L’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un mandato di arresto europeo, ove disponga di elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati, attestanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve, al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna al suddetto Stato membro, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi del citato articolo 4 della Carta, tener conto dell’insieme degli aspetti materiali pertinenti delle condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che tale persona verrà reclusa, quali lo spazio personale disponibile per detenuto in una cella di tale istituto, le condizioni sanitarie, nonché l’ampiezza della libertà di movimento del detenuto nell’ambito di detto istituto. Questa valutazione non è limitata al controllo delle insufficienze manifeste. Ai fini di tale valutazione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che essa reputi necessarie e deve fidarsi, in linea di principio, delle assicurazioni fornite da quest’ultima autorità, in mancanza di elementi precisi che permettano di considerare che le condizioni di detenzione violano l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali.
Per quanto riguarda, in particolare, lo spazio personale disponibile per detenuto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in assenza, allo stato attuale, di regole minime in materia nel diritto dell’Unione, tener conto dei requisiti minimi risultanti dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se, per il calcolo di questo spazio disponibile, non si deve tener conto dello spazio occupato dalle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve però includere lo spazio occupato dal mobilio. I detenuti devono tuttavia conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella.
L’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante per il solo fatto che la persona interessata disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permetta di contestare le condizioni della propria detenzione, o per il solo fatto che esistano, in tale Stato membro, misure legislative o strutturali destinate a rafforzare il controllo delle condizioni di detenzione.
La constatazione, da parte della suddetta autorità, dell’esistenza di seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, la persona interessata correrà un rischio siffatto, in ragione delle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che essa verrà reclusa, non può essere posta in bilanciamento, al fine di decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.
***
Sulla rilevanza delle condizioni di detenzione ia relazione ad un mandato di arresto europeo si vedano anche:
CGUE, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198
CGUE, sentenza del 25 luglio 2018 , Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, sul rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un processo equo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente,
Generalstaatsanwaltschaft (LM), C‑220/18 PPU, ECLI:EU:C:2018:586
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA
(Grande Sezione)
15 ottobre 2019 (*)
ECLI:EU:C:2019:857
C‑128/18 - 15 ottobre 2019
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di rifiuto di esecuzione – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – Valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione – Criteri»
Nella causa C‑128/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo, Germania), con decisione dell’8 febbraio 2018, pervenuta in cancelleria il 16 febbraio 2018, nel procedimento relativo all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di
Dumitru-Tudor Dorobantu
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, E. Regan, M. Safjan (relatore) e P.G. Xuereb, presidenti di sezione, M. Ilešič, J. Malenovský, L. Bay Larsen, K. Jürimäe, C. Lycourgos e N. Piçarra, giudici,
avvocato generale: M. Campos Sánchez‑Bordona
cancelliere: D. Dittert, capo unità
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 febbraio 2019,
considerate le osservazioni presentate:
– per il sig. Dorobantu, da G. Strate, J. Rauwald e O.‑S. Lucke, Rechtsanwälte;
– per la Generalstaatsanwaltschaft Hamburg, da G. Janson e B. von Laffert, in qualità di agenti;
– per il governo tedesco, inizialmente da T. Henze, M. Hellmann e A. Berg, poi da M. Hellmann e A. Berg, in qualità di agenti;
– per il governo belga, da C. Van Lul, A. Honhon e J.‑C. Halleux, in qualità di agenti;
– per il governo danese, da J. Nymann‑Lindegren e M.S. Wolff, in qualità di agenti;
– per l’Irlanda, da G. Hodge e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da G. Mullan, BL;
– per il governo spagnolo, da M.A. Sampol Pucurull, in qualità di agente;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino e S. Faraci, avvocati dello Stato;
– per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós, G. Tornyai e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;
– per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e J. Langer, in qualità di agenti;
– per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
– per il governo rumeno, da C.‑R. Canţăr, C.‑M. Florescu, A. Wellman e O.‑C. Ichim, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da S. Grünheid e R. Troosters, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 aprile 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro 2002/584»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, in Germania, di un mandato d’arresto europeo emesso, il 12 agosto 2016, dalla Judecătoria Medgidia (Tribunale di primo grado di Medgidia, Romania) nei confronti del sig. Dumitru‑Tudor Dorobantu ai fini dell’esercizio di azioni penali in Romania.
Contesto normativo
La CEDU
3 Sotto il titolo «Proibizione della tortura», l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), dispone quanto segue:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Diritto dell’Unione
La Carta
4 L’articolo 4 della Carta, intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
5 Le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17; in prosieguo: le «spiegazioni relative alla Carta») precisano, per quanto riguarda l’articolo 4 della Carta, che «[i]l diritto di cui [a tale articolo] corrisponde a quello garantito dall’articolo 3 della CEDU, la cui formulazione è identica», e che, «[a]i sensi dell’articolo 52, paragrafo 3 della Carta, esso ha pertanto significato e portata identici a quelli del suddetto articolo».
6 L’articolo 52 della Carta, intitolato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», prevede, al paragrafo 3, quanto segue:
«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
7 Le spiegazioni relative alla Carta precisano, per quanto riguarda l’articolo 52, paragrafo 3, di quest’ultima, che «[i]l riferimento alla CEDU riguarda sia la convenzione che i relativi protocolli», che «[i]l significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo di questi strumenti, ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea», che «[l]’ultima frase del paragrafo è intesa a consentire all’Unione [europea] di garantire una protezione più ampia», e che «[l]a protezione accordata dalla Carta non può comunque in nessun caso situarsi ad un livello inferiore a quello garantito dalla CEDU».
8 L’articolo 53 della Carta, intitolato «Livello di protezione», ha il seguente tenore:
«Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla [CEDU], e dalle costituzioni degli Stati membri».
La decisione quadro 2002/584
9 L’articolo 1 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», recita:
«1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o [di] una misura di sicurezza privative della libertà.
2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.
3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».
10 Gli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro 2002/584 enunciano i motivi di non esecuzione obbligatoria e quelli di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo.
11 L’articolo 5 della decisione quadro 2002/584 precisa le garanzie che lo Stato membro emittente deve fornire in casi particolari.
12 L’articolo 6 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Determinazione delle autorità giudiziarie competenti», stabilisce quanto segue:
«1. Per autorità giudiziaria emittente si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d’arresto europeo.
2. Per autorità giudiziaria dell’esecuzione si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione che, in base alla legge di detto Stato, è competente dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo.
(…)».
13 L’articolo 7 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Ricorso all’autorità centrale», prevede, al paragrafo 1, quanto segue:
«Ciascuno Stato membro può designare un’autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti».
14 L’articolo 15 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Decisione sulla consegna», recita:
«1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro.
2. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17.
3. L’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione».
15 Ai sensi dell’articolo 17 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Termini e modalità della decisione di esecuzione del mandato di arresto europeo», vale la seguente disciplina:
«1. Un mandato d’arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza.
2. Nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso.
3. Negli altri casi, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 60 giorni dall’arresto del ricercato.
4. In casi particolari, se il mandato d’arresto europeo non può essere eseguito entro i termini di cui ai paragrafi 2 o 3, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ne informa immediatamente l’autorità giudiziaria emittente e ne indica i motivi. In questi casi i termini possono essere prorogati di 30 giorni.
(…)».
Diritto tedesco
Costituzione della Repubblica federale di Germania
16 L’articolo 101, paragrafo 1, secondo periodo, del Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (Costituzione della Repubblica federale di Germania), del 23 maggio 1949 (BGBl. 1949, pag. 1), dispone quanto segue:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge».
Legge sulla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale
17 Gli articoli da 78 a 83k del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sulla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale), del 23 dicembre 1982, come modificato dall’Europäisches Haftbefehlsgesetz (legge sul mandato d’arresto europeo), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721), hanno trasposto la decisione quadro 2002/584 nell’ordinamento giuridico tedesco.
18 L’articolo 73 della legge suddetta, come modificata dalla legge sul mandato d’arresto europeo, così dispone:
«La cooperazione giudiziaria nonché la trasmissione di informazioni senza previa richiesta sono illecite qualora contravvengano a principi essenziali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta ai sensi delle Parti Ottava, Nona e Decima della presente legge, la prestazione di cooperazione giudiziaria è inammissibile qualora contravvenga ai principi enunciati all’articolo 6 TUE».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
19 Il 12 agosto 2016 la Judecătoria Medgidia (Tribunale di primo grado di Medgidia) ha emesso un mandato d’arresto europeo nei confronti del sig. Dorobantu, cittadino rumeno, ai fini dell’esercizio di azioni penali per fatti configuranti delitti contro la proprietà nonché delitti di falso documentale o uso di documenti falsi (in prosieguo: il «mandato d’arresto europeo del 12 agosto 2016»).
20 Con ordinanze del 3 e del 19 gennaio 2017, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo, Germania) ha dichiarato lecita la consegna del sig. Dorobantu alle autorità romene, in esecuzione del mandato d’arresto europeo del 12 agosto 2016.
21 Il giudice suddetto ha a tal fine ricordato i requisiti fissati dalla sentenza della Corte del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198), in virtù dei quali l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in un primo momento, valutare se, per quanto riguarda le condizioni di detenzione, sussistano nello Stato membro emittente carenze sistemiche o generalizzate, oppure carenze che colpiscono determinati gruppi di persone o taluni centri di detenzione, e, in un secondo momento, verificare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che la persona di cui trattasi correrà un rischio reale di subire un trattamento inumano o degradante in ragione delle condizioni della sua detenzione previste in tale Stato.
22 Nell’ambito della prima fase del controllo sopra descritto, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha constatato, sulla base segnatamente di decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardanti la Romania, nonché di un rapporto del Bundesministerium der Justiz und für Verbraucherschutz (Ministero federale della Giustizia e della Tutela dei consumatori, Germania), l’esistenza di indizi concreti di carenze sistemiche e generalizzate nelle condizioni di detenzione in Romania.
23 A seguito di tale constatazione, il giudice suddetto ha valutato, nell’ambito della seconda fase del controllo sopra descritto, gli elementi trasmessi, in particolare, dal giudice di emissione del mandato d’arresto in questione, nonché dal Ministerul Justiției (Ministero della Giustizia, Romania), in merito alle condizioni di detenzione del sig. Dorobantu nel caso della sua consegna alle autorità romene.
24 A questo proposito, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha tenuto conto dell’informazione secondo cui il sig. Dorobantu, nell’ambito di una custodia cautelare nel corso del suo processo, verrebbe detenuto in celle per quattro persone aventi una superficie, rispettivamente, di 12,30 m2, di 12,67 m2 o di 13,50 m2, oppure in celle per dieci persone di una superficie di 36,25 m2. Nel caso in cui il sig. Dorobantu venisse condannato ad una pena privativa della libertà, egli verrebbe detenuto, inizialmente, in un istituto penitenziario nell’ambito del quale ciascun detenuto dispone di una superficie di 3 m2, e poi, in un secondo momento, se fosse sottoposto al regime chiuso di privazione della libertà, nelle medesime condizioni di cui sopra, oppure, se fosse applicato nei suoi confronti il regime aperto o semiaperto, in una cella avente una superficie di 2 m2 per persona.
25 Fondandosi sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 22 ottobre 2009, Orchowski c. Polonia (CE:ECHR:2009:1022JUD001788504), del 19 marzo 2013, Blejuşcă c. Romania (CE:ECHR:2013:0319JUD000791010), e del 10 giugno 2014, Mihai Laurenţiu Marin c. Romania (CE:ECHR:2014:0610JUD007985712), l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha effettuato una valutazione globale delle condizioni di detenzione in Romania. A questo proposito, esso ha constatato un miglioramento di tali condizioni a partire dall’anno 2014, anche se una superficie di 2 m2 per persona non soddisfa i requisiti fissati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’insufficienza dello spazio di cui dispongono le persone detenute sarebbe comunque largamente compensata dalle altre condizioni di detenzione. Inoltre, detto giudice ha rilevato che la Romania ha istituito un meccanismo di controllo efficace delle condizioni di detenzione.
26 L’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha constatato, inoltre, che, in caso di rifiuto di consegna del sig. Dorobantu alle autorità romene, gli illeciti che gli vengono imputati resterebbero impuniti, ciò che sarebbe in contrasto con l’obiettivo consistente nel garantire l’efficacia della giustizia penale in seno all’Unione.
27 Sulla base delle ordinanze del 3 e del 19 gennaio 2017 dell’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo), la Generalstaatsanwaltschaft Hamburg (Procura generale dello Stato di Amburgo, Germania) ha autorizzato la consegna del sig. Dorobantu alle autorità romene, dopo che quest’ultimo aveva scontato la pena detentiva cui era stato condannato per altri reati commessi in Germania.
28 Il sig. Dorobantu ha finito di scontare, il 24 settembre 2017, la pena detentiva inflitta per tali reati commessi in Germania.
29 Il sig. Dorobantu ha presentato dinanzi al Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) un ricorso avverso dette ordinanze dell’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo).
30 Con ordinanza del 19 dicembre 2017, il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) ha annullato le suddette ordinanze, a motivo del fatto che esse violavano il diritto del sig. Dorobantu ad un giudice precostituito per legge, previsto dall’articolo 101, paragrafo 1, secondo periodo, della Costituzione della Repubblica federale di Germania. La causa è stata rinviata dinanzi all’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo).
31 Nella sua ordinanza, il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) ha constatato che, nella sentenza del 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha statuito che il fatto che lo spazio personale di cui dispone un detenuto sia inferiore a 3 m² in una cella collettiva fa sorgere una «forte presunzione» di violazione dell’articolo 3 della CEDU, presunzione che può essere superata qualora le riduzioni dello spazio personale rispetto al minimo richiesto di 3 m² siano brevi, occasionali e minori, qualora esse si accompagnino ad una libertà di movimento sufficiente al di fuori della cella e ad attività adeguate al di fuori della cella, qualora il detenuto sia incarcerato in un istituto che offre, in modo generale, condizioni di detenzione dignitose, e qualora tale detenuto non sia sottoposto ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti di cattive condizioni di detenzione.
32 Inoltre, secondo il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), alcuni criteri adottati dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) nell’ambito della sua valutazione complessiva delle condizioni di detenzione in Romania non sono stati, sino ad oggi, espressamente ammessi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo come elementi idonei a compensare una riduzione dello spazio personale di cui dispone del detenuto. Sarebbe questo il caso, in particolare, della possibilità di godere di permessi, di ricevere visite, di far pulire i propri abiti personali e di effettuare acquisti di prodotti. Inoltre, non sarebbe certo che il miglioramento del sistema di riscaldamento, degli impianti sanitari e delle condizioni igieniche sia idoneo a compensare, alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, una siffatta riduzione dello spazio personale suddetto.
33 Il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) ha altresì sottolineato che né la Corte di giustizia dell’Unione europea né la Corte europea dei diritti dell’uomo si sono sino ad oggi pronunciate sulla rilevanza, in una causa come quella di cui al procedimento principale, di criteri attinenti alla cooperazione dei giudici penali in seno all’Unione nonché alla necessità di evitare l’impunità degli autori di reati e la creazione di «safe havens» per questi ultimi.
34 Il mandato d’arresto nazionale emesso dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ai fini della consegna del sig. Dorobantu è stato eseguito fino alla sospensione della custodia cautelare dell’interessato in virtù di un’ordinanza di detto giudice in data 20 dicembre 2017.
35 Al fine di statuire a seguito del rinvio deciso dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) desidera sapere quali siano le prescrizioni scaturenti dall’articolo 4 della Carta per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente e i criteri da adottare per valutare il rispetto di tali prescrizioni in applicazione della sentenza della Corte del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198).
36 Alla luce di tali circostanze, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Quali siano i requisiti minimi che, nel contesto della decisione quadro 2002/584 (…), devono essere rispettati in forza dell’articolo 4 della Carta per quanto riguarda le condizioni di detenzione.
a) Se, in particolare, dal punto di vista del diritto dell’Unione, esista un limite minimo “assoluto” relativamente alle dimensioni della cella di detenzione, al di sotto del quale sussiste in ogni caso una violazione dell’articolo 4 della Carta.
i) Se sulla determinazione della porzione di spazio in cella per singolo detenuto incida il fatto che si tratti di una cella individuale o di una cella collettiva.
ii) Se, nel calcolo delle dimensioni della cella di detenzione, debba essere sottratta la superficie occupata dal mobilio (letto, armadio, etc.).
iii) Quali siano i requisiti strutturali eventualmente rilevanti ai fini della questione della conformità delle condizioni di detenzione al diritto dell’Unione. Quale importanza rivestano, se del caso, l’accesso diretto (ovvero solo indiretto) esistente dalla cella verso, ad esempio, i locali sanitari od altri spazi, nonché la fornitura di acqua fredda e calda, il riscaldamento, l’illuminazione, etc.
b) In quale misura incidano sulla valutazione i differenti “regimi di esecuzione della pena”, segnatamente le differenze nelle ore d’aria e nel grado di libertà di movimento all’interno dell’istituto penitenziario.
c) Se sia lecito – come ritenuto dal giudice del rinvio nelle proprie decisioni di ammissibilità – prendere in considerazione anche i miglioramenti a livello tanto normativo quanto organizzativo intervenuti nello Stato membro emittente (introduzione di un sistema di mediazione tramite un garante, insediamento di giudici dell’esecuzione penale, etc.).
2) In base a quali criteri debbano essere valutate le condizioni di detenzione sotto il profilo dei diritti fondamentali garantiti nell’Unione. In quale misura detti criteri condizionino l’interpretazione della nozione di “rischio concreto” ai sensi della giurisprudenza della Corte nelle cause Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198).
a) Se le autorità giudiziarie dello Stato membro di esecuzione siano legittimate ad effettuare, a tal riguardo, un controllo esaustivo delle condizioni di detenzione esistenti nello Stato membro emittente, oppure se esse debbano limitarsi ad un “controllo delle insufficenze manifeste”.
b) Nel caso in cui la Corte, nella risposta fornita alla prima questione pregiudiziale, dovesse ritenere, in conclusione, che sussistono requisiti “assoluti” di diritto dell’Unione in ordine alle condizioni di detenzione: Se un’inosservanza di tali condizioni minime sarebbe “sottratta a un giudizio di bilanciamento”, nel senso che, in tal caso, sussisterebbe sempre un “rischio concreto” ostativo alla consegna, oppure se lo Stato membro di esecuzione possa ugualmente procedere ad un bilanciamento. Se, a tal riguardo, possano essere presi in considerazione aspetti quali il mantenimento della cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione, la funzionalità del sistema europeo di giustizia penale oppure i principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento».
Procedimento dinanzi alla Corte
37 Con ordinanza del 25 settembre 2018, pervenuta alla Corte il 27 settembre successivo, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha informato la Corte che, dopo l’emissione, nei confronti del sig. Dorobantu, del mandato d’arresto europeo del 12 agosto 2016, costui è stato condannato in contumacia, in Romania, ad una pena detentiva della durata di due anni e quattro mesi. Di conseguenza, l’autorità giudiziaria rumena ha annullato il suddetto mandato d’arresto europeo ed ha emesso, il 1° agosto 2018, un nuovo mandato d’arresto europeo ai fini dell’esecuzione della pena suddetta (in prosieguo: il «mandato d’arresto europeo del 1° agosto 2018»). Il giudice del rinvio ha mantenuto ferme le proprie questioni pregiudiziali successivamente a tale sostituzione di mandato d’arresto europeo.
38 Il 14 novembre 2018 la Corte ha trasmesso all’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) una richiesta di chiarimenti, in conformità dell’articolo 101 del regolamento di procedura della Corte, invitando detto giudice a precisare, in particolare, se l’autorizzazione dell’esecuzione e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo del 1° agosto 2018 potessero essere considerate certe e non già ipotetiche.
39 Con lettera del 20 dicembre 2018, pervenuta alla Corte lo stesso giorno, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha risposto che, fatta salva la risposta della Corte ai quesiti pregiudiziali, l’autorizzazione dell’esecuzione e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo del 1° agosto 2018 erano certe.
40 Risulta dunque dalle informazioni contenute nell’ordinanza dell’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) del 25 settembre 2018 e in tale lettera del 20 dicembre 2018 che il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi sull’esecuzione di un mandato d’arresto europeo valido (v., a contrario, ordinanza del 15 novembre 2017, Aranyosi, C‑496/16, non pubblicata, EU:C:2017:866, punti 26 e 27). Pertanto, occorre rispondere ai quesiti sollevati dal giudice del rinvio.
Sulle questioni pregiudiziali
41 Con i suoi quesiti, che vanno esaminati congiuntamente, il giudice del rinvio si interroga, in primo luogo, in merito all’intensità e all’ampiezza del controllo che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, la quale disponga di elementi attestanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione nell’ambito degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve, alla luce dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, letto in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta, effettuare al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna al suddetto Stato membro, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Detto giudice si chiede, in particolare, se tale controllo debba essere completo o se debba invece essere limitato ai soli casi di insufficenze manifeste delle sunnominate condizioni di detenzione.
42 In secondo luogo, il giudice nazionale si chiede se, nell’ambito di tale valutazione, esso debba tener conto di un requisito di spazio minimo per persona detenuta in una cella di un siffatto istituto penitenziario. Il giudice del rinvio si interroga altresì in merito alle modalità di calcolo di tale spazio in presenza di mobilio e di infrastrutture sanitarie all’interno della cella, come pure in ordine alla rilevanza, ai fini di una valutazione siffatta, di altre condizioni di detenzione, come le condizioni sanitarie o l’ampiezza della libertà di movimento della persona detenuta all’interno dell’istituto penitenziario.
43 In terzo luogo, detto giudice desidera sapere se l’esistenza di misure legislative e strutturali recanti un miglioramento del controllo delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente debba essere presa in considerazione ai fini della valutazione di cui sopra.
44 In quarto luogo, il giudice remittente domanda se l’eventuale mancato rispetto, da parte di tale Stato membro, dei requisiti minimi relativi alle condizioni di detenzione possa essere posto in bilanciamento con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.
Osservazioni preliminari
45 Al fine di rispondere alle questioni sollevate, occorre, in via preliminare, ricordare che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, il diritto dell’Unione poggia sulla fondamentale premessa secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di detti valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua [sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 35, e del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 48].
46 Tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri, quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda esso stesso sulla fiducia reciproca tra tali Stati, rivestono un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che tali principi consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo [sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 36, e del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 49].
47 Dunque, quando attuano il diritto dell’Unione, gli Stati membri possono essere tenuti, in forza di tale diritto, a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, con la conseguenza che risulta loro preclusa non solo la possibilità di esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell’Unione, ma anche, salvo in casi eccezionali, quella di verificare se tale altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall’Unione [sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 50].
48 Nel settore disciplinato dalla decisione quadro 2002/584, il principio del riconoscimento reciproco – il quale, come risulta in particolare dal considerando 6 della decisione stessa, costituisce il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale – trova applicazione all’articolo 1, paragrafo 2, della citata decisione quadro, il quale sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della decisione di cui sopra. Le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono dunque, in linea di principio, rifiutare di eseguire un siffatto mandato solo per i motivi di non esecuzione, tassativamente elencati, previsti dalla decisione quadro 2002/584 e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo può essere subordinata esclusivamente a taluna delle condizioni tassativamente previste dall’articolo 5 della decisione stessa. Mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione, la quale deve essere oggetto di un’interpretazione restrittiva. Così, la decisione quadro 2002/584 enuncia espressamente i motivi di non esecuzione obbligatoria (articolo 3) e facoltativa (articoli 4 e 4 bis) del mandato d’arresto europeo, nonché le garanzie che lo Stato membro emittente deve fornire in casi particolari (articolo 5) [sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punti 41 e 42, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punti 54 e 55].
49 Ciò non toglie che la Corte ha altresì ammesso che ulteriori limitazioni ai principi del riconoscimento e della fiducia reciproci tra Stati membri possono essere apportate «in circostanze eccezionali» [sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 56].
50 In tale contesto, la Corte ha riconosciuto, a determinate condizioni, l’obbligo per l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di porre fine alla procedura di consegna istituita dalla decisione quadro 2002/584, qualora una siffatta consegna rischi di portare ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, della persona ricercata [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 84; del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 44, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 57].
51 Così, l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione, ove disponga di elementi che attestano l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante delle persone detenute nello Stato membro emittente, in rapporto al livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 4 della Carta, è tenuta a valutare l’esistenza di tale rischio allorché deve decidere sulla consegna della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo alle autorità dello Stato membro emittente. Infatti, l’esecuzione di un siffatto mandato non può condurre a un trattamento inumano o degradante di tale persona [sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 88, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 59].
52 A tal fine, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, anzitutto, fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati in merito alle condizioni di detenzione esistenti nello Stato membro emittente e che dimostrino l’effettiva esistenza di carenze sistemiche o generalizzate, oppure di carenze incidenti su determinati gruppi di persone, od anche riguardanti determinati centri di detenzione. Tali elementi possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, rapporti e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite [sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 60].
53 Nel caso di specie, come risulta dal fascicolo in possesso della Corte, il giudice del rinvio ha constatato, sul fondamento di decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardanti la Romania, di decisioni dei giudici tedeschi, nonché di una relazione del Ministero federale della Giustizia e della Tutela dei consumatori, l’esistenza di indizi concreti di carenze sistemiche e generalizzate nelle condizioni di detenzione in tale Stato membro. I quesiti del giudice del rinvio si fondano dunque sulla premessa dell’esistenza di carenze siffatte, di cui spetta a detto giudice verificare l’esattezza tenendo conto di dati debitamente aggiornati [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 71].
54 Ad ogni modo, la semplice esistenza di elementi che attestino carenze sistemiche o generalizzate, oppure incidenti su determinati gruppi di persone, od anche riguardanti determinati centri di detenzione per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, non implica necessariamente che, in un caso concreto, la persona interessata verrebbe sottoposta a un trattamento inumano o degradante in caso di consegna alle autorità di tale Stato membro [sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 91 e 93, e del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 61].
55 Quindi, per garantire il rispetto dell’articolo 4 della Carta nel caso specifico di una persona che sia oggetto di un mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che si trovi al cospetto di elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati attestanti l’esistenza di siffatte carenze è tenuta, successivamente, a verificare in modo concreto e preciso se, nelle circostanze del caso di specie, sussistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, tale persona correrà un rischio reale di essere sottoposta in quest’ultimo ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in ragione delle condizioni nelle quali essa sarà detenuta in tale Stato membro [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 92 e 94, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 62].
56 L’interpretazione dell’articolo 4 della Carta ricordata ai punti da 50 a 55 della presente sentenza corrisponde, in sostanza, al senso attribuito all’articolo 3 della CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
57 Tale Corte ha statuito che un giudice di uno Stato parte contraente della CEDU non poteva rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo a motivo del fatto che la persona ricercata rischiava di essere oggetto, nello Stato emittente, di condizioni di detenzione implicanti un trattamento inumano e degradante, nel caso in cui detto giudice non avesse proceduto, preliminarmente, ad un esame aggiornato e circostanziato della situazione quale si presentava al momento della sua decisione e non avesse cercato di identificare delle carenze strutturali relative alle condizioni di detenzione nonché un rischio reale e individualizzabile di violazione dell’articolo 3 della CEDU in tale Stato (Corte EDU, 9 luglio 2019, Romeo Castaño c. Belgio, CE:ECHR:2019:0709JUD000835117, § 86).
Sull’intensità e sull’ampiezza del controllo, da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente
58 Per quanto riguarda, in primo luogo, gli interrogativi del giudice del rinvio riguardanti l’intensità e l’ampiezza del controllo, da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente in riferimento all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, letto in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta, occorre, in via preliminare, ricordare che, a norma dell’articolo 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta, poiché il diritto enunciato all’articolo 4 di quest’ultima corrisponde al diritto garantito dall’articolo 3 della CEDU, il suo significato e la sua portata sono identici a quelli ad esso conferiti da tale convenzione. Inoltre, le spiegazioni relative alla Carta precisano, per quanto riguarda il sunnominato articolo 52, paragrafo 3, che il significato e la portata dei diritti garantiti dalla CEDU sono determinati non soltanto dal testo di tale convenzione, ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e da quella della Corte di giustizia dell’Unione europea.
59 Una volta compiuta tale precisazione preliminare, occorre sottolineare, in primis, che, per ricadere nell’ambito dell’articolo 3 della CEDU, un maltrattamento deve raggiungere una soglia minima di gravità, la quale deve essere valutata tenendo conto dell’insieme dei dati della causa, e in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o psichici nonché, in certi casi, del sesso, dell’età e dello stato di salute della persona [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 91 e la giurisprudenza ivi citata].
60 L’articolo 3 della CEDU mira ad assicurare che ogni recluso sia detenuto in condizioni che garantiscono il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad un disagio o ad una prova di intensità tale da superare l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione, e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata [sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 90, nonché del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 90 e la giurisprudenza ivi citata].
61 In tale contesto, il controllo che, nelle circostanze eccezionali ricordate ai punti da 50 a 52 della presente sentenza, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve operare, per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, al fine di valutare l’esistenza di seri e comprovati motivi che facciano ritenere che, a seguito della consegna a tale Stato membro, la persona interessata dal mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta, in quello Stato, ad un trattamento inumano o degradante, deve fondarsi su una valutazione complessiva delle condizioni materiali di detenzione pertinenti.
62 Tenuto conto del fatto che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 107 delle sue conclusioni, la proibizione di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, presenta carattere assoluto (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti da 85 a 87, nonché del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 78), il rispetto della dignità umana che deve essere assicurato in virtù dell’articolo sopra citato non verrebbe garantito nel caso in cui il controllo delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, esercitato dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione, fosse limitato alle sole insufficienze manifeste.
63 Riguardo, in secundis, all’ampiezza del suddetto controllo per quanto concerne gli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, occorre ricordare che l’autorità giudiziaria di cui sopra, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo, deve valutare, in modo concreto e preciso, se, nelle circostanze del caso di specie, esista un rischio reale che tale persona sarà sottoposta, nello Stato membro emittente, ad un trattamento inumano o degradante [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 77].
64 Ne consegue che l’esame che l’autorità summenzionata è tenuta ad effettuare non può, tenuto conto del suo carattere concreto e preciso, riguardare le condizioni di detenzione generali esistenti nell’insieme degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente nei quali la persona interessata potrebbe essere reclusa [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 78].
65 Del resto, l’obbligo per le autorità giudiziarie dell’esecuzione di esaminare le condizioni di detenzione esistenti nell’insieme degli istituti penitenziari nei quali la persona interessata potrebbe essere reclusa nello Stato membro emittente sarebbe manifestamente eccessivo. Detto obbligo sarebbe per giunta impossibile da realizzare entro i termini previsti dall’articolo 17 della decisione quadro 2002/584. Un simile esame sarebbe quindi idoneo a ritardare in modo sostanziale la consegna della persona in questione e, pertanto, a privare di ogni effetto utile il funzionamento del sistema del mandato d’arresto europeo. Ne conseguirebbe un rischio di impunità della persona ricercata [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punti 84 e 85].
66 Di conseguenza, in considerazione della fiducia reciproca che deve esistere tra gli Stati membri, sulla quale si fonda il sistema del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto, in particolare, dei termini imposti alle autorità giudiziarie dell’esecuzione dall’articolo 17 della decisione quadro 2002/584 per l’adozione della decisione definitiva di esecuzione di un siffatto mandato, la autorità suddette sono tenute unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali, secondo le informazioni di cui esse dispongono, è concretamente previsto che la persona di cui trattasi sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:58987, punto 87].
67 A tal fine, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, chiedere all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente la trasmissione con urgenza di qualsiasi informazione complementare necessaria per quanto riguarda le condizioni nelle quali si prevede concretamente di detenere la persona di cui trattasi in tale Stato membro [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:58987, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata].
68 Qualora l’assicurazione che la persona interessata non subirà un trattamento inumano o degradante in ragione delle sue concrete e precise condizioni di detenzione, a prescindere dall’istituto penitenziario nel quale essa sarà reclusa nello Stato membro emittente, sia stata fornita o, quantomeno, approvata dall’autorità giudiziaria emittente, previa richiesta, ove necessario, di assistenza all’autorità centrale o a una delle autorità centrali dello Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro 2002/584, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve fidarsi di tale assicurazione, quantomeno in assenza di un qualche elemento preciso che permetta di ritenere che le condizioni di detenzione esistenti all’interno di un determinato centro di detenzione sono contrarie all’articolo 4 della Carta [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:58987, punto 112].
69 Pertanto, è solo in circostanze eccezionali, e sulla base di elementi precisi, che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può constatare che, malgrado un’assicurazione quale quella contemplata al punto precedente, esiste un rischio reale di vedere la persona interessata sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in ragione delle condizioni della sua detenzione nello Stato membro emittente.
Sulla valutazione delle condizioni di detenzione sotto il profilo dello spazio personale di cui dispone la persona detenuta
70 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la valutazione, da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, delle condizioni di detenzione sotto il profilo dello spazio personale disponibile per detenuto in una cella di un istituto penitenziario, occorre rilevare come risulti dalla decisione di rinvio che il sig. Dorobantu, in caso di sua consegna alle autorità rumene, verrà recluso in una cella collettiva e non in una cella individuale. Pertanto, e a dispetto della formulazione della prima questione pregiudiziale sollevata, occorre, nell’ambito della presente causa, stabilire i requisiti minimi, in termini di spazio personale per detenuto, unicamente per quanto riguarda l’incarcerazione in una cella collettiva.
71 In tale ottica, occorre rilevare che la Corte si è fondata, alla luce delle considerazioni ricordate al punto 58 della presente sentenza, e in assenza, allo stato attuale, di regole minime al riguardo nel diritto dell’Unione, sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU, e più precisamente sulla sentenza del 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413).
72 In tal modo, la Corte ha statuito che, tenuto conto dell’importanza attribuita al fattore spaziale nella valutazione complessiva delle condizioni di detenzione, il fatto che lo spazio personale di cui dispone un detenuto sia inferiore a 3 m2 in una cella collettiva fa nascere una forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 92 e la giurisprudenza ivi citata].
73 Questa forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU può, di norma, essere superata soltanto a condizione, anzitutto, che le riduzioni dello spazio personale in rapporto al minimo richiesto di 3 m2 siano brevi, occasionali e minori, poi, che dette riduzioni si accompagnino a una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad adeguate attività fuori da quest’ultima, e infine, che l’istituto di pena offra in maniera generale condizioni di detenzione dignitose e che la persona interessata non sia sottoposta ad ulteriori elementi ritenuti quali circostanze aggravanti di cattive condizioni di detenzione [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 93 e la giurisprudenza ivi citata].
74 A questo proposito bisogna aggiungere che, senza dubbio, la durata di un periodo di detenzione può essere un fattore rilevante ai fini della valutazione della gravità della sofferenza o dell’umiliazione subite da un detenuto in ragione delle cattive condizioni della sua detenzione. Tuttavia, la brevità relativa di un periodo di detenzione non sottrae automaticamente, di per sé sola, il trattamento controverso dall’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU, qualora altri elementi siano sufficienti per farlo ricadere sotto tale disposizione [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punti 97 e 98 nonché la giurisprudenza ivi citata].
75 Risulta inoltre, in sostanza, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, qualora un detenuto disponga, in una cella collettiva, di uno spazio personale compreso tra 3 m² e 4 m², il fattore spaziale resta un elemento importante nella valutazione dell’adeguatezza delle condizioni di detenzione. In un caso siffatto, è possibile concludere per l’esistenza di una violazione dell’articolo 3 della CEDU qualora alla mancanza di spazio si accompagnino altre cattive condizioni materiali di detenzione, e segnatamente una mancanza di accesso al cortile dell’attività fisica ovvero all’aria e alla luce naturali, una cattiva aereazione, una temperatura troppo bassa o troppo alta nei locali, una mancanza di intimità nelle toilette oppure cattive condizioni sanitarie e igieniche (v., in tal senso, Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413, § 139).
76 Qualora un detenuto disponga di più di 4 m² di spazio personale in una cella collettiva e di conseguenza tale aspetto delle sue condizioni materiali di detenzione non sollevi problemi, gli altri aspetti delle condizioni suddette, quali considerati al punto precedente, rimangono pertinenti ai fini della valutazione dell’adeguatezza delle condizioni di detenzione dell’interessato alla luce dell’articolo 3 della CEDU (v., in tal senso, Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:1020JUD000733413, § 140).
77 Anche per quanto riguarda le modalità con cui – per valutare se esista un rischio reale per la persona interessata di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta – va calcolato lo spazio minimo di cui deve disporre una persona detenuta in una cella collettiva nella quale si trovino mobilio e infrastrutture sanitarie, bisogna, in assenza, allo stato attuale, di regole minime stabilite in materia dal diritto dell’Unione, tener conto dei criteri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alla luce dell’articolo 3 della CEDU. Tale giudice considera che se, per il calcolo della superficie disponibile in una cella siffatta, non si deve tener conto della superficie delle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve includere lo spazio occupato dal mobilio, con la precisazione però che i detenuti devono conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella (v., in tal senso, Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413, § 75 e 114 nonché la giurisprudenza ivi citata).
78 Nel caso di specie, risulta dalle osservazioni presentate dal governo rumeno all’udienza che, a seguito della sua consegna, il sig. Dorobantu dovrebbe essere detenuto nell’ambito di un regime che gli permette di beneficiare di una notevole libertà di movimento e altresì di lavorare, il che limiterebbe il tempo passato in una cella collettiva. Spetta al giudice del rinvio verificare tali elementi e valutare qualsiasi altra circostanza pertinente ai fini dell’analisi che esso è chiamato ad effettuare, in conformità delle indicazioni fornite ai punti da 71 a 77 della presente sentenza, eventualmente chiedendo all’autorità giudiziaria emittente le informazioni complementari necessarie qualora ritenga che le informazioni già comunicate da quest’ultima siano insufficienti per permettergli di statuire sulla consegna.
79 Occorre, infine, sottolineare che, se certo è lecito per gli Stati membri prevedere, per il loro sistema penitenziario, standard minimi, in termini di condizioni di detenzione, più elevati di quelli risultanti dall’articolo 4 della Carta e dall’articolo 3 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nondimeno, uno Stato membro può, in quanto Stato membro di esecuzione, subordinare la consegna, allo Stato membro emittente, della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo unicamente al rispetto di questi ultimi standard, e non al rispetto di quelli risultanti dal proprio diritto nazionale. Infatti, la soluzione contraria, rimettendo in discussione l’uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali definiti dal diritto dell’Unione, finirebbe per pregiudicare i principi della fiducia e del riconoscimento reciproci che la decisione quadro 2002/584 mira a sostenere e, dunque, per compromettere l’effettività di tale decisione quadro (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 63).
Sulla rilevanza di misure generali destinate a migliorare il controllo delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente
80 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’adozione, nello Stato membro emittente, di misure che, come l’instaurazione di un sistema di mediazione o l’istituzione di giudici dell’esecuzione delle pene, mirino a rafforzare il controllo delle condizioni di detenzione in tale Stato membro, occorre sottolineare che, se certo un controllo – segnatamente un controllo giurisdizionale a posteriori – delle suddette condizioni di detenzione costituisce un elemento importante, che può contribuire ad incitare le autorità di detto Stato a migliorare tali condizioni e che pertanto può essere preso in considerazione dalle autorità giudiziarie dell’esecuzione al momento della valutazione complessiva delle condizioni in cui si prevede di detenere una persona sottoposta a mandato d’arresto europeo al fine di decidere sulla sua consegna, ciò non toglie che un siffatto controllo non è, di per sé solo, idoneo ad escludere il rischio di vedere tale persona sottoposta, a seguito della sua consegna, ad un trattamento incompatibile con l’articolo 4 della Carta, in ragione delle condizioni della sua detenzione [v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 74].
81 Pertanto, anche se lo Stato membro emittente prevede dei mezzi di ricorso che permettono di controllare la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali, le autorità giudiziarie dell’esecuzione restano obbligate a procedere ad un esame individuale della situazione di ciascuna persona interessata, al fine di assicurarsi che la loro decisione sulla consegna di tale persona non esporrà quest’ultima, in ragione delle predette condizioni, a un rischio reale di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi della disposizione sopra citata [sentenza del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), C‑220/18 PPU, EU:C:2018:589, punto 75].
Sulla presa in conto di considerazioni relative all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci
82 Per quanto riguarda, in quarto luogo, la questione se l’esistenza di un rischio reale di vedere la persona interessata sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, in ragione della non conformità delle condizioni della sua detenzione nello Stato membro emittente ai requisiti minimi risultanti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, possa essere posta in bilanciamento, dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiamata a decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci, occorre rilevare che il carattere assoluto, ricordato al punto 62 della presente sentenza, che riveste la proibizione di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, osta a che il diritto fondamentale di non essere sottoposti a simili trattamenti possa essere in qualsiasi modo limitato per effetto di considerazioni siffatte.
83 Date tali premesse, la necessità di garantire che la persona interessata non venga sottoposta, in caso di consegna allo Stato membro emittente, ad alcun trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, giustifica, in via eccezionale, una limitazione dei principi della fiducia e del riconoscimento reciproci (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 82, da 98 a 102, e 104).
84 Ne consegue che la constatazione, da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, dell’esistenza di seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento siffatto, in ragione delle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che essa verrà reclusa, non può essere posta in bilanciamento, al fine di decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.
85 Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando quanto segue:
– L’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, letto in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta, deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, ove disponga di elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati, attestanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve, al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna al suddetto Stato membro, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi del citato articolo 4 della Carta, tener conto dell’insieme degli aspetti materiali pertinenti delle condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che tale persona verrà reclusa, quali lo spazio personale disponibile per detenuto in una cella di tale istituto, le condizioni sanitarie, nonché l’ampiezza della libertà di movimento del detenuto nell’ambito di detto istituto. Questa valutazione non è limitata al controllo delle insufficienze manifeste. Ai fini di tale valutazione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che essa reputi necessarie e deve fidarsi, in linea di principio, delle assicurazioni fornite da quest’ultima autorità, in mancanza di elementi precisi che permettano di considerare che le condizioni di detenzione violano l’articolo 4 della Carta.
– Per quanto riguarda, in particolare, lo spazio personale disponibile per detenuto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in assenza, allo stato attuale, di regole minime in materia nel diritto dell’Unione, tener conto dei requisiti minimi risultanti dall’articolo 3 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se, per il calcolo di questo spazio disponibile, non si deve tener conto dello spazio occupato dalle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve però includere lo spazio occupato dal mobilio. I detenuti devono tuttavia conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella.
– L’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante per il solo fatto che la persona interessata disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permetta di contestare le condizioni della propria detenzione, o per il solo fatto che esistano, in tale Stato membro, misure legislative o strutturali destinate a rafforzare il controllo delle condizioni di detenzione.
– La constatazione, da parte della suddetta autorità, dell’esistenza di seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, la persona interessata correrà un rischio siffatto, in ragione delle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che essa verrà reclusa, non può essere posta in bilanciamento, al fine di decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.
Sulle spese
86 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, letto in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, ove disponga di elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati, attestanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve, al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna al suddetto Stato membro, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo correrà un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante, ai sensi del citato articolo 4 della Carta, tener conto dell’insieme degli aspetti materiali pertinenti delle condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che tale persona verrà reclusa, quali lo spazio personale disponibile per detenuto in una cella di tale istituto, le condizioni sanitarie, nonché l’ampiezza della libertà di movimento del detenuto nell’ambito di detto istituto. Questa valutazione non è limitata al controllo delle insufficienze manifeste. Ai fini di tale valutazione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che essa reputi necessarie e deve fidarsi, in linea di principio, delle assicurazioni fornite da quest’ultima autorità, in mancanza di elementi precisi che permettano di considerare che le condizioni di detenzione violano l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali.
Per quanto riguarda, in particolare, lo spazio personale disponibile per detenuto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in assenza, allo stato attuale, di regole minime in materia nel diritto dell’Unione, tener conto dei requisiti minimi risultanti dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se, per il calcolo di questo spazio disponibile, non si deve tener conto dello spazio occupato dalle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve però includere lo spazio occupato dal mobilio. I detenuti devono tuttavia conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella.
L’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante per il solo fatto che la persona interessata disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permetta di contestare le condizioni della propria detenzione, o per il solo fatto che esistano, in tale Stato membro, misure legislative o strutturali destinate a rafforzare il controllo delle condizioni di detenzione.
La constatazione, da parte della suddetta autorità, dell’esistenza di seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, la persona interessata correrà un rischio siffatto, in ragione delle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che essa verrà reclusa, non può essere posta in bilanciamento, al fine di decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.