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Fotocopie nel processo penale (Cass. 18229/18)

26 aprile 2018, Cassazione penale

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Nel processo penale, vige  il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 c.p.p. e dalla legge delega per il nuovo codice di rito, che stabilisce la massima semplificazione processuale: la copia di un documento, quando è idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ha quindi valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero dell’originale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 marzo – 26 aprile 2018, n. 18229
Presidente Davigo – Relatore Pacilli

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 7 luglio 2017 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa l’11 ottobre 2016 dal Tribunale di Ravenna, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di F.G. , in atti generalizzato, in ordine a tutti i reati commessi fino al (omissis) perché estinti per prescrizione; ha rideterminato la pena e confermato nel resto la sentenza impugnata, con cui l’imputato è stato condannato per i reati di appropriazione indebita aggravata ai danni di P.E..
Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione degli artt. 234 e 189 c.p.p. e vizi di motivazione, per non avere la Corte territoriale motivato sulle esigenze per le quali non venivano prodotti gli originali dei documenti ma si acquisivano mere copie e soprattutto sulle ragioni per cui le copie acquisite corrispondessero agli originali.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivo manifestamente infondato.
Come ricordato anche dalla Corte d’appello, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 2, n. 52017 del 21.11.2014, Rv. 261627), condivisa dal Collegio, nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche; al contrario, vige nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 c.p.p. e dalla stessa direttiva n. 1 della legge delega per il nuovo codice di rito, che stabilisce la massima semplificazione processuale, con eliminazione di ogni atto non essenziale (Sez. 4, n. 18454 del 26/02/2008 Rv. 240159; Sez. 3, n. 1324 del 27/04/1994 Rv. 200375).
Da ciò discende che la copia di un documento, quando è idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ha valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero dell’originale (Sez. 2, n. 36721 del 21/02/2008, Rv. 242083).
Alla luce di quanto precede è evidente allora che non coglie nel segno la doglianza difensiva secondo cui il giudice di merito avrebbe dovuto motivare sulla distruzione o sullo smarrimento dei documenti in originale, perché tali evenienze non costituiscono il presupposto per l’acquisizione delle copie ai sensi dell’art. 189 c.p.p., diversamente da quanto stabilisce l’art. 234 c.p.p..
Né il giudice di merito avrebbe dovuto motivare sulla corrispondenza delle copie agli originali, atteso che il ricorrente non aveva eccepito alcunché in ordine alla discrepanza del contenuto delle copie rispetto agli originali, essendosi limitato ad affermare che vi sarebbe stata la possibilità di produrre gli originali e che difettavano asseverazioni, sia pure informali, sulla conformità agli originali delle copie prodotte.
Non si ravvisano, dunque i vizi, prospettati dal ricorrente, con conseguente inammissibilità del ricorso.
2. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché - valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità del ricorso (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) - della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Sentenza con motivazione semplificata.