"Avvocato scorretto e aggressivo", non è reato: in materia di diffamazione, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente del diritto di critica, ha necessariamente il carattere dell'elasticità. Al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate; ed ancora, che l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato.
Cassazione penale
sez. V, ud. 13 novembre 2024 (dep. 10 febbraio 2025), n. 5239
Presidente Miccoli - Relatore Sessa
Ritenuto in fatto
l. Con sentenza del 22.4.2024 il Tribunale di Torino ha confermato la sentenza di condanna di C.S., emessa dal Giudice di Pace, per il reato di diffamazione, ritenuto in relazione all'affermazione, contenuta in una e-mail diretta all'amministratore condominiale, e per conoscenza ad un condomino e all'avvocato che curava le ragioni del condominio in un contenzioso con l'imputata, che avrebbe denunciato anche il predetto avvocato per il suo comportamento "scorretto e aggressivo" nei suoi confronti, senza alcun motivo.
2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione agli artt. 601, commi 1 e 3, e 179 del codice di rito, per omessa notifica all'imputata della citazione a giudizio in appello. L'imputata, infatti, già presente nel procedimento di primo grado aveva effettuato la propria elezione di domicilio per il tramite del suo difensore nell'epigrafe dell'atto di appello, indicando espressamente il domicilio presso cui ricevere le notifiche. A fronte di tale volontaria elezione nessuna attività notificatoria veniva posta in essere nei confronti della predetta, che non ha mai eletto domicilio presso il difensore attuale; a ciò si aggiunga che la difesa aveva conoscenza della definizione del giudizio di appello solo con la notifica della sentenza avvenuta in data 22/04/2024. Non si comprende in particolare la ragione per la quale il giudice di appello, a fronte di un primo rinvio dell'udienza del 23/02/2024 differita poi al 22/04/2024 - sul punto non risultano essere disponibili verbali di udienza come da attestazione di cancelleria - non si sia determinato a rinnovare la citazione in appello nemmeno al difensore di fiducia, considerando con ogni probabilità come valida e regolare solo la prima notifica al difensore, laddove vi era stato il rinvio della prima udienza che gli andava comunicato, anche se si trattava di procedimento cartolare. In ogni caso, pur a voler ritenere la nullità verificatasi in relazione alla citazione a giudizio dell'imputata non assoluta, si tratta comunque di nullità di tipo intermedio eccepibile col primo atto utile, ossia il ricorso per cassazione.
2.2. Col secondo motivo deduce la mancanza della motivazione in ordine all'accertamento dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 595 cod. pen. e violazione di legge in ordine all'accertamento dell'elemento oggettivo di tale reato. Il Tribunale di Torino ha ritenuto di confermare la sentenza del giudice di primo grado in ragione della tipologia dei termini "scorretto" e "aggressivo" utilizzati dalla signora C.S. nei confronti dell'avvocato M.M., parte civile, ritenendoli lesivi agli occhi dei terzi "della reputazione personale e professionale della persona offesa essendo la probità e la correttezza professionale dell'avvocato requisiti imprescindibili per l'esercizio della professione e, se mancanti, persino forieri di conseguenze deontologiche disciplinari.
Il giudice a quo a fronte di tale succinta motivazione in punto di elemento oggettivo nulla dice dell'accertamento del contegno psichico tenuto dall'imputata in quella circostanza anch'esso necessario seppure nella forma del dolo generico per ritenere il reato configurato.
Peraltro, il giudice di primo grado, da un lato, assolveva l'imputata per le parole ben più discutibili riservate al B. e all'amministratore di condominio R.M. per mancanza dell'elemento soggettivo del reato, e, dall'altro, la condannava per le affermazioni riservate alla persona offesa nelle medesime conversazioni, laddove non poteva che essere unico l'atteggiamento psicologico dell'imputata che non poteva mutare in relazione ad accadimenti intervenuti nello stesso frangente e arco temporale ristretto.
Ciò senza considerare il tenore stesso delle espressioni adoperate dall'imputata, "scorretto" e "aggressivo" nei confronti del legale del condominio che inserite nella contesa instauratasi tra le parti appaiono come una scomposta reazione non idonea ad integrare il reato contestato.
Né si è valutata l'ipotesi scriminante di cui all'art. 599 cod. pen., anche a livello putativo, che ricorre anche nel caso di una ragionevole anche se erronea opinione di illiceità del fatto altrui, perché l'errore sia plausibile, ragionevole, non pretestuoso e logicamente apprezzabile.
3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste; il difensore della parte civile, con le due memorie in atti, ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Preliminarmente si osserva che il primo motivo è, invece, infondato. Il decreto di fissazione dell'udienza d'appello è stato notificato all'imputata presso lo studio del precedente difensore ove aveva eletto domicilio; tale elezione di domicilio non può ritenersi superata dalla diversa dichiarazione di domicilio a cui fa riferimento il ricorso, contenuta nell'atto di appello, mancando essa del requisito essenziale della sottoscrizione da parte dell'imputata, non risultando l'atto di appello che la contiene sottoscritto dall'imputata.
Sicché correttamente la citazione a giudizio dell'imputata è intervenuta presso il domicilio eletto presso il precedente difensore in assenza di mutamenti idonei ad incidere su tale elezione di domicilio. Si tratterebbe, in ogni caso, di nullità a regime intermedio non essendo, quanto verificatosi nel caso di specie - notificazione presso il domicilio eletto in precedenza - equiparabile - come lo stesso ricorso ammette - all'ipotesi della mancanza di citazione a giudizio; nullità a regime intermedio che, interessando la fase introduttiva del giudizio di appello e non il giudizio, a differenza di quanto assume la difesa, è però eccepibile fino alla sentenza di appello (cfr. Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, Rv. 284810 - 01; Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, Rv. 278869 - 02).
La citazione in appello è stata altresì notificata all'attuale difensore (sebbene con l'erronea indicazione che si trattava di notifica effettuata come domiciliatario, ma è chiaro che il difensore è indicato al contempo come destinatario e l'imputata come mero soggetto interessato), per quanto non risultino (in assenza di verbali di udienza, non è da escludere dovuta alla trattazione scritta) le ragioni per le quali poi la sentenza, con motivazione contestuale, sia stata emessa e depositata in diversa data.
1.2. Quanto al secondo motivo, premesso che in materia di diffamazione questa Corte è anche "giudice del fatto" (cfr., tra tante, Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. il 22/01/2020, Fabi M., Rv. 278145 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, P.G., P.C. in proc. Demofonti, Rv. 261284 - 01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio e altri, Rv. 256706 - 01; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. il 12/01/2006, Travaglio, Rv. 233749 - 01), si osserva che nel caso di specie i motivi che attingono il fatto anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo sono fondati.
Con la sentenza impugnata, come riportato nel 'ritenuto in fatto', è stata confermata la condanna della ricorrente per il reato di diffamazione ravvisato in relazione all'affermazione - contenuta in una e-mail diretta all'amministratore condominiale, e per conoscenza ad un condomino e allo stesso avvocato M.M., legale civilista che curava le ragioni del condominio in un contenzioso con l'imputata - che la stessa avrebbe denunciato - anche - il predetto avvocato per il comportamento "scorretto e aggressivo" assunto nei suoi confronti senza alcun motivo (l'imputata era stata invece assolta dal reato di diffamazione in danno dell'amministratore del condominio, R.M.).
In particolare, secondo la sentenza impugnata, l'attribuzione all'avvocato di un comportamento scorretto ed aggressivo, oltre che gratuita nel caso di specie, sarebbe gravemente lesiva agli occhi dei terzi della reputazione personale e professionale della persona offesa, essendo la probità e correttezza professionale dell'avvocato requisiti imprescindibili per l'esercizio della professione e, se mancanti, forieri di conseguenze deontologiche e disciplinari.
Ciò lo si afferma, come fa rilevare il ricorso, non solo sulla base di una sbrigativa valutazione del fatto diffamatorio in argomento, che andava invece quanto meno contestualizzato in relazione alla vicenda complessiva in cui si inseriva - che era la stessa nel cui ambito erano intervenute le affermazioni rivolte all'amministratore R.M. per le quali l'imputata era stata, invece, assolta in primo grado con la formula 'perché il fatto non costituisce reato' -, ma anche senza minimamente considerare l'elemento soggettivo, che, sebbene distinguibile sotto il profilo ontologico rispetto a ciascuna fattispecie di diffamazione, è, nel caso di specie, comunque da rapportare - come si sottolinea in ricorso - alla medesima fase unitaria che vide poste in essere le diverse affermazioni ascritte alla ricorrente, ivi comprese quelle per le quali è intervenuta pronuncia assolutoria.
E', invero, in tale ambito complessivo che devono essere valutate - anche - le affermazioni rivolte all'avvocato M.M., non potendosi per altro verso nemmeno trascurare che il reato di diffamazione risulta scriminato nel momento in cui le espressioni utilizzate, pur di per sé non del tutto inoffensive, siano da ricondurre all'esercizio del diritto di critica, quale estrinsecazione della libertà di manifestazione del pensiero; laddove, peraltro, la circostanza a cui la sentenza di primo grado sembra ancorare la diversa valutazione svolta in relazione all'offensività della condotta in argomento, ovvero quella secondo cui l'imputata avrebbe poi effettivamente presentato un esposto al Consiglio disciplinare dell'Ordine degli avvocati in cui si stigmatizzavano determinati comportamenti del legale, sta piuttosto a suggellare, come evidenzia il Procuratore generale nella requisitoria scritta, che le espressioni adoperate fossero da riferire al comportamento, appunto, e non alla persona.
In definitiva, come evidenzia il Procuratore Generale nella requisitoria scritta, l'imputata avrebbe, in buona sostanza, esteso l'aspra conflittualità con l'amministratore condominiale al legale del condominio. Sicché, incontestata l'elevata conflittualità tra l'imputata e l'amministrazione condominiale, di cui è chiara espressione la stessa mail nella quale era contenuto il breve riferimento all'attuale persona offesa, si deve concludere che, pur a voler ritenere i generici termini utilizzati nei confronti dell'avvocato del condominio - in una missiva a diffusione limitata e all'interno dello stesso contesto condominiale al quale era riferita la controversia di base - peraltro riferiti al comportamento e non alla persona dell'avvocato - definiti di uso comune e proprio privi di intrinseca carica dispregiativa dal Procuratore Generale - dotati di una qualche valenza offensiva, si deve comunque concludere che per la modesta portata dispregiativa delle espressioni - genericamente riferite ad un non meglio precisato comportamento che il legale avrebbe assunto - sussista la continenza dell'offesa, qualificabile, rispetto al contesto complessivo venutosi a creare in cui essa si inserisce, quale espressione del diritto di critica e non come una sbilanciata e gratuita manifestazione del pensiero.
Sul tema, si ricorda che, in materia di diffamazione, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen., ha necessariamente il carattere dell'elasticità (cfr. Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005, Marcenaro e al., Rv. 231711 - 01) e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate; ed ancora, che l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (cfr. tra tante, Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Rv. 279133 - 01). Laddove nel caso di specie si è trattato solo di un isolato passaggio riferito al difensore rispetto al quale non è possibile intravvedere l'uso da parte della ricorrente di argomenti "ad hominem", effettivamente lesivi della reputazione della parte offesa, ma al più un accenno generico ad un comportamento scorretto ed aggressivo dell'avvocato; accenno evidentemente frutto del pensiero critico dell'imputata che ha in tal modo ritenuto di manifestare le sue riserve non tanto sulla professionalità del legale quanto sulla complessiva vicenda creatasi che vedeva, secondo l'imputata, in qualche modo coinvolta anche la persona offesa quale difensore dell'amministratore.
Nel caso di specie, non può, in altri termini, ritenersi superato il limite della continenza alla luce dello stesso tenore letterale dei termini utilizzati e del contesto in cui si collocano le affermazioni che li contengono. Queste, peraltro, in quanto facenti parte della stessa mail contenente soprattutto esternazioni verso l'amministratore, il vero soggetto avuto di mira - rispetto al quale, si ribadisce, i giudici di merito sono giunti a ravvisare l'insussistenza dell'elemento soggettivo - non possono che essere lette in tale complesso unitario, che depone pienamente, quanto meno, per il riconoscimento della scriminate dell'esercizio del diritto di manifestazione del pensiero sotto il profilo della critica, da intendere, nel caso di specie, come una sorta di presa di distanza critica - espressa in termini non affatto eccessivi - non solo dai comportamenti assunti dall'amministratore ma anche da quello dello stesso legale che lo assisteva.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.