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Imputato alloglotta, citazione in appello va tradotta? (Cass. 9900/25)

12 marzo 2025, Cassazione penale

Rimessa alle sezioni unite la questione duplice:
(a) se il decreto di citazione per il giudizio di appello dell'imputato che non conosca la lingua italiana debba essere obbligatoriamente tradotto nella lingua del destinatario, conseguendo alla omessa traduzione una nullità di ordine generale a regime intermedio.

(b) Se la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporti solo lo slittamento del termine per impugnare in capo all'imputato ovvero integri una nullità generale a regime intermedio.

Corte di Cassazione 

sez. II, ud. 14 febbraio 2025 (dep. 11 marzo 2025), n. 9900
Presidente D'Agostini - Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Firenze, decidendo con le forme del rito abbreviato, confermava la condanna di N.M. e S.B.N., per i reati di rapina impropria e lesioni. Si contestava agli stessi di avere scaraventato a terra la persona offesa cagionandole lesioni al ginocchio, giudicate guaribili in cinque giorni, e sfilandole dal collo un monile d'argento del valore di circa trecentocinquanta euro.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di N.M., che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 143 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione: con motivi nuovi, tempestivamente depositati, il ricorrente aveva dedotto la nullità della sentenza di primo grado perché non era stata tradotta in inglese, lingua nota all'imputato; con gli stessi motivi era stato eccepito che non era stato tradotto in inglese il decreto di citazione a giudizio in appello; pertanto, sarebbe stato violato il diritto del ricorrente alla partecipazione consapevole al processo;

2.2. violazione di legge (artt. 628, 582,585 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per i reati contestati: la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente, in quanto non avrebbe tenuto conto delle specifiche deduzioni proposte con l'atto di appello in ordine (a) alle contraddizioni nella progressione dichiarativa della persona offesa, (b) alle discrasie tra le dichiarazioni della persona offesa e quelle del Catania, testimone oculare, (c) al fatto che il referto medico relativo alle lesioni avrebbe attestato che il trauma al ginocchio sarebbe preesistente alla presunta aggressione;

2.3. violazione di legge (artt. 581 cod. proc. pen., 582 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della condotta: dagli atti non risulterebbe che la collana fosse stata sottratta con un'azione violenta, dato che la persona offesa non aveva riportato sul collo i segni dello strappo e che il monile non risultava danneggiato; inoltre la contusione rilevata dal referto sarebbe riferibile ad un trauma pregresso, mentre la caduta, correlata all'aggressione, avrebbe determinato solo un ulteriore "dolore", che sarebbe indicativo del reato di "percosse", ma non di quello di "lesioni";

2.4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62 n. 4) cod. pen. e di quel la introdotta dalla sentenza n. 86 del 2024 della Corte costituzionale: il valore esiguo della collana, anche se valutato per la concessione delle attenuanti generiche, avrebbe dovuto essere preso in considerazione anche per valutare il riconoscimento delle altre attenuanti invocate.

2.5. Le doglianze proposte con il ricorso venivano ribadite con motivi nuovi, presentati tempestivamente il 24 settembre 2024.

3. Ricorreva per Cassazione anche il difensore di S.B.N., che deduceva:

3.1. violazione legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen.: la minima entità della partecipazione non sarebbe stata riconosciuta, nonostante la persona offesa non avesse specificato quale fosse stata la condotta del ricorrente e nonostante la collana sottratta fosse stata rinvenuta nella disponibilità di N.M.; tali emergenze rafforzerebbero la credibilità della versione fornita dal ricorrente circa il minimo contributo fornito all'azione delittuosa;

3.2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante prevista dall'art. 62 n. 4) cod. pen.: non sarebbe stato considerato il modesto valore del bene sottratto;

3.3. violazione di legge (art. 62-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione, doverosa tenuto conto dello stato di incensuratezza e del contesto sociale contenitivo in cui il ricorrente era inserito,

Considerato in diritto

1. Il collegio ritiene che la risoluzione dei contrasti interpretativi emersi in relazione alle deduzioni proposte con il primo motivo di ricorso di N.M. sia decisiva, e, che, pertanto, debbano essere rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

(a) se il decreto di citazione per il giudizio di appello dell'imputato che non conosca la lingua italiana debba essere obbligatoriamente tradotto nella lingua del destinatario, conseguendo alla omessa traduzione una nullità di ordine generale a regime intermedio;

(b) se la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporti solo lo slittamento del termine per impugnare in capo all'imputato ovvero integri una nullità generale a regime intermedio.

2. Quanto alla prima questione, relativa alle conseguenze della mancata traduzione del decreto di citazione a giudizio in appello in lingua nota all'imputato, nella giurisprudenza di legittimità si registrano due orientamenti.

2.1. Secondo alcune pronunce, l'omessa traduzione integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, posto che l'obbligo di traduzione degli atti, previsto dall'art. 143 cod. proc. pen., non è diretto solo ad informare l'imputato dell'accusa a suo carico, ma è anche, e soprattutto, funzionale a garantire l'effettività della sua partecipazione al procedimento, anche in fase di appello, oltre che l'esplicazione della difesa in forma diretta e personale (Sez. 6, n. 3993 del 30/11/2023, dep. 2024, Dabo, Rv. 286113 - 01; Sez. 5, n. 20035 dell'01/03/2023, Vacariu, Rv. 284515; Sez. 6, n. 44421 del 22/10/2015, Amoha, Rv. 265026 - 01; conf., sia pur con riferimento al previgente tenore dell'art. 143 cod. proc. pen., Sez.4, n. 14174 del 28/10/2005, Kajtazi, Rv. 233948; Sez. 6, n. 44421 del 22/10/2015, Amoha, Rv. 265026).

In linea con tale indirizzo interpretativo si è affermato che l'obbligo di traduzione degli atti in favore dell'imputato alloglotto, non irreperibile né latitante, sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., anche nel caso in cui lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di tradurli (Sez. 1, n. 28562 dell'08/03/2022, Ali, Rv. 283355).

Secondo tale orientamento, il fatto che il secondo comma dell'art. 143 cod. proc. pen. preveda la traduzione scritta negli "stessi casi" indicati dal primo comma non ha la funzione di contrarre l'obbligo di traduzione ai soli atti diretti ad informare l'imputato dell'"accusa" mossa a suo carico, dato che tale incipit ha solo la funzione di richiamare la condizione della traduzione, ovvero la "mancata conoscenza della lingua italiana".

L'obbligo di traduzione riguarda, dunque, tutti gli atti indicati dal secondo comma dell'art. 143 cod. proc. pen., tra i quali vi sono atti - come le informazioni di garanzia e le informazioni sul diritto di difesa - che non contengono la formulazione dell'accusa; ed atti, come le sentenze, che sono emessi quando l'imputato è già stato informato dell'accusa e che, dunque, non hanno la specifica funzione di informare l'imputato dell'imputazione elevata contro di lui.

Pertanto, la previsione contenuta all'art. 143, comma 1, cod. proc. pen. non circoscrive la finalità della traduzione all'esigenza di consentire all'imputato la conoscenza dell'accusa, ma è, più in generale, diretta a garantire la sua partecipazione consapevole al processo. Peraltro, anche la lettera di tale comma individua espressamente come fine della traduzione, non solo quello di comprendere l'accusa, ma anche quello - più generale e diffuso - di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze.

Ne consegue che la traduzione degli "atti di impulso processuale", tra i quali si colloca il decreto di citazione a giudizio in appello, è indispensabile per garantire la consapevole partecipazione al procedimento, a prescindere dal fatto che gli stessi contengano un preciso riferimento all'accusa.

Tale interpretazione, in punto di inquadramento del vizio da mancata traduzione come nullità generale a regime intermedio, conferma sia quanto affermato in epoca risalente dalle Sezioni Unite "Jakani", secondo cui la mancata traduzione nella lingua dell'imputato alloglotto del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 143 cod. proc. pen. come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio, la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza, e che resta sanata dalla comparizione della parte (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216259 - 01), sia quanto ritenuto, in epoca più recente, con riferimento all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare, dalle Sezioni Unite "Niecko", che hanno ribadito l'inquadramento del vizio da omessa traduzione come nullità generale a regime intermedio (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356 - 01).

2.2. Secondo altro orientamento, l'avviso di fissazione dell'udienza nel giudizio di appello non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario, quando questi sia uno straniero che non conosce la lingua italiana, non contenendo il suddetto avviso alcun elemento di accusa, ma solo la data dell'udienza fissata per l'esame del gravame proposto dallo stesso imputato o dal suo difensore (Sez. 2, n. 20394 del 07/04/2022, Riyad, Rv. 283227; Sez.6, n. 46967 del 04/11/2021, Muhammad, Rv. 282388; Sez. 5, n. 32251 del 26/01/2015, Ali Gabre, Rv. 265301).

Secondo tale interpretazione, è decisivo il fatto che il decreto di citazione per il "giudizio di appello", diversamente dal decreto che dispone il "giudizio di primo grado", contiene solo i requisiti funzionali all'individuazione dell'imputato, del procedimento e della data di trattazione del giudizio di appello, ma non contiene alcun elemento relativo all'accusa, che è a lui già nota.

Inoltre, il diritto dell'imputato di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa viene assicurato dall'assistenza dell'interprete: da ciò consegue che il decreto di citazione per il giudizio di appello non deve essere obbligatoriamente tradotto nella lingua del destinatario. Si precisa che «tale conclusione non si pone in contrasto con il diritto a un processo equo sancito dall'art. 6 CEDU, atteso che tale disposizione, alla lett. a) del comma 3, stabilisce il diritto dell'accusato a essere informato, in una lingua che comprende, dell'accusa elevata contro di lui; accusa che, come si è detto, esula dal contenuto del decreto di citazione per il giudizio di appello» (Sez. 6, n. 46967 del 04/11/2021, cit.).

2.3. Gli opposti orientamenti, come descritto, si fondano sulla diversa interpretazione della rilevanza, ai fini dell'effettivo esercizio delle prerogative processuali riservate all'imputato, delle informazioni contenute nel decreto di citazione a giudizio in appello.

L'interpretazione che esclude che l'"omessa traduzione" generi una violazione del diritto di difesa, con una conseguente nullità generale a regime intermedio, valuta non decisive le informazioni contenute nel decreto per l'esercizio effettivo del diritto di difesa ed afferma che il diritto alla consapevole partecipazione sia, comunque, garantito dall'assistenza dell'interprete in udienza. Secondo tale indirizzo, pertanto, la traduzione è obbligatoria solo per gli atti che contengono informazioni in ordine all'accusa, sicché non riguarda il decreto di citazione a giudizio in appello.

Di contro, secondo l'orientamento che ritiene che all'omessa traduzione consegua una nullità generale a regime intermedio è decisiva la funzione informativa e propulsiva del decreto, la cui conoscenza in lingua nota all'imputato garantisce l'effettività del suo diritto di partecipazione al giudizio di secondo grado e tutela le sue prerogative difensive.

Con riguardo al controverso tema della rilevanza a fini difensivi delle informazioni contenute nel decreto, corre l'obbligo di segnalare che la riforma c.d. "Cartabia" ha arricchito il contenuto del decreto di citazione a giudizio in appello. Questo deve ora somministrare anche gli avvisi in ordine alla possibilità di accesso alla giustizia riparativa (art. 601, comma 3, cod. proc. pen., che richiama l'art. 429, comma d-bis), cod. proc. pen.): non può non rilevarsi, rispetto a tale novità, che, ove la possibilità di accesso alla giustizia riparativa non sia segnalata all'imputato nella lingua da lui compresa, si profila una ulteriore (ed inedita, prima della riforma) limitazione delle sue prerogative processuali.

2.4. Nel caso in esame, benché fosse noto alla Corte di appello che N.M. non conoscesse la lingua italiana (come risulta, tra l'altro, dall'intestazione della sentenza di appello), il decreto di citazione a giudizio in appello, emesso nel vigore della riforma c.d. "Cartabia", non risulta essere stato tradotto.

Il difensore del ricorrente, alla prima occasione utile successiva alla notifica del decreto di citazione a giudizio, dunque con i motivi nuovi, deduceva la nullità. L'eccezione veniva ribadita con le conclusioni scritte.

La Corte di appello, nonostante la tempestività e specificità dell'eccezione, non l'ha esaminata.

Il Collegio rileva che aderire all'uno piuttosto che all'altro degli orientamenti segnalati, e ritenere, cioè, che l'omessa traduzione del decreto citazione a giudizio in appello in lingua nota all'imputato generi, o meno, una nullità, è questione decisiva, che suggerisce la necessità della rimessione della questione al vaglio delle Sezioni Unite.

3. Anche in relazione alle conseguenze derivanti dalla omessa traduzione della sentenza emessa in sede di cognizione, si registrano - nonostante l'intervento delle Sezioni Unite nel caso "Niecko" - orientamenti interpretativi divergenti.

3.1. Le Sezioni Unite hanno ampiamente valorizzato la matrice costituzionale e convenzionale del diritto alla traduzione, richiamando la sentenza n. 10 del 1993 della Corte costituzionale secondo cui l'obbligo di traduzione trova il suo fondamento sistematico nell'art. 24, secondo comma, Cost., che assicura la difesa come «diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», prefigurando un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile dall'imputato o dall'indagato alloglotto (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, § 4).

È stato conseguentemente affermato che l'ordinanza di custodia emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotto, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, in caso di mancata traduzione, è affetta da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non sia emerso che l'indagato o imputato alloglotto non conosca la lingua italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, circostanza che genera l'obbligo di traduzione del provvedimento in un "congruo termine", la cui violazione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, dunque anche dell'ordinanza di custodia cautelare (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356 - 01).

Quanto all'inquadramento della nullità è stato affermato che «il vizio derivante dalla mancata traduzione dell'ordinanza cautelare, laddove la circostanza che l'arrestato non conosce la lingua italiana emerga prima dell'adozione del provvedimento, non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, riguardando un'ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve «essere eccepita con l'impugnazione dell'ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità» (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, § 6.1.). Ed è stato precisato che, anche nel caso in cui la mancata conoscenza della lingua italiana venga accertata dopo l'adozione dell'ordinanza cautelare, il vizio generato dalla omessa traduzione non è l'"inefficacia", ma la "nullità generale a regime intermedio", sottoposta agli ordinari termini di deducibilità e decadenza (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, § 6.2.).

3.2. Le Sezioni Unite "Niecko" hanno espressamente valorizzato la necessità che l'eccezione di nullità sia supportata da un "concreto interesse processuale".

Si è infatti affermato che l'interesse a dedurre la nullità sussiste soltanto se l'indagato alloglotto abbia allegato di avere subito, un pregiudizio e che «sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Senneca, Rv. 211870 - 01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell'atto, laddove «sia solo l'imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto». Secondo le Sezioni Unite si tratta «di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinai, Rv. 251693 - 01, secondo cui tale nozione deve essere ricostruita «in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo» (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, § 7).

Nello stesso senso è stato, successivamente, deciso che l'imputato alloglotto, che si dolga dell'omessa traduzione della sentenza, ha l'onere, in coerenza con la natura generale a regime intermedio della nullità che nella specie viene in rilievo, di indicare l'esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (Sez. 1, n. 44251 del 16/10/2024, Pllumaj, Rv. 287282 - 01).

Corre l'obbligo di segnalare che anche tale approdo ermeneutico non è unanimemente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità.

Successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite è stato infatti affermato che l'imputato che non ha ancora preso cognizione del contenuto del provvedimento «non è in grado di rappresentare correttamente al difensore le ragioni del pregiudizio eventualmente subito, né il difensore potrebbe sostituirlo in tale valutazione, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegarne compiutamente i motivi, allorquando abbia avuto la possibilità di esaminare il provvedimento, in ipotesi lesivo, e prenderne piena conoscenza nella lingua a lui nota [...] E che, in virtù della «presunzione ope legis della necessità della traduzione, non è neppure richiesto che l'imputato eccepisca l'esistenza di un concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative, poiché esso in realtà è già presente e permane fino all'adempimento dell'obbligo di traduzione. L'imputato che non ha ancora preso cognizione del contenuto del provvedimento, infatti, non è in grado di rappresentare correttamente al difensore le ragioni del pregiudizio eventualmente subito, né il difensore potrebbe sostituirlo in tale valutazione, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegarne compiutamente i motivi, allorquando abbia avuto la possibilità di esaminare il provvedimento, in ipotesi lesivo, e prenderne piena conoscenza nella lingua a lui nota» (così in motivazione, Sez. 6, n. 3993 del 30/11/2023, dep. 2024, Dabo, Rv. 286113 - 02, § 3.1., condivisa da Sez. 6, n. 20679 del 02/05/2024, S., Rv. 286480 - 01, in motivazione, § 2).

3.3, Successivamente all'Intervento delle Sezioni Unite "Niecko" - che, si ripete, ha riguardato il caso della omessa traduzione della "ordinanza" cautelare - si sono registrati diversi indirizzi interpretativi in ordine agli effetti della omessa traduzione della "sentenza" emessa in sede di cognizione.

Si precisa, in via preliminare, che la questione involge la mancata traduzione sia delle sentenze di primo grado che di quelle di appello, nulla rilevando il fatto che il ricorso per cassazione non possa essere proposto personalmente. È principio condiviso, infatti, che deve essere tenuta distinta la legittimazione a proporre il ricorso dalle modalità della sua proposizione, attenendo, la prima, alla titolarità sostanziale del diritto all'impugnazione e, la seconda, al suo concreto esercizio, per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010 - 01). Inoltre, si è ritenuto, condivisibilmente, che l'obbligo di traduzione trova applicazione anche con riguardo alle sentenze della Corte di cassazione nei casi in cui non concludano il processo e non facciano venir meno la qualità di imputato cui è correlata l'esigenza di comprensione dell'accusa e di esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 30805 del 15/01/2024, Medicina, Rv. 286870 - 02).

3.3.1. Secondo uno degli indirizzi, la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotto, che non conosce la lingua italiana, "non" integra un'ipotesi di "nullità". Tuttavia "se vi sia stata specifica richiesta della traduzione", tale omissione genera lo slittamento dei termini per impugnare nei confronti dell'imputato, che decorreranno dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota (Sez. 6, n. 24730 del 13/03/2024, I., Rv. 286667 - 01).

Nel caso oggetto di questa decisione la Corte di appello aveva pronunciato una ordinanza con la quale aveva ritenuto inammissibile l'impugnazione con la quale era stata contestata l'omessa traduzione della sentenza di primo grado. La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha censurato la decisione di inammissibilità, ritenendo che la omessa traduzione della sentenza non avesse determinato alcuna nullità, ma la sua "inefficacia", generando

10 slittamento del decorso dei termini per impugnare; ed ha quindi ritenuto che la Corte di appello avrebbe dovuto: a) riqualificare lo stesso petitum quale richiesta di inefficacia della sentenza, disponendone la traduzione; b) convertire l'appello (ammissibile) in una richiesta di restituzione del termine ai sensi dell'art. 175 cod. proc. pen., disponendo, al contempo e comunque, la traduzione della sentenza. In conclusione, la Cassazione ha annullato l'ordinanza di inammissibilità ed ha revocato la dichiarazione di esecutività della sentenza di primo grado.

Nello stesso senso si è affermato che all'omessa traduzione della sentenza, disposta dal giudice, ma non effettuata, consegue il "mancato decorso dei termini" per l'impugnazione proponibile dall'imputato, senza alcun onere a carico di quest'ultimo di assumere iniziative finalizzate a far cessare l'inerzia dell'amministrazione (Sez. 1, n. 29253 del 04/06/2024, Jallow, Rv. 286610 - 01).

In questo caso la Cassazione, decidendo in un procedimento di "esecuzione", ha annullato l'ordinanza che aveva rigettato la richiesta dell'imputato alloglotto di dichiarare "non esecutiva" una sentenza di condanna non tradotta (il giudice dell'esecuzione aveva ritenuto che l'imputato, allo spirare dei termini per impugnare, avrebbe dovuto, tempestivamente, avanzare istanza ex art. 175 cod. proc. pen.).

Accogliendo il ricorso la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui l'omessa traduzione della sentenza emessa nei confronti di un imputato alloglotto non costituisce nullità della stessa, ma comporta il mancato decorso del termine per la presentazione dell'appello, decorso che può iniziare solo dopo la comunicazione del testo tradotto, senza alcun onere per l'imputato di sollecitare tale adempimento o di assumere qualunque iniziativa finalizzata a far cessare l'inerzia dell'amministrazione (§ 6 Sez. 1, n. 29253 del 04/06/2024, cit.).

3.3.2 Di contro, si è affermato che l'omessa traduzione della sentenza di appello all'imputato alloglotto che non comprende la lingua italiana integra una nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen,, in quanto viola diritto di difesa funzionale all'esercizio consapevole dell'impugnazione di legittimità, il cui termine di decorrenza rimane conseguentemente sospeso fino alla notifica all'interessato della sentenza tradotta in lingua a lui nota.

La Corte ha ritenuto che l'obbligo di traduzione sussiste ogniqualvolta emerga la mancata conoscenza in capo all'imputato della lingua italiana, "anche in assenza di una sua richiesta in tal senso" (Sez. 6, n. 20679 del 02/05/2024, S., Rv. 286480 - 01). Ed ha affermato che «anche in relazione alla sentenza di appello ed alla sua mancata traduzione, debba darsi continuità al principio affermato, da ultimo, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, secondo cui «la mancata traduzione, in relazione all'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., integra una ipotesi di nullità a regime intermedio (art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.)», nullità che, nel caso della sentenza, va correlata al diritto di impugnazione la cui decorrenza, pertanto, resta sospesa a favore dell'imputato fino al perfezionamento della procedura di traduzione e notifica dell'atto, adempimento necessario in modo da rendere concreto il riconoscimento del diritto all'assistenza linguistica previsto dall'art. 143 cit.». Ed ha chiarito, con riguardo alle conseguenze della mancata traduzione, che l'affermazione che la mancata traduzione non integra un'ipotesi di nullità della sentenza, ma comporta un mero slittamento dei termini per impugnare (così, ex multis, Sez. 6, n. 40556 cit.) non è più sostenibile dopo la pronuncia delle Sezioni Unite che, «sebbene riferita all'ordinanza cautelare, ha individuato il fondamento della garanzia di traduzione dell'imputato e dell'indagato alloglotto nel diritto di difesa di cui agli artt. 24, secondo comma, Cost. e 6, par. 3, lett. a), CEDU e la correlativa sanzione, pur in mancanza di una espressa previsione nella disposizione di cui all'art. 143 cod. proc. pen., in quella della nullità a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in linea con un risalente indirizzo giurisprudenziale (S.U. n. 5052 del 24/09/2003, dep.2004, Zalagaitis, Rv. 226717» (Sez. 6, n. 20679 del 02/05/2024, cit.).

In conclusione, la Corte di cassazione, qualificando il vizio come nullità generale a regime intermedio, ha "annullato la sentenza impugnata limitatamente alla mancata traduzione".

3.4. Dunque, quanto agli esiti della mancata traduzione della sentenza, emergono due indirizzi interpretativi: (a) da un lato, si ritiene che l'omessa traduzione generi una nullità generale a regime intermedio, deducibile, solo nel corso del procedimento di cognizione, sottoposta al regime di deducibilità e decadenza che emerge dal combinato disposto degli artt. 180 e 182 cod. proc. pen., (b) dall'altro, si ritiene che l'omessa traduzione produca solo lo slittamento del termine per impugnare e che - questione invero decisiva - tale omissione si riverberi sul perfezionamento del titolo esecutivo.

Il contrasto rilevato incide in maniera significativa sull'estensione del diritto alla • partecipazione consapevole dell'imputato alloglotto al processo: la qualificazione del vizio da omessa traduzione come nullità generale a regime intermedio implica, infatti, che lo stesso possa essere eccepito solo "durante il processo", nel rispetto dei termini, e con i limiti indicati dagli artt. 180 e 182 cod. proc. pen.; di contro se il vizio viene inquadrato come violazione di legge che genera lo slittamento (sine die) del termine per impugnare, lo stesso incide sulla perfezione del titolo esecutivo e può essere eccepito con l'incidente di esecuzione.

Infine deve essere segnalato che secondo alcune sentenze per riconoscere la violazione di legge che genera lo slittamento del termine per impugnare è necessaria la specifica "richiesta" di traduzione (Sez. 6, n. 24730 del 13/03/2024, I., cit.); tale richiesta, invece, non è ritenuta necessaria - in quanto l'obbligo di traduzione incombe sul giudice, che deve disporla ex officio - dall'indirizzo che ritiene che l'omessa traduzione generi una nullità (Sez. 6, n. 20679 del 02/05/2024, cit.): si tratta di una incongruenza interpretativa di rilievo, in quanto incide sulla definizione degli oneri della parte e del giudice in materia di tutela del diritto fondamentale dell'alloglotto alla partecipazione consapevole al processo.

3.5. Nel caso in esame la questione dell'omessa traduzione è stata dedotta per la prima volta con i motivi aggiunti.

È evidente che, se si inquadra il vizio da mancata traduzione come una "violazione di legge che produce lo slittamento dei termini per impugnare", la questione deve considerarsi dedotta tempestivamente, in quanto, secondo tale impostazione interpretativa, la stessa può essere dedotta financo in sede esecutiva, in quanto ridonda sulla perfezione del titolo. Lo "slittamento" che invera l'ultrattività del termine per impugnare, secondo tale tesi, non soggiace, dunque, ai termini di deducibilità e decadenza delle nullità generali a regime intermedio, né ai termini decadenziali che governano il regime delle impugnazioni, secondo cui i "motivi nuovi” a sostegno dell'impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, comma 4, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, comma 1, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259 - 01).

La qualificazione della lesione del diritto di difesa derivante dalla omessa traduzione della sentenza (a) come violazione di legge, che genera l'inefficacia della sentenza e lo slittamento dei termini di impugnazione, piuttosto che (b) come nullità generale a regime intermedio soggetta allo statuto di tale vizio endoprocessuale, implica, dunque, una differente valutazione in ordine alla fondatezza del primo motivo di ricorso proposto da N.M., ed indica la necessità di rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite.

3.6. Al fine di giustificare la rilevanza della questione, corre l'obbligo di evidenziare che il Collegio condivide l'interpretazione secondo cui l'omessa traduzione genera uno stato di ignoranza in capo all'accusato il quale, non conoscendo il provvedimento in ipotesi impugnabile, non è posto nelle condizioni di allegare al suo difensore gli elementi di fatto a sua conoscenza utili per la difesa, sicché l'interesse a rilevare la nullità sussiste in re ipsa (v. supra § 3.2.). Tale interesse, peraltro, è tanto più evidente nei casi in cui - come quello in esame - l'impugnazione riguardi la sentenza di primo grado, che si presta ad essere impugnata "nel merito", attraverso l'allegazione di alternative ricostruzioni della condotta basate su una diversa valutazione delle prove.

4. Il Collegio ritiene pertanto, visto l'art. 618 cod. proc. pen., di rimettere alto scrutinio delle Sezioni Unite le seguenti questioni:

(a) se il decreto di citazione per il giudizio di appello dell'imputato che non conosca la lingua italiana debba essere obbligatoriamente tradotto nella lingua del destinatario, conseguendo alla omessa traduzione una nullità di ordine generale a regime intermedio.

(b) Se la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporti solo lo slittamento del termine per impugnare in capo all'imputato ovvero integri una nullità generale a regime intermedio.

P.Q.M.

Rimette i ricorsi alle Sezioni unite.