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MAE eseguibile se condanna e non pena da espiare superiore a 4 mesi (Cass. 37397/23)

12 settembre 2023, Cassazione penale

In ambito MAE, ai fini dell'applicazione della misura minima della pena o della misura sicurezza non inferiore ai quattro mesi, prevista dall'art. 7, comma 4, legge 22 aprile 2005, n. 69, occorre fare riferimento non alla pena in concreto ancora da eseguire, ma a quella pronunciata dall'autorità giudiziaria straniera.

 

Corte di Cassazione

Sez. 6 penale

Num. 37397 Anno 2023 Presidente: COSTANZO ANGELO
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 12/09/2023

SENTENZA

sul ricorso proposto da
KAP nato in Polonia il **1983

avverso la sentenza emessa il 17 agosto 2023 dalla Corte di appello di Trento;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Debora Tripiccione
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pietro Molino, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trento ha disposto la consegna di APK all'Autorità giudiziaria polacca in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale Circondariale di Rzeszow relativo all'esecuzione della sentenza irrevocabile di condanna del consegnando alla pena di mesi cinque di reclusione per il reato di guida in stato di ebbrezza, rispetto alla quale la pena residua da eseguire risulta pari a mesi tre e giorni 10 di reclusione.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore di APK  deducendo la violazione dell'art. 7, comma 4, legge n. 69 del 2005 in relazione al quale sollecita una interpretazione che, ai fini dell'individuazione del limite minimo di durata della pena, faccia riferimento, non alla pena inflitta, secondo l'insegnamento di questa Corte, ma alla pena in concreto da eseguire. In via subordinata, sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della questione relativa alle modalità di calcolo del limite minimo edittale di quattro mesi, rispetto alla quale, ad avviso del ricorrente, sussiste un contrasto interpretativo avendo l'autorità giudiziaria tedesca respinto la richieste di consegna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'applicazione della misura minima della pena o della misura sicurezza non inferiore ai quattro mesi, prevista dall'art. 7, comma 4, legge 22 aprile 2005, n. 69, occorre fare riferimento non alla pena in concreto ancora da eseguire, ma a quella pronunciata dall'autorità giudiziaria straniera (così, da ultimo, Sez. 6, n. 13867 del 22/03/2018, Clinck, Rv. 272721). Detto indirizzo ermeneutico, dal Collegio pienamente condiviso, ribadisce, dunque, il carattere meramente formale ed estrinseco del controllo demandato allo Stato dell'Unione richiesto di dare esecuzione al mandato di arresto europeo, rimettendo alla competente Autorità dello Stato di emissione ogni ulteriore questione relativa al residuo della pena da scontare.

Si tratta, peraltro, di una soluzione interpretativa pienamente coerente con l'art. 2, par. 1, della decisione quadro 2002/584 GAI in cui si fa espresso riferimento alla durata della pena o della misura di sicurezza stabilita con la sentenza e non a quella da eseguire. La disposizione prevede, infatti, che il mandato d'arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi.

1.1 Per tali ragioni, non essendo stata dedotta in ricorso la violazione di uno specifico parametro che sarebbe violato dall'interpretazione sopra indicata, non merita, inoltre, accoglimento la richiesta, formulata in via subordinata ed in termini estremamente generici dal ricorrente, di attivazione della procedura di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

2. All'inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.

Così deciso il 12 settembre 2023