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Diritto all'oblio non limita libertà di espressione: legittima la deindicizzaione (Corte EDU, Biancardi, 2021)

26 novembre 2021, Corte Europea per i diritti dell'Uomo

Il caso riguarda il "diritto all'oblio". Il ricorrente, un ex redattore capo di un giornale online giornale online, è stato ritenuto responsabile in un procedimento civile per aver mantenuto sul sito web del suo giornale un un articolo che riferiva di una rissa in un ristorante, fornendo dettagli sul relativo procedimento penale.

I giudici hanno notato in particolare che il ricorrente aveva omesso di deindicizzare i tag dell'articolo, il che significa che chiunque poteva digitare in un motore di ricerca il nome del ristorante o del suo proprietario e avere accesso alle informazioni sensibili sul procedimento penale, nonostante la richiesta del proprietario di rimuovere l'articolo rimosso.

La Corte ha condiviso il punto di vista del governo che non solo i fornitori di motori di ricerca Internet potrebbero essere obbligati a deindicizzare il materiale, ma anche gli amministratori di archivi giornalistici o di giornali accessibili tramite Internet, come il ricorrente.

Ha anche concordato con le sentenze dei tribunali nazionali che il prolungato e facile accesso alle informazioni su il procedimento penale riguardante il proprietario del ristorante aveva violato il suo diritto alla reputazione.

Il diritto all'informazione del ricorrente ai sensi della Convenzione non era stato quindi violato, e tanto più che non gli era stato effettivamente richiesto di rimuovere l'articolo da Internet.

Questo era il primo caso in cui la Corte aveva esaminato se la responsabilità civile di un giornalista per non di un giornalista per non aver deindicizzato un'informazione pubblicata su Internet fosse compatibile con l'articolo 10 della Convenzione

La constatazione da parte delle giurisdizioni nazionali che il ricorrente ha violato il diritto della reputazione in virtù della continua presenza su Internet di un articolo e della sua mancata deindicizzazione costituisce una restrizione giustificabile della sua libertà di espressione, tanto più in considerazione del fatto che nessun obbligo è stato imposto al ricorrente di rimuovere definitivamente l'articolo da Internet.

(traduzione non ufficiale, originale qui )

CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CASO BIANCARDI c. ITALIA

(Applicazione n. 77419/16)

 

 SENTENZA

 

25 novembre 2021

 

Questa sentenza diventerà definitiva nelle circostanze di cui all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione editoriale.

 Nella causa Biancardi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in sezione composta da:

Ksenija Turković, presidente,
Péter Paczolay,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e Renata Degener, cancelliere di sezione,

visto:

il ricorso (n. 77419/16) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da un cittadino italiano, il signor Alessandro Biancardi ("il ricorrente"), il 7 dicembre 2016

la decisione di notificare al governo italiano ("il governo") il reclamo relativo all'articolo 10 della Convenzione;

le osservazioni presentate dal Governo convenuto e le osservazioni in risposta presentate dal ricorrente;

le osservazioni presentate dal "Reporters Committee for Freedom of the Press", dal "Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione e dal Relatore speciale per la libertà di espressione della Commissione interamericana per i diritti umani", dalla "Media Lawyers Association" e dalla "Media Legal Defence", che sono stati autorizzati ad intervenire dal Presidente della Sezione;

avendo deliberato in privato il 2 novembre 2021,

emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorrente, direttore di un giornale online, è stato ritenuto responsabile civilmente per aver mantenuto sul sito del suo giornale e non aver deindicizzato un articolo che riportava i fatti di un procedimento penale intentato contro privati. Il ricorrente ha fatto valere la violazione della sua libertà d'espressione ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione.

I FATTI

2. Il ricorrente è nato nel 1972 e vive a Pescara. Era rappresentato dall'avvocato M. Franceschelli, che esercita a Pescara.

3. Il governo era rappresentato dal suo agente, il sig. Lorenzo D'Ascia.

4. I fatti della causa, come presentati dalle parti, possono essere riassunti come segue.

5. Il ricorrente era il caporedattore di un giornale online. Il 29 marzo 2008, ha pubblicato un articolo riguardante una rissa, seguita da un accoltellamento, che aveva avuto luogo in un ristorante.

6. L'articolo era intitolato "Rissa nel ristorante - il capo dell'autorità di polizia chiude i ristoranti W e Z [che appartenevano alle persone coinvolte nella rissa]". Il "primo paragrafo" sotto il titolo recitava come segue: "Pescara - Danno reputazionale e ripercussioni economiche subite dai ristoranti W e Z appartenenti alla famiglia X".

7. L'articolo annotava la decisione del capo dell'autorità di polizia di chiudere i ristoranti per venti giorni. Citava i nomi delle persone coinvolte (due fratelli, V.X. e U.X., e i loro rispettivi figli, A.X e B.X.), così come il possibile motivo della rissa, che probabilmente riguardava una lite finanziaria sulla proprietà di un edificio. L'articolo riportava la linea adottata durante parte dell'interrogatorio di polizia di V.X., U.X., A.X e B.X., e notava che U.X. e A.X. erano stati posti agli arresti domiciliari, che B.X. era stato portato in una struttura di detenzione e che un ordine di arresto domiciliare emesso nei confronti di V.X. era stato revocato.

8. Il 6 settembre 2010, V.X. e il ristorante W hanno inviato una diffida (diffida stragiudiziale) al ricorrente chiedendo la rimozione dell'articolo da Internet, ma senza risultato.

9. Il 26 ottobre 2010, V.X. e W hanno presentato due ricorsi al Tribunale di Chieti contro, rispettivamente, Google Italy S.r.l. e la ricorrente, ai sensi dell'articolo 152 del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (di seguito "Codice in materia di protezione dei dati personali" - cfr. infra, paragrafo 15 e seguenti) e dell'art. 702 bis del codice di procedura civile (Requisiti di forma relativi alla costituzione in giudizio e alle parti).

10. All'udienza del 23 maggio 2011, il ricorrente ha indicato di aver deindicizzato l'articolo in questione, al fine di transigere la causa.[1] Con decisione del 28 marzo 2012, il tribunale ha escluso Google Italy S.r.l. dal procedimento a seguito della rinuncia di V.X. alla sua domanda nei confronti di tale soggetto.

11. Con decisione del 16 gennaio 2013, il tribunale distrettuale di Chieti osservava preliminarmente che, alla luce delle informazioni che il ricorrente aveva fornito il 23 maggio 2011, non era necessario esaminare la parte della denuncia di V.X. relativa alla richiesta di rimozione dell'articolo da Internet.

12. Per quanto riguarda il resto del reclamo, relativo alla violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro reputazione, il tribunale ha riconosciuto a ciascun ricorrente 5.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e 2.310 euro per costi e spese.

13. Il tribunale ha ribadito la legislazione applicabile in materia - ossia gli articoli 7, 11, 15 e 25 del Codice di protezione dei dati personali. Ha osservato in particolare che le informazioni riguardanti i ricorrenti erano state pubblicate il 29 marzo 2008 ed erano rimaste accessibili su Internet fino al 23 maggio 2011, nonostante la comunicazione formale di V.X. alla ricorrente che chiedeva la rimozione dell'articolo in questione da Internet (cfr. paragrafo 8 supra). Secondo il giudice, l'interesse pubblico al diritto d'informazione era stato allora soddisfatto e, almeno a partire dalla data d'invio da parte di V.X. della suddetta diffida, il trattamento dei suoi dati personali non era stato conforme agli articoli 11 e 15 del codice della protezione dei dati personali. Il tribunale ha quindi concluso che c'era stata una violazione della reputazione dei ricorrenti e del diritto al rispetto della loro vita privata. Il tribunale ha anche osservato che le informazioni in questione erano facilmente accessibili (molto più di qualsiasi informazione pubblicata sui giornali cartacei, tenendo conto della grande diffusione locale del giornale online in questione) semplicemente inserendo i nomi dei ricorrenti nel motore di ricerca, e che la natura dei dati rilevanti, per quanto riguarda i procedimenti giudiziari, era sensibile.

14. Il ricorrente ha presentato un ricorso per motivi di diritto; con una sentenza del 24 giugno 2016, la Corte suprema ha confermato la decisione di primo grado su tutti i motivi e ha respinto il ricorso del ricorrente. La Suprema Corte ha rilevato che il trattamento dei dati personali dei ricorrenti era stato illegittimo in quanto l'articolo, pubblicato il 29 marzo 2008, era rimasto accessibile su Internet, nonostante la citata diffida inviata (al ricorrente che chiedeva la rimozione da Internet dell'articolo in questione) da V.X. il 6 settembre 2010, e che la possibilità di accedere all'articolo era stata facile e diretta. La Suprema Corte ha escluso che in questo caso l'illiceità del modo in cui i dati personali erano stati trattati fosse stata legata sia al contenuto del suddetto articolo, sia alla sua pubblicazione e diffusione online, sia alla sua conservazione e archiviazione digitale.

QUADRO GIURIDICO E PRASSI PERTINENTI

diritto interno pertinente

Decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali)

15. Le disposizioni pertinenti del Codice in materia di protezione dei dati personali recitano come segue:

Articolo 7: Diritto di accesso ai dati personali e altri diritti

"...

3. a) L'interessato ha diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o l'interruzione del trattamento dei dati trattati in violazione di legge. ...

Articolo 11: Disposizioni per il trattamento e la categorizzazione dei dati

"1. I dati personali oggetto di trattamento sono:

...

e) conservati, in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato, per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti e successivamente trattati. ..."

Articolo 15: Danni derivanti dal trattamento dei dati

"La persona che cagiona un danno a un terzo in conseguenza del trattamento dei suoi dati personali deve risarcire l'interessato ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile. L'interessato ha anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione dell'articolo 11."

Articolo 25: Divieto di comunicazione e diffusione

"La comunicazione e la diffusione sono vietate per quanto riguarda ...:

a) i dati personali di cui è stata ordinata la cancellazione, trascorso il periodo di tempo indicato all'articolo 11 § (1) (e) ..."

Articolo 99: Compatibilità degli obiettivi e della durata del trattamento

"1. Il trattamento dei dati personali per scopi storici, scientifici o statistici è considerato compatibile con i diversi obiettivi per i quali i dati sono stati inizialmente raccolti o trattati.

2. Il trattamento dei dati personali per scopi storici, scientifici o statistici può essere effettuato anche alla scadenza del periodo necessario per il conseguimento delle diverse finalità per le quali i dati sono stati inizialmente raccolti e trattati. ..."

Articolo 136: Finalità giornalistiche ...

"1. La disposizione contenuta nel presente paragrafo [Giornalismo ed espressione letteraria e artistica] si applica al trattamento dei dati

a) effettuato nell'esercizio di attività giornalistiche e per l'esclusivo perseguimento delle finalità inerenti. ..."

Articolo 139: Codice di deontologia delle attività giornalistiche

"Il Garante per la protezione dei dati personali incoraggia l'adozione da parte del Consiglio nazionale dei giornalisti di un codice deontologico per il trattamento dei dati di cui all'articolo 136, che [preveda] misure di protezione ... per quanto riguarda ..., in particolare, i dati che potrebbero rivelare informazioni sullo stato di salute o sulla vita sessuale [di una persona]. ..."

Articolo 152: Autorità giudiziarie tipo

"1. Un'autorità giudiziaria ordinaria è competente a risolvere tutte le controversie relative all'applicazione delle disposizioni contenute nel presente codice ...

2. Per instaurare un procedimento relativo a tutte le controversie di cui al precedente comma 1, il ricorso è presentato presso la cancelleria del tribunale del luogo di residenza della persona i cui (dati personali) sono oggetto di trattamento.

3. Il tribunale deciderà [un caso] in composizione monocratica.

...

13. Una sentenza non può essere oggetto di un ricorso nel merito davanti a un tribunale di seconda istanza; tuttavia, può essere oggetto di un ricorso per motivi di diritto davanti alla Corte di cassazione. ..."

MATERIA DI DIRITTO INTERNAZIONALE

Raccomandazione CM/Rec(2012)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri sulla protezione dei diritti umani in relazione ai motori di ricerca

16. Nelle sue parti rilevanti, questa raccomandazione, adottata dal Comitato dei Ministri il 4 aprile 2012, recita come segue:

"7. Il Comitato dei Ministri ..., ai sensi dell'articolo 15.b dello Statuto del Consiglio d'Europa, raccomanda che gli Stati membri, in consultazione con gli attori del settore privato e la società civile, sviluppino e promuovano strategie coerenti per proteggere la libertà di espressione, l'accesso all'informazione e altri diritti umani e libertà fondamentali in relazione ai motori di ricerca in linea con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (ETS n. 5, di seguito denominata "Convenzione"), in particolare l'articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l'articolo 10 (Libertà di espressione) e con la Convenzione per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatico dei dati personali (ETS n. 108, di seguito denominata "Convenzione n. 108"), in particolare impegnandosi con i fornitori di motori di ricerca a realizzare le seguenti azioni

- migliorare la trasparenza sul modo in cui viene fornito l'accesso alle informazioni, al fine di garantire l'accesso, il pluralismo e la diversità delle informazioni e dei servizi, in particolare i criteri in base ai quali i risultati della ricerca vengono selezionati, classificati o rimossi;

- rivedere la classificazione e l'indicizzazione dei contenuti che, pur essendo nello spazio pubblico, non sono destinati alla comunicazione di massa (o alla comunicazione di massa in generale). Questo potrebbe includere l'elencazione di contenuti sufficientemente bassi nei risultati di ricerca in modo da trovare un equilibrio tra l'accessibilità del contenuto in questione e le intenzioni o i desideri del suo produttore (per esempio avere livelli di accessibilità diversi per il contenuto pubblicato in cerca di un'ampia diffusione rispetto al contenuto che è semplicemente disponibile in uno spazio pubblico). Le impostazioni predefinite dovrebbero essere concepite tenendo conto di questo obiettivo;

...

III. Filtraggio e deindicizzazione

Contesto e sfide

12. Un prerequisito per l'esistenza di motori di ricerca efficaci è la libertà di scansionare e indicizzare le informazioni disponibili su Internet. Il filtraggio e il blocco dei contenuti di Internet da parte dei fornitori di motori di ricerca comporta il rischio di violazione della libertà di espressione garantita dall'articolo 10 della Convenzione per quanto riguarda i diritti dei fornitori e degli utenti di distribuire e accedere alle informazioni.

13. I fornitori di motori di ricerca non dovrebbero essere obbligati a monitorare proattivamente le loro reti e i loro servizi al fine di individuare contenuti eventualmente illegali, né dovrebbero condurre alcuna attività di filtraggio o di blocco ex ante, a meno che non sia stato ordinato da un tribunale o da un'autorità competente. Tuttavia, ci possono essere richieste legittime di rimuovere fonti specifiche dal loro indice, ad esempio nei casi in cui altri diritti prevalgono sul diritto alla libertà di espressione e di informazione; il diritto all'informazione non può essere inteso come estensione dell'accesso ai contenuti al di là dell'intenzione della persona che esercita la sua libertà di espressione.

14. In molti paesi, i fornitori di motori di ricerca deindicizzano o filtrano specifici siti web su richiesta delle autorità pubbliche o di privati, al fine di rispettare gli obblighi di legge o di propria iniziativa (ad esempio in casi non legati al contenuto dei siti web, ma a pericoli tecnici come il malware). Qualsiasi deindicizzazione o filtraggio di questo tipo dovrebbe essere trasparente, strettamente mirato e rivisto regolarmente, nel rispetto dei requisiti del giusto processo.

Azione

15. Gli Stati membri dovrebbero:

- assicurare che qualsiasi legge, politica o richiesta individuale sulla deindicizzazione o sul filtraggio sia emanata nel pieno rispetto delle disposizioni legali pertinenti, del diritto alla libertà di espressione e del diritto di cercare, ricevere e impartire informazioni. I principi del giusto processo e l'accesso a meccanismi di ricorso indipendenti e responsabili dovrebbero essere rispettati anche in questo contesto.

16. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero lavorare con i fornitori di motori di ricerca in modo che:

...

- esplorino la possibilità di permettere la deindicizzazione dei contenuti che, pur essendo di dominio pubblico, non erano destinati alla comunicazione di massa (o alla comunicazione di massa in generale). ..."

Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali del 18 maggio 2018

17. Le disposizioni pertinenti della presente Convenzione, che aggiorna la precedente Convenzione ETS (European Treaty Series) n. 108 per la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento automatizzato dei dati personali del 28 gennaio 1981, recitano come segue:

Articolo 5: Legittimità del trattamento dei dati e qualità dei dati

"1. Il trattamento dei dati è proporzionato alla finalità legittima perseguita e rispecchia, in tutte le fasi del trattamento, un giusto equilibrio tra tutti gli interessi coinvolti, pubblici o privati, e i diritti e le libertà in gioco.

2. ...

3. I dati personali oggetto di trattamento sono trattati in modo lecito.

4. I dati personali sottoposti a trattamento sono:

...

b. raccolti per finalità esplicite, determinate e legittime e non trattati in modo incompatibile con tali finalità; l'ulteriore trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici è, con le debite garanzie, compatibile con tali finalità

c. adeguati, pertinenti e non eccessivi rispetto alle finalità per le quali sono trattati

d. esatti e, se necessario, aggiornati;

e. conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati."

Articolo 6: Categorie speciali di dati

"1. Il trattamento di:

...

- dati personali relativi a reati, procedimenti penali e condanne, e relative misure di sicurezza;

...

è consentito soltanto se la legge prevede garanzie appropriate, complementari a quelle della presente Convenzione.

2. 2. Tali garanzie devono prevenire i rischi che il trattamento dei dati sensibili può presentare per gli interessi, i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, in particolare un rischio di discriminazione.

Articolo 9: Diritti della persona interessata

"1. Ogni individuo ha diritto:

...

e. di ottenere, su richiesta, gratuitamente e senza eccessivo ritardo, la rettifica o la cancellazione, a seconda dei casi, di tali dati qualora essi siano o siano stati trattati in violazione delle disposizioni della presente convenzione; ..."

Articolo 11: Eccezioni e restrizioni

"1. Non sono ammesse eccezioni alle disposizioni di cui al presente capo, salvo le disposizioni dell'articolo 5 paragrafo 4, dell'articolo 7 paragrafo 2, dell'articolo 8 paragrafo 1 e dell'articolo 9, quando tale eccezione è prevista dalla legge, rispetta l'essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e costituisce una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per:

...

b. la protezione della persona interessata o i diritti e le libertà fondamentali di altri, in particolare la libertà di espressione."

Materiale del diritto dell'Unione europea
Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995

18. La direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati ("direttiva 95/46/CE") era intesa a tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone (compreso il diritto alla vita privata) nel trattamento dei dati personali, eliminando nel contempo gli ostacoli alla libera circolazione di tali dati. Gli articoli pertinenti recitano come segue.

Articolo 8: Il trattamento di categorie speciali di dati

"...

5. Il trattamento dei dati relativi a infrazioni, condanne penali o misure di sicurezza può essere effettuato solo sotto il controllo dell'autorità ufficiale o se sono previste idonee garanzie specifiche dal diritto nazionale, fatte salve le deroghe che possono essere concesse dallo Stato membro in base a disposizioni nazionali che prevedono idonee garanzie specifiche. Tuttavia, un registro completo delle condanne penali può essere tenuto solo sotto il controllo dell'autorità ufficiale.

Gli Stati membri possono prevedere che anche i dati relativi a sanzioni amministrative o a sentenze in cause civili siano trattati sotto il controllo dell'autorità ufficiale."

Articolo 9: Trattamento dei dati personali e libertà di espressione

"Gli Stati membri prevedono esenzioni o deroghe alle disposizioni del presente capo, del capo IV e del capo VI per il trattamento di dati personali effettuato esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria solo se sono necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme che disciplinano la libertà di espressione."

Articolo 12: diritto di accesso

"Gli Stati membri garantiscono ad ogni persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento dei dati

...

(b) se del caso, la rettifica, la cancellazione o il blocco dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati;

..."

Articolo 14: Diritto di opposizione della persona interessata

"Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto

(a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria della legislazione nazionale. In caso di opposizione giustificata, il trattamento avviato dal responsabile del trattamento non può più riguardare tali dati;

..."

Giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) relativa alla direttiva 95/46/CE
Google Spain e Google Inc. (Causa C-131/12)

19. Nella sentenza della grande camera del 13 maggio 2014 nella causa Google Spain SL e Google Inc, C-131/12, EU:C:2014:317, la CGUE è stata chiamata a interpretare la direttiva 95/46/CE. Essa ha ritenuto che l'"attività" di un motore di ricerca su Internet fosse da qualificare come "trattamento di dati personali" ai sensi della direttiva 95/46/CE, e ha ritenuto che tale trattamento di dati personali da parte del gestore di un motore di ricerca fosse suscettibile di incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali (quali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) quando una ricerca per mezzo di tale motore veniva effettuata sulla base del nome di una persona, poiché tale trattamento consentiva a qualsiasi utente di Internet di ottenere (attraverso l'elenco dei risultati della ricerca così ottenuti) una panoramica strutturata delle informazioni relative a tale persona che potevano essere reperite su Internet e di stabilire così un profilo più o meno dettagliato della stessa.

20. Inoltre, l'effetto di tale interferenza sui diritti di una persona interessata sarebbe accresciuto dal ruolo importante svolto da Internet e dai motori di ricerca nella società moderna, che rende onnipresenti le informazioni contenute in un tale elenco di risultati. Alla luce della potenziale gravità di tale ingerenza, essa non potrebbe essere giustificata dal solo interesse economico dell'operatore.

21. La CGUE ha ritenuto che si dovesse cercare un giusto equilibrio tra l'interesse legittimo degli utenti di Internet ad avere accesso a tali informazioni e i diritti fondamentali della persona interessata. Ha ritenuto che i diritti fondamentali della persona interessata, come regola generale, prevalessero sugli interessi degli utenti di Internet, ma che tale equilibrio potesse tuttavia dipendere (i) dalla natura delle informazioni in questione e dalla loro delicatezza per quanto riguarda la vita privata della persona interessata e (ii) dall'interesse del pubblico a disporre di tali informazioni.

22. La CGUE ha dichiarato che in alcuni casi il gestore di un motore di ricerca era obbligato a rimuovere dall'elenco dei risultati visualizzati (a seguito di una ricerca effettuata sulla base del nome di una persona) ogni e qualsiasi link a pagine Internet pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona, anche quando la pubblicazione di tali informazioni sulle pagine Internet in questione era di per sé legittima. Ciò avveniva in particolare quando i dati in questione apparivano inadeguati, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessivi, tenuto conto delle finalità per le quali erano stati trattati e alla luce del tempo trascorso dalla data del trattamento in questione (cfr. Delfi AS c. Estonia [GC], no. 64569/09, § 56, CEDU 2015).

GC, AF, BH, ED c. CNIL (causa C-136/17)

23. In una sentenza del 24 settembre 2019 in GC e altri (De-referenziazione dei dati sensibili), C-136/17, EU:C:2019: 773, la CGUE è stata chiamata a interpretare la direttiva 95/46/CE a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa a quattro decisioni emesse dalla Commissione nazionale per il trattamento dei dati e le libertà civili (Commission nationale de l'informatique et des libertés - CNIL) che rifiutavano di notificare diffide a Google imponendole di de-referenziare vari link che compaiono negli elenchi di risultati visualizzati a seguito di ricerche dei loro nomi e che conducono a pagine Internet pubblicate da terzi.

24. La CGUE ha deciso, tra l'altro, che le informazioni relative ai procedimenti giudiziari avviati nei confronti di una persona (e le informazioni relative all'eventuale condanna) costituiscono dati relativi a "reati" e "condanne penali" ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 5, della direttiva 95/46/CE. La CGUE ha inoltre stabilito che il gestore di un motore di ricerca era tenuto ad accogliere una richiesta di de-referenziazione per quanto riguarda i link a pagine Internet che riportavano tali informazioni, nel caso in cui le informazioni in questione (i) si riferissero a una fase precedente del procedimento giudiziario in questione e, (ii) tenuto conto dello svolgimento del procedimento, non corrispondessero più alla situazione attuale; tuttavia, il gestore del motore di ricerca in questione sarebbe tenuto ad accogliere una richiesta di de-referenziamento solo se - nel corso della verifica dell'esistenza di motivi di interesse pubblico sostanziale, di cui all'articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 95/46/CE - fosse stato stabilito che, alla luce di tutte le circostanze del caso, i diritti fondamentali della persona interessata - garantiti dagli articoli 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ("Rispetto della vita privata e familiare") e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ("Protezione dei dati personali") - prevalgono sui diritti dei potenziali utenti di Internet che potrebbero avere un interesse protetto dall'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ("Libertà di espressione e di informazione").

Google LLC contro CNIL (causa C-507/17)

25. In una sentenza del 24 settembre 2019 nella causa Google (Ambito territoriale della de-referenziazione), C-507/17, EU:C:2019:772, la CGUE è stata chiamata a interpretare la direttiva 95/46/CE a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale riguardante l'imposizione da parte della CNIL a Google di una sanzione di 100.000 euro a causa del rifiuto di tale società, nell'accogliere una richiesta di de-referenziazione, di applicarla a tutte le estensioni dei nomi di dominio del suo motore di ricerca. La CGUE è stata quindi invitata a chiarire la portata territoriale della de-referenziazione richiesta e a determinare se le disposizioni della direttiva 95/46/CE richiedessero la de-referenziazione a livello nazionale, europeo o mondiale.

26. La CGUE ha stabilito che, nel caso in cui il gestore di un motore di ricerca abbia accolto una richiesta di de-referenziazione [ai sensi dell'articolo 12, lettera b), e dell'articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46/CE e dell'articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo], tale gestore non sarebbe tenuto a effettuare tale de-referenziazione su tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma solo sulle versioni di tale motore di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati dell'Unione europea, utilizzando, se del caso, misure che, pur soddisfacendo i requisiti di legge, impedissero effettivamente (o, quanto meno, scoraggiassero seriamente) a un utente di Internet di (i) effettuare una ricerca da uno degli Stati dell'Unione europea sulla base del nome di un interessato e (ii) accedere, attraverso l'elenco dei risultati visualizzati a seguito di tale ricerca, ai link oggetto di tale richiesta.

Orientamenti delle autorità nazionali di protezione dei dati dell'UE del 26 novembre 2014

27. Il 26 novembre 2014 le autorità nazionali di protezione dei dati di tutti gli Stati dell'Unione europea - riunite nell'ambito del Gruppo di lavoro articolo 29 (un gruppo di lavoro europeo indipendente che si occupa di questioni relative alla protezione della vita privata e dei dati personali) - hanno adottato una serie di orientamenti volti a garantire l'attuazione armonizzata della sentenza della CGUE del 13 maggio 2014 (Linee guida sull'attuazione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea su "Google Spain e Inc. v. Agencia Española de protección de datos (AEPD) e Marco Costeja González" C-131/12 adottata il 26 novembre 2014 dal gruppo di lavoro "Articolo 29 Protezione dei dati"). La seconda parte delle linee guida riguarda i criteri comuni che le autorità di protezione dei dati sono state invitate ad applicare nel trattamento dei reclami in seguito al rifiuto dei motori di ricerca di de-elencare i risultati delle ricerche. Il tredicesimo criterio recita come segue:

"13. I dati si riferiscono a un reato penale?

Gli Stati membri dell'UE possono avere approcci diversi per quanto riguarda la disponibilità pubblica di informazioni sui trasgressori e i loro reati. Possono esistere disposizioni giuridiche specifiche che hanno un impatto sulla disponibilità di tali informazioni nel tempo. Le autorità di protezione dei dati tratteranno tali casi in conformità con i principi e gli approcci nazionali pertinenti. Di norma, è più probabile che le autorità di protezione dei dati prendano in considerazione la cancellazione di risultati di ricerca relativi a reati relativamente minori accaduti molto tempo fa, mentre è meno probabile che prendano in considerazione la cancellazione di risultati relativi a reati più gravi accaduti più di recente. Tuttavia, queste questioni richiedono un'attenta considerazione e saranno trattate caso per caso".

Il regolamento generale sulla protezione dei dati

28. Il regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (il regolamento generale sulla protezione dei dati - di seguito "il GDPR"), pubblicato nella GU 2016 L 119/1, è entrato in vigore il 24 maggio 2016 e ha abrogato la direttiva 95/46/CE con effetto dal 25 maggio 2018. La disposizione pertinente del regolamento recitava come segue:

Articolo 17 - Diritto alla cancellazione ("diritto all'oblio")

"1. L'interessato ha il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il responsabile del trattamento ha l'obbligo di cancellare i dati personali senza ingiustificato ritardo qualora ricorra uno dei seguenti motivi:

(a) i dati personali non sono più necessari in relazione alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

...

2. Qualora il responsabile del trattamento abbia reso pubblici i dati personali e sia obbligato ai sensi del paragrafo 1 a cancellare i dati personali, il responsabile del trattamento, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione, adotta misure ragionevoli, comprese misure tecniche, per informare i responsabili del trattamento dei dati personali che l'interessato ha chiesto la cancellazione da parte di tali responsabili del trattamento di qualsiasi collegamento a tali dati personali, o copia o replica degli stessi.

3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento è necessario

(a) per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;

...

(d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all'articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 possa rendere impossibile o compromettere gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento ...."

Le linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati sui criteri del diritto all'oblio nei casi di motori di ricerca ai sensi del GDPR

29. Le Linee guida (5/2019) sui criteri del Diritto all'oblio nei casi di motori di ricerca (adottate dal Comitato europeo per la protezione dei dati il 7 luglio 2020) recitano come segue nelle loro parti pertinenti:

4 ... questo documento ha lo scopo di interpretare il Diritto all'oblio nei casi dei motori di ricerca alla luce delle disposizioni dell'articolo 17 GDPR (il "Diritto di richiedere la cancellazione dalla lista"). In effetti, il Diritto all'oblio è stato appositamente emanato ai sensi dell'articolo 17 GDPR per tenere conto del Diritto di richiedere la cancellazione dalla lista stabilito nella sentenza Costeja [CGUE, causa C-131/12, Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, sentenza del 13 maggio 2014]. ...

18. Ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, lettera a), del GDPR, l'interessato può chiedere al fornitore di un motore di ricerca, a seguito di una ricerca effettuata come regola generale sulla base del suo nome, di cancellare un contenuto dai suoi risultati di ricerca, qualora i dati personali dell'interessato restituiti in tali risultati di ricerca non siano più necessari in relazione alle finalità del trattamento da parte del motore di ricerca.

19. Questa disposizione consente all'interessato di chiedere il depennamento delle informazioni personali che lo riguardano e che sono state rese accessibili per un tempo superiore a quello necessario al trattamento da parte del fornitore del motore di ricerca. Tuttavia, questo trattamento è in particolare effettuato allo scopo di rendere le informazioni più facilmente accessibili agli utenti di Internet. Nell'ambito del diritto di chiedere la cancellazione dalla lista, occorre effettuare un bilanciamento tra la protezione della vita privata e l'interesse degli utenti di Internet ad accedere alle informazioni. In particolare, si deve valutare se, nel corso del tempo, i dati personali sono diventati obsoleti o non sono stati aggiornati." ...

LA LEGGE

PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE

30. Ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione, il ricorrente sosteneva che l'ingerenza nella sua libertà di espressione - ossia il suo diritto di informare il pubblico - era stata ingiustificata. Egli lamentava inoltre che la pena inflittagli era stata eccessiva. L'articolo 10 della Convenzione recita come segue:

"1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere e di comunicare informazioni e idee senza che vi possa essere ingerenza da parte della pubblica autorità e senza limiti di frontiera. ...

2. L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e necessarie in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, dell'integrità territoriale o della pubblica sicurezza, per la prevenzione di disordini o reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni ricevute in via confidenziale, o per mantenere l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario."

Ammissibilità

31. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per altri motivi elencati all'articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

Merito
Le osservazioni delle parti

(a) Il ricorrente

32. Il ricorrente ha sottolineato che il procedimento penale intentato contro V.X. era ancora in corso alla data in cui la sentenza della Corte Suprema era stata emessa in relazione al suo caso. Pertanto, non si poteva dire che il periodo di tempo in cui le informazioni erano rimaste pubblicate fosse eccessivo. Pertanto, il "diritto all'oblio" di V.X. non era mai esistito.

33. Il ricorrente ha sostenuto che le autorità nazionali non avevano tenuto conto dell'articolo 99 del decreto legislativo n. 196/2003, che prevedeva che il trattamento dei dati personali per, tra l'altro, "scopi storici" [scopi storici] potesse essere effettuato alla scadenza del termine previsto per il conseguimento delle diverse finalità per le quali i dati erano stati originariamente raccolti e trattati. Egli ha inoltre fatto riferimento agli articoli 136 e 139 dello stesso decreto e al suddetto codice deontologico, che conteneva disposizioni specifiche in materia di tutela della libertà di espressione dei giornalisti.

34. Il ricorrente ha inoltre sostenuto di essere stato ingiustamente ritenuto responsabile per non aver cancellato l'articolo in questione, in quanto solo il fornitore del motore di ricerca (cioè Google Italia) che era stato tecnicamente in grado di de-eliminare l'articolo in questione.

35. Il ricorrente ha inoltre sottolineato che, in casi simili al presente, l'equilibrio tra la protezione della reputazione delle persone ai sensi dell'articolo 8 e la libertà di espressione prevista dall'articolo 10 era stato facilmente garantito dalla semplice richiesta alle pubblicazioni interessate di pubblicare informazioni supplementari o chiarimenti agli articoli in questione.

(b) Il governo

36. Il Governo ha sostenuto che un adeguato equilibrio tra la libertà di espressione del ricorrente e il diritto di V.X. e del suo ristorante al rispetto della sua vita privata (e della reputazione di entrambi) era stato raggiunto nel caso immediato.

37. Il governo ha aggiunto che la restrizione in questione era stata prescritta dalla legge - vale a dire, il decreto legislativo n. 196/2003, che stabiliva chiaramente che il mantenimento dei dati personali era subordinato al permanere dell'obiettivo che aveva inizialmente giustificato la loro raccolta e conservazione. Lo scopo del giornalismo - vale a dire, contribuire al dibattito pubblico su questioni di interesse sociale, politico ed economico - dovrebbe essere considerato come continuativo ogni volta che la conoscenza di determinati eventi era ancora rilevante per la discussione pubblica. A questo proposito, il governo ha sostenuto che l'articolo era rimasto sul sito del giornale online per un periodo di tempo sostanziale. Infatti, nessuna informazione sullo svolgimento del relativo procedimento penale era stata fornita nell'articolo, che aveva semplicemente raccontato gli eventi materiali. Pertanto, non si poteva dire che il periodo di tempo in cui l'informazione era rimasta pubblicata fosse eccessivo.

38. Il Governo sottolineava che il fatto che il ricorrente fosse stato riconosciuto colpevole era stato una conseguenza della mancata deindicizzazione dal motore di ricerca Internet dei tag all'articolo pubblicato dal ricorrente (che avrebbe impedito a chiunque di accedere all'articolo attraverso la semplice digitazione del nome di V.X. o del suo ristorante). In altre parole, le decisioni dei giudici italiani avevano affermato che la ricorrente avrebbe dovuto deindicizzare il contenuto dell'articolo, rendendo così più probabile che solo le persone realmente interessate a conoscere i fatti in questione si imbattessero nell'articolo. Tuttavia, la ricorrente non era stata obbligata a rimuovere effettivamente l'articolo in questione dagli archivi Internet.

39. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente nelle sue osservazioni, il governo ha sostenuto che l'obbligo di deindicizzare il materiale potrebbe essere imposto non solo ai fornitori di motori di ricerca su Internet, ma anche agli amministratori di archivi giornalistici o di giornali accessibili attraverso Internet.

(c) Terzi intervenienti

(i) Comitato dei Reporter per la libertà di stampa ("il Comitato dei Reporter")

40. Questo interveniente ha ribadito che il "diritto all'oblio", come riconosciuto dalla CGUE nella causa Google Spain e come sancito dal GDPR (si vedano, rispettivamente, i paragrafi 19 e seguenti e 28 e seguenti) è volto a fornire agli utenti la possibilità di richiedere che i motori di ricerca de-listino o de-indicizzino i risultati delle ricerche effettuate sulla base del nome di una persona. All'interno del sistema della Convenzione, questo diritto deve essere soppesato rispetto al diritto alla libertà di espressione e al diritto di pubblicare informazioni - in particolare quando comporterebbe la rimozione permanente di articoli di cronaca pubblicati dalla stampa (cfr. Węgrzynowski e Smolczewski c. Polonia, no. 33846/07, 16 luglio 2013).

41. Questo terzo interessato ha anche sottolineato il ruolo essenziale svolto dalla stampa in una società democratica, anche attraverso i siti web dei media e la sua creazione di archivi digitali. Ha inoltre sottolineato che la Corte ha ritenuto che il diritto del pubblico ad essere informato prevalesse sul "diritto all'oblio" nel caso di due individui che avevano cercato di ottenere l'anonimizzazione delle notizie dei media online sulle loro passate condanne penali (M.L. e W.W. c. Germania, nn. 60798/10 e 65599/10, 28 giugno 2018).

(ii) Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione e il relatore speciale per la libertà di espressione della Commissione interamericana per i diritti umani

42. Questo terzo interveniente ha sostenuto che c'era una distinzione significativa tra la de-listing e la cancellazione totale del contenuto secondo gli standard internazionali riguardanti la libertà di espressione. La conclusione che il "diritto all'oblio" comprenda il diritto di chiedere la cancellazione di certi contenuti giornalistici (in contrapposizione alla loro semplice cancellazione dalla lista) porterebbe quasi certamente alla censura in tutto il mondo, e il "diritto all'oblio" sarebbe inopportunamente esteso al punto da mettere gravemente a rischio la libertà di stampa.

(iii) Associazione degli avvocati dei media

43. La Media Lawyers Association ha sostenuto che gli archivi dei media online svolgono un ruolo fondamentale nella protezione e nello sviluppo dei diritti e dei valori sanciti dall'articolo 10 della Convenzione. La cancellazione di informazioni accurate dagli archivi è direttamente contraria ai valori protetti dall'articolo 10 ed equivale alla censura della stampa. Di conseguenza, ogni tentativo di cancellare tali informazioni doveva essere veramente eccezionale e giustificabile solo se strettamente necessario.

(iv) Difesa legale dei media

44. La Media Legal Defence ha sostenuto che la portata del "diritto all'oblio" non dovrebbe includere il diritto di ottenere la cancellazione o l'anonimizzazione di articoli di giornale contenenti informazioni personali di persone. Secondo l'interveniente, gli articoli pubblicati da individui o enti impegnati in attività giornalistiche o da governi non dovrebbero essere cancellati.

45. Questo terzo interessato ha anche sostenuto che nella valutazione dell'equilibrio tra il diritto al rispetto della propria reputazione e il diritto alla libertà di espressione, entrano in gioco altri elementi, come il fatto che il denunciante abbia subito un danno sostanziale, quanto siano recenti le informazioni in questione e se restino di interesse per il pubblico. Gli individui non dovrebbero essere autorizzati a limitare l'accesso alle informazioni che li riguardano e pubblicate da terzi, tranne quando tali informazioni hanno un carattere essenzialmente privato o diffamatorio o quando la pubblicazione di tali informazioni non è giustificata per altre ragioni.

La valutazione della Corte

(a) Osservazioni preliminari

(i) La portata del caso

46. La Corte osserva innanzitutto di essersi occupata di casi di articolo 10 riguardanti pubblicazioni su Internet in cui l'oggetto era un articolo o un post dal contenuto diffamatorio o offensivo (cfr. Delfi AS c. Estonia [GC], n. 64569/09, §§ 131-139, CEDU 2015; Savva Terentyev c. Russia, n. 10692/09, 28 agosto 2018; e Kablis c. Russia, nn. 48310/16 e 59663/17, 30 aprile 2019). Inoltre, in precedenza ha esaminato l'obbligo di pubblicare - se del caso - informazioni supplementari o chiarimenti a un articolo contenuto in archivi Internet (cfr. Times Newspapers Ltd c. Regno Unito (nn. 1 e 2, riguardanti l'obbligo di apporre un avviso agli articoli in questione in quella causa, nel senso che essi erano oggetto di una controversia per diffamazione), nn. 3002/03 e 23676/03, §§ 40-43, CEDU 2009).

47. Per quanto riguarda l'articolo 8, la Corte ha già esaminato casi in cui le giurisdizioni nazionali hanno rifiutato di rimuovere i dati personali dagli archivi pubblici di Internet (si veda Węgrzynowski e Smolczewski, sopra citata, § 65, 16 luglio 2013) o di obbligare i media a rendere anonimo il materiale archiviato online riguardante un reato (si veda M.L. e W.W., sopra citata, § 116).

48. La Corte osserva, tuttavia, che il presente caso si discosta da tutti i casi di cui agli articoli 10 e 8 sopra citati. Il suo nocciolo non è infatti legato al contenuto di una pubblicazione su Internet, né alle modalità di pubblicazione di un'informazione (come, ad esempio, la sua anonimizzazione o qualificazione); piuttosto, esso riguarda la mancata deindicizzazione da parte del ricorrente della suddetta informazione riguardante V.X. e il suo ristorante e la sua decisione di mantenere l'articolo facilmente accessibile, nonostante il fatto che il ricorrente avesse chiesto la rimozione dell'articolo da Internet.

49. La portata della fattispecie, come sopra definita, è stata altresì sottolineata dalla Corte suprema, che ha escluso che l'illiceità del trattamento dei dati personali di V.X. derivasse o (i) dal contenuto del suddetto articolo, (ii) dalla sua pubblicazione e diffusione online o (iii) dalla sua conservazione e archiviazione digitale (cfr. paragrafo 14 supra).

50. La Corte osserva inoltre che ciò che è in gioco nel caso di specie è la durata e la facilità di accesso ai dati in questione e non la loro semplice conservazione su Internet. A questo proposito, la Corte osserva che il ricorrente ha sostenuto che non poteva essergli attribuita la responsabilità della deindicizzazione dell'articolo in questione, essendo tale possibilità aperta, a suo avviso, solo al fornitore del motore di ricerca Internet interessato. La Corte osserva, tuttavia, che questa affermazione è contraddetta dal fatto che il ricorrente alla fine ha deindicizzato l'articolo impugnato il 23 maggio 2011 (vedi paragrafo 10 sopra). Infatti, la deindicizzazione può essere effettuata da un editore, essendo il "noindexing" una tecnica utilizzata dai proprietari di siti web per dire al fornitore di un motore di ricerca di non far apparire il contenuto di un articolo nei risultati di ricerca del motore.[2]

51. A questo proposito, la Corte condivide la posizione del Governo secondo cui la constatazione della responsabilità del ricorrente era stata una conseguenza della mancata deindicizzazione dal motore di ricerca Internet dei tag all'articolo pubblicato dal ricorrente (che avrebbero impedito a chiunque di accedere all'articolo digitando semplicemente il nome di V.X. o del suo ristorante), e che l'obbligo di deindicizzazione del materiale poteva essere imposto non solo ai fornitori di motori di ricerca Internet, ma anche agli amministratori di archivi giornalistici o di giornali accessibili tramite Internet (cfr. paragrafi 38. e 39 supra).

52. La Corte terrà quindi presente la portata della causa, come sopra descritta, mentre procede ora all'esame della denuncia del ricorrente.

(ii) La terminologia

53. La Corte riconosce che i termini "deindicizzazione", "de-listing" e "de-referenziazione" sono spesso utilizzati in modo intercambiabile in diverse fonti del diritto dell'Unione europea e internazionale e che il loro significato specifico può spesso essere tratto solo dal contesto in cui sono utilizzati (si veda - citata al precedente paragrafo 16 - la Raccomandazione CM/Rec(2012)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri sulla protezione dei diritti umani in relazione ai motori di ricerca parte III "Filtraggio e de-indicizzazione", punti 13 e 14; le linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati sui criteri del diritto all'oblio nei casi di motori di ricerca ai sensi del GDPR (si veda il paragrafo 29 sopra); e la sentenza della CGUE in GC, AF, BH, ED v. Commission nationale de l'informatique et des libertés (causa C-136/17) (cfr. il precedente paragrafo 24).

54. All'interno delle fonti citate, i termini "deindicizzazione", "de-listing" e "de-referenziazione" indicano l'attività di un motore di ricerca consistente nel rimuovere, su iniziativa dei suoi operatori, dall'elenco dei risultati visualizzati (a seguito di una ricerca effettuata sulla base del nome di una persona) le pagine Internet pubblicate da terzi che contengono informazioni relative a tale persona (v. paragrafo 22 supra).

55. Invece, nel caso di specie, il soggetto al quale è stata rivolta la richiesta di limitare l'accesso ai dati personali - ossia il ricorrente - non era un motore di ricerca, ma un editore, giornalista e proprietario di un sito web di un giornale online.

56. Per coerenza, la Corte sottolinea che nella presente sentenza utilizzerà il termine "deindicizzazione" per indicare la misura che è stata richiesta al ricorrente per garantire il diritto di V.X. e W. al rispetto della loro reputazione.

(b) La valutazione della Corte

57. La Corte osserva che non era in discussione tra le parti che la libertà di espressione del ricorrente, come garantita dall'articolo 10 della Convenzione, sia stata interferita dalle decisioni del giudice interno del 16 gennaio 2013 e del 24 giugno 2016; né era in discussione tra le parti che tale interferenza fosse "prescritta dalla legge" - ossia il decreto legislativo n. 196 del 2003. La Corte non vede ragioni per ritenere il contrario. Essa è inoltre convinta che l'ingerenza in questione fosse volta a proteggere "la reputazione o i diritti altrui" e avesse quindi uno scopo legittimo ai sensi dell'articolo 10 § 2 della Convenzione.

58. Quanto alla questione se la suddetta ingerenza fosse "necessaria in una società democratica", la Corte ribadisce fin dall'inizio la specificità e la portata della fattispecie in questione (si vedano i precedenti paragrafi 46 e seguenti): la ricorrente è stata ritenuta responsabile non per non aver rimosso l'articolo, ma per non averlo deindicizzato (consentendo così la possibilità - per un periodo la cui durata è stata ritenuta eccessiva - di digitare nel motore di ricerca i nomi del ristorante o di V.X. per accedere alle informazioni relative al procedimento penale che ha coinvolto V.X.).

59. A questo proposito, e con riferimento alle considerazioni di cui sopra relative all'ambito di applicazione della causa, la Corte ribadisce le osservazioni dei terzi intervenienti (cfr. paragrafi 40 e seguenti), che tracciano una netta distinzione tra, da un lato, l'obbligo di de-listing (o "de-index", come nel caso di specie) e, dall'altro, la rimozione permanente o la cancellazione di articoli di notizie pubblicate dalla stampa. Nel caso di specie, la Corte riconosce che la ricorrente è stata ritenuta responsabile solo per il primo requisito - vale a dire che nessun requisito di rimozione permanente dell'articolo era in discussione davanti ai giudici nazionali. Né era in discussione in questo caso alcun intervento riguardante l'anonimizzazione dell'articolo online in questione.

60. A parere della Corte, si tratta di un punto di partenza importante dal quale definire l'ingerenza nella libertà di espressione del ricorrente e individuare, di conseguenza, i principi applicabili al fine di valutare la proporzionalità di tale ingerenza.

61. Riguardo a quest'ultimo punto, la Corte ha stabilito dei principi rilevanti per guidare la sua valutazione sulla necessità o meno di un'ingerenza in questo ambito e ha individuato una serie di criteri nel contesto del bilanciamento tra libertà di espressione e diritto alla reputazione.

Tali criteri sono i seguenti:

i) un contributo a un dibattito di interesse generale;

ii) quanto fosse nota la persona interessata e quale fosse l'oggetto della notizia in questione;

iii) il comportamento della persona interessata nei confronti dei media;

iv) il metodo per ottenere le informazioni in questione e la loro veridicità;

v) il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione in questione, e

vi) la severità della sanzione imposta al richiedente (cfr. Axel Springer AG c. Germania ([GC], no. 39954/08, §§ 89-95, 7 febbraio 2012).

62. Tuttavia, la Corte osserva che vi sono differenze di fatto tra Axel Springer AG e il presente caso. Infatti, il primo caso riguardava la pubblicazione, da parte della società ricorrente, di articoli a stampa che riportavano l'arresto e la condanna di un noto attore televisivo mentre, come osservato sopra, il presente caso riguarda il mantenimento online, per un certo periodo di tempo, di un articolo su Internet riguardante un procedimento penale contro privati. Ci sono quindi due caratteristiche principali che caratterizzano il caso in questione: la prima è il periodo in cui l'articolo online è rimasto su Internet e l'impatto che ha avuto sul diritto dell'individuo in questione a veder rispettata la sua reputazione; la seconda caratteristica riguarda la natura dell'interessato in questione, cioè un privato che non agisce in un contesto pubblico come personaggio politico o pubblico. Infatti, chiunque - noto o meno - può essere oggetto di una ricerca su Internet e i suoi diritti possono essere lesi da un accesso continuo ai suoi dati personali.

63. Alla luce di ciò, la Corte riconosce che la rigida applicazione dei criteri stabiliti nella causa Axel Springer AG sarebbe inappropriata nelle presenti circostanze. Ciò che la Corte deve esaminare è se, alla luce dei principi fondamentali stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, l'accertamento della responsabilità civile del ricorrente da parte dei giudici nazionali fosse basato su motivi pertinenti e sufficienti, date le particolari circostanze del caso (si vedano, tra le altre autorità, le citate cause Times Newspapers Ltd, §§ 40-43 e Delfi AS, §§ 131-139, CEDU 2015; si veda anche la recente causa Big Brother Watch e altri c. Regno Unito [GC], nn. 58170/13 e altri 2, § 442 e ss, 22 maggio 2021).

64. In questo caso occorre prestare particolare attenzione a (i) la durata del tempo in cui l'articolo è stato tenuto online - in particolare alla luce delle finalità per le quali i dati di V.X. sono stati originariamente trattati; (ii) la sensibilità dei dati in questione e (iii) la gravità della sanzione imposta al ricorrente.

65. Per quanto riguarda il primo punto, la Corte osserva che è vero che, come sottolineato dal ricorrente, il procedimento penale contro V.X. e altri membri della sua famiglia era ancora in corso al momento in cui la Corte suprema ha adottato la sua sentenza nella causa del ricorrente. Tuttavia, va notato che le informazioni contenute nell'articolo non erano state aggiornate dopo il verificarsi dei fatti in questione. Inoltre, nonostante la comunicazione formale che V.X. ha inviato al ricorrente chiedendo la rimozione dell'articolo da Internet, il suddetto articolo è rimasto online e facilmente accessibile per otto mesi.

66. A questo proposito, il diritto interno applicabile (si veda l'articolo 11 del decreto legislativo n. 196/2003), letto alla luce degli strumenti giuridici internazionali (si veda l'articolo 5 (e) della Convenzione aggiornata ETS n. 108 e l'articolo 17 § 1 a) del GDPR) sostiene l'idea che la rilevanza del diritto del ricorrente alla diffusione delle informazioni sia diminuita con il passare del tempo, rispetto al diritto di V.X. al rispetto della sua reputazione (a questo proposito, confrontare e contrastare Éditions Plon v. France, no. 58148/00, §§ 53-57, CEDU 2004-IV, dove più il tempo trascorreva, più l'interesse pubblico a discutere della storia del periodo in carica del presidente Mitterrand prevaleva sui diritti del presidente in materia di segreto medico. In quel caso, la Corte ha considerato in particolare che, in ogni caso, il dovere di riservatezza medica era già stato violato).

67. Per quanto riguarda la sensibilità dei dati in questione nel caso di specie, la Corte è consapevole che l'oggetto dell'articolo in questione riguardava un procedimento penale intentato contro V.X. Come si evince anche da diverse fonti del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea (articolo 6 della Convenzione aggiornata ETS no. 108 (cfr. paragrafo 17 supra); sentenza CGUE Google Spain (cfr. paragrafo 21 supra); e GC, AF, BH, ED c. CNIL (cfr. paragrafo 24 supra), la Corte è del parere che le circostanze in cui vengono pubblicate informazioni riguardanti dati sensibili costituiscano un fattore da prendere in considerazione per bilanciare il diritto alla diffusione delle informazioni e il diritto dell'interessato al rispetto della sua vita privata.

68. Per quanto riguarda la gravità della sanzione, la Corte ribadisce che il ricorrente è stato ritenuto responsabile in base al diritto civile e non penale (contrasto Tuomela e altri c. Finlandia, n. 25711/04, § 62, 6 aprile 2010, e Savva Terentyev, sopra citato, § 83). Sebbene l'importo del risarcimento che il ricorrente è stato condannato a pagare agli attori per la violazione del loro diritto a veder rispettata la propria reputazione non sia trascurabile, la Corte è del parere che la severità della pena e l'importo del risarcimento concesso per i danni non patrimoniali (5.000 euro per ciascun attore) non debbano essere considerati eccessivi, date le circostanze del caso di specie.

69. Laddove l'esercizio di bilanciamento tra, da un lato, la libertà di espressione tutelata dall'articolo 10 e, dall'altro, il diritto al rispetto della propria vita privata, sancito dall'articolo 8 della Convenzione, sia stato intrapreso dalle autorità nazionali, in conformità con i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, quest'ultima avrebbe bisogno di forti motivi per sostituire il proprio punto di vista a quello dei giudici nazionali (si veda, tra le altre autorità, Palomo Sánchez e altri c. Spagna [GC], n. 28955/06 e altri 3, § 57, CEDU 2011, e Delfi AS citata, § 139).

70. Le considerazioni che precedono sono sufficienti per consentire alla Corte di concludere che la constatazione da parte delle giurisdizioni nazionali che il ricorrente ha violato il diritto di V.X. al rispetto della sua reputazione in virtù della continua presenza su Internet dell'articolo impugnato e della sua mancata deindicizzazione costituisce una restrizione giustificabile della sua libertà di espressione (si veda, mutatis mutandis, Times Newspapers Ltd, sopra citata, § 47) - tanto più in considerazione del fatto che nessun obbligo è stato imposto al ricorrente di rimuovere definitivamente l'articolo da Internet.

71. Di conseguenza, non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 10 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ

Dichiara il ricorso ricevibile;
Dichiara che non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 10 della Convenzione.

Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 25 novembre 2021, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

{signature_p_2}

Renata Degener Ksenija Turković
Cancelliere Presidente

 (traduzione non ufficiale, originale qui )

 

[1] L'estratto rilevante della sentenza della Corte Suprema recita come segue: "Con una dichiarazione riportata nel verbale dell'udienza del 23 maggio 2011, il rappresentante del [giornale online convenuto, appartenente alla ricorrente] ha indicato che il giornale ha proceduto alla cancellazione dell'indicizzazione (l'avvenuta cancellazione dell'indicizzazione) dell'articolo, al solo scopo di risolvere il caso".

[2] Vedi l'articolo "Controlla cosa condividi con Google" https://developers.google.com/search/docs/advanced/crawling/control-what-you-share.