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Modalità del riconoscimento fotografico (Cass. 9505/16)

8 marzo 2016, Cassazione penale

Le modalità con cui viene effettuato il riconoscimento devono avvicinarsi il più possibile all'analogo mezzo di prova tipico costituito dalla ricognizione di persona: ma a meno di macroscopiche difformità rispetto al modello legale della ricognizione, la scelta delle immagini fotografiche effettuata dagli operanti per procedere alla individuazione non si presta ad essere valutata in termini di legalità, dato l'enorme margine di opinabilità che ogni selezione porta con sè, solo potendosi apprezzare la congruenza del percorso che ha portato il teste a riconoscere, tra le varie immagini a lui sottoposte, quella che corrisponde al soggetto osservato nel contesto del reato e valutare la forza dimostrativa del riconoscimento.

Le modalità della individuazione si riflettono sul valore della prova è non riguardano la legalità della stessa: lo scrutinio demandato alla Corte di Cassazione deve appuntarsi sugli argomenti, spesi dal giudice di merito, per dedurre che l'affermazione conclusiva fatta dal soggetto chiamato ad operare il riconoscimento sia affidabile e possa essere posta, pertanto, alla base del giudizio di colpevolezza.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 24/11/2015) 08-03-2016, n. 9505

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio - Presidente -

Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -

Dott. CATENA Rossella - Consigliere -

Dott. SETTEMBRE Antonio - rel. Consigliere -

Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1279/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 10/06/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dr. SALZANO Francesco, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dei reati.

Udito, per l'imputato, l'avv. MM, che si è riportato ai motivi di ricorso e si è associato, in subordine, alla richiesta del Pubblico Ministero.

Svolgimento del processo

1. La corte d'appello di Milano ha, con la sentenza impugnata, confermato quella emessa dal locale Tribunale, che aveva condannato C.L. per lesioni personali e minaccia grave nei confronti di B.R.V.J..

Secondo quanto accertato in sentenza, B.R. era stato aggredito e minacciato, mentre era insieme alla fidanzata, da tre giovani scesi da una "Mini Cooper", dopo che si era rivolto stizzito verso costoro, che l'avevano costretto a scansarsi mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. I tre, inoltre, non contenti, avevano telefonato ad alcuni amici, che erano infatti sopraggiunti con altre tre autovetture, tra cui una una "Smart", e si erano aggregati - nel pestaggio - ai tre occupanti della Mini Cooper;

tra essi vi era C.L., proprietario della Smart. Uno degli occupanti della Smart aveva con sè un coltello e minacciò anch'egli B., dicendogli di "parlare con lui"; dopodichè passò il coltello ad un amico, affinchè lo riponesse al suo posto.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione C.L. lamentando, innanzitutto, la non corretta applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato.

Deduce che, come riconosciuto in sentenza, l'aggressione era già stata consumata quando giunse sul posto, per cui illegittimamente è stata confermata la condanna per le lesioni. Inoltre, perchè la Corte d'appello non ha spiegato chi dei presenti proferì le minacce e perchè delle stesse è stato ritenuto responsabile anche lui, non avendo nemmeno accertato a chi appartenesse il coltello e chi ne abbia fatto uso.

Con altro motivo si duole dell'erronea applicazione dell'art. 213 c.p.p., per le modalità con cui fu effettuato, durante le indagini, il suo riconoscimento fotografico, e della mancata risposta del giudice d'appello alla specifica doglianza mossa sul punto.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Il primo motivo è inammissibile per mancanza di specificità. Il ricorrente si limita a riproporre la tesi sostenuta in giudizio e debitamente confutata non solo dal giudice di primo grado, ma anche da quello d'appello, che già aveva rilevato la pedissequea riproposizione della linea difensiva originaria in maniera apodittica e aspecifica, con argomenti che non si confrontavano con la motivazione della sentenza impugnata. Il Tribunale aveva rilevato, infatti, così come ha fatto la Corte d'appello, che C. non giunse sul luogo dell'aggressione dopo che questa era stata consumata, ma proprio per aggravarla, aggregandosi ai passeggeri della Mini Cooper, che già avevano, in precedenza, colpito B. con un pugno. Inoltre, che i presenti (tra cui C.) minacciarono ripetutamente i malcapitati con un coltello, che fu riposto - dopo l'uso - proprio nell'auto di C. (pagg. 2-3 della sentenza di primo grado e pag. 3 della sentenza d'appello). E ciò hanno fatto valutando le dichiarazioni della persona offesa e, soprattutto, quelle della ragazza che si trovava con lui ( F.), la quale ebbe modo di notare il coltello ed il fatto che fu riposto nella Smart dell'imputato, dopo averne fatto mostra nel corso dell'aggressione. Inutilmente, pertanto, il ricorrente ripropone la propria versione dei fatti (sarebbe stato solo "presente" sul posto e vi sarebbe stata una "lite per ragioni di viabilità"), smentita dal giudicante e non sorretta da alcun elemento di prova, di cui sia lamentata la pretermissione.

2. Quanto all'individuazione fotografica, va richiamato il costante orientamento di questa Corte regolatrice, secondo cui l'individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sè, ma dalla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione (ex multis, Cass., n. 49758 del 27/11/2012).

Pertanto, se è vero che le modalità con cui viene effettuato il riconoscimento devono avvicinarsi il più possibile all'analogo mezzo di prova tipico costituito dalla ricognizione di persona, a meno di macroscopiche difformità rispetto al modello legale della ricognizione, la scelta delle immagini fotografiche effettuata dagli operanti per procedere alla individuazione non si presta ad essere valutata in termini di legalità, dato l'enorme margine di opinabilità che ogni selezione porta con sè, solo potendosi apprezzare la congruenza del percorso che ha portato il teste a riconoscere, tra le varie immagini a lui sottoposte, quella che corrisponde al soggetto osservato nel contesto del reato e valutare la forza dimostrativa del riconoscimento. In altri termini, le modalità della individuazione si riflettono sul valore della prova è non riguardano la legalità della stessa. Da ciò deriva che lo scrutinio demandato a questa Corte deve appuntarsi sugli argomenti, spesi dal giudice di merito, per dedurre che l'affermazione conclusiva fatta dal soggetto chiamato ad operare il riconoscimento sia affidabile e possa essere posta, pertanto, alla base del giudizio di colpevolezza.

Tanto premesso, non v'è dubbio che, nella specie, i giudici di merito abbiano dato conto, esaustivamente, dei criteri seguiti per la valutazione del riconoscimento, avendo evidenziato che - contrariamente all'assunto difensivo la fotografia dell'imputato fu riconosciuta da B. e F. tra quelle inserite in un album fotografico formato dai carabinieri, dopo che erano stati individuati i proprietari e i possessori delle quattro auto confluite sul posto dell'aggressione, di cui F. aveva rilevato le targhe (pag. 3 della sentenza di primo grado). Da un lato, quindi, non corrisponde a verità che i militari si fossero limitati a mostrare ai testi la fotografia dell'imputato; dall'altro, non è stata l'individuazione fotografica l'unico strumento di prova a carico di C., avendo avuto un peso ancora maggiore la titolarità - da parte sua - del diritto (di proprietà) sull'auto (la Smart) utilizzata dagli aggressori per rispondere alla chiamata del conducente della Mini Cooper (originario aggressore).

Tale percorso argomentativo non presta il fianco a censure, non potendosi dubitare della logicità di un ragionamento che ha attribuito valore al riconoscimento, effettuato nell'immediatezza, da due soggetti lucidi e ben orientati, confermato dalla titolarità e dal possesso dell'auto su cui viaggiava l'aggressore.

3. Il ricorso è pertanto inammissibile. Di conseguenza, non può essere accolta la richiesta del Procuratore Generale d'udienza, a cui si è associato, in subordine, il difensore dell'imputato, giacchè l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso): Cass., S.U., n. 32 del 22/11/2000.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa nella proposizione del ricorso, al pagamento della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo quantificare nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2016