La missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, integra il reato di diffamazione,
L’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria; la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa; secondo questa impostazione il reato, comunque ormai depenalizzato, di ingiuria, in tal caso rimane assorbito stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa.
La corrispondenza con più destinatari avviene per via telematica, se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l’agente è ben consapevole; di qui la coerente conclusione che in ogni caso il fatto contestato integra quantomeno anche il reato di diffamazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 – 20 luglio 2018, n. 34484
Presidente Sabeone – Relatore Scotti
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Sondrio con sentenza del 15/5/2017 in riforma della sentenza del Giudice di pace di Sondrio, appellata dall’imputato, ha assolto B.G. dal reato ascrittogli al capo B), diversamente qualificato in quello di cui all’art.594, ultimo comma, cod.pen., perché il fatto non era previsto dalla legge come reato.
L’accusa di cui al predetto capo B), originariamente contestata e accertata in primo grado come diffamazione aggravata, ai sensi degli artt. 595 e 61, n.10, cod.pen. riguardava l’offesa arrecata alla reputazione del funzionario doganale D.V.V. , contenuta in una comunicazione a mezzo mail inviata alla stessa e a numerosi dirigenti apicali dell’Amministrazione doganale (Direttore dell’Agenzia delle Dogane; Direttore dell’Ufficio centrale audit interno; Direttore centrale personale e organizzazione; Direttore centrale gestione tributi; Direttore dell’Ufficio Dogane di Tirano; Responsabile assistenza e informazione agli Utenti delle Dogane di Tirano).
2. Ha proposto ricorso l’avv. EM, difensore di fiducia della parte civile D.V.V. , svolgendo unico motivo per denunciare violazione di legge perché l’abrogato delitto di ingiuria presupponeva la presenza fisica della persona offesa nel caso del primo comma e anche quella di terzi nel caso del quarto comma, mentre nel caso di cui al secondo comma l’aggravante del quarto comma non era applicabile, in difetto della presenza fisica tanto dell’offeso quanto di terzi.
La mail di contenuto ingiurioso inviata all’offeso e a terzi non può mai costituire ingiuria aggravata ai sensi dell’art.594, commi 1 e 4, ma configura piuttosto ingiuria ex art. 594, comma 2, e diffamazione ex art.595 cod.pen. in concorso fra loro.
3. Con memoria depositata il 20/6/2018 l’avv. FdS, difensore di fiducia di B.G. , ha chiesto per il caso in cui fosse rilevata l’astratta sussumibilità del fatto nell’ipotesi di diffamazione ex art. 595, comma 3, cod.pen., l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Procura competente; oppure, in caso contrario, la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
La difesa dell’imputato sottolinea che la condotta in contestazione era stata realizzata con unico messaggio trasmesso sia alla persona offesa, sia in copia per conoscenza ai titolari di vari Uffici. Se fosse esatta la prospettazione, il reato integrerebbe l’ipotesi aggravata di cui al 3 comma dell’art. 595, in ragione del suo aggravamento derivante da uno strumento di pubblicità di notevole capacità diffusiva, di competenza del Tribunale, ai sensi dell’art. 6 cod.proc.pen. e della limitata investitura determinata dall’art. 4 d.lgs. 274/2000 per i soli casi di diffamazione di cui commi 1 e 2 dell’art. 595 cod.pen.
In secondo luogo, il difensore dell’imputato osserva che l’offesa era stata apportata con unica missiva, incontrovertibilmente diretta alla persona offesa, e pertanto unidirezionale, e trasmessa per conoscenza agli altri destinatari, così configurandosi l’ipotesi di ingiuria aggravata di cui al comma 4 dell’art.594 e dovendosi leggere il requisito della presenza dell’offeso non in senso rigorosamente fisico-spaziale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e va accolto.
1.1. Il Giudice di Pace di Sondrio, nella sentenza di primo grado, aveva separatamente considerato il fatto di cui al capo A), ossia l’invio della missiva di posta elettronica offensiva alla diretta interessata D.V.V. , qualificandola come ingiuria e dichiarando al proposito non doversi procedere perché il fatto, in conseguenza della depenalizzazione determinata dall’art. 1 del d.lgs. 15/1/2016 n.7, e il fatto di cui al capo B), ossia l’invio per conoscenza della stessa missiva ai sei dirigenti e funzionari responsabili dell’amministrazione doganale, qualificandola come diffamazione e condannando per ciò l’imputato alla pena di 500 Euro di multa e al risarcimento del danno, liquidato equitativamente, in favore della parte civile.
Il Tribunale di Sondrio, riformando la decisione di primo grado, ha invece ritenuto che l’invio tramite posta elettronica per conoscenza a una pluralità di destinatari di una comunicazione offensiva della reputazione di un soggetto, trasmessa in via principale anche a costui, integrasse la fattispecie dell’ingiuria aggravata ex art. 594, commi 1 e 4 cod.pen., reato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. c) del d.lgs. 15/1/2016 n. 7.
1.2. Indubbiamente con l’art. 1 del d.lgs. 7/2016 il reato di ingiuria è stato integralmente depenalizzato, anche quanto alla forma aggravata di cui al quarto comma.
In suo luogo, l’ordinamento ora prevede un illecito civile, di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) del decreto 7/2016, secondo cui soggiace alla sanzione pecuniaria civile da Euro 100 a Euro 8.000 chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. Ai sensi dell’art. 3 del decreto tali fatti previsti, se dolosi, obbligano anche alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili.
1.3. La tesi propugnata dal Tribunale non appare convincente alla luce dell’analisi testuale dell’art. 594 cod.pen., pur abrogato ma vigente all’epoca del fatto.
Il primo comma riguardava l’ipotesi dell’offesa arrecata ad una persona presente.
Il secondo comma assoggettava alla stessa sanzione l’offesa dell’onore o del decorro, arrecata "a distanza", ossia con comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti e disegni diretti alla persona offesa.
Il quarto comma contemplava, infine, un’aggravante nel caso in cui l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Tale aggravante, che presuppone la presenza degli spettatori, non è riferibile riferimento all’ipotesi di ingiuria a distanza, considerata nel ricordato comma 2 dell’art. 594.
Il concetto di "presenza" implica necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori o almeno una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile, realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (si pensi ad esempio alla call conference, audioconferenza o videoconferenza). Non è ravvisabile invece nel mero fatto di essere destinatari di una missiva, pur inoltrata con un mezzo, quello telematico, infinitamente più rapido ed efficiente dell’antico sistema postale, poiché in tale ipotesi, oltre all’insuperabile dato testuale normativo, viene a mancare la necessaria contestualità dell’effetto comunicativo, che caratterizza l’aggravante (Sez. 5, n. 18919 del 15/03/201, Laganà, Rv. 266827).
1.4. Allorché l’offesa sia arrecata con una comunicazione scritta indirizzata sia alla persona offesa, sia a più altri destinatari, che ne vengono quindi messi a conoscenza si realizza il concorso fra il reato di ingiuria ex art. 594, comma 2, cod.pen., ormai depenalizzato, e quello di diffamazione ex art. 595 cod.pen., tuttora previsto dalla legge come reato.
Infatti allorché l’offesa sia arrecata a mezzo di uno scritto e sia indirizzata all’interessato ed a terzi estranei, non può escludersi il concorso tra ingiuria e diffamazione, nel caso in cui la concreta fattispecie comprenda elementi costitutivi delle due distinte norme incriminatrici (Sez. 5, n. 12160 del 04/02/2002, Gaspari A, Rv. 221252): non è lo stesso fatto ad assumere rilievo ma due fatti ben distinti, ossia la trasmissione della lettera al diretto interessato e la trasmissione delle altre missive, seppur di analogo contenuto, ai terzi destinatari, per la cui realizzazione occorre porre in essere distinte condotte, sorrette dal correlativo coefficiente psicologico.
1.5. Tali conclusioni non mutano se alla comunicazione epistolare tradizionale si sostituisce, per effetto dell’evoluzione tecnologica, l’invio di una missiva per posta elettronica che includa fra i destinatari sia la persona offesa, sia gli ulteriori soggetti portati a conoscenza dell’offesa, trattandosi di strumento moderno che realizza, con semplicità ed efficacia esponenziali, il medesimo risultato in passato ottenuto con l’invio di una pluralità di lettere a più destinatari.
Ed anche in questo caso, occorre notare per chiarezza, l’autore pone in essere una condotta specifica rivolta a comunicare il messaggio a ciascuno dei destinatari prescelti, digitando il suo indirizzo di posta elettronica nell’apposita casella, e sorregge psicologicamente tale azione con coscienza e volontà, rappresentandosi e volendo le conseguenze della condotta realizzata.
1.5. Questa Sezione in varie occasioni ha affermato che l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, P.M. in proc. Nastro, Rv. 254044); ed ancora che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa (Sez. 5, n. 18919 del 15/03/2016, Laganà, Rv. 266827); secondo questa impostazione il reato, comunque ormai depenalizzato, di ingiuria, in tal caso rimane assorbito.
Secondo altro orientamento più tradizionale si configurava il concorso tra i reati di ingiuria e diffamazione qualora le lettere offensive indirizzate a più persone fossero inviate anche alla persona offesa (tra le altre Sez. 5, n. 48651 del 22/10/2009, Nascè, Rv. 245827; Sez. 5, n. 12160 del 4/2/2002, Gaspari A, Rv. 221252); impostazione questa che farebbe residuare, mutatis mutandis, il concorso fra l’illecito civile di cui all’art.4 d.lgs.7/2016 e il reato di diffamazione.
Di segno apparentemente contrario appare la decisione assunta da questa Sezione 5, n. 24325 del 20/04/2015 (R. e altro, Rv. 263911) che ha ravvisato il reato di ingiuria nell’invio a soggetti diversi dalla persona offesa di una mail contenente espressioni offensive con la consapevolezza che essa sarebbe stata comunicata al soggetto offeso; tale pronuncia risulta tuttavia esclusivamente focalizzata sulla volontà offensiva del mittente, in concreto esclusa per i pessimi rapporti fra destinatario della lettera e persona offesa, e resa in un contesto in cui non era prospettabile la diffamazione perché la lettera era stata indirizzata a una sola persona.
Un recente arresto di questa Sezione (Sez. 5, n. 12603 del 02/02/2017, Segagni) ha ribadito che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, integra il reato di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa, senza prender posizione sulla concorrente persistenza o meno dell’illecito di ingiuria.
In questa pronuncia la Corte ha posto in evidenza il fatto che quando la corrispondenza con più destinatari avviene per via telematica, se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l’agente è ben consapevole; di qui la coerente conclusione che in ogni caso il fatto contestato integra quantomeno anche il reato di diffamazione.
Tali considerazioni appaiono condivisibili, anche se appare opportuno precisare che il mittente, che pur digita la missiva uno actu, appone separatamente e consapevolmente l’indirizzo telematico di ciascun destinatario a cui vuole render nota la mali.
1.6. Le conclusioni esposte non possono essere inficiate dal fatto che la missiva sia stata inoltrata ai Dirigenti doganali "per conoscenza", poiché questa connotazione soddisfa tutti i requisiti della fattispecie incriminatrice che esige solamente che l’offesa all’altrui reputazione sia comunicata a una pluralità di destinatari, senza ascrivere alcun rilievo al titolo e alle ragioni per cui la comunicazione viene effettuata.
2. La difesa dell’imputato B.G. ha chiesto, per il caso in cui fosse rilevata l’astratta sussumibilità del fatto nell’ipotesi di diffamazione ex art. 595, comma 3, cod.pen., l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Procura competente.
2.1. La difesa dell’imputato osserva che la condotta in contestazione era stata realizzata con unico messaggio trasmesso sia alla persona offesa, sia in copia per conoscenza ai titolari di vari Uffici.
Se fosse esatta la prospettazione, il reato, a suo dire, integrerebbe l’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 595, in ragione del suo aggravamento derivante da uno strumento di pubblicità di notevole capacità diffusiva.
Di qui la competenza residuale del Tribunale, ai sensi dell’art. 6 cod.proc.pen., tenuto conto della limitata investitura determinata dall’art. 4 d.lgs.274/2000 per i soli casi di diffamazione di cui commi 1 e 2 dell’art. 595 cod.pen.
2.2. La tesi non può essere condivisa: il terzo comma dell’art. 595 riguarda il caso in cui l’offesa sia arrecata con il mezzo della stampa o comunque con mezzo pubblicitario potenzialmente diffusivo e non può essere esteso sino a ricomprendere il caso in cui l’offesa sia stata arrecata con uno scritto inoltrato per conoscenza a un numero circoscritto e limitato di destinatari, personalmente individuati e determinati, a cui la missiva è stata diretta per renderli informati del suo contenuto, sia pure per posta elettronica.
Questa Corte ha ritenuto che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, proprio perché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016 - dep. 2017, P.M. in proc. Manduca, Rv. 269090).
Non può invece condividersi l’apparente generalizzazione espressa dalla massima che sintetizza la decisione di questa Sezione 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459, secondo cui integra il reato di diffamazione aggravato ai sensi dell’art. 595, comma 3, cod. pen. (offese recate con la stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), la diffusione delle espressioni offensive mediante il particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica, con lo strumento del forward a pluralità di destinatari.
Non è il ricorso alla posta elettronica, che è solo uno strumento tecnologico più agevole, comodo ed efficiente della posta tradizionale, che configura, di per sé e automaticamente, un "mezzo pubblicitario", al quale tuttavia può essere equiparato in concreto quando per le particolari modalità della condotta sia stato possibile raggiungere un gruppo indeterminato o molto elevato di destinatari: il che certamente non si è verificato nella presente fattispecie, in cui la missiva è stata inviata ad un numero determinato e contenuto di persone ben scelte (sei).
2.3. In ogni caso, il ricorso è stato proposto dalla parte civile e quindi rileva ai soli effetti civili, e non si giustificherebbe i comunque la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero.
3. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata, agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.