Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

MAE, polizia non avvisa facoltà di nominare difensore ma non c'è sanzione (Cass. 52013/18)

16 novembre 2018, Cassazione penale

La interpolazione del testo dell'art. 386 c.p.p., ad opera del D.Lgs. n. 101 del 2014, che ha attuato la direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, se ha invero rafforzato gli obblighi informativi a favore della persona in vinculis, a seguito di fermo o arresto, con la previsione di una comunicazione in forma scritta, ricognitiva dei diritti e delle facoltà riconosciutele, ha confermato la pacifica linea interpretativa che dall'omissione degli adempimenti iniziali ad opera della p.g. non derivi alcuna sanzione processuale.

Il D.Lgs. 15 settembre 2016, n. 184, aggiungendo nell'art. 12 cit. il comma 1-bis, ha previsto che la polizia giudiziaria informi altresì la persona arrestata che ha facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione.

La previsione dà attuazione alla direttiva 2013/48/UE relativa "al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le Autorità consolari", che ha inteso dettare una disciplina comune agli Stati membri quanto alle facoltà difensive da riconoscere a favore della persona sottoposta alla procedura di consegna, al fine di consentire che la stessa sia posta in grado di "esercitare in modo effettivo i propri diritti ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI" (considerandum n. 42).

Tra le facoltà riconosciute alla persona richiesta in consegna, privata della libertà personale, vi è anche quella della nomina di un difensore nello Stato di emissione, affinchè questo possa "assistere il difensore nello Stato membro di esecuzione, fornendogli informazioni e consulenza ai fini dell'effettivo esercizio dei diritti delle persone ricercate di cui alla decisione quadro 2002/584/GAI" (art. 10, par. 4). Il difensore verrebbe quindi ad assolvere ad mera funzione di ausilio al difensore dello Stato di esecuzione, fornendo informazioni (sia relative al procedimento instaurato nello Stato di emissione sia attinenti alla legislazione di tale Stato) utili per contrastare la pretesa della consegna (così da far valere quei motivi di rifiuto connessi con il procedimento "a monte"), ovvero per meglio far ponderare la scelta di acconsentire o meno alla consegna.

La stessa direttiva ha stabilito che di tale facoltà sia informata la persona ricercata "senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale" (art. 10, par. 4). Il ricorso a tale formula da parte del Legislatore europeo, in luogo del testo originario della proposta della Commissione ("prontamente al momento dell'arresto"), sembra autorizzare, come evidenziato dalla dottrina, informazioni non necessariamente immediate dopo l'arresto.

Quanto ai rimedi predisposti dalla direttiva per reagire alle eventuali violazioni, va evidenziato che l'art. 12 di quest'ultima si limita a stabilire che gli Stati membri prevedevano, nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, mezzi di ricorso che assicurino in modo "effettivo" il rispetto della garanzia affermata (il testo definitivo della direttiva ha peraltro espunto significativamente la previsione di mezzi che assicurassero all'accusato una vera e propria reductio in pristino).

Come in precedenza evidenziato, la direttiva 2013/48/UE, tra l'altro, non ha stabilito termini cogenti per lo Stato di esecuzione per la comunicazione della facoltà della nomina di un difensore anche nello Stato di emissione, così non escludendo modelli informativi nazionali che prevedano che la stessa possa essere fornita dal giudice in sede di convalida (o di interrogatorio).

Ciò consente di concludere che sia stato ritenuto sufficiente dal legislatore per la particolare informazione costituita dall'avviso della facoltà di nominare un difensore anche nello Stato membro di emissione il meccanismo "integrativo" disegnato dal codice nell'art. 391 c.p.p., comma 2, e art. 294 c.p.p., comma 1-bis, rispettivamente per la fase dell'arresto e per quella dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare.

L'obbligo di motivazione in ordine al pericolo di fuga, che legittima l'emissione della misura cautelare ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 9, deve infatti assumere connotati di concretezza ed essere argomentato su un ragionevole giudizio prognostico, mediante l'indicazione di circostanze sintomatiche, specifiche e rivelatrici di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte della persona richiesta (Sez. 6, n. 27357 del 19/06/2013, Elmazaj, Rv. 256568).

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 16/10/2018) 16-11-2018, n. 52013

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - rel. Consigliere -

Dott. SCALIA Laura - Consigliere -

Dott. CORBO Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.E., nato a (OMISSIS);

avverso la ordinanza del 07/09/2018 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CALVANESE Ersilia;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza limitatamente alle esigenze cautelari;

udito il difensore, avv. VIGLIONE Fabio, che hanno concluso insistendo nei motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Presidente della Corte di appello applicava al cittadino italiano A.E. la misura cautelare della custodia in carcere, all'esito della convalida del suo arresto provvisorio al fine di consegna alle autorità giudiziarie tedesche, richiesta con mandato di arresto europeo esecutivo.

L'ordinanza evidenziava che l'arrestato non aveva consentito alla sua consegna e che aveva già avviato il procedimento per poter scontare in Italia la pena oggetto del m.a.e. (anni tre e mesi quattro di reclusione, ai quali andavano detratti 229 giorni già espiati), inflittagli per i reati di rapina, estorsione, favoreggiamento traffico di stupefacenti, violazione delle norme sugli stupefacenti, intralcio alla giustizia.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Violazione di legge, in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 5-bis, e art. 12, comma 1-bis.

In sede di arresto, il ricorrente non sarebbe stato reso edotto, come prescrivono le citate norme, della facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione.

L'ordinanza impugnata erroneamente avrebbe ritenuto tale adempimento applicabile solo in sede di esecuzione della misura cautelare, laddove invece l'art. 12 lo richiama espressamente anche per la fase dell'arresto provvisorio ad opera della p.g.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la violazione delle suddette norme verrebbe a determinare una nullità generale a regime intermedio.

2.2. Violazione di legge, in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 12, commi 1 e 3.

Erroneamente risulterebbe rigettata altra eccezione sollevata innanzi al giudice della convalida, in ordine all'omessa informazione ad opera della p.g. che aveva proceduto all'arresto del ricorrente del "contenuto" del mandato.

L'ordinanza impugnata avrebbe invero ritenuto sufficiente la mera comunicazione della "natura" del provvedimento, ancorchè non ne sia stata allo stesso consegnata una copia.

2.3. Violazione di legge in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 9 e art. 125 c.p.p., art. 274 c.p.p., lett. b), e omessa motivazione.

L'ordinanza impugnata non avrebbe motivato in ordine alle esigenze cautelari e alla scelta della misura, applicando una sorta di automatismo e limitandosi a rinviare a non meglio precisate verifiche logistiche ed ambientali della situazione abitativa del ricorrente.

Il Giudice non avrebbe valutato tra l'altro che era stata documentata la presentazione da parte del ricorrente sin dal 4 settembre 2018 (ovvero prima dell'arresto) dell'istanza per il riconoscimento ed esecuzione della sentenza, oggetto del m.a.e., che dimostrava la volontà del predetto di sottoporsi volontariamente all'esecuzione del provvedimento.

3. La difesa in vista dell'udienza camerale ha depositato documentazione a sostegno del terzo motivo di ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

2. Il primo ed il secondo motivo non hanno fondamento.

2.1. La L. n. 69 del 2005, art. 12 prevede una serie di adempimenti informativi che la polizia giudiziaria è tenuta ad effettuare in favore della persona ricercata, una volta arrestata ai fini della procedura del mandato di arresto europeo.

Al fine di assicurare il puntuale assolvimento da parte della polizia giudiziaria della comunicazione di quelle informazioni essenziali per la predisposizione di un'immediata e efficace difesa (quali, segnatamente, l'esistenza e il contenuto del m.a.e.; la possibilità di acconsentire alla consegna; la facoltà di nominare un difensore di fiducia; il diritto di essere assistito da un interprete), l'art. 12, comma 3, L. cit. stabilisce che il verbale di arresto dia atto - a pena di nullità - di tali adempimenti.

Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l'ipotesi di nullità si ricollega esclusivamente alla completezza del verbale, posto che esso è l'unico atto da cui poter desumere in maniera obiettiva che gli adempimenti siano stati posti in essere (Sez. 6, n. 22716 del 27/04/2007, Novakov, Rv. 237082).

Va osservato che la scelta del legislatore di sanzionare espressamente il mancato adempimento dei suddetti doveri informativi si discosta da quella seguita dal codice di rito in caso di arresto in flagranza o di fermo.

La interpolazione del testo dell'art. 386, ad opera del D.Lgs. n. 101 del 2014, che ha attuato la direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, se ha invero rafforzato gli obblighi informativi a favore della persona in vinculis, a seguito di fermo o arresto, con la previsione di una comunicazione in forma scritta, ricognitiva dei diritti e delle facoltà riconosciutele, ha confermato la pacifica linea interpretativa che dall'omissione degli adempimenti iniziali ad opera della p.g. non derivi alcuna sanzione processuale.

L'art. 391 c.p.p., comma 2, stabilisce che il giudice, in sede di convalida, sia tenuto a verificare, anche d'ufficio, l'espletamento delle previste comunicazioni ed informazioni e "a provvedere, se del caso, a dare o a completare" le stesse all'arrestato, così autorizzandone espressamente lo "slittamento" sino all'udienza di convalida.

Come si evince dalla Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo ora citato, nel meccanismo informativo previsto dalla novella codicistica, solo qualora il giudice in sede di verifica non provveda, se necessario, a fornire o completare la comunicazione o l'informazione dovuta, tale omissione verrebbe a determinare una menomazione dei diritti della difesa, integrando una nullità di ordine generale (artt. 178 e 180 cod. proc. pen.), sotto il profilo del mancato intervento dell'imputato (che riguarda tutte le attività in cui si sostanzia l'autodifesa dell'imputato, tra le quali rientra anche il diritto a essere informato sui diritti di difesa).

La giurisprudenza di legittimità, nell'applicare la suddetta novella del codice di rito, ha a sua volta ritenuto che l'adempimento da parte del giudice, preliminare all'interrogatorio, venga ad operare una ricognizione del diritto d'informazione, così da assicurare la piena informazione dell'indagato dei diritti che gli competono, sanando le eventuali omissioni iniziali (Sez. 4, n. 27033 del 26/05/2015, Martella, non mass.; Sez. 5, n. 1022 del 30/11/2017, Januskevicius, non mass.).

2.2. Accanto alle comunicazioni sopra richiamate, il D.Lgs. 15 settembre 2016, n. 184, aggiungendo nell'art. 12 cit. il comma 1-bis, ha previsto che la polizia giudiziaria informi altresì la persona arrestata che ha facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione.

La previsione dà attuazione alla direttiva 2013/48/UE relativa "al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le Autorità consolari", che ha inteso dettare una disciplina comune agli Stati membri quanto alle facoltà difensive da riconoscere a favore della persona sottoposta alla procedura di consegna, al fine di consentire che la stessa sia posta in grado di "esercitare in modo effettivo i propri diritti ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI" (considerandum n. 42).

Tra le facoltà riconosciute alla persona richiesta in consegna, privata della libertà personale, vi è anche quella della nomina di un difensore nello Stato di emissione, affinchè questo possa "assistere il difensore nello Stato membro di esecuzione, fornendogli informazioni e consulenza ai fini dell'effettivo esercizio dei diritti delle persone ricercate di cui alla decisione quadro 2002/584/GAI" (art. 10, par. 4). Il difensore verrebbe quindi ad assolvere ad mera funzione di ausilio al difensore dello Stato di esecuzione, fornendo informazioni (sia relative al procedimento instaurato nello Stato di emissione sia attinenti alla legislazione di tale Stato) utili per contrastare la pretesa della consegna (così da far valere quei motivi di rifiuto connessi con il procedimento "a monte"), ovvero per meglio far ponderare la scelta di acconsentire o meno alla consegna.

La stessa direttiva ha stabilito che di tale facoltà sia informata la persona ricercata "senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale" (art. 10, par. 4). Il ricorso a tale formula da parte del Legislatore europeo, in luogo del testo originario della proposta della Commissione ("prontamente al momento dell'arresto"), sembra autorizzare, come evidenziato dalla dottrina, informazioni non necessariamente immediate dopo l'arresto.

Quanto ai rimedi predisposti dalla direttiva per reagire alle eventuali violazioni, va evidenziato che l'art. 12 di quest'ultima si limita a stabilire che gli Stati membri prevedevano, nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, mezzi di ricorso che assicurino in modo "effettivo" il rispetto della garanzia affermata (il testo definitivo della direttiva ha peraltro espunto significativamente la previsione di mezzi che assicurassero all'accusato una vera e propria reductio in pristino).

Orbene, il legislatore delegato, nel dare attuazione alla ora citata direttiva, non ha previsto che all'omesso adempimento di tale comunicazione (e quindi la mancanza di ogni riferimento nel verbale di arresto del suddetto adempimento) consegua la sanzione della nullità (del verbale), stante il chiaro tenore dell'art. 12, comma 3, cit., che non richiama i doveri informativi di cui al comma 1-bis cit..

Nel silenzio della norma nazionale, deve stabilirsi quale siano le conseguenze derivanti da tale omissione.

Va segnalato che un analogo adempimento è stato introdotto dal citato D.Lgs. n. 184 del 2016 anche all'atto della esecuzione da parte della p.g. della ordinanza cautelare emessa nell'ambito della procedura di consegna (L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 5-bis). Anche in tal caso, la novella non ha previsto alcuna sanzione processuale in caso di violazione dei doveri informativi.

Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur in assenza di una espressa sanzione processuale prevista dalle citate norme, l'omesso avviso alla persona della quale è chiesta la consegna della facoltà di nominare un difensore nello Stato che ha emesso il mandato, concernendo l'assistenza dell'arrestato e compromettendone l'assistenza legale, determina una nullità generale a regime intermedio, che deve essere eccepita in caso di arresto di p.g. non oltre l'udienza di convalida dell'arresto (Sez. 6, n. 51289 del 06/11/2017, Marinkovic, Rv. 271501; Sez. 6, n. 24301 del 09/05/2017, U, Rv. 270377; Sez. 6, n. 4128 del 25/01/2017, Hudorovich, non mass.).

La Suprema Corte ha peraltro affermato il suddetto principio, senza specifiche argomentazioni, al solo fine di escludere la sussistenza nei casi esaminati della nullità, in quanto non dedotta dall'arrestato nei termini sopra indicati.

Ritiene il Collegio che la questione debba essere risolta secondo un diverso approccio.

In primo luogo, deve escludersi che la lacuna normativa sia il frutto di un difetto di coordinamento tra la novella dell'art. 12 e il comma 3 della medesima disposizione, posto che il legislatore delegato non ha previsto alcuna sanzione neppure per l'analoga comunicazione prevista dall'art. 9 cit..

Va invece evidenziato, come è dato ricavare dalla Relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo, che il legislatore delegato ha ritenuto che la gran parte delle garanzie difensive previste dalla direttiva 2013/48/UE per le persone ricercate per l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo trovasse già attuazione nella normativa nazionale, anche grazie al rinvio, previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 39, alle norme del codice di rito.

Ciò consente di concludere che sia stato ritenuto sufficiente dal legislatore per la particolare informazione costituita dall'avviso della facoltà di nominare un difensore anche nello Stato membro di emissione il meccanismo "integrativo" disegnato dal codice nell'art. 391 c.p.p., comma 2, e art. 294 c.p.p., comma 1-bis, rispettivamente per la fase dell'arresto e per quella dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare.

Come in precedenza evidenziato, la direttiva 2013/48/UE, tra l'altro, non ha stabilito termini cogenti per lo Stato di esecuzione per la comunicazione della facoltà della nomina di un difensore anche nello Stato di emissione, così non escludendo modelli informativi nazionali che prevedano che la stessa possa essere fornita dal giudice in sede di convalida (o di interrogatorio).

Esaminato il motivo di ricorso sulla base di quanto premesso, va rilevato che non solo il giudice della convalida ha provveduto a fornire al ricorrente la suddetta informazione, ma che lo stesso ricorrente ha in quella sede espressamente dichiarato di non voler nominare un difensore nello Stato di emissione, così escludendo in radice un concreto e reale pregiudizio alle prerogative defensionali, patito in conseguenza della omessa iniziale comunicazione.

2.3. Quanto all'altra informazione che si assume omessa, deve osservarsi che il verbale di arresto ha sostanzialmente dato atto dell'avvenuta informazione fornita al ricorrente in ordine al mandato di arresto e al suo contenuto.

Come già affermato da questa Corte, deve ritenersi sufficiente nella fase dell'arresto una prima informazione - quanto al contenuto del m.a.e. - anche non dettagliatissima, dovendo il diritto di difesa trovare la sua piena esplicazione - come avvenuto nel caso in esame - davanti al giudice della convalida (Sez. 6, n. 22716 del 27/04/2007, Novakov, Rv. 237082).

3. E' fondato invece l'ultimo motivo.

Va rammentato che il ricorso per cassazione, esperibile avverso i provvedimenti relativi a misure cautelari personali nella procedura passiva del mandato di arresto europeo, a norma della L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 7, e art. 719 cod. proc. pen., è consentito solo per denunciare la violazione di legge e può pertanto essere proposto per l'inesistenza della motivazione o per la presenza di una motivazione solo apparente, ma non per mero vizio logico della stessa (Sez. 6, n. 10906 del 06/03/2013, Radosavljevic, Rv. 254418).

Nella specie, l'applicazione della misura cautelare appare sfornita di valida motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sulla scelta della misura applicata.

L'obbligo di motivazione in ordine al pericolo di fuga, che legittima l'emissione della misura cautelare ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 9, deve infatti assumere connotati di concretezza ed essere argomentato su un ragionevole giudizio prognostico, mediante l'indicazione di circostanze sintomatiche, specifiche e rivelatrici di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte della persona richiesta (Sez. 6, n. 27357 del 19/06/2013, Elmazaj, Rv. 256568).

Nel caso in esame, l'ordinanza impugnata ha invece dato per scontata la scelta del ricorrente di rendersi irreperibile per sottrarsi alla esecuzione della pena inflittagli ("la opzione della latitanza") e ha ritenuto imprescindibile, senza alcuna argomentazione, il ricorso alla misura cautelare carceraria, non considerando tra l'altro la circostanza della pregressa presentazione della istanza per l'esecuzione nello Stato della sentenza, oggetto del m.a.e..

4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, la ordinanza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Roma, affinchè provveda a colmare le su indicate lacune motivazionali, uniformandosi al quadro dei principii di diritto in questa sede statuiti.

Per il resto il ricorso va rigettato.

La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018