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Ubriaco non ha colpa di un incidente inevitabile (Cass. 17183/19)

19 aprile 2019, Cassazione penale

Incidente è qualsiasi avvenimento inatteso che interrompe il normale svolgimento della circolazione stradale e che proprio per tale ragione è portatore di pericolo per la collettività: per collegare l’evento alla condotta va, tuttavia, ulteriormente verificata la sussistenza del nesso di strumentalità-occasionalità tra lo stato di ebbrezza e l’incidente, non potendo certamente giustificarsi l’inflizione di un deteriore trattamento sanzionatorio a carico del guidatore che, pur procedendo illecitamente in stato di ebbrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale di per sé oggettivamente imprevedibile e inevitabile e in ogni caso privo di alcuna connessione con lo stato di alterazione alcolica del soggetto.

Provocare un incidente significa che esso è dipeso da una condotta posta in essere in violazione delle regole cautelari generali di prudenza, diligenza e perizia, o di quelle speciali sulla circolazione stradale, tutte comunque rivolte a prevenire il verificarsi di incidenti stradali: la ratio della previsione va ricercata nella volontà di punire più gravemente la condotta quando l’alterata capacità di reazione impedisca al conducente di evitare l’incidente, proprio in ragione dell’ebbrezza.

Ai fini dell’operatività del divieto di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità è sufficiente che ricorra la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale essendo, invece, irrilevante che, all’esito del giudizio di comparazione con circostanza attenuante, essa non influisca sul trattamento sanzionatorio.

 

Corte di Cassazione

sezione IV Penale

sentenza 11 gennaio – 19 aprile 2019, n. 17183
Presidente Di Salvo - Relatore Nardin

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 7 dicembre 2017, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo con cui G.A. è stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), comma 2 bis, perché essendosi posto alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza alcolica - con tasso alcolemico accertato mediante etilometro, pari a gr/l. 1,54 alla prima misurazione ed a gr/l. 1,61 alla seconda prova- aveva provocato un sinistro stradale.
2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del suo difensore, formulando quattro distinti motivi.
3. Con il primo, fa valere la violazione di legge ed il vizio di motivazione in merito alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, per avere la sentenza ritenuto che l’imputato avesse provocato un incidente stradale, laddove al medesimo non era possibile ascrivere alcun contributo nella causazione del sinistro. Rileva che la Corte, laddove afferma che lo stesso G. avrebbe riconosciuto di essersi portato al centro della carreggiata, anziché tenersi in prossimità del margine destro, così
ammettendo di avere concorso al prodursi dell’incidente, argomenta apoditticamente, facendo riferimento ad una sola frase pronunciata dall’imputato, del tutto avulsa dalla complessiva versione dei fatti resa nel processo. Ed invero, l’interessato aveva riferito di essersi trovato, così come l’altro conducente, al limite della linea centrale della strada, ma di non aver invaso niente, e che la strisciata era avvenuta ad una velocità molto limitata -tanto che l’air bag non si era aperto- e che si poteva benissimo andare d’accordo. Nessuna ammissione, dunque, era ricavabile dalle parole dell’imputato, nè poteva dirsi, come invece ritenuto dal giudice del gravame, che il riconoscimento della colpa nel prodursi dell’evento fosse ascrivibile all’intervento dell’assicurazione di G. che aveva risarcito il danno all’altro automobilista, posto che neppure questa circostanza era stata positivamente accertata, avendo l’imputato genericamente riferito di essere assicurato ASA e di ritenere che l’assicurazione avesse fatto quello che doveva fare. Sostiene che l’omesso approfondimento della vicenda assicurativa, che la Corte territoriale ha invece posto a fondamento della sentenza, reputando provato il risarcimento, costituisce travisamento del fatto per utilizzazione di una prova inesistente. Conclude affermando l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, essendo il G. meramente coinvolto nel sinistro, non avendo provocato il medesimo.

4. Con il secondo motivo si duole del vizio di motivazione per avere la sentenza respinto l’istanza di conversione della pena inflitta con quella dei lavori di pubblica utilità, a seguito del giudizio di prevalenza o equivalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis. Critica la laconicità della sentenza che afferma l’effetto preclusivo, negando il profilo di incostituzionalità della norma, laddove letta come oggettivamente impediente l’applicazione della sanzione sostitutiva, posto che il giudizio di bilanciamento impone di applicare la pena che sarebbe inflitta se non ricorresse alcuna delle circostanze in comparazione. Rileva che elementi interpretativi in questo senso sono ricavabili dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 24 ottobre 2013.
5. Con il terzo motivo, sollecita la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa enunciata con il precedente motivo, richiamando le sentenze di segno opposto che determinano il contrasto giurisprudenziale.
6. Con l’ultimo motivo affronta la legittimità costituzionale dell’art. 186 comma 2 bis, nella parte in cui, prevalendo l’interpretazione contestata, sia ritenuta l’inammissibilità della conversione della pena con i lavori di pubblica utilità per le ipotesi nelle quali la circostanza aggravante ivi prevista sia ritenuta prevalente o sub valente alle circostanze attenuanti riconosciute, per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1 e art. 27 Cost., comma 3, e chiede che la questione sia rimessa alla Corte delle leggi, in quanto rilevante e non manifestamente infondata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3. Va premesso che in ordine alla configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, si è assistito presso questa Corte ad un contrasto interpretativo. Secondo alcune sentenze, infatti, per affermarne la sussistenza "è necessario che l’agente abbia provocato un incidente e che, quindi, sia accertato il coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro, non essendo sufficiente il mero suo coinvolgimento nello stesso. (Sez. 4, n. 33760 del 17/05/2017 - dep. 11/07/2017, Magnoni, Rv. 27061201, sez. IV n. 37743 del 28/05/2013, Callegaro, Rv. 25620901), mentre, per altre, non è richiesto l’accertamento del nesso eziologico tra l’incidente e la condotta dell’agente, ma il solo collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro e lo stato di alterazione dell’agente, alla cui condizione di impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l’incidente sia direttamente ricollegabile la situazione di pericolo. (Fattispecie in cui il conducente di un’auto in stato di ebbrezza alcoolica aveva tamponato violentemente un veicolo antagonista che si era arrestato sulla corsia di sorpasso dell’autostrada). (Sez. 4, n. 54991 del 24/10/2017 - dep. 07/12/2017, Fabris, Rv. 27155701; Sez. 4, n. 36777 del 02/07/2015 - dep. 10/09/2015, Scudiero, Rv. 26441901).

Nel definire la nozione normativa di incidente stradale si è fatto riferimento, in primo luogo, al significato letterale del termine, secondo cui è tale qualsiasi avvenimento inatteso che interrompe il normale svolgimento della circolazione stradale e che proprio per tale ragione è portatore di pericolo per la collettività, sottolineando che una simile definizione coincide proprio con quella che si evince dalle norme del Codice della Strada, come risulta dagli obblighi di segnalazione che il regolamento prevede (art. 356) per il caso di incidente che provochi ingombro della carreggiata, al di là di ogni danno a cose o persone. Ma "anche al fatto che allorché il legislatore ha ritenuto di diversificare i comportamenti e le conseguenze collegati a un incidente, ciò ha fatto espressamente, come ad esempio nell’art. 189 C.d.S. che stabilisce comportamenti e sanzioni diverse a secondo delle conseguenze che derivano dall’incidente stesso" (Sez. 4, n. 47276 del 06/11/2012 - dep. 06/12/2012, Marziano).

Per ricondurre l’evento alla condotta va, tuttavia, ulteriormente verificata la sussistenza del nesso di strumentalità-occasionalità tra lo stato di ebbrezza e l’incidente, non potendo certamente giustificarsi l’inflizione di un deteriore trattamento sanzionatorio a carico del guidatore che, pur procedendo illecitamente in stato di ebbrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale di per sé oggettivamente imprevedibile e inevitabile e in ogni caso privo di alcuna connessione con lo stato di alterazione alcolica del soggetto.

Provocare un incidente significa, infatti, secondo il disposto normativo di cui al comma 2 bis cit. che esso è dipeso - provocato appunto- da una condotta posta in essere in violazione delle regole cautelari generali di prudenza, diligenza e perizia, o di quelle speciali sulla circolazione stradale, tutte comunque rivolte a prevenire il verificarsi di incidenti stradali. Ed invero, posto che la norma di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis non richiede l’accertamento del nesso eziologico tra l’incidente e la condotta dell’agente, ma evoca unicamente il collegamento materiale tra il suo verificarsi e lo stato di alterazione dell’agente deve ritenersi che la ratio della previsione vada ricercata nella volontà di punire più gravemente la condotta quando l’alterata capacità di reazione impedisca al conducente di evitare l’incidente, proprio in ragione dell’ebbrezza.

4. Cosi ricostruita la nozione, può darsi risposta al quesito proposto. Al di là della contestazione sull’efficacia causale del comportamento tenuto dall’imputato, da questi negata, vi è che il medesimo è certamente rimasto coinvolto in un sinistro stradale con altra auto, che ha provocato danni materiali. In ordine al rapporto occasionalità-strumentalità fra l’accertato stato di ebbrezza alcolica (neppure questo contestato), e lo scontro, definito una strisciata, intervenuto al centro della carreggiata, fra due veicoli che non tenevano la destra (la circostanza è riportata in sentenza e ribadita in questa sede dal medesimo imputato), nulla dice il ricorrente. Il collegamento ebbrezza-sinistro, nondimeno, è chiaramente posto
dalla sentenza a fondamento della decisione, che nella motivazione non si sofferma sulla responsabilità del conducente, nel senso civilistico preso a parametro dal ricorrente, ma addebita all’imputato di avere provocato l’incidente nel senso appena richiamato. La sentenza si sofferma, invero, sulla violazione del C.d.S. posta in essere da G. , consistita nel non avere tenuto la destra, in contrasto con la previsione dell’art. 143 C.d.S.. Da ciò ricava il contributo causale nel prodursi dell’evento della condotta dell’imputato che, proprio per effetto dell’alterazione presupposta, avendo violato le norme di prudenza, sia generali che codificate, non ha avuto la capacità di approntare manovre di emergenza che avrebbero evitato il sinistro, in questo modo provocandolo ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2 bis.

5. A fronte di quanto osservato, manifestamente infondate si palesano le argomentazioni introdotte relativamente al travisamento del fatto, consistito nell’avere ritenuto provato il risarcimento del danno da parte dell’assicurazione dell’imputato, in favore dell’altro conducente, sul quale si sostiene che la Corte territoriale avrebbe fondato la decisione.

Al di là di ogni considerazione sulla deducibilità del vizio di motivazione in ordine all’accertamento del fatto, su cui non vale neppure a pena di soffermarsi, va rilevato come siffatta contestata circostanza sia richiamata dalla sentenza impugnata meramente ad colorandum, senza che la sua sottrazione all’impianto della motivazione ne modifichi la tenuta logica e la coerenza.

6. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo affrontano la questione della conversione della pena nella sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, lamentando, in primo luogo, l’errata interpretazione della disposizione sul divieto di applicazione della sanzione sostitutiva nelle ipotesi in cui il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p. abbia condotto all’elisione del valore sanzionatorio dell’aggravante di cui all’art. 186 c.p., comma 2 bis c.p., o per la sua sub valenza o equivalenza rispetto alle attenuanti considerate.

7. Ora, la sentenza che il ricorrente menziona a sostegno del ritenuto contrasto fra gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità e di merito, per la verità, inerisce ad un aspetto ininfluente sull’ammissibilità della conversione della pena in lavori di pubblica utilità. Si tratta, infatti, di una pronuncia che si riguarda la diversa questione delle modalità di calcolo della pena per il caso del concorso dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis con le circostanze attenuanti generiche, in relazione al giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. (Sez. 4, n. 7460 del 13/11/2012 - dep. 14/02/2013, P.G. in proc. Florio, Rv. 25447501).

8. La differenza delle questioni è stata già è stata già oggetto di precisazione da parte di questa Sezione che ha chiarito come ai fini dell’operatività del divieto di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 186 C.d.S., comma 9 - bis, sia sufficiente che ricorra la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale essendo, invece, irrilevante che, all’esito del giudizio di comparazione con circostanza attenuante, essa non influisca sul trattamento sanzionatorio (Sez. 4, Sentenza n. 48534 del 24/10/2013, Bondioli, Rv. 257289). Premessa di questa interpretazione è che il giudizio di bilanciamento delle circostanze di per sé non influisce su istituti che non si ricollegano al quantum della pena inflitta, sicché le circostanze soccombenti o equivalenti continuano a produrre gli effetti previsti dalla legge, dal momento che anche il giudizio di soccombenza non fa venire meno la sussistenza in concreto della circostanza subvalente ma semplicemente la paralizza e la rende non applicata quoad poenam (Sez. 4, n. 13853 del 04/02/2015 - dep. 01/04/2015, P.M. in proc. Selmi, Rv. 26301201).

9. Quanto appena osservato, nondimeno, assorbe le altre argomentazioni poste a supporto della pretesa di valutazione della legittimità costituzionale della norma in discussione, non potendosi ravvisare alcuna difformità di trattamento riferibile alla scelta legislativa di configurare la circostanza de qua come preclusiva dell’ammissione alla sanzione sostitutiva, sulla base del vaglio di una maggior gravità derivante dalla pericolosità della condotta, tale da escludere che la pena possa validamente essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità, contenendo siffatta ultima misura elementi di premialità, rientranti nella discrezionalità del legislatore che ne individua lo scrimine.

10. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.