Il rifiuto di consegna in ambito MAE di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea può essere deciso solo se l'interessato legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora in Italia: ciò presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali.
La ratio del rifiuto della consegna ex art. 18, comma 1, lett. r) della legge 22 aprile 2005, n. 69 consiste nella necessità di assicurargli, scontata la pena, un’accresciuta opportunità di reinserimento sociale.
In caso di procedura di mandato di arresto europeo, non può essere consegnato un minore che non abbia ancora raggiunto l'età per l'imputabilità nello stato di esecuzione.
Corte di Cassazione
sez. VI Penale, sentenza 4 aprile – 10 aprile 2018, n. 15867
Presidente Rotundo – Relatore Giordano
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Catania, sezione per i Minorenni, ha disposto la consegna di B.A.M. , n. il (omissis) , all’autorità giudiziaria della Romania, in quanto colpito da mandato di arresto Europeo emesso il 13 maggio 2016 dall’autorità giudiziaria competente per la esecuzione della misura educativa del ricovero in un centro di detenzione come disposta dal Tribunale di Roman del 15 aprile 2016 per i reati di furto aggravato e rapina, in continuazione, commessi tra il (omissis) , previa revoca della misura alternativa dell’obbligo di seguire un corso di formazione scolastica e obbligo di presentazione al competente servizio di libertà vigilata.
2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del suo difensore, B.A.M. che denuncia l’erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 6, 16 e 18 della legge n. 69/2005. In particolare deduce: 2.1. non si comprende quale sia l’esatta entità della pena da scontrare e da quali atti del procedimento la Corte territoriale abbia individuato la pena di giorni di giorni 525 dal momento che la stessa Corte ha lamentato la mancata risposta dell’Autorità Giudiziaria rumena alla richiesta di integrazione atti; 2.2. che la Corte distrettuale avrebbe dovuto accertare l’avvenuta verifica, da parte dell’autorità giudiziaria procedente, in presenza di minore all’epoca dei fatti, della capacità di agire del minore al momento dei fatti, carenza che ridonda sulla legittimità del provvedimento di consegna; 2.3. il mancato accertamento della condizione di radicamento in Italia avuto riguardo alla circostanza che la stessa Corte aveva applicato al ricorrente la misura degli arresti domiciliari - poi revocata - così ritenuta accertata la esistenza di stabili interessi personali, lavorativi e familiari in Italia, radicamento comunque dimostrato dalle modalità dell’arresto e dalla regolare residenza nel territorio dello Stato e comprovato dal censimento all’anagrafe in sede di rilascio della carta di identità.
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato. A fondamento del mandato di arresto Europeo è posta la sentenza del 15 aprile 2016 del Tribunale di Roman con la quale l’autorità giudiziaria romena ha revocato il beneficio di liberazione dal Centro di detenzione a favore del B. ed ha ripristinato nei suoi confronti la esecuzione misura del ricovero in un centro detentivo per la durata di 525 giorni, tenuto conto della pena già espiata. La sentenza impugnata, per quanto di interesse, ha illustrato le vicende processuali che hanno coinvolto il ricorrente sia nella fase di merito - per le intervenute condanne per quattro episodi di furto aggravato continuato e rapina, alla pena di anni tre ed anni due poi cumulate in quella di anni tre e mesi quattro di ricovero in un centro di detenzione - sia in fase di esecuzione poiché, con sentenza del 9 marzo 2015, il Tribunale di Braia aveva disposto la liberazione del B. dal centro di detenzione nel quale si trovava ristretto, imponendogli la misura alternativa dell’obbligo di seguire un corso di formazione scolastica e obbligo di presentazione al competente servizio di libertà vigilata. A tali obblighi, dal settembre 2015, il B. si era sottratto. Da qui la sentenza del 15 aprile 2016 con la quale, revocate le misure alternative, veniva disposta la misura educativa in un centro detentivo per la indicata durata di 525 giorni, dalla quale era scomputata quella già espiata. Né è suscettibile di ingenerare equivoco alcuno, sulla durata della misura da eseguire, il riferimento alla mancata comunicazione, da parte dell’autorità giudiziaria romena, delle informazioni richieste sulle condizioni di detenzione alle quali il B. sarebbe stato sottoposto, con argomentazioni che non sono suscettibili di ingenerare equivoco alcuno nella ricostruzione della durata della misura posta a fondamento del mandato di arresto, secondo l’illustrazione che la Corte etnea ha riportato nel ritenuto in fatto e nei passaggi che illustrano le ragioni dei rinvii delle udienze fissate per la trattazione del procedimento,.
3. La Corte territoriale ha anche diffusamente motivato, analizzando sul punto i passaggi argomentativi riportati nelle sentenze trasmesse dall’autorità giudiziaria romena, gli accertamenti condotti per verificare le condizioni di capacità dell’imputato che, all’epoca dei fatti, era minore avendo compiuto gli anni sedici ma non ancora gli anni diciotto.
Come si evince dalla sentenza del Tribunale di Roman del 18 luglio 2014 - diffusamente richiamata nel provvedimento impugnato - nel procedimento penale a suo carico il B. si era avvalso, oltre che del difensore di ufficio ritualmente nominato, della presenza di un rappresentante legale del minore e il Tribunale aveva ampiamente richiamato le risultanze di una "indagine sociale" volta a raccogliere informazioni sulla condotta del minore, sulle sue condizioni fisiche e di salute, sui suoi precedenti, sulle condizioni di vita sia passate che presenti, sulla situazione familiare. Si tratta di un’indagine molto simile a quella che viene effettuata dal pubblico ministero e dal giudice nel procedimento minorile, in base all’art. 9 del d.P.R. 444 del 1988 per accertare l’imputabilità ed il grado di responsabilità del minore.
Tale indagine è stata posta alla base degli elementi valutati dal Tribunale (cfr. pag. 4 della sentenza) nel giudicare il B. , presente tra l’altro al dibattimento e che aveva tenuto un comportamento processuale di ampia ammissione dei fatti (a meno della vicenda relativa I.C.M. per la quale era intervenuta remissione della querela) ed è stata ritenuta rilevante al fine di scegliere la misura da applicare, cioè la misura rieducativa), rispetto alla pena, verificando la natura e il grado di disvalore sociale delle condotte poste in essere, le condizioni psicofisiche del minore, il suo comportamento, ed elementi socio-pedagogici, relativi all’età evolutiva ed ogni altro elemento che può caratterizzare la personalità del minore. Da quanto precede, tenuto conto degli atti a disposizione del Tribunale rumeno, non può che ritenersi corretta la conclusione cui è pervenuta la Corte di appello sul concreto accertamento sulla capacità di intendere e di volere del B. .
4. Deve, altresì, rilevarsi che la Corte di giustizia UE, con sentenza del 23 gennaio 2018, causa C-367/16 - ha stabilito due principi in tema di consegna di un minore in esecuzione di un mandato di arresto Europeo ed ha affermato che l’articolo 3, punto 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione deve rifiutare unicamente la consegna dei minori oggetto di un mandato d’arresto Europeo che, secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione, non abbiano raggiunto l’età richiesta per essere considerati penalmente responsabili dei fatti all’origine del mandato emesso nei loro confronti e che l’articolo 3, punto 3, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, deve essere interpretato nel senso che, per decidere sulla consegna di un minore oggetto di un mandato d’arresto Europeo, l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione deve soltanto verificare se l’interessato abbia raggiunto l’età minima per essere considerato penalmente responsabile, nello Stato membro di esecuzione, dei fatti all’origine di tale mandato, senza dover tenere conto di eventuali condizioni supplementari, relative a una valutazione personalizzata, alle quali il diritto di tale Stato membro subordina in concreto l’esercizio dell’azione penale o la condanna nei confronti di un minore per tali fatti.
Da tali principi consegue che il motivo di non esecuzione obbligatoria di cui all’articolo 3, punto 3, della decisione quadro 2002/584 non può essere oggetto di un’interpretazione che consenta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare di dar seguito a tale mandato sulla base di un’analisi non prevista espressamente né da tale disposizione né da altre norme della decisione quadro, come quella consistente nell’esaminare se nel caso di specie siano soddisfatte le condizioni supplementari, relative a una valutazione personalizzata, alle quali il diritto dello Stato membro di esecuzione subordina in concreto l’esercizio dell’azione penale o la condanna eventuale nei confronti di un minore: anche alla stregua di tali principi, non poteva rifiutarsi l’esecuzione del mandato di arresto.
5. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso. Secondo l’insegnamento espresso da questa Corte, il rifiuto di consegna motivato anche di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora in Italia, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali (Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas, Rv. 261375; Sez. 6, n. 16169 del 05/04/2013, Pierzyna Krzysztof, Rv. 254771).
Di tale condivisibile principio ha fatto ineccepibile applicazione la Corte catanese, là dove ha escluso la sussistenza dei presupposti per affermare lo stabile radicamento del ricorrente sul territorio nazionale in mancanza di elementi dimostrativi della descritta situazione di fatto, anche avuto riguardo al breve tempo trascorso dall’allontanamento - nel settembre 2015 - dalla Romania. Né appare dato inequivocabile sintomatico di reale e stabile radicamento in Italia, la circostanza che al B. siano stati applicati gli arresti domiciliari, misura che presuppone la mera disponibilità di un alloggio e di persone che si prendano cura della persona ristretta, cioè di situazioni di fatto ben diverse dal radicamento. In altre parole, non si appalesano contraddittorie ovvero illogiche le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici distrettuali in presenza di elementi che non dimostrano un sicuro grado di inserimento del B. in Italia e la conseguente necessità di assicurargli, scontata la pena, un’accresciuta opportunità di reinserimento sociale della persona richiesta in consegna, ratio sottesa alla previsione di cui all’art. 18, comma 1, lett. r) della legge 22 aprile 2005, n. 69, come modificata per effetto dell’intervento del giudice delle leggi, in linea con le disposizioni della quadro n. 909 del 2008 e dell’enunciato del Consiglio Europeo di Tampere del 1999.
6. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, l. n. 69 del 2005.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.