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Equilibrio psicologico compromesso per pressioni amorose, è stalking (Cass. 839/21)

12 gennaio 2021, Cassazione penale

Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente.

Ai fini della integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica.

Le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto.

I messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art.254 cod.proc.pen.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 20 ottobre 2020 – 12 gennaio 2021, n. 839
Presidente De Gregorio – Relatore Pezzullo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell'11 luglio 2019, la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 3 luglio 2017, di condanna di Za. Ca. alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di atti persecutori nei confronti della ex moglie, Pa. Gi., verso la quale infieriva con continui atti di violenza psicologica, alimentando in lei un continuo stato di pressione psicologica e prostrazione morale, facendola vivere in condizioni disagiate e pericolose e ingenerando il timore per l'incolumità propria, dei suoi cari ed amici, tra cui Sf. Gi., tanto da costringerla ad informarlo dei suoi spostamenti, a fare rientro a casa per non incorrere in più gravi conseguenze e a non intrattenere rapporti sociali, specie con soggetti di sesso maschile, nonché a non utilizzare il suo cellulare per evitare di essere contattata.

2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta, l'imputato, a mezzo del proprio difensore avv. AI, ha proposto ricorso affidato a due motivi, con i quali deduce:
2.1. con il primo motivo, la violazione dell'art 612 bis c.p., per essere la sentenza impugnata giunta a una pronuncia di condanna, in assenza di prova circa le condotte di atti persecutori e per avere la Corte d'appello omesso adeguata motivazione sul punto, limitandosi a confermare il giudizio di penale responsabilità dell'imputato desunto da valutazioni e supposizioni, anziché da prove certe; in particolare, con riguardo alle aggressioni attuate nel febbraio e nel novembre 2014 in danno di Sf. Gi., la Corte ha tratto argomenti di prova a carico dell'imputato da mere ipotesi e supposizioni insite nel suggestivo rilievo che il suddetto Sf. abbia voluto ridimensionare i fatti di cui era stato protagonista, laddove il risultato della relativa deposizione dibattimentale appare difforme dal senso attribuitogli in entrambe le pronunce di merito, non avendo il teste - il quale mai ha sporto denuncia per minaccia o per lesioni nei confronti dell'imputato - confermato in sede di esame dibattimentale di essere stato aggredito; analogo travisamento è avvenuto con riguardo alla seconda aggressione, sulla quale è stata omessa qualsivoglia valutazione di dati decisivi valevoli a dimostrare il contrario; il teste Fa. An., sentito non nel contraddittorio dibattimentale, ma in sede di indagini a sommarie informazioni testimoniali acquisite in atti, mai ha riferito di aver subito condotte minacciose o aggressive per mano dell'imputato; analogo vizio si coglie rispetto all'accusa di aver inseguito la vittima quasi quotidianamente, appostandosi in numerosissime occasioni per controllarla, atteso che la stessa nel corso del relativo esame ha escluso di essere stata mai seguita e pedinata; inesistente è anche la prova delle chiamate al cellulare che l'imputato avrebbe ripetutamente fatto alla vittima, risultando il contrario; in proposito, la Corte territoriale ometteva di considerare quanto si ricava dalla lettura dei tabulati telefonici che ben documentano le numerose telefonate inoltrate dalla Pa. verso l'utenza in uso allo Za.;
2.2. con il secondo motivo, la violazione dell'art 612 bis c.p., in relazione all'evento del reato, atteso che la Corte territoriale, con motivazione inadeguata e non sufficientemente chiara, riteneva sussistente il turbamento psicologico e l'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa, in difetto dell'evidenza di elementi sintomatici della loro sussistenza e causale riferibilità alla condotta dell'imputato; la prova veniva desunta, invece che da dati obiettivi, quali ad esempio la documentazione clinica, per un verso dalle dichiarazioni della madre della persona offesa, Ba. La., e, per altro verso, dal contenuto della serie di sms prodotti dalla persona offesa a corredo della relativa querela; tuttavia, le affermazioni della madre della persona offesa non contribuivano a dimostrare i fatti contestati all'imputato, tanto è vero che la teste non dichiarava di aver capito che la figlia non usciva perché aveva paura, ma in effetti riferiva solo di essere stata presente a telefonate fatte alla figlia, in cui la trovava nervosa e agitata; in particolare non risulta assodato che le telefonate riferite dalla Ba. provenissero proprio dall'imputato e non piuttosto da altri soggetti con i quali la figlia intratteneva rapporti e frequentazioni, volgenti al termine perché stava riallacciando i rapporti con l'imputato; quanto al dato di prova rappresentato dagli sms che la persona offesa produceva a corredo della querela, la Corte d'appello associava erroneamente alla persona offesa l'utenza telefonica sulla quale sarebbero giunti i messaggi riferiti all'imputato; la stampa dei messaggi prodotta a corredo della querela conteneva un'utenza telefonica diversa rispetto a quella riferita dalla persona offesa nel verbale di ratifica querela dalla stessa sottoscritta - che confermava di aver posseduto al tempo dei fatti e fino a qualche mese prima della relativa deposizione dibattimentale - sul quale nessun messaggio di quelli contestati risultava pervenuto; pertanto, i giudici di merito, ammettendo l'acquisizione dell'utilizzo del dato, violavano la regola che impediva di utilizzare le prove in violazione dei divieti; nel caso di specie - come insegnato dalla giurisprudenza in relazione alle conversazioni svoltesi su canali telematici whatsapp, del tutto assimilabili a quelli per cui è causa - sarebbe stato fondamentale controllare l'affidabilità della prova mediante l'esame diretto del supporto, per verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni, sia l'attendibilità di quanto da esse documentato, sul presupposto che la semplice trascrizione dei messaggi scambiati non ha valore probatorio e non può essere considerata affidabile.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

1. Le censure prospettate con entrambi i motivi di ricorso tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone). Le censure svolte, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione ex art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (rv 203767, 207944, 214794).

2. In particolare, per quanto concerne il primo motivo di ricorso l'imputato denuncia genericamente l'insussistenza di elementi di responsabilità a suo carico, laddove le sentenze di mento, senza illogicità, hanno posto a fondamento della condanna dello stesso le dichiarazioni della p.o. Pa. Gi..

Quest'ultima, in particolare, ha evidenziato come dopo l'omologazione dell'accordo di separazione ed un tentativo di riconciliazione, il marito avesse iniziato a tenere nei suoi confronti un comportamento assillante e ossessivo, inondandola di continui messaggi e telefonate, anche nel corso della notte, ora di contenuto sentimentale, ora di contenuto minaccioso, ora di contenuto inquisitorio, chiedendole conto dei suoi spostamenti e dei suoi incontri, intromettendosi nei suoi incontri con altre persone, come in occasione degli incontri con Sf. Gi. o con Fa. An., con lo scopo di impedirle di frequentare altri uomini.

2.1. Le dichiarazioni della p.o., dalle quali si ricava pienamente la ricorrenza del reato di atti persecutori a carico dell'imputato, sono state ritenute dai giudici di merito del tutto attendibili, avendo trovato, peraltro, riscontro nelle dichiarazioni della mamma della Pa., Ba. La., nelle dichiarazioni dello Sf. e del Fa. nei messaggi ricevuti sull'utenza in uso alla Pa. , provenienti dall'utenza dello Za..

2.2. Le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto (S.U., n. 41461 del 19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3, n.28913 del 03/05/2011, C, Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv.240524). Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n, 27322 del 2008, De Ritis; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, Zamberlan, Rv. 230899).

2.3. La circostanza poi che lo Sf. abbia tentato di ridimensionare l'accaduto è stato ritenuto senza illogicità nella sentenza impugnata non inficiante il dato saliente che fu lo Za., ponendo in essere una discussione animata con lo Sf. stesso recandosi sul posto dove la ex moglie e quest'ultimo si stavano incontrando. Del pari, per quanto concerne l'incontro con il Fa., la ricostruzione minimalista di quest'ultimo è stata ritenuta non inficiante il dato che fu l'imputato a recarsi dallo stesso per dissuaderlo dal proseguire i suoi incontri con la Pa..

3, Manifestamente infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di ricorso in merito all'evento del reato.

3.1. Sul punto deve rilevarsi come i giudici d'appello abbiano fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, Rv. 272086). Peraltro, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.) non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017, Rv. 270020).

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha evidenziato come la madre della p.o., Ba. La. abbia riferito del turbamento patito dalla figlia all'esito delle numerose telefonate ricevute dallo Za., nonché del drastico mutamento delle abitudini di vita della stessa nella gestione delle sue relazioni amicali e più in generale nella frequentazione dei luoghi pubblici.

3.2. Da tali dichiarazioni, oltre che da quelle provenienti dalla p.o. è dato ravvisare quantomeno l'evento dello stato d'ansia o del mutamento delle abitudini di vita, nonché il nesso causale tra i comportamenti dell'imputato e l'evento del mutamento delle abitudini di vita della Pa., in dipendenza della pressione psicologica sulla stessa esercitata dall'imputato.

Nel caso in esame, per vero, deve rilevarsi come i giudici di merito abbiano correttamente applicato i richiamati principi di legittimità, ricostruendo l'intera sequenza dei comportamenti dell'imputato e dando puntualmente conto della realizzazione di un evento di "danno", consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura (Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014, dep. 05/06/2014, Rv. 260083).

3.3. Per quanto concerne poi la valenza degli sms inviati dallo Za. alla p.o,, la Corte d'appello senza illogicità ha evidenziato la natura minacciosa di essi. Irrilevante in proposito risulta la circostanza dedotta dal ricorrente che il numero del telefono cellulare fornito dalla vittima alla P.G. in sede di querela fosse diverso da quello al quale sono stati inviati gli sms acquisiti agli atti. Infatti, ciò che conta è che da un'utenza telefonica intestata allo Za. siano stati inoltrati i messaggi sms alla p.o. e dalla stessa prodotti.

3.3.1. La Corte territoriale ha, poi, legittimamente utilizzato ai fini di prova i messaggi sms acquisiti agli atti, dovendosi all'uopo richiamare i principi già espressi da questa Corte secondo cui in tema di mezzi di prova, i messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art.254 cod.proc.pen. (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019 Rv. 278124).

4. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.