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Ansia da conflitto di coppia non vale per stalking (Gup Roma, 367/23)

13 febbraio 2023, GUP Roma

Lo stato di ansia punibile penalmente come evento causato dallo stalking deve essere tale da avere intensità ed effetti molto superiori all’analogo sentimento che è fisiologicamente riscontrabile in qualunque persona normale in presenza di rapporti di accesa contrapposizione maturati in un contesto ormai sfociato in evidente conflittualità: ai fini della (raignevole previsione di) condanna è necessario infatti che nella vittima insorga uno stato d'ansia e/o di paura che deve presentare altresì i caratteri della perduranza e della gravità. Al fine di non dilatare eccessivamente la portata applicativa della norma, il legislatore ha revisto che il turbamento psicologico indotto dalla condotta illecita non solo sia costante, nel senso che si protragga nel tempo e si manifesti ininterrottamente, ma anche che sia grave, ossia che presenti intensità ed effetti molto superiori all'analogo sentimento che è fisiologicamente riscontrabile in qualunque persona normale in presenza di rapporti conflittuali all' interno di un determinato contesto relazionale.

La prova del nesso causale tra la condotta minatoria o molesta e l' insorgenza degli eventi di danno alternativamente contemplati dall'alt. 612 bis c.p., non può limitarsi alla dimostrazione dell'esistenza dell'evento, né collocarsi sul piano dell'astratta idoneità della condotta a cagionare l'evento, ma deve essere concreta e specifica, dovendosi tener conto della condotta posta in essere dalla vittima e dei mutamenti che sono derivati a quest'ultima nelle abitudini e negli stili di vita.


TRIBUNALE PENALE DI ROMA

Sezione dei Giudici per l'udienza preliminare

 sentenza 13/02/2023, n. 367


Il Giudice della 40 sezione dott.ssa Marina Finiti (...) all'udienza preliminare del 30.01.23 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente (...)

SENTENZA
(art. 425 c.p.p.)


nei confronti di
C.M., nato ad (...) difeso di fiducia dall'avv. PA, el.te dom.to presso il suo studio in Roma, (..)
Libero assente

IMPUTATO

in ordine al reato ex artt. 81 cpv., 612 bis co. 1 e 2 c.p. perché, con più azioni in esecuzione del medesimo disegno criminoso, reiteratamente molestava e minacciava I.M. attuale fidanzato della
propria ex compagna, e quest'ultima, S.L., facendola oggetto di molestie e minacce di danni ingiusti, con espressioni del seguente tenore: "Tanto prima o poi ti caccerò di casa - Falla finita di
scopare nel mio letto a casa mia con il tuo amante - Ti leverò i figli perché sei una madre indegna e ti caccerò di casa - Per colpa tua (...) sta diventando deficiente - Non ti do più soldi perché te li
magni con il tuo amante", non accettando la frequentazione e presenza dei nuovo compagno nella casa familiare; (...) in tal modo ingenerando nelle vittime predette un perdurante e grave stato di
ansia e un fondato timore per la loro incolumità ed inducendole a modificare le proprie abitudini di vita e di convivenza.
Con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona a cui era stato legato da relazione sentimentale.
In Roma, da epoca successiva e prossima al 24.04.2014, con condotta perdurante sino al gennaio 2021.

In cui sono parti civili S.L. (presente) e I.M. (non comparso), difesi dall'avv. (...) presente

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

D.M. è imputato del delitto di atti persecutori continuati in danno della ex compagna, S.L., e del suo attuale compagno, I.M., per aver reiteratamente molestato e minacciato entrambi proferendo all' indirizzo della S frasi del tipo "tanto prima o poi ti caccerò di casa - Falla finita di scopare nel mio letto a casa mia con il tuo amante - Ti leverò i figli perché sei una madre indegna e ti caccerò di casa -
Per colpa tua E. sta diventando deficiente - Non ti do più i soldi perché te li magni con il tuo amante", non accettando la frequentazione e la presenza dell'uomo nella casa familiare, così ingenerando nelle vittime un perdurante e grave stato di ansia e un fondato timore per la loro incolumità e inducendole a
modificare le proprie abitudini di vita e di convivenza, reato aggravato dalla pregressa relazione sentimentale con la donna. Condotta contestata da epoca prossima al 24 aprile 2014 e perdurante sino al gennaio 2021, dunque per circa sette anni.

Il procedimento penale ha origine dalla querela sporta il 28 dicembre 2020 da L.S. nei confronti di M.D. nell'atto la donna deduceva di aver intrattenuto una relazione affettiva con l' imputato da cui erano nati
due figli, R. ed E.A. seguito dell' interruzione del loro rapporto affettivo il Tribunale dei Minori aveva disposto l'affido condiviso dei minori con assegnazione della casa familiare di (...) di proprietà
dell'imputato alla donna, essendo collocati prevalentemente presso di lei i bambini.

Da allora la parte lesa lamentava di essere oggetto di reiterate minacce verbali del tipo riportate nel capo di imputazione, in particolare dal momento in cui l'uomo veniva a conoscenza della sua nuova relazione sentimentale intrattenuta con M. li (...). La (...) lamentava i pedinamenti e i continui controlli dell' imputato volti a monitorare gli spostamenti del suo compagno al fine di dimostrare falsamente il trasferimento dell'uomo presso la casa familiare, pedinamenti che risalivano già al 2014 e si protraevano ininterrottamente da anni, come era dato rilevare dalle memorie depositate dall' imputato nel procedimento civile da lei intentato innanzi al Tribunale per la modifica delle condizioni anche
economiche relative ai figli.

A dimostrazione delle sue doglianze la S. riferiva che " il D. riportava negli atti del civile e verbalmente alla scrivente, dettagli su situazioni e movimenti miei e dell'l (...) di cui poteva essere a conoscenza solo
attraverso un costante pedinamento". Circostanza che unitamente alle minacce ricevute le creava un costante stato di ansia e di terrore.

Lo stesso giorno depositava analoga querela I.M., attuale compagno della S. Secondo quanto lamentato dall'l (...) il D.B. lo avrebbe pedinato, fotografato e monitorato al fine di dimostrare il suo stabile
trasferimento presso l'abitazione assegnata alla S., ove vivevano i due minori, come da memorie di replica e note autorizzate allegate all'atto di querela, depositate nel procedimento instaurato dalla
donna innanzi al Tribunale Civile, giudice dott.ssa (...) avente ad oggetto la modifica delle condizioni relative all'affidamento e alle spettanze economiche dei ragazzi.

Nella memoria il D.B. contestava la possibilità della S. di ospitare terze persone presso la casa assegnatale, in particolare si doleva della coabitazione della donna con il nuovo compagno, M.I., come
asseritamente dimostrerebbe il materiale fotografico allegato all'atto, attestante il parcheggio della vettura di proprietà dell'l (...) nei pressi dell'abitazione di (..) Deduceva il querelante che le pretese vantate dal D dovevano ritenersi assolutamente pretestuose e
del tutto infondate erano le affermazioni relative al suo stabile trasferimento presso l'abitazione di sua proprietà. Il querelante palesava anche il sospetto maturato nei confronti del C. in occasione di plurimi danneggiamenti della sua vettura constatati in occasione di alcuni pernottamenti presso l' immobile suddetto.

I due procedimenti, stante la connessione oggettiva e soggettiva, venivano riuniti nella fase delle indagini.

Osserva il Gup che il reato di cui all'art. 612 bis c.p. è reato abituale e, come tale, richiede la reiterazione di più condotte di minaccia o di molestia - almeno 2 (cfr Cass. Sez. 5^, 5.6.2013 n. 46331) - differendo dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di "danno" (consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un
perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l' incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesim 
legata da relazione affettiva) (cfr. Cass. Sez. 3^, 16.1.2015 n. 9222 ). La ratio della norma è volta alla tutela della libertà morale dei consociati. Gli atti persecutori consistono, infatti, in condotte di tipo
vessatorio che determinano la mortificazione delle condizioni soggettive della vittima, tanto da incidere sul modo di conformare il proprio comportamento in termini di completa autonomia e da
turbare quegli aspetti, complementari ma indispensabili, di quiete e di tranquillità, sui quali una siffatta autonomia necessariamente si fonda (v. Sez. 3, 7.3.2014 n. 23485, U. Rv. 260083; Sez. 5, 19.5.2011,
n. 29872 L., Rv. 250399 in relazione alla alternatività delle condotte e degli eventi).

Ai fini della configurabilità del reato è dunque necessaria la prova che la condotta incriminata abbia determinato uno dei tre eventi alternativi sopra indicati.

La Suprema Corte ha altresì precisato che "la prova del nesso causale tra la condotta minatoria o molesta e l' insorgenza degli eventi di danno alternativamente contemplati dall'alt. 612 bis c.p., non può limitarsi alla dimostrazione dell'esistenza dell'evento, né collocarsi sul piano dell'astratta idoneità della condotta a cagionare l'evento, ma deve essere concreta e specifica, dovendosi tener conto della condotta posta in essere dalla vittima e dei mutamenti che sono derivati a quest'ultima nelle abitudini e negli stili di vita" (Cass. Sez. 3^, 23.10.2013 n. 46179).

Applicati tali condivisibili principi giurisprudenziali, nel caso in esame ritiene questo G.U.P. che non sia stata raggiunta la prova sufficiente dell'esistenza di almeno uno degli eventi del reato previsti dalla norma incriminatrice.

Quanto al primo degli eventi di cui all'art. 612bis c.p. la norma esige che nella  vittima insorga uno stato d'ansia e/o di paura che deve presentare altresì i caratteri della perduranza e della gravità; al fine di non dilatare eccessivamente la portata applicativa della norma, il legislatore ha revisto che il turbamento psicologico indotto dalla condotta illecita non solo sia costante, nel senso che si protragga nel tempo e si manifesti ininterrottamente, ma anche che sia grave, ossia che presenti intensità ed effetti molto superiori all'analogo sentimento che è fisiologicamente riscontrabile in qualunque persona normale in presenza di rapporti conflittuali all' interno di un determinato contesto relazionale.

In ordine alla prova di tale evento, la Suprema Corte ha affermato che sebbene non sia richiesto l'accertamento (medico legale) di uno stato patologico- considerato che l'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.) -, è pur sempre necessario che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. Sez. V, 10.1.2011 n. 16864 ) -. Gli ermellini sottolineano che la prova dell'evento del delitto "deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle
dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare
l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Sez. 6, Sentenza n. 20038 del 19/03/2014 Ud. (dep. 14/05/2014 ) Rv. 259458).

Quanto al cambiamento delle abitudini di vita, la Cassazione non ha mancato di puntualizzare che per alterazione delle proprie abitudini di vita si deve intendere ogni mutamento significativo e protratto
per un apprezzabile lasso di tempo dell'ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui - quali l'utilizzazione di percorsi diversi rispetto a quelli usuali per i
propri spostamenti, la modificazione degli orari per lo svolgimento di certe attività o la cessazione di attività abitualmente svolte, il distacco degli apparecchi telefonici negli orari notturni et similia -,
finalizzato ad evitare l' ingerenza del molestatore assillante nella propria vita privata (Cass, pen., sez. V, 27 novembre 2012, n. 20993).

Si ritiene che debba trattarsi di modifiche di una certa significatività per la vita della vittima o comunque per costei pregiudizievoli e ciò per evitare che si possa giungere ad affermare la sussistenza
del reato anche in relazione ad ipotesi meramente bagatellari e prive di obiettiva consistenza che, in quanto tali, dovrebbero ricadere al di fuori del raggio di applicazione dell'art. 612-bis c.p.

Ciò premesso, osserva il GUP che sia dalla prospettazione accusatoria sia dal tenore delle denunce- querele in atti le condotte ascritte al D. non appaiono idonee ad integrare la condotta del delitto di cui
all'art. 612bis c.p., innanzitutto manca o è comunque insufficiente e contraddittoria la prova dell'evento (o degli eventi) del reato. Ed invero, dalle stesse prospettazioni delle vittime non è emerso col grado di certezza che il processo penale esige che le parti lese, in ragione ed a causa di quelle condotte, versassero in uno stato di ansia o di paura grave e perdurante, tale da temere per la propria incolumità o quella dei propri cari, ovvero che siano state indotte ad alterare, cambiandole, in modo significativo, le proprie abitudini di vita. In particolare, l'I (...) sostiene che l' imputato lo avrebbe pedinato, fotografato e monitorato nel corso degli spostamenti al fine di provare in giudizio il suo trasferimento stabile presso la casa familiare assegnata alla S., contrariamente alla realtà, che lo vedeva fermarsi presso detta abitazione solo sporadicamente.

Al di là della rilevanza della circostanza nell'ambito del processo relativo alle pretese economiche azionate dalla S. non può non sottolinearsi che lo stesso I. escusso a sommarie informazioni testimoniali ha dichiarato di non temere per la sua incolumità fisica
così come per quella della compagna. Nessuno dei due querelanti ha mai temuto di poter essere fatto destinatario di aggressioni: la S. escussa a sommarie informazioni testimoniali non riferisce di condotte che avrebbero ingenerato una modifica delle abitudini di vita, né un fondato timore per la propria incolumità o un perdurante stato d'ansia, elementi costitutivi richiesti sia pure in via alternativa per integrare il reato.

L' (...), solo con riferimento alla compagna ha affermato che le condotte del D. "hanno avuto sicuramente ripercussioni a livello psicologico" in quanto reiterate nel tempo da circa sei anni,
circostanza che non consentirebbe alla donna di vivere con tranquillità la propria quotidianità, stante il suo timore di essere tenuta sotto controllo dal D.. L'I. riferisce dello stato di ansia che sarebbe ingenerato alla (...) dalla condotta del D. ma lo riferisce
apoditticamete, in via del tutto generica, senza allegare elementi circostanziali a dimostrazione dell' impatto psicologico che tali condotte avrebbero avuto sulla S. o sulle sue abitudini di vita. Dal
canto suo la donna lamenta una "pressione psicologica" in via del tutto generica, senza addurre alcuna alterazione delle sue abitudini di vita, salvo sostenere di aver ridotto al minimo i contatti con
l' imputato, situazione assolutamente prevedibile in un contesto di conflittualità familiare. Richiesto alla querelante nel corso delle sommarie informazioni testimoniali se necessitava di un consulente
psicologo, la donna replicava di no.

Né la fattispecie appare rientrare in una ipotesi di stalking c.d. "giudiziario", ovvero in quella particolare forma di atti persecutori le cui azioni moleste consistono in reiterate pretese risarcitorie in
sede civile, amministrativa o anche in denunce-querele del tutto infondate. Azioni giudiziarie finalizzate esclusivamente a creare nella vittima uno stato di ansia e paura, costringendola a sostenere tutte le spese del giudizio per far valere le proprie ragioni. Tale fattispecie, come sottolineato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3831/2017 presuppone infatti "un utilizzo degenerato dello strumento giudiziario a fini vessatori", ovvero una pluralità di condotte e pretese fatte valere in giudizio che risultino palesemente infondate o strumentali.

In realtà qui la litigiosità appare riconducibile ad entrambe le parti e non può non sottolinearsi che da quanto dedotto dalla S. la condotta si protrarrebbe da oltre sei anni, ma non risulta alcuna denuncia o
richiesta di ammonimento fino alla querela del 28 dicembre 2020, in pendenza della causa intentata dalla donna contro l' imputato per modificare il regime e le spettanze economiche relative alla
collocazione del figlio ancora minore E. .

Non può non suscitare dubbi la circostanza che la condotta che la S lamenta come persecutoria del D. sia stata denunciata solo a distanza di diversi anni dai fatti e dopo aver promosso la causa civile, di talché appare legittimo dubitare della valenza strumentale della
denuncia. 

Non risultano neppure dedotti elementi fattuali che consentano di apprezzare l' impatto delle condotte incriminate in termini di destabilizzazione della vittima. A tal fine è necessario che la condotta si inserisca in uno spazio temporale apprezzabile e significativo, tale da incidere sull'ordinaria gestione  della vita quotidiana della vittima.

Certo è che i rapporti tra l' imputato e la vittima dopo la separazione
sono conflittuali. Non risultano riscontri che la S. abbia  effettivamente sofferto, in conseguenza dei comportamenti
descritti come molesti dell' imputato, di uno stato d'ansia effettivamente grave, ossia di intensità ed effetti molto superiori all'analogo sentimento che è fisiologicamente riscontrabile in qualunque persona normale in presenza di rapporti di accesa contrapposizione maturati in un contesto ormai
sfociato in evidente conflittualità.

Per tutte le ragioni sopra esposte, l' imputato deve essere prosciolto ex art. 425 c.p.p., non potendosi formulare, alla luce delle risultanze investigative evidenziate, considerato anche il nuovo parametro di
valutazione introdotto dalla formulazione dell'art. 425 comma 3 c.p.p., come modificata dalla L. n. 199 del 200, c.d. "Riforma Cartabia".

La nuova previsione normativa è improntata ad una nuova regola di giudizio, ovvero che "gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna", norma cui deve ritenersi affidata la funzione selettiva dell'udienza preliminare. Si tratta della medesima regola juris prevista per l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen., un parametro di giudizio che implica una
valutazione prognostica di tipo negativo sulla sostenibilità dell'accusa a maglie decisamente più strette che in passato, un giudizio sulla utilità del giudizio in una prospettiva non più di sostenibilità dell'accusa in dibattimento, sebbene di condanna.
Si è osservato al riguardo come lo "standard di adeguatezza richiesto al compendio posto a sostegno dell'azione penale sia stato significativamente elevato e che, pertanto, l'esame sull'attitudine del
materiale d' indagine a sostenere una pronuncia di condanna - seppur sempre compiuto in termini prognostici - debba essere particolarmente penetrante. In altri termini, la scelta espressiva compiuta dal legislatore sottolinea che la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento non si radica più sulla semplice meritevolezza della verifica dell' ipotesi accusatoria nel contraddittorio tra le parti, bensì sulla necessità di attivare il processo in senso stretto solo nei casi in cui il suo esito appaia
ragionevolmente orientato verso una conferma di quella ipotesi d'accusa. In buona sostanza, viene valorizzata ulteriormente la tutela di quello c e illustre dottrina processualistica definisce " il diritto al non processo".

P.Q.M.
Visto l'art. 425 c.p.p.
DICHIARA
non luogo a procedere nei confronti di D.M. in ordine al reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2023