenze. La Corte, infatti, non aveva considerato che la villetta si trovava in un luogo silenzioso (località (OMISSIS)) e la stanza dove sarebbero avvenuti i rapporti sessuali era separata da una sottilissima parete da quella attigua dove erano sempre presenti e dormivano i coniugi R.- Ro., conduttori dell'immobile, i quali, quindi, non avrebbero potuto non sentire i rumori provenienti dagli amplessi, dato che, secondo quanto riferito dalla teste Pe., in quel piccolo appartamento, si sentiva perfino il russare dello S..

2.10. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sul settimo motivo di appello relativo all'omesso esame degli accertamenti del consulente tecnico Pa.Au., dai quali era emerso che la sera del (OMISSIS), il ricorrente non si era recato in (OMISSIS) - contrariamente a quanto dichiarato delle due persone offese - avendo il suo cellulare sempre impegnato la cella in cui si trova la sua abitazione di Roma.

2.11. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sull'undicesimo e sul dodicesimo motivo di appello relativi sia alla genesi delle denunce presentate dalle minori dopo che il ricorrente le aveva allontanate dalla comunità per il loro comportamento, sia al contenuto delle dichiarazioni rese dalle persone offese nell'incidente probatorio, ed in concomitanza con le denunce presentate da altri facenti parte della comunità, fra cui le madri delle minori, sia alla circostanza che le dichiarazioni delle minori erano state verbalizzate insieme a quelle delle loro madri.

Non erano, poi, state valutate le testimonianze di B. - preside dell'istituto scolastico frequentato dalle due minorenni - e di r., sulla propensione delle minori a denunciare episodi a sfondo sessuale. La Corte, infine, non aveva valutato il contrasto nelle dichiarazioni della persona offesa E.A., che, da un lato, aveva riferito di non aver sentito dolore durante i rapporti, ma, dall'altro, di aver "mozzicato i cuscini" durante i suddetti rapporti.

2.12. Nullità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sul tredicesimo motivo di appello relativo all'omessa valutazione dei profili soggettivi del ricorrente, persona incensurata, che aveva ricevuto encomi e riconoscimenti, documentalmente provati, per l'attività da lui svolta, come testimoniato anche da Pi.Li., appartenente alla Polizia di Stato.

Non erano state valutate le sentenze di assoluzione prodotte ed in particolare quella del Tribunale di Roma, confermata in appello, dall'accusa di associazione per delinquere e truffa: il che confuterebbe l'argomento sostenuto dai giudici di merito, secondo i quali la comunità "(OMISSIS)" era una specie di setta in cui il ricorrente esercitava il predominio psicologico sulle persone offese.

2.13. Violazione degli artt. 62-bis, 81 e 133 c.p. quanto al trattamento sanzionatorio. Non sarebbero stati valutati, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la storia dell'associazione e quella personale del ricorrente, la sua incensuratezza, il comportamento collaborativo, le condizioni di salute. Sarebbe priva di motivazione la dosimetria della pena, anche quanto agli aumenti per la continuazione, non essendo stata chiarita la durata nel tempo delle condotte nè le modalità di realizzazione.

2.14. Il 13 novembre 2019 è stata depositata una memoria a sostegno dei motivi primo, secondo e quarto. E' stata, infine, eccepita la prescrizione di una parte dei reati, tenuto conto dell'epoca di commissione dei medesimi.

3. La Terza Sezione Penale, assegnataria del ricorso, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto la questione sollevata con il secondo motivo di ricorso e cioè se sia o meno valida la notifica eseguita all'imputato detenuto presso il domicilio eletto e non secondo le modalità di cui all'art. 156 c.p.p..

La Sezione rimettente, dopo avere espressamente dichiarato di condividere l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la notifica va effettuata seguendo lo schema procedimentale di cui all'art. 156 c.p.p., ha concluso affermando che, di conseguenza, "la notifica, nel caso in esame, dovrebbe ritenersi omessa, secondo i principi espressi da Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269028 e da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221402; ciò sia per l'applicabilità dell'art. 161 c.p.p., solo all'imputato o indagato libero (...), sia perchè il decreto di giudizio immediato contiene anche l'avviso che l'imputato può chiedere i riti alternativi e dalla notifica "a mani proprie" all'imputato detenuto del decreto decorrono i termini per la proposizione della relativa richiesta. Inoltre, ai sensi dell'art. 457 c.p.p., solo dopo il decorso di tali termini, può procedersi alla formazione del fascicolo per il dibattimento ed alla sua trasmissione per la prosecuzione del giudizio".

4. Con decreto del 27 dicembre 2019, il Presidente Aggiunto, preso atto dell'esistenza del contrasto giurisprudenziale ravvisato dall'ordinanza di rimessione, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.

5. Con memoria depositata l'11 febbraio 2020, il difensore delle parti civili, facendo propria la tesi sostenuta da una parte della giurisprudenza, ha rilevato che la notifica fu correttamente effettuata al domicilio eletto in quanto nessuna norma vieta al detenuto di eleggere un domicilio e, quindi, di ricevere ivi le notifiche: l'unica eccezione è rappresentata dall'art. 156 c.p.p., comma 5, a norma del quale "in nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'art. 159". In ogni caso, nessun pregiudizio l'imputato aveva subito, avendo sempre regolarmente partecipato al processo.

Motivi della decisione

1.. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: "se la notifica del decreto di giudizio immediato all'imputato detenuto che abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia debba essere effettuata ex art. 156 c.p.p., comma 1, o presso il domicilio eletto".

2. In punto di fatto, dalla documentazione in atti, risulta quanto segue:

- all'atto dell'arresto, avvenuto il 17 marzo 2010, in esecuzione dell'ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, il ricorrente confermava l'elezione di domicilio presso il difensore di fiducia avvocato DM;

- condotto presso la Casa Circondariale di (OMISSIS) dichiarava il domicilio in (OMISSIS);

- infine, nella notifica del decreto di giudizio immediato, in data 3 agosto 2010, era riportata la seguente frase: "per presa visione e rinuncia a notifica per l'avv. DM ed il sig. S.D. - Tivoli 1/09/2010. Avv. DM".

Alla prima udienza, tenutasi il 17 novembre 2010, presenti sia l'imputato - in stato di detenzione inframuraria - che il difensore di fiducia, non veniva sollevata alcuna eccezione.

All'udienza del 13 aprile 2012, i nuovi difensori, eccepivano, per la prima volta, la nullità della notifica sotto un duplice profilo:

a) perchè il difensore domiciliatario, di cui neppure era certa l'identificazione, aveva rinunciato alla notificazione oltre che per sè, anche per l'imputato, nonostante non ne avesse alcun potere in mancanza di una procura speciale;

b) perchè la notificazione era stata effettuata al difensore domiciliatario, sebbene l'imputato, al momento della stessa, fosse detenuto in carcere per i fatti oggetto di procedimento e, quindi, andasse eseguita ex art. 156 c.p.p..

Le eccezioni venivano respinte prima dal Tribunale e, poi, dalla Corte di appello, in quanto la notifica era da ritenersi regolare essendo stata eseguita a mani del difensore di fiducia domiciliatario e comunque perchè l'eccezione era stata tardivamente dedotta.

Con il presente ricorso, la difesa, oltre che ribadire le predette censure, ha dedotto, per la prima volta, un'ulteriore causa di nullità della notifica per essere stata la medesima erroneamente eseguita presso il difensore domiciliatario e non in (OMISSIS) e cioè presso il domicilio che l'imputato, al momento dell'ingresso in carcere, aveva dichiarato, come risultava dal certificato in atti rilasciato dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

3. In via preliminare, va decisa la censura relativa alla "rinuncia alla notifica".

3.1. Dalla disamina della vicenda, si evince un'evidente frattura fra la ricostruzione in fatto effettuata dal ricorrente e quella ritenuta da entrambi i giudici di merito.

Secondo il ricorrente, l'avvocato M, si limitò, in pratica, a prendere visione del decreto rinunciando, quindi, anche ad averne una copia: da qui, la censura di omessa notifica all'imputato non potendo il difensore, benchè domiciliatario, rinunciare, per conto dell'imputato, senza averne alcun potere, ad un atto personalissimo come quello della notifica.

Secondo i giudici di merito, invece, la notifica (rectius: la consegna quantomeno di una copia) fu eseguita: il Tribunale, infatti, parla di notifica "effettuata con il suo consenso al difensore presso il quale l'imputato aveva regolarmente eletto domicilio" e la Corte di appello ha ribadito questa tesi.

Questo Collegio ritiene che la frase apposta in calce al decreto dall'avvocato M, la cui firma non è mai stata disconosciuta (il che consente di disattendere anche la censura sulla identificazione di chi tale rinuncia abbia posto in essere), non esclude, come ritengono i giudici di merito, che il difensore avesse ricevuto materialmente copia del decreto. La rinuncia va, quindi, intesa solo quale rinuncia a ricevere una nuova notifica presso il proprio studio. In tal senso depone non solo la prassi che, normalmente, si segue nei casi in cui la notifica viene effettuata brevi manu, ma anche la "qualità" del soggetto ricevente (avvocato di fiducia) che, ben difficilmente, avrebbe rinunciato ad entrare in possesso del decreto che cristallizzava i capi d'imputazione, indicava le fonti di prova e la data dell'udienza e conteneva tutti gli avvertimenti ed i diritti che spettavano all'imputato.

Tanto si desume anche dalle seguenti ulteriori circostanze:

a) l'imputato presenziò regolarmente al processo, assistito dal difensore di fiducia e nessuna eccezione fu sollevata per ben sette udienze;

b) l'eccezione fu dedotta solo dai nuovi difensori che desunsero "l'omessa notifica" facendo leva esclusivamente su quella frase apposta dall'avvocato M in calce al decreto, ma senza addurre alcun concreto elemento fattuale che potesse avallare la tesi difensiva.

La tesi della difesa, quindi, dev'essere respinta, dovendosi ritenere che la notifica fu effettuata "a mani" dell'avvocato M, nella sua duplice veste di difensore di fiducia e di domiciliatario: di conseguenza, restano assorbite le eccezioni di carenza di procura speciale a rinunciare alla notifica e quella di inesistenza della notifica, anche se, resta da verificare se e in che termini possa ritenersi regolare.

3.2. La censura, peraltro, quand'anche si volesse accogliere in fatto la tesi prospettata dalla difesa, andrebbe comunque disattesa in base al principio di diritto affermato dalle Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251501, secondo il quale l'ordinamento giuridico equipara il rifiuto (e, quindi, a fortiori, anche la rinuncia) di ricevere la notifica da parte del destinatario alla consegna.

Infine, anche l'eccezione secondo la quale il difensore domiciliatario può rinunciare alla notifica per sè ma non per l'imputato, va disattesa in quanto l'autorità notificante, essendo estranea al rapporto interno fra domiciliante e domiciliatario, non è tenuta a verificare quali siano i poteri del domiciliatario.

4. Respinta la prima delle eccezioni sollevate dalla difesa in ordine alla regolarità della notifica, si può affrontare la questione rimessa a questo Collegio e cioè se le notificazioni all'imputato detenuto debbano essere eseguite con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p. o, al domicilio che l'imputato abbia dichiarato o eletto.

4.1. Una parte della giurisprudenza ritiene che sia del tutto legittimo - in deroga alla procedura di cui all'art. 156 c.p.p. - eseguire le notifiche presso il domicilio che l'imputato detenuto abbia eletto o dichiarato prima o durante la detenzione.

La motivazione che viene addotta si basa, sostanzialmente, sul seguente argomento: l'art. 156 c.p.p. non è una disposizione speciale rispetto a quella prevista in via generale per le notificazioni, in quanto "l'art. 156, u.c. (....) detta una regola di chiusura secondo la quale in nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'art. 159 c.p.p., nell'ovvia constatazione che la dichiarazione di irreperibilità presuppone il risultato negativo della ricerca anche presso l'amministrazione carceraria". Di conseguenza, poichè "questa è l'unica inconciliabilità espressamente disciplinata" ne deriva che "all'imputato detenuto è consentito avvalersi della possibilità di dichiarare o eleggere domicilio a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 1". Questa interpretazione, inaugurata da Sez. 2, n. 47379 del 30/10/2003, Piazza, Rv. 227648, è stata poi seguita da altra giurisprudenza (Sez. 5, n. 13288 del 24/02/2006, Jijie, Rv. 233985; Sez. 2, n. 15102 del 28/02/2017, Gulizzi, Rv. 269863; Sez. 6, n. 20532 del 01/03/2018, A., Rv. 273420) ed applicata anche alle ipotesi delle notifiche al detenuto in stato di detenzione domiciliare o in carcere per altra causa (Sez. 6, n. 3870 del 02/10/2008, dep. 2009, Scarlata, Rv. 242396; Sez. 6, n. 42306 del 07/10/2008, Pezzetta, Rv. 241877; Sez. 6, n. 47324 del 20/11/2009, Maità, Rv. 245306; Sez. 6, n. 1416 del 07/10/2010, dep. 2011, Chatir, Rv. 249191; Sez. F, n. 31490 del 24/07/2012, Orlandelli, Rv. 253224; Sez. 6, n. 43772 del 14/10/2014, Hassa, Rv. 260624; Sez. 6, n. 4836 del 03/12/2014, dep. 2015, Hassa, Rv. 262055; Sez. 3, n. 42223 del 06/02/2015, N., Rv. 264963; Sez. 5, n. 35542 del 29/02/2016, Manciaracina, Rv. 268017; Sez. 2, n. 21787 del 04/10/2018, dep. 2019, Casali, Rv. 275592).

4.2. Un diverso indirizzo giurisprudenziale, invece, ritiene che le notifiche all'imputato che si trovi detenuto (in carcere o in un luogo diverso) anche per causa diversa da quella del procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione, debbano sempre essere eseguite con le modalità previste dall'art. 156 c.p.p. (Sez. 2, n. 2356 del 13/01/2005, Simioni, Rv. 230698; Sez. 3, n. 42836 del 30/09/2009, El Mami n. m.; Sez. 5, n. 42302 del 09/10/2009, Di Palma, Rv. 245396). Nell'ambito di tale giurisprudenza, poi, alcune sentenze ritengono che la notificazione personale nel luogo di detenzione debba essere eseguita anche nei confronti del detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione in quanto "l'ufficio giudiziario procedente, quando deve effettuare la prima notificazione, deve svolgere le dovute ricerche in ordine allo status libertatis alla data della notifica del decreto. Tale regola si applica anche quando la notificazione sia stata effettuata a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 4" (Sez. 6, n. 20459 del 20/03/2009, Rizqy, Rv. 244277; Sez. 6, n. 21848 del 21/05/2015, Fioravanti, Rv. 263629; Sez. 4, n. 26437 del 30/04/2003, Jovanovic, Rv. 225861; Sez. 5, n. 37135 del 10/06/2003, Bevilacqua, Rv. 226664); altre, invece, in aderenza al disposto dell'art. 156 c.p.p., comma 4, ritengono che la consegna di copia della notificazione alla persona detenuta per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione, debba effettuarsi solo ove dagli atti risulti lo stato di detenzione (ex plurimis Sez. 6, n. 18628 del 31/03/2015, El Cherquoi, Rv. 263483; Sez. 1, n. 37248 del 20/02/2014, Degan, Rv. 260777; Sez. 1, n. 13609 del 09/07/2013, dep. 2014, Rammeh, Rv. 259594; Sez. 2, n. 43720 del 11/11/2010, Visconti, Rv. 248978; Sez. 6, n. 5222 del 11/03/1993, Belanzoni, Rv. 194024).

5. Questo Collegio condivide la seconda delle tesi illustrate.

La notifica è il procedimento finalizzato a portare a conoscenza delle parti gli atti recettizi processuali al fine di metterle nelle condizioni di esercitare il diritto di difesa.

Limitando il discorso all'imputato, in via preliminare, è opportuno precisare quanto segue.

Il codice di rito, utilizza sempre il I. "imputato" (art. 60 c.p.p.): ma, le stesse regole si applicano anche all'indagato, ex art. 61 c.p.p., all'internato in un istituto penitenziario (combonato disposto art. 156 c.p.p., comma 4, e art. 215 c.p., comma 2) o al condannato (salvo deroghe, come ad es. l'art. 677 c.p.p., comma 2-bis).

La modalità di notifica prevista nell'art. 156 c.p.p. si applica all'imputato (da intendersi nell'ampio senso surnmenzionato) che si trovi detenuto, anche a seguito di arresto o fermo, in un istituto penitenziario nel territorio dello Stato Italiano (arg. ex art. 169 c.p.p., comma 5): di conseguenza, "la notificazione degli atti all'imputato sottoposto ad una misura alternativa alla detenzione (ad es., all'affidamento in prova al servizio sociale) va effettuata nelle forme previste per gli imputati non detenuti, dal momento che l'applicazione di una misura alternativa postula una condizione di libertà" (così, Sez. 2, n. 45047 del 16/11/2011, Sgaramella, Rv. 251358).

Ove, invece, l'imputato si trovi ristretto in un luogo diverso dagli istituti penitenziari (artt. 284 e 286 c.p.p., art. 588 c.p.p., comma 4-bis, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, artt. 52 e 53, L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47-ter e 47-quinquies), si applica, ex art. 156 c.p.p., comma 3, il procedimento notificatorio di cui all'art. 157 c.p.p..

A grandi linee, si può affermare che il procedimento notificatorio si articola su due livelli:

a) notifica "in mani proprie del destinatario" (artt. 148, 156, 157 e 158 c.p.p.): è questa la modalità privilegiata perchè è la forma più sicura per portare l'atto a conoscenza del destinatario. E', infatti, sulla base di tale presupposto, che la giurisprudenza di questa Corte, è ferma nel ritenere che la notifica in mani proprie, in qualsiasi luogo sia effettuata, prevalga, anche nel caso in cui l'imputato abbia eletto (o dichiarato) un domicilio diverso dal luogo in cui la notificazione è stata in concreto consegnata al destinatario (ex plurimis, Sez. 1, n. 9544 del 26/09/2017, dep. 2018, Pezzoni, Rv. 272309);

b) notifica presso un luogo indicato dallo stesso imputato (cioè: il domicilio dichiarato ossia "la casa di abitazione o il luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa": art. 157 c.p.p., comma 1; il domicilio eletto in altro luogo), o determinato ex lege (art. 159 c.p.p., art. 161 c.p.p., commi 2 e 4, artt. 165 e 166 c.p.p., art. 169 c.p.p., comma 1, art. 613 c.p.p. e art. 677 c.p.p., comma 2-bis). In relazione a questa modalità di notificazione, questa Corte (Sez. 1, n. 9544 del 26/09/2017, dep. 2018, Pezzoni, Rv. 272309) ha, conclivisibilmente, osservato che "la notificazione ai sensi dell'art. 161 c.p.p., commi 1 e 4, è stata introdotta nell'ordinamento allo scopo di assolvere ad esigenze di celerità procedimentale e di economia processuale, non certo per apprestare un assetto di garanzie a favore dell'imputato: è, infatti, incontestabile a lume di logica che l'imputato (...), sia più efficacemente garantito quando la notificazione venga eseguita in modo tale da consentirgli di avere immediatamente e concretamente nelle proprie mani l'atto oggetto di legale conoscenza".

Va, poi, in proposito, considerato che, in realtà, anche l'elezione (o dichiarazione) di domicilio non costituisce una deroga alla regola della consegna "alla persona" degli atti, ma solo un invito a collaborare per rendere più agevole le successive notifiche, tant'è che l'elezione (o dichiarazione) di domicilio può essere effettuata, ex art. 161 c.p.p.: a) solo dopo "il primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto nè internato" (comma 1); b) "con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria" (comma 2); c) all'atto della scarcerazione (comma 3): il che significa che l'imputato può eleggere o dichiarare il domicilio solo dopo essere venuto a conoscenza, personalmente e formalmente, del procedimento a proprio carico.

Ma, l'art. 161 c.p.p., stabilisce un'altra condizione (avente contenuto negativo) perchè l'imputato possa eleggere (o dichiarare) il domicilio e cioè che non sia "detenuto nè internato", con ciò lasciando intendere, a contrario, che le notifiche all'imputato detenuto vanno eseguite secondo il procedimento notificatorio previsto e disciplinato espressamente, ex art. 156 c.p.p., per l'imputato detenuto.

Una conferma di quanto appena detto, la si desume, innanzitutto, dall'art. 156 c.p.p., comma 3, il quale dispone che, ove l'imputato sia detenuto in un luogo diverso dagli istituti penitenziari, le notifiche vanno ivi eseguite "a norma dell'art. 157 c.p.p." e, quindi, in primis, "mediante consegna di copia alla persona" e, solo ove non sia possibile (ad es. perchè l'imputato è, legittimamente, assente) è prevista la consegna "a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci" e, cioè, una forma sostitutiva della consegna "alla persona" ma che garantisca, comunque così come previsto, ex art. 156 c.p.p., comma 1, seconda parte, per l'imputato detenuto presso un istituto penitenziario - per la qualità delle persone e degli stretti rapporti che hanno con il detenuto, la consegna della notifica.

Pertanto, l'incipit dell'art. 157 c.p.p., comma 1, ("Salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162", e cioè la notifica presso il domicilio dichiarato od eletto) non si applica, perchè l'art. 157 c.p.p. stabilisce, pur sempre, le modalità della notificazione all'imputato non detenuto, al contrario dell'art. 156 c.p.p., comma 3, che disciplina la fattispecie dell'imputato detenuto, seppure in un luogo diverso dagli istituti penitenziari: in altri termini, il rinvio che l'art. 156 c.p.p., comma 3, effettua all'art. 157 c.p.p.non va inteso a tutto il suddetto articolo (e, quindi, anche all'incipit) ma solo a quella parte della norma che, disciplinando le modalità esecutive della notifica, risulta coerente con lo status detentionis.

Ulteriore conferma del favore che il legislatore ha accordato alla notifica personale, quando il destinatario è un detenuto, si desume dall'art. 156 c.p.p., comma 4, a norma del quale la consegna di copia delle notificazioni va eseguita alla persona nel luogo di detenzione (istituto penitenziario o luogo diverso di detenzione) "quando dagli atti risulta che l'imputato è detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione o è internato in un istituto penitenziario".

In questo caso, come si può notare, l'unica differenza - rispetto all'imputato detenuto per il procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione - è costituita da un elemento di fatto e cioè che la detenzione deve risultare dagli atti.

La ragione di tale differenza è intuitiva.

L'autorità giudiziaria che procede nei confronti di un imputato detenuto, non può non sapere il suo status: da qui l'obbligo di notifica personale.

Al contrario, lo stato di detenzione, ove l'imputato sia detenuto per altra causa, può non risultare trattandosi di procedimenti diversi.

Di conseguenza, poichè, per eseguire le notificazioni, l'autorità giudiziaria non ha alcun obbligo di effettuare ogni volta ricerche a tutto campo (come, invece, è previsto per l'emissione del decreto di irreperibilità), legittimamente esegue le notifiche con le modalità previste per l'imputato non detenuto.

La suddetta procedura notificatoria è stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale che, con l'ordinanza n. 315 del 1998 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 168 c.p.p., comma 2, sollevata, in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui subordina l'obbligatorietà delle notificazioni a mani dell'imputato detenuto per altra causa al fatto che lo stato di detenzione risulti dagli atti.

La Corte, nel richiamare la sentenza n. 25 del 1970, ha ribadito che la "notifica nelle forme ordinarie, nei confronti di chi sia detenuto per altro processo, non importa menomazione del suo diritto di difesa fin quando viene eseguita alle persone e nei luoghi con cui è ragionevole presumere che l'imputato conservi, nonostante il suo stato di detenzione, contatti e rapporti, mediante consegna della copia nei luoghi ove l'imputato ha residenza o dimora, dovendosi ritenere che le persone cui la copia è consegnata, o per i vincoli e i rapporti che esse hanno con l'imputato e sono dalla legge indicati, o per la scelta fiduciaria che egli stesso ebbe a farne... inoltreranno a lui l'atto notificato".

Ma, ove dagli atti risulti lo stato di detenzione (ad es. perchè è comunicato dallo stesso imputato), riprende vigore la norma primaria della notifica personale.

Alla stregua sia del dato letterale che della summenzionata sentenza costituzionale, deve quindi, ribadirsi, in continuità con la giurisprudenza maggioritaria, che l'autorità giudiziaria che debba procedere a notifiche nei confronti di un imputato non detenuto, non ha alcun obbligo di svolgere ricerche in ordine allo status libertatis, sicchè la notifica deve ritenersi ritualmente eseguita secondo il modello notificatorio previsto per l'imputato non detenuto; tale regola è derogata nel solo caso in cui lo stato di detenzione per altra causa, risulti dagli atti, nel qual caso la notifica va eseguita personalmente presso l'istituto penitenziario (o luogo diverso di detenzione) dove l'imputato risulti detenuto.

Infine, un ulteriore riscontro alla tesi qui condivisa, lo si desume dall'art. 164 c.p.p. a norma del quale la dichiarazione (o elezione) di domicilio effettuata anteriormente alla detenzione, non ha effetto nel caso in cui l'imputato (o indagato) sia detenuto, proprio perchè, com'è espressamente previsto, le notificazioni devono essere eseguite con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p..

Tutti gli indici normativi confluiscono, quindi, in maniera univoca, nel far ritenere che, durante la detenzione, l'unico modello notificatorio previsto sia quello della consegna "alla persona".

La ratio di tale insindacabile scelta legislativa è duplice.

Innanzitutto, si privilegia la consegna della notificazione "alla persona" perchè, essendo certa la reperibilità del detenuto, la notificazione è agevole; stessa regola si applica, come si è detto, alla detenzione per altra causa, e al caso in cui l'imputato sia detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari.

In secondo luogo, la notifica a mani proprie si spiega con la necessità di portare personalmente a conoscenza del detenuto gli atti processuali, al fine di consentirgli di esercitare la facoltà di una consapevole difesa tanto più necessaria stante il grave status derivante dalla detenzione: il legislatore ha, in altri termini, voluto evitare la possibilità che il domiciliatario, nonostante il rapporto fiduciario, possa non comunicare al detenuto la notifica di atti che lo riguardano e privarlo, quindi, della possibilità di partecipare al processo e difendersi in modo tempestivo ed adeguato.

La tesi qui non condivisa, però, come si è detto, nel sostenere l'ammissibilità della notificazione al domicilio eletto o dichiarato, obietta che l'art. 156 c.p.p., u.c., "detta una regola di chiusura secondo la quale in nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'art. 159 c.p.p., nell'ovvia constatazione che la dichiarazione di irreperibilità presuppone il risultato negativo della ricerca anche presso l'Amministrazione carceraria". Di conseguenza, poichè "questa è l'unica inconciliabilità espressamente disciplinata" ne deriva che "all'imputato detenuto è consentito avvalersi della possibilità di dichiarare o eleggere domicilio a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 1".

Al suddetto argomento deve replicarsi nei termini di seguito indicati.

L'art. 156 c.p.p., comma 5, trae la sua origine dalla sentenza della Corte Cost. n. 25 del 1970 che dichiarò la illegittimità costituzionale del previdente art. 168 c.p.p., comma 2, nella parte in cui, subordinando l'obbligo della notificazione in mani proprie dell'imputato alla condizione che lo stato di detenzione risultasse dagli atti del procedimento, consentiva che all'imputato detenuto la notifica potesse venir effettuata anche nelle forme delle notificazioni all'imputato irreperibile di cui al previgente art. 170 c.p.p..

Nel motivare la decisione, la Corte osservò che la notifica ex art. 170 c.p.p. appariva in stridente contrasto con la dichiarata condizione di irreperibilità dell'imputato e il suo reale stato di permanente reperibilità determinato dal fatto della sua detenzione, in quanto l'ignoranza dello stato di detenzione poteva essere "superata, mediante opportuni strumenti d'indagine che rendano possibile e sicuro l'accertamento dello stato di detenzione nel quale può venirsi a trovare l'imputato".

Il nuovo codice di rito, ha riprodotto, nell'art. 156, comma 5, quel divieto che si comprende e trova la sua giustificazione ove si ponga attenzione alle ricerche che l'autorità giudiziaria deve disporre, ex art. 159 c.p.p., prima di emettere il decreto di irreperibilità ed ordinare la notifica "mediante consegna di copia al difensore": fra di esse, l'art. 159 c.p.p., comma 1, indica - a differenza dell'art. 170 c.p.p. - quella "presso l'amministrazione carceraria centrale". E' ovvio, pertanto, che la notifica ex art. 159 c.p.p. sarebbe incompatibile con la ricerca effettuata ove da questa risultasse che l'imputato si trovi detenuto in un determinato istituto penitenziario. E' proprio per questo motivo che Sez. 5, n. 4140 del 23/06/1998, Olivares, Rv. 211512, ha condivisibilmente ritenuto che "La notificazione all'imputato detenuto per altra causa è nulla, infatti, soltanto se effettuata con il rito degli irreperibili, che richiede una completa e articolata indagine, anche presso l'amministrazione penitenziaria centrale, dalla quale non può non risultare lo stato di detenzione del soggetto".

Di conseguenza, è del tutto evidente che, stante la ratio dell'art. 156 c.p.p., comma 5, nessun argomento favorevole alla tesi qui non condivisa può desumersi dalla suddetta norma.

In conclusione, può affermarsi che l'art. 156 c.p.p. prevede tre ipotesi di detenzione (quella in carcere; quella in un luogo diverso dagli istituti penitenziari; quella per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione), tutte unite, quanto alle modalità di notificazione, da un unico comune denominatore costituito dalla notifica "alla persona", con esclusione, quindi, durante lo stato di detenzione, di notifiche effettuate con modalità diverse. Interpretazione, questa, da ritenersi ulteriormente rafforzata, a livello sistematico, dalla novella del processo in absentia (L. 28 aprile 2014 n. 67) con la quale il legislatore, adeguandosi alle reiterate censure della Corte Edu e passando, quindi, dal principio di conoscenza legale a quello sostanziale, ha stabilito la regola secondo la quale si può procedere in assenza dell'imputato solo ove "risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento (...)" (art. 420-bis c.p.p., comma 2): in terminis, Sez. U, n. 698 del 24/10/2019, dep. 2020, Sinito: e, nulla di più certo può esservi della notifica in mani proprie.

Alla stregua di quanto si è finora illustrato, può, quindi, affermarsi che la notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato detenuto, dev'essere sempre eseguita secondo il modello notificatorio di cui all'art. 156 c.p.p. anche nel caso in cui l'imputato abbia eletto o dichiarato domicilio.

6. Tanto chiarito, resta, ora, da verificare quale sia il valore giuridico di un'eventuale elezione (o dichiarazione) di domicilio che l'imputato effettui prima o durante la detenzione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte - nonchè della stessa dottrina - "il domicilio eletto si distingue dal domicilio dichiarato perchè, mentre in questo è indicato solo il luogo in cui gli atti debbono essere notificati, nel domicilio eletto viene indicata anche la persona (cosiddetto domiciliatario) presso la quale la notificazione deve eseguirsi e presuppone l'esistenza di un rapporto fiduciario fra il domiciliatario e l'imputato, in virtù del quale il primo si impegna, nei confronti del secondo, a ricevere gli atti a questo destinati e a tenerli a sua disposizione. La dichiarazione e l'elezione di domicilio sono, pertanto, istituti che si differenziano per natura e funzione: la prima, corrispondendo a una dichiarazione reale, in quanto implica l'effettiva esistenza di una relazione fisica tra l'imputato e il luogo dichiarato, ha carattere di mera dichiarazione, la seconda, invece, rappresentando la manifestazione di un potere di autonomia dell'imputato di stabilire un luogo (diverso da quello della residenza, della dimora o del domicilio) e la persona (o l'ufficio) presso i quali intende che siano eseguite le notificazioni, ha carattere negoziale costitutivo recettizio" (ex plurimis, Sez. 3, n. 22844 del 26/03/2003, Barbiera, Rv. 224870; Sez. 2, n. 21787 del 04/10/2018, dep. 2019, cit.).

Alla stessa conclusione, quanto agli effetti, deve pervenirsi anche per la dichiarazione di domicilio: in terminis Sez. U, n. 41280 del 17/10/2006, C., Rv. 234905.

Ciò consente di affermare - come sostiene una parte della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Sez. 2, n. 47379 del 30/10/2003, Piazza, cit.) - che nessuna disposizione vieta all'imputato detenuto di effettuare l'elezione (o dichiarazione) di domicilio, la quale, quindi, va considerata del tutto lecita e valida non essendo rinvenibile alcuna disposizione, nè espressa nè desumibile in via interpretativa, che ne sancisca la nullità: va, pertanto, disattesa quella giurisprudenza che ritiene l'elezione di domicilio "del tutto inutiliter data perchè in contrasto con l'inequivoco significato dell'art. 156 c.p.p." (Sez. 4, n. 26437 del 30/04/2003, Jovanovic, Rv. 225861, in motivazione). Deve, infatti, osservarsi che, una cosa è la dichiarazione (o elezione) di domicilio che, essendo un lecito atto di parte nessuna norma impedisce, altra e ben diversa cosa è la disposizione di legge (art. 156 c.p.p.) che, anche contro la stessa volontà dell'imputato, stabilisca, ex lege, per le ragioni di cui si è detto, che le notifiche debbano essere eseguite personalmente nel luogo dove si trova l'istituto penitenziario ove l'imputato sia detenuto.

Piuttosto, dal combinato disposto degli artt. 156 e 164 c.p.p., è possibile desumere una norma in base alla quale l'efficacia dell'elezione (o dichiarazione) di domicilio - effettuata prima o durante la detenzione - deve ritenersi sospesa per la durata della detenzione.

L'art. 164 c.p.p., infatti, contiene due norme: una generale ed una speciale.

La norma generale, nello stabilire che "la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per ogni stato e grado del procedimento" (c.d. principio di immanenza della domiciliazione), non pone alcun limite o divieto.

La norma speciale, invece, stabilisce che, alla suddetta regola generale, si deroga nei casi previsti "dall'art. 156 e art. 613 c.p., comma 2".

L'art. 613 c.p.p., comma 2, prevede, nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, un caso in cui il domicilio indicato dalle parti viene sostituito, ex lege, con quello presso i rispettivi difensori cassazionisti. Si tratta, quindi, di una regola peculiare e limitata al solo giudizio di cassazione, perchè, come afferma la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato nel corso del giudizio di merito presso avvocato non cassazionista (o qualsiasi altro soggetto) conserva validità anche nel giudizio di cassazione, ai fini della notifica dell'avviso di udienza all'imputato medesimo, secondo quanto previsto dal citato art. 613 c.p.p., comma 4, per il caso in cui egli non sia assistito da difensore di fiducia cassazionista (Sez. 2, n. 306 del 15/12/2006, dep. 2007, Rasizzi, Rv. 235361).

L'art. 156 c.p.p., a sua volta, stabilisce, da una parte, un'ulteriore ipotesi di domicilio ex lege (e cioè il luogo di detenzione) e, dall'altra, disciplina le modalità con le quali le notificazioni devono essere eseguite nei confronti del detenuto: ma, non è prevista alcuna sanzione per l'eventuale elezione (o dichiarazione) di domicilio.

Di conseguenza, deve ritenersi che, una volta che la detenzione cessi, riacquisti vigore la regola generale della "validità" (rectius: dell'efficacia rimasta nelle more sospesa) per ogni stato e grado del procedimento, della determinazione del domicilio dichiarato o eletto.

Va, infatti, osservato che la sospensione dell'efficacia dell'atto di elezione o dichiarazione di domicilio è cosa ben diversa dalla nullità che è una patologia che colpisce un atto processuale solo nei casi tassativamente previsti (art. 177 c.p.p.) e che lo rende, alla radice, tamquam non esset: ma, nessuna norma prevede la nullità di una dichiarazione o elezione di domicilio che il detenuto effettui prima o durante la detenzione.

Non contrasta con la suddetta regola, la disposizione di cui all'art. 161 c.p.p., comma 3, secondo la quale "L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione o della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto".

In realtà, il detenuto non ha alcun obbligo perchè, l'unica conseguenza che deriva dalla mancanza o dal rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio, consiste, nell'avvertenza "a norma del comma 1", vale a dire che "le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore". Ma, questa regola si applica, ovviamente, nel solo caso in cui manchi un'elezione o dichiarazione di domicilio. Ma, se l'elezione o dichiarazione di domicilio vi è (perchè effettuata prima o durante la detenzione), riprende vigore il principio di immanenza della domiciliazione, sicchè è consequenziale ritenere che, cessata la detenzione (e, con essa, ovviamente, il domicilio ex lege presso il luogo di detenzione), il domicilio volontario si riespande non essendovi alcuna ragione nè logica, nè giuridica perchè l'imputato debba essere "costretto" ad eleggere un nuovo domicilio in sostituzione di quello già effettuato e sanzionare l'eventuale omissione o rifiuto, con la domiciliazione ex lege, presso il difensore.

La tesi qui sostenuta trova conferma nel combinato disposto dell'art. 162 c.p.p. e art. 62 disp. att. c.p.p. dal quale si desume che il domicilio dichiarato o eletto può essere revocato solo da una successiva dichiarazione o elezione di domicilio, restando fermo, in caso di elezione insufficiente, quello precedente.

Alla stregua di quanto si è detto, il sistema notificatorio all'imputato detenuto, può, pertanto, essere ricostruito nei seguenti termini:

a) mancanza di elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione: le notifiche vanno eseguite con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p.;

b) elezione (o dichiarazione) di domicilio effettuata sia prima che durante la detenzione: le notifiche vanno eseguite sempre con la procedura di cui all'art. 156 c.p.p., rimanendo sospesa l'efficacia dell'elezione (o dichiarazione) di domicilio;

c) mancanza o rifiuto di elezione (o dichiarazione) di domicilio all'atto della scarcerazione: cl) se l'imputato aveva effettuato l'elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successive alla scarcerazione, vanno ivi eseguite, in quanto riprende efficacia quella dichiarazione che era rimasta sospesa durante la detenzione; c2) se l'imputato non aveva mai effettuato alcuna elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successive alla scarcerazione, vanno eseguite presso il difensore ossia il domicilio residuale determinato ex lege in mancanza di un'elezione (o dichiarazione) di domicilio volontaria;

d) elezione (o dichiarazione) di domicilio all'atto della scarcerazione: d1) se l'imputato aveva effettuato l'elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le notifiche successiva vanno eseguite presso il domicilio eletto (o dichiarato) al momento della scarcerazione, in quanto, in base al criterio temporale, la dichiarazione successiva prevale su quella precedente (Sez. U, n. 41280 del 17/10/2006, C., Rv. 234905); d2) se l'imputato non aveva mai effettuato alcuna elezione (o dichiarazione) di domicilio sia prima che durante la detenzione, le successive notifiche vanno eseguite presso il domicilio eletto (o dichiarato) all'atto della scarcerazione.

Si può, pertanto, affermare che, ove vi sia un'elezione (o dichiarazione) di domicilio, si configurano, per il detenuto, due potenziali modelli notificatori: quello legale previsto dall'art. 156 c.p.p. e quello derivante dalla stessa volontà della parte, ossia quello previsto dall'art. 161 c.p.p., comma 4.

7. Ora, se è vero che, fra i due modelli notificatori, prevale quello "legale" (proprio perchè quello volontario rimane sospeso), è altrettanto indubbio, però, che, ove la notifica sia (erroneamente) eseguita presso il domicilio eletto o dichiarato è del tutto improprio ipotizzare una inesistenza della notifica, come sostiene la Sezione rimettente che, invoca, in proposito, le Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269028 e le Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221402.

La sentenza che ha compiutamente distinto fra notifica omessa e notifica nulla e sulle conseguenze che derivano dall'una o dall'altra ipotesi, è quella pronunciata da Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539, che hanno affermato il principio di diritto secondo cui in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia omessa o quando, essendo eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato. Di conseguenza, se la notificazione della citazione avvenga in modo viziato (art. 171 c.p.p.) o adottando un modello diverso da quello prescritto, si verte in un caso di nullità a regime intermedio rilevabile nel termine di cui all'art. 180 c.p.p., e sempre che la nullità non resti sanata, a norma dell'art. 184 c.p.p., comma 1 quando la parte compaia o rinunci a comparire.

La suddetta sentenza, non si pone in contrasto con quella pronunciata dalle Sez. U, Conti (alla quale, anzi, è data continuità avendo anche quest'ultima sentenza affermato, sia pure incidentalmente, il medesimo principio di diritto), nè risulta essere stata contraddetta da alcuna delle successive sentenze pronunciate dalle Sezioni Unite in materia di notificazioni.

In particolare, le Sez. U, Amato - dopo avere condiviso il "criterio di pregiudizio effettivo" elaborato in tema di invalidità degli atti procedimentali - si sono poste espressamente in linea di continuità con le Sez. U, Palumbo il cui principio di diritto va ribadito anche in questa sede: pertanto, vanno disattese quelle sentenze che hanno continuato a ritenere la nullità assoluta, ex art. 179 c.p.p., della notifica effettuata, al detenuto, presso il domicilio eletto (Sez. 6, n. 21848 del 21/05/2015, Fioravanti, Rv. 263629; Sez. 2, n. 43720 del 11/11/2010, Visconti, Rv. 248978; Sez. 5, n. 42302 del 09/10/2009, Di Palma, Rv. 245396).

8. Applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame, deve, quindi, ritenersi che la nullità verificatasi (notifica al difensore domiciliatario) fu sanata dal comportamento concludente dell'imputato e del suo difensore di fiducia i quali, alla prima udienza, nonostante fossero entrambi presenti, nulla eccepirono, parteciparono regolarmente alle successive sette udienze, all'ultima delle quali, dopo quasi due anni di dibattimento, fu sollevata, dai nuovi difensori, l'eccezione di nullità. Sul punto, è opportuno precisare che non è contestato che l'imputato comparve alle udienze sempre personalmente e liberamente (nonostante fosse detenuto): infatti, la traduzione non fu coattiva, ma fu dovuta ad una sua libera scelta avendo avuto la possibilità di rinunciare a comparire.

Escluso, pertanto, che si verta in un caso di omessa notifica, non può neppure ipotizzarsi che la notificazione effettuata in una forma diversa da quella prescritta non conseguì lo scopo di portare il decreto di citazione a conoscenza dell'imputato; infatti, secondo quanto affermato dalle Sez. U, Palumbo, se l'imputato avesse voluto far valere la nullità assoluta stabilita dall'art. 179 c.p.p., comma 1, avrebbe dovuto rappresentare al giudice di non avere avuto conoscenza dell'atto ed avvalorare l'affermazione con elementi che la rendessero credibile: ma nulla risulta essere stato dedotto sul punto: ex plurimis - nella fattispecie di notifica effettuata presso il difensore di fiducia anzichè presso il domicilio dichiarato - Sez. 6, n. 24741 del 04/01/2018, Micci, Rv. 273101.

Può, pertanto, concludersi affermando che, avendo la notificazione, benchè eseguita con un modello difforme da quello previsto dall'art. 156 c.p.p., raggiunto il suo scopo, e nulla avendo l'imputato eccepito, si verificò la sanatoria di cui all'art. 184 c.p.p..

8.1. La suddetta conclusione non cambia ove si dovesse ritenere - come pure è stato eccepito dalla difesa del ricorrente - la nullità della notifica sotto un diverso profilo e cioè per essere stata eseguita presso il domicilio eletto e non presso il domicilio dichiarato dal ricorrente al momento dell'ingresso in carcere e, quindi, in un momento successivo all'elezione di domicilio effettuata al momento dell'arresto.

Innanzitutto, va osservato che si tratta di un'eccezione dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione in quanto nulla risulta essere stato eccepito con l'atto di appello dove, con il primo motivo, la difesa si era doluta solo della nullità derivante dalla notifica eseguita presso il domicilio eletto: sotto questo profilo, quindi, l'eccezione è sicuramente tardiva.

Ma, anche ove la si volesse prendere in esame, sarebbe ugualmente infondata.

I rapporti fra dichiarazione ed elezione di domicilio, sono stati analizzati dalle Sez. U, n. 41280 del 17/10/2006, C., Rv. 234905, secondo cui in tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata, sicchè, in presenza di contemporanee dichiarazioni e/o elezioni di domicilio (nessuna delle quali risulti espressamente revocata) prevale, per il criterio temporale, la dichiarazione o elezione effettuata per ultima.

Le Sez. U, però - dopo avere dato atto della invalidità della notifica eseguita presso il domicilio eletto piuttosto che presso quello dichiarato - ponendosi in continuità con il principio di diritto affermato dalle Sez. U, Palumbo, hanno precisato che il diverso modello notificatorio non è, di per sè, inidoneo a determinare la conoscenza effettiva della citazione da parte dell'imputato, considerato il rapporto fiduciario che lo lega al difensore di fiducia a cui gli atti siano consegnati. Da qui, la nullità a regime intermedio che resta sanata ove non tempestivamente dedotta.

La fattispecie in esame - ove si accogliesse la tesi difensiva - sarebbe perfettamente sovrapponibile a quella esaminata dalle Sez. U, cit., e, quindi, mutatis mutandis, si deve affermare - sulla base di quanto si è già illustrato - che la notifica non potrebbe considerarsi omessa ma solo nulla, con la conseguenza che dovrebbe ritenersi non solo tardiva ma anche sanata, ex art. 184 c.p.p., a seguito del comportamento concludente tenuto dall'imputato e dalla stessa difesa che nulla ebbero da eccepire sul punto.

9. La Sezione rimettente, però, ha ravvisato due ulteriori ostacoli alla sanatoria della nullità, in quanto:

a) l'imputato sarebbe stato privato della possibilità di chiedere il giudizio abbreviato;

b) la formazione del fascicolo per il dibattimento avrebbe dovuto essere effettuato solo dopo il decorso dei termini per la notificazione del decreto di giudizio immediato.

Il Collegio ritiene di non condividere i suddetti argomenti.

La prima osservazione è fuorviante in quanto non considera che, ove fosse stata eccepita la nullità, l'imputato avrebbe avuto diritto ad un termine non inferiore a venti giorni ex art. 429 c.p.p. (rectius: trenta giorni, ex art. 456 c.p.p., comma 3) durante il quale avrebbe avuto la possibilità di esercitare tutti i propri diritti compreso quello di chiedere, entro i successivi quindici giorni, di essere ammesso al rito abbreviato: in terminis, Sez. 6, n. 11807 del 03/02/2017, Muhammad, Rv. 270374 (in una fattispecie in cui il tribunale aveva ordinato la rinnovazione della notifica del decreto di giudizio immediato, a seguito della quale l'imputato aveva chiesto ed ottenuto l'ammissione al giudizio abbreviato dinanzi al tribunale, dopo che analoga richiesta avanzata al giudice delle indagini preliminari era stata da questi dichiarata inammissibile); Sez 2, n. 47147 del 11/11/2019, Di Dio, n. m..

Quanto al secondo rilievo è sufficiente osservare che non potrebbe essere consentita la regressione del procedimento per effettuare la stessa incombenza già effettuata nel regolare contraddittorio delle parti che, in quella sede, nulla eccepirono.

10. Alla stregua di quanto finora illustrato, devono, pertanto, affermarsi i seguenti principi di diritto: "Le notifiche all'imputato detenuto, anche qualora abbia dichiarato o eletto domicilio, vanno eseguite nel luogo di detenzione, con le modalità di cui all'art. 156 c.p.p., comma 1, mediante consegna di copia alla persona.

La notifica al detenuto eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto dà luogo ad una nullità a regime intermedio, soggetta alla sanatoria prevista dall'art. 184 c.p.p.".

11. Con il primo motivo di ricorso, la difesa ha sostenuto la violazione dell'art. 139 c.p.p., comma 6.

In punto di fatto, risulta che la Corte di appello, dopo aver disposto, su richiesta della difesa, l'acquisizione delle fonoregistrazioni delle udienze, aveva constatato che agli atti mancava la fonoregistrazione dell'udienza del 13 aprile 2012, avendo rinvenuto solo la trascrizione della fonoregistrazione di quella udienza.

L'eccezione di nullità è stata disattesa dalla Corte territoriale in quanto "l'art. 139 c.p.p., comma 6, dispone che le registrazioni fonografiche sono unite agli atti del procedimento, ma non prevede sanzione alcuna, in particolare quella della inutilizzabilità della trascrizione, in caso di omessa osservanza della norma".

La difesa, sul punto, ha dedotto uno specifico motivo di ricorso ribadendo la nullità di ordine generale, sotto il profilo della violazione del diritto di difesa ex art. 178 c.p.p., lett. c), derivante dalla mancanza agli atti del nastro fono-registrato.

La censura è manifestamente infondata.

La fattispecie in esame riguarda il caso (non disciplinato da alcuna norma) in cui il nastro della fonoregistrazione (nella specie, dell'udienza del 13/04/2012) vada disperso (per qualsiasi causa) successivamente alla trascrizione che si trovi regolarmente allegata agli atti.

Il ricorrente sostiene che è stato violato il suo diritto ad avere una copia del nastro al fine di verificare la fedeltà della trascrizione.

Indubbiamente, è innegabile che la difesa ha diritto ad avere la copia di ogni atto processuale (quindi, anche del nastro di fonoregistrazione), come si desume testualmente dagli artt. 116 e 466 c.p.p..

Ma, ogni diritto - tranne quelli la cui violazione produce nullità assolute rilevabili in ogni stato e grado del procedimento - dev'essere fatto valere con la tempistica desumibile dalla natura della violazione che si intende eccepire.

L'ordinamento giuridico (sia quello sostanziale che processuale), infatti, in virtù del principio generale della conservazione degli atti (res magis valeat quam pereat: nella sua doppia dimensione di canone interpretativo e di istituto applicativo), in un attento bilanciamento degli interessi coinvolti (nella specie: fra l'interesse statuale alla corretta e rapida definizione del processo e l'interesse della parte a dedurre gli effetti negativi dell'atto invalido), tende a salvaguardare quegli atti che, pur affetti da qualche invalidità, abbiano raggiunto lo scopo (art. 184 c.p.p.) o nei cui confronti la parte interessata abbia mostrato un comportamento acquiescente (art. 183 c.p.p.).

La consolidazione dell'atto viziato tende, quindi, ad impedire non solo un'inutile dilatazione dei tempi processuali in attuazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2), ma evita anche che vizi, sostanzialmente inidonei ad arrecare un reale pregiudizio alle parti, possano incidere negativamente sulla capacità del procedimento di raggiungere il fine cui è stato predisposto.

Nella fattispecie in esame, la difesa, nel corso del giudizio di primo grado, non ha mai richiesto la copia delle fonoregistrazioni; l'atto di appello è stato redatto sulla base delle trascrizioni; la richiesta di avere una copia dei nastri è stata effettuata formalmente solo durante il dibattimento di appello nel corso del quale, per la prima volta, fu eccepita la violazione del diritto di difesa, dopo che la Corte di appello aveva appurato che la fonoregistrazione dell'udienza del 13/04/2012 era andata dispersa.

Il suddetto comportamento ha, però, determinato la preclusione della censura, ex art. 183 c.p.p., in quanto, nel momento in cui la difesa del ricorrente ha proposto appello avvalendosi della sola trascrizione dei nastri fonoregistrati, ha dimostrato chiaramente di avere ritenuto la suddetta trascrizione fedele al contenuto dei nastri e, quindi, di non averne alcuna necessità ai propri fini difensivi, anche perchè, avendo partecipato a tutte le udienze, avrebbe avuto la possibilità di individuare le eventuali divergenze (sempre che fossero decisive e rilevanti) fra trascrizione e fonoregistrazione.

In particolare, quanto al valore della trascrizione, va osservato quanto segue.

Nella Relazione al progetto preliminare al testo definitivo del codice di procedura penale, si legge: "(....) Sul contenuto di questo verbale il comma 2 (ndr: dell'art. 139) non pone previsioni specifiche, limitandosi ad imporre la sola indicazione del momento di inizio e di quello di cessazione delle operazioni di riproduzione fonografica o audiovisiva (....) Il contenuto in concreto del verbale in forma riassuntiva (redatto dal segretario) dipenderà, perciò a seconda dei casi, dalla maggiore o minore affidabilità delle operazioni di registrazione (di competenza di personale tecnico posto sotto la direzione del segretario), nel senso che la prevedibile buona riuscita di queste operazioni renderà possibile la massima riduzione del contenuto del verbale sino alle sole indicazioni di inizio e fine delle operazioni medesime. (....)".

E' stata proprio sulla base di tale indicazione, che è invalsa la prassi, da parte dell'assistente giudiziario, di verbalizzare solo l'inizio, la fine delle operazioni e le generalità dei soggetti (imputati, testi ecc...) chiamati, a vario titolo, a rendere dichiarazioni nel corso del processo: per il resto, quanto al contenuto delle dichiarazioni, viene effettuato un rinvio tout court alle trascrizioni delle fonoregistrazioni che vengono allegate agli atti. Si tratta di una modalità di verbalizzazione per la quale non è prevista alcuna nullità (non rientrando in quelle previste tassativamente dall'art. 142 c.p.p.) e, quindi, del tutto legittima.

Ciò, è quanto avvenuto nella fattispecie in esame - come questo Collegio ha avuto cura di appurare - tant'è che sia i giudici di merito che la stessa difesa, nel richiamare il contenuto delle varie testimonianze, rinviano alle trascrizioni (ad es. pag. 27, nota 2, pag. 35, 36 dell'atto di appello).

Questa particolare modalità di verbalizzazione (nella quale, in pratica, è assente sia la parte descrittiva che quella dichiarativa previste dall'art. 136 c.p.p.), ha indotto la giurisprudenza di questa Corte, a ritenere che "le trascrizioni fonografiche costituiscono parte integrante del verbale di udienza cui sono allegate": Sez. 6, n. 3784 del 05/10/1994, dep. 1995, Celone, Rv. 201855; Sez. 1, n. 41749 del 19/10/2004, Falcone, Rv. 229813; Sez. 3, n. 3050 del 14/11/2007, dep. 2008, Di Girolamo, Rv. 238561; Sez. 2, n. 24929 del 18/04/2013, Ciarelli, Rv. 256490; Sez. 5, n. 6785 del 16/01/2015, Ettari, Rv. 262689.

Pertanto, nell'ipotesi in cui la fonoregistrazione venga a mancare, per un motivo qualsiasi, dopo che la trascrizione sia stata eseguita, non è ipotizzabile alcuna causa di nullità derivante dall'assenza dei nastri, sia perchè non espressamente prevista, sia perchè la documentazione di quanto accaduto nel processo è attestata dalla trascrizione che, essendo pur sempre un atto processuale, non può essere ritenuta, sic et simpliciter, tamquam non esset, tanto più ove si consideri che, in assenza (come nel caso di specie) di comprovate e precise censure su decisive e rilevanti divergenze, prevale il principio di conservazione degli atti.

12. Con il terzo motivo, il ricorrente ha eccepito la inutilizzabilità dell'incidente probatorio del 26 aprile 2010, della consulenza tecnica del Pubblico ministero, del 1 giugno 2010, sulle condizioni fisiche dell'imputato, dell'accertamento, del (OMISSIS), sul materiale biologico consegnato dalle minori.

Ad avviso del ricorrente, i suddetti atti, essendo stati compiuti dopo il termine di 90 giorni dalla iscrizione della notizia di reato avvenuta il 30 luglio 2009, non avrebbero potuto essere utilizzati, trattandosi di atti dai quali si era desunta l'evidenza della prova e, quindi, posti alla base del decreto di giudizio immediato emesso dal giudice delle indagini preliminari in data 03 agosto 2010.

Ad avviso del ricorrente, la giurisprudenza sarebbe "granitica" nel ritenere che il termine di cui all'art. 454 c.p.p. è ordinatorio per la richiesta, ma tassativamente perentorio per tali indagini, ovvero quelle da cui risulterebbe l'evidenza della prova, che devono essere svolte, differentemente da quanto avvenuto nel caso di specie, entro tale suddetto termine.

La censura è manifestamente infondata.

In punto di fatto, va premesso che le circostanze evidenziate dal ricorrente sono pacifiche tant'è che ne danno atto entrambi i giudici di merito; tuttavia, è errato il principio di diritto invocato dalla difesa.

L'annoso contrasto interpretativo sul se e in che termini sia rilevabile l'inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, previsti, rispettivamente, per la richiesta di giudizio immediato "ordinario" e per quello "custodiale", è stato risolto dalle Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, che hanno affermato i seguenti principi:

"L'inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, previsti rispettivamente per la richiesta di giudizio immediato ordinario e per quello cautelare è rilevabile da parte del giudice per le indagini preliminari, attenendo ai presupposti del rito": Rv. 260017;

"La decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato" (Rv. 260018), salvo il vizio derivante dall'omesso interrogatorio dell'accusato prima della formulazione della richiesta di giudizio immediato che è "rilevabile dal giudice del dibattimento in quanto violazione di una norma procedimentale concernente l'intervento dell'imputato, sanzionata di nullità a norma dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 180 c.p.p. e non in quanto carenza di un presupposto del rito".

Pertanto, la soluzione invocata dalla difesa poggia su una giurisprudenza (Sez. 3, n. 41777 del 16/04/2013) che deve ritenersi superata dalle Sez. U, Squicciarino i cui principi di diritto vanno, in questa sede, nuovamente ribaditi, non ravvisandosi argomenti tali da far rimeditare la summenzionata complessa problematica.

13. Con il quarto motivo, la difesa del ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza per non avere la Corte territoriale dichiarato la inutilizzabilità delle conversazioni tra presenti captate dalle minorenni.

In punto di fatto, va precisato che, come risulta dalla sentenza di primo grado, si tratta dei colloqui avvenuti, il 5 e il 6 agosto, tra l'imputato e B.S. captati con un registratore fornito dalla polizia giudiziaria, senza alcuna autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria.

La censura, nei termini in cui è stata dedotta, va ritenuta manifestamente infondata in applicazione del consolidato principio di diritto che, in questa sede, va ribadito, secondo il quale nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (ex plurirnis Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303).

Nella fattispecie in esame, il dialogo intercettato (riportato nella sentenza di primo grado), contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non ha affatto un contenuto "confessorio" in quanto l'imputato, venuto a conoscenza di essere stato denunciato - lungi dal confessare alcunchè - cercò solo di indurre una delle due minorenni (peraltro senza riuscirci) a smentire l'altra per "salvarlo ed aiutarlo", promettendole in cambio di farla "diventare capo dell'Associazione Mafia".

Spettava, dunque, al ricorrente chiarire per quali ragioni, una volta espunta dagli atti quella conversazione, il quadro probatorio a suo carico sarebbe divenuto insufficiente a giustificare una pronuncia di condanna, nonostante le altre plurime prove indicate da entrambi i giudici di merito a sostegno della tesi accusatoria.

Di conseguenza, poichè, sul punto, nulla risulta essere stato dedotto, la censura va ritenuta manifestamente infondata in quanto generica.

Alla stessa conclusione deve pervenirsi, mutatis mutandis, quanto al contenuto degli s.m.s..

14. Il ricorrente, ha dedotto una serie di vizi ex art. 606 c.p.p., lett. e), riconducibili, sostanzialmente, a tre tipologie di censure:

- censure finalizzate ad evidenziare omessa motivazione su quei motivi appello coni quali erano state indicate prove favorevoli all'imputato;

- censure dirette a stigmatizzare carenze motivazionali (sotto il profilo della manifesta illogicità o contraddittorietà) in ordine alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese;

- censure in ordine al trattamento sanzionatorio.

14.1. Nell'ambito della prima tipologia vanno comprese le seguenti censure:

a) omessa motivazione sulla mancata ammissione delle testimonianze delle consulenti di parte di Sa. e C., che avevano partecipato all'incidente probatorio;

b) omessa valutazione degli accertamenti del consulente tecnico Pa.Au., da cui emergerebbe che la sera del (OMISSIS), il ricorrente non si era recato in (OMISSIS) - contrariamente a quanto dichiarato delle due persone offese - avendo il suo cellulare sempre impegnato la cella in cui si trova la sua abitazione di Roma;

c) omessa valutazione delle testimonianze del Dott. B. - preside dell'istituto scolastico frequentato dalle due minorenni - e della sign.ra r., sulla propensione delle minori a denunciare episodi a sfondo sessuale;

d) omessa valutazione dei profili soggettivi del ricorrente, nonchè delle sentenze di assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere e truffa.

Questo Collegio ritiene le suddette censure tutte manifestamente infondate.

La censura sub a), è generica non avendo il ricorrente specificato nè su quali capitoli le testi avrebbero dovuto testimoniare, nè, soprattutto, quale ne fosse la rilevanza. Il suddetto vizio, rilevabile anche da questo Collegio, preclude, quindi lo scrutinio della censura, sicchè diventa del tutto irrilevante l'omessa motivazione sul punto da parte della Corte territoriale.

La censura sub b), è aspecifica rispetto alla motivazione addotta, sul punto, dal Tribunale il quale, dopo avere esaminato la testimonianza resa dal Pa., l'aveva, in pratica, ritenuta irrilevante in quanto era risultato che l'utenza telefonica, "riusciva a dialogare" con due diverse celle (una posta in (OMISSIS); l'altra collocata in (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS)) e che i dati forniti dal gestore telefonico "consentivano di risalire alla posizione del telefono con livello di approssimazione variabile a seconda della morfologica del territorio (da poche decine di metri a pochi chilometri fino ad un raggio massimo di trentacinque chilometri)". Con il motivo di appello, il ricorrente, non solo non si confrontava con l'esito sostanzialmente fallimentare dell'accertamento compiuto dal proprio consulente tecnico, ma dava per scontato ciò che non era e cioè che "il cellulare in uso all'imputato e, quindi, con tutta evidenza, l'imputato stesso, nella serata in cui si sarebbe verificato l'ultimo episodio in contestazione (....) risulta essersi agganciato sempre in Roma, nella cella ubicata nei pressi dell'abitazione dell'imputato in Roma, (OMISSIS) ((OMISSIS))": da qui l'aspecificità della censura e, quindi, l'irrilevanza dell'omessa motivazione da parte della Corte Territoriale.

Anche la censura sub c) va ritenuta aspecifica rispetto alla motivazione addotta, sul punto, dal Tribunale il quale, dopo avere sintetizzato le testimonianze rese dalla r. e dal B., aveva ritenuto la prima "sfornita di riscontro" e la seconda "ridimensionata". Con il motivo di appello, il ricorrente, invece di misurarsi con la suddetta motivazione, affermava perentoriamente che il Tribunale aveva "ignorato" gli episodi - che minavano la credibilità delle due minorenni - su cui i suddetti testi avevano deposto. Ora, non essendo affatto vero che il Tribunale aveva "ignorato" le suddette testimonianze, ne consegue che anche la censura va ritenuta aspecifica e, quindi, diventa del tutto irrilevante che la Corte Territoriale abbia omesso di motivare sul punto.

Anche la censura sub d) va ritenuta generica ed aspecifica non essendosi il ricorrente misurato con l'amplissima motivazione con la quale il Tribunale aveva analizzato e valutato, alla stregua di numerose e convergenti dichiarazioni testimoniali, il ruolo che l'imputato aveva nell'ambito dell'associazione della quale era il riconosciuto ed indiscusso capo carismatico.

14.2. Nell'ambito delle censure dirette ad evidenziare carenze motivazionali in ordine alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese, vanno comprese quelle relative:

a) al rigetto della richiesta di procedere all'accertamento della capacità di testimoniare delle minorenni persone offese;

b) all'assenza di tracce biologiche dell'imputato sui capi di indumenti analizzati dalla Polizia scientifica;

c) alla mancata valutazione dell'età del ricorrente, alla sue precarie condizioni di salute incompatibili con gli abusi sessuali di cui era stato ritenuto responsabile;

d) alla inattendibilità delle modalità con le quali erano state assunte le testimonianze delle due minorenni;

e) alla inattendibilità del contenuto delle dichiarazioni accusatore delle due minorenni.

Tutte le suddette censure sono manifestamente infondate.

Quanto alla metodologia seguita per l'escussione delle due minorenni e alla capacità di testimoniare delle medesime, non sono ravvisabili nè violazioni di legge nè vizi motivazionali di alcun genere in quanto i giudici di merito, ben consci della complessa problematica derivante dalle dichiarazioni rese da minori vittime di abusi sessuali, si sono adeguati ai principi di diritto enunciati in materia da questa Corte di legittimità e puntualmente richiamati. In particolare, il Tribunale, ha chiarito che le due minorenni, all'epoca dei fatti di anni quindici e sedici, furono formalmente escusse con incidente probatorio, e la trascrizione della fonoregistrazione dell'audizione protetta, eseguita ex art. 398 c.p.p., comma 5-bis, fu ritualmente acquisita agli atti del fascicolo e dichiarata utilizzabile ex art. 190-bis c.p.p. e art. 431 c.p.p., lett. e).

Il Tribunale, poi, ha spiegato le ragioni per cui le due minorenni avevano dimostrato "l'attitudine a testimoniare anche senza il sussidio di una valutazione tecnica specialistica", giudizio confermato dalla Corte di Appello che ha così motivatamente ed incensurabilmente respinto la medesima censura riproposta in questo grado di giudizio: infatti, la Corte, alla stregua della relazione della psicologa Mo.Ir., che aveva assistito come ausiliaria all'audizione, ha concluso per "la piena capacità delle due minori a testimoniare, con linguaggio e mentalità in piena linea con l'età adolescenziale delle stesse; il racconto degli abusi subiti è preciso e circostanziato, senza alcuna confusione tra realtà e fantasia e senza alcuna suggestione, anche se deve rilevarsi che a parlare sono delle vere e proprie donne e non più ragazzine, capaci di adoperare linguaggi sessuali appropriati, nella comprensione di quanto realmente accaduto".

Alla stessa conclusione deve pervenirsi quanto alla valutazione delle suddette testimonianze ossia alla loro genesi, nonchè alla attendibilità, sia sotto il profilo intrinseco che estrinseco, effettuata dal Tribunale con motivazione amplissima, logica e coerente con gli evidenziati elementi fattuali e confermata dalla Corte di Appello con motivazione incensurabile.

La difesa ha, però, sostenuto che le dichiarazioni delle minorenni sarebbero smentite da oggettivi dati processuali non adeguatamente presi in considerazione da entrambi i giudici di merito e cioè: a) dall'assenza di tracce biologiche dell'imputato sui capi di indumenti analizzati dalla polizia scientifica; b) dalla mancata valutazione dell'età del ricorrente, dalle sue precarie condizioni di salute (affetto da diabete ed impotentia coeundi) incompatibili con gli abusi sessuali di cui era stato ritenuto responsabile.

Sul punto va, in contrario, osservato che, nelle motivazioni delle sentenze di merito non è ravvisabile alcun vizio motivazionale, in quanto si integrano a vicenda.

Il Tribunale - in relazione agli accertamenti finalizzati ad individuare tracce biologiche dell'imputato - si è limitato a prendere atto dell'unico riscontro positivo (tracce genetiche, diverse dal liquido seminale, dell'imputato e delle due minorenni rinvenute su un piumino da letto) valutandolo in senso latamente accusatorio in quanto, per l'oggetto dove le suddette tracce biologiche vennero rinvenute (piumino da letto) ed il luogo (camera da letto dove dormiva l'imputato e dove, secondo le minorenni, avvenivano gli abusi sessuali), indubbiamente costituisce un ulteriore riscontro alle dichiarazioni delle persone offese.

La Corte di appello, a sua volta, ha giustificato la mancanza di tracce biologiche dell'imputato sugli indumenti intimi delle due minorenni con il lungo lasso di tempo (un mese) che intercorse fra le confidenze delle minorenni a persone adulte e la denuncia: spiegazione, questa, del tutto razionale, non essendo manifestamente illogico ritenere che, durante quel lasso di tempo, quegli indumenti furono cambiati e lavati.

La questione dell'impotentia coeundi, è stata oggetto di ampie ed approfondite indagini nel giudizio di primo grado, all'esito delle quali, il Tribunale, con motivazione assolutamente coerente e non censurabile, ha concluso che il pur accertato deficit erettile "non impedisse il rapporto sessuale, in particolare se assistito da farmaci coadiuvanti Le consulenze infatti, non hanno escluso tale possibilità".

Alla medesima conclusione è pervenuta la Corte di appello disattendendo, quindi, il motivo di appello proposto sul punto.

In conclusione, questo Collegio osserva che le questioni dedotte con il presente ricorso hanno costituito oggetto di ampio dibattito processuale in entrambi i gradi del giudizio di merito, alle quali entrambi i giudici di merito hanno dato una congrua e coerente risposta sulla base di puntuali riscontri di natura fattuale e logica, nella quale non è ravvisabile alcuna delle incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, le cui censure, pertanto, essendo incentrate, surrettiziamente, su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, vanno dichiarate manifestamente infondate.

In particolare, va osservato che è rimasto confermato l'asse portante del processo costituito dalle conformi, univoche ed attendibili dichiarazioni delle due minorenni riscontrate oltre che dalla teste Ro., anche da donne adulte sia quanto al modus operandi con cui l'imputato si avvicinava alle donne che frequentavano la sua comunità dicendosi in grado di scacciare il negativo "Karma" che aveva in loro percepito, e convincendole, poi, ad avere rapporti sessuali con lui, sia quanto alle sue preferenze sessuali (sul punto, sovrapponibili alle dichiarazioni rese da entrambe le minorenni, sono le testimonianze delle testi L. e Sc.).

14.3. Infine, sono manifestamente infondate anche le censure sul trattamento sanzionatorio.

Quanto alla censura sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, va osservato che la motivazione risulta, nel caso di specie, esauriente e pienamente adeguata sul piano logico, posto che la pronuncia negativa è stata giustificata con il richiamo a puntuali e significativi elementi ritenuti sub valenti rispetto agli elementi positivi. Sul punto, quindi, l'amplissima motivazione addotta prima dal Tribunale e, poi, dalla Corte territoriale, deve ritenersi incensurabile.

Quanto alla congruità della pena, premesso che deve ritenersi inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142) e che una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, va osservato che, nel caso di specie, il Tribunale ha ampiamente spiegato le ragioni della propria decisione sia in ordine alla pena base, di poco superiore alla misura media (anni sette e mesi sei di reclusione) di quella edittale vigente all'epoca dei fatti, sia in ordine alla pena inflitta a titolo di continuazione, valutazione che è stata condivisa dalla Corte territoriale.

Pertanto, la motivazione deve ritenersi incensurabile in quanto entrambi i giudici di merito si sono attenuti puntualmente ai principi di diritto enunciati da questa Corte.

15. In conclusione, il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile in quanto le pur numerose censure dedotte devono ritenersi, alla stregua di quanto illustrato, per un verso o per un altro, manifestamente infondate in diritto ed in fatto.

Ed invero, nonostante le questioni in diritto dedotte sulla ritualità della notifica e sulla violazione dell'art. 139 c.p.p. abbiano impegnato questo Collegio in una diffusa motivazione, va, però, osservato che tutte le censure dedotte hanno finito, poi, per essere dichiarate manifestamente infondate essendo il ricorrente incorso nelle sanatorie di cui agli artt. 183 e 184 c.p.p., secondo i consolidati principi di diritto già affermati dalle Sezioni Unite.

Stessa cosa va detto per le restanti censure sulla utilizzabilità delle registrazioni (manifestamente infondatezza per aspecificità) e per quella sull'incidente probatorio (manifestamente infondatezza trattandosi di questione già risolta dalle Sezioni Unite).

La declaratoria di inammissibilità preclude, quindi, la rilevabilità della prescrizione in applicazione del principio di diritto secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (ex plurimis, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. U, n. 23428 del 2 marzo 2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 19601 del 28 febbraio 2008, Niccoli, Rv. 239400; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818.

In particolare, va osservato che la prescrizione è stata dedotta solo con la memoria intitolata "memoria ex art. 121 c.p.p." depositata il 13/11/2019.

Ora, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, Rv. 264493; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158; Sez. 2, n. 36118 del 26/06/2019, F., Rv. 277076; Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850) alla quale va data continuità, gli atti che pongono questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione, non sono da considerare memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p., sicchè, in relazione ad essi, si applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all'art. 585 c.p.p., comma 4, con la conseguenza che il contenuto si può valutare solo se e in quanto sia coerente con le questioni devolute con l'impugnazione.

Ciò comporta che l'inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione.

Pertanto, nel caso di specie, il motivo sulla prescrizione, dedotto per la prima volta con la suddetta memoria, non può essere scrutinato:

a) perchè la memoria, ove la si voglia ritenere depositata ex art. 121 c.p.p., non avrebbe potuto contenere motivi nuovi;

b) perchè, ove la si voglia considerare come presentata ex art. 585 c.p.p.: b1) l'eccezione di prescrizione sarebbe tardiva essendo stata la memoria depositata oltre il quindicesimo giorno; b2) la memoria, comunque, non avrebbe neppure essa potuto contenere un motivo nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quelli dedotti con il ricorso; b3) l'inammissibilità del ricorso rende inammissibile anche il motivo dedotto con la memoria.

Va, quindi, data continuità al seguente principio di diritto: "L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e art. 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata nè eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso": Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818.

17. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00. Il ricorrente va, inoltre, condannato alle spese sostenute dalle costituite parti civili che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa nel presente giudizio, che si liquidano in favore della parte civile Roma Capitale in complessivi Euro 3.510,00, oltre spese generali, c.p.a. ed i.v.a. come per legge; in favore di L.K. in complessivi Euro 2.500,00 oltre spese generali, c.p.a. ed i.v.a. come per legge; in favore di Si.Fi. in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese generali, c.p.a. ed i.v.a. come per legge, nonchè in favore di B.S. ed E.M., entrambe ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dalla Corte di appello di Roma, disponendone il pagamento a favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

"Il presente provvedimento, redatto dal Componente Geppino Rago, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.C. M. 8 marzo 2020".

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020