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Tutela della salute impedisce rimpatrio di extracomunitari irregolari s

22 novembre 2022, CGUE

il diritto dell'unione europea osta all’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è affetto da una grave malattia, allorché sussistono gravi e comprovati motivi per ritenere che, in caso di rimpatrio, l’interessato possa essere esposto, nel paese terzo verso il quale verrebbe allontanato, al rischio reale di un aumento significativo, irrimediabile e rapido del suo dolore, a causa del divieto, in tale paese, della sola terapia analgesica efficace.

CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA

(Grande Sezione)

22 novembre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Articoli 4, 7 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Proibizione dei trattamenti inumani o degradanti – Rispetto della vita privata e familiare – Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione – Diritto di soggiorno per ragioni mediche – Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Cittadino di un paese terzo affetto da malattia grave – Terapia medica diretta ad alleviare il dolore – Terapia non disponibile nel paese d’origine – Condizioni in presenza delle quali l’allontanamento deve essere rinviato»

Nella causa C‑69/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), con decisione del 4 febbraio 2021, pervenuta in cancelleria il 4 febbraio 2021, nel procedimento

X

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, K. Jürimäe, C. Lycourgos (relatore), E. Regan, M. Safjan, P.G. Xuereb, D. Gratsias e M.L. Arastey Sahún, presidenti di sezione, S. Rodin, F. Biltgen, I. Ziemele, J. Passer, M. Gavalec e Z. Csehi, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 marzo 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per X, da J.W.F. Noot, advocaat;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da P.J.O. Van Nuffel, C. Cattabriga e A. Katsimerou, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 1, 4 e 7, nonché dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e su quella della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra X e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito alla legittimità di un procedimento di rimpatrio avviato da quest’ultimo nei confronti di X.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

3        La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, contiene l’articolo 33, intitolato «Divieto d’espulsione e di rinvio al confine», che al paragrafo 1 così dispone:

«Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere, in nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei territori ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

 Diritto dell’Unione

4        I considerando 2 e 4 della direttiva 2008/115 così recitano:

«(2)      Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

(...)

(4)      Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita».

5        L’articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva così prevede:

«Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

a)      sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all’articolo 13 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)] ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro;

b)      sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione».

6        L’articolo 3 di detta direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

3)      “rimpatrio” il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

–        nel proprio paese di origine, o

–        in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese, o

–        in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;

(...)».

7        L’articolo 4, paragrafo 3, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite».

8        L’articolo 5 della direttiva 2008/115 così dispone:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a)      l’interesse superiore del bambino;

b)      la vita familiare;

c)      le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

9        L’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva in parola è così formulato:

«1.      Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

(...)

4.      In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare».

10      L’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Allontanamento», al paragrafo 1 così prevede:

«Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7».

11      L’articolo 9 della direttiva prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:

a)      qualora violi il principio di non-refoulement, oppure

b)      per la durata della sospensione concessa ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2.

2.      Gli Stati membri possono rinviare l’allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:

a)      delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo;

b)      delle ragioni tecniche, come l’assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell’assenza di identificazione.

(...)».

 Diritto dei Paesi Bassi

12      L’articolo 64 della wet tot algehele herziening van de Vreemdelingenwet (Vreemdelingenwet 2000) (legge recante revisione generale della legge sugli stranieri), del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 495), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge sugli stranieri»), dispone quanto segue:

«L’espulsione è rinviata finché lo stato di salute dello straniero o di un suo familiare non consente di viaggiare».

13      La Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare sugli stranieri del 2000), nella versione applicabile alla controversia di cui alla causa principale (in prosieguo: la «circolare sugli stranieri»), è del seguente tenore:

«(...)

7.      Non espulsione per motivi di salute

7.1.      Generalità

L’[Immigratie-en naturalisatiedienst (IND) (servizio immigrazione e naturalizzazioni, Paesi Bassi)] può accordare il rinvio della partenza ai sensi dell’articolo 64 della legge sugli stranieri qualora:

–        dal punto di vista medico, lo straniero non sia in condizioni di viaggiare; o

–        esista un rischio reale di violazione dell’articolo 3 della [convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] per ragioni mediche.

7.1.1            Lo straniero non è in condizioni di viaggiare

Lo straniero ottiene un rinvio della partenza ai sensi dell’articolo 64 della [legge sugli stranieri] se il [Bureau Medische Advisering (BMA) (ufficio di consulenza medica del Ministero della Sicurezza e della Giustizia, Paesi Bassi)] dichiara che, dal punto di vista medico, lo stato di salute dello straniero o di un suo familiare non permette di viaggiare.

(...)

7.1.3            Rischio reale di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per ragioni mediche

Lo straniero ottiene un rinvio della partenza ai sensi dell’articolo 64 della legge sugli stranieri qualora esista un rischio reale di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per ragioni mediche.

Esiste un rischio reale di violazione dell’articolo 3 della suddetta convenzione solo qualora:

–        risulti dal parere del BMA che molto probabilmente la mancanza di terapia medica determinerà una situazione di emergenza medica; e

–        la terapia medica necessaria non sia disponibile nel paese d’origine o di residenza permanente; o

–        se la terapia medica è disponibile, risulti che essa è manifestamente non accessibile.

Situazione di emergenza medica

Per “situazione di emergenza medica”, l’IND intende la situazione in cui lo straniero soffre di un’affezione per la quale sia accertato, in base alle attuali conoscenze medico-scientifiche, che la mancanza di cure comporterà, entro un termine di tre mesi, il decesso, l’invalidità o altra forma di grave pregiudizio fisico o psichico.

(...)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14      X è un cittadino russo, nato nel 1988, che a sedici anni ha contratto una rara forma di cancro del sangue per la quale è attualmente curato nei Paesi Bassi. La terapia medica cui è sottoposto consiste, in particolare, in flebotomie nonché nella somministrazione della cannabis per uso terapeutico a fini analgesici. La somministrazione di tale terapia medica a base di cannabis non è autorizzata in Russia.

15      Il 31 ottobre 2013 X ha presentato una prima domanda di asilo nei Paesi Bassi. Il Segretario di Stato ha tuttavia ritenuto che responsabile della trattazione di tale domanda fosse il Regno di Svezia.

16      Il 13 dicembre 2013 X ha chiesto, in forza dell’articolo 64 della legge sugli stranieri, il rinvio della sua partenza a motivo del suo stato di salute. Con decisione del 24 dicembre 2013 il Segretario di Stato ha respinto tale domanda.

17      Essendo nel frattempo scaduto il termine entro il quale egli poteva essere trasferito verso la Svezia, il 19 maggio 2016 X ha presentato una nuova domanda di asilo nei Paesi Bassi. A sostegno di questa nuova domanda X ha fatto valere che la terapia medica che gli era stata somministrata in Russia per combattere il dolore associato alla sua malattia gli aveva causato effetti collaterali e che aveva scoperto che l’assunzione di cannabis terapeutica era più adatta in considerazione del suo stato di salute. Poiché l’uso di cannabis terapeutica non è autorizzato nel suo paese d’origine, X aveva coltivato in tale paese piante di cannabis a scopo terapeutico, il che lo aveva esposto in detto paese a difficoltà tali che egli richiedeva ormai la concessione di una protezione internazionale. In occasione di detta domanda d’asilo X aveva peraltro chiesto un rinvio del suo allontanamento ai sensi dell’articolo 64 della legge sugli stranieri.

18      Con decisione del 29 marzo 2018, dopo aver acquisito il parere della BMA, il Segretario di Stato ha respinto la domanda di asilo di X in considerazione del fatto che i problemi che egli affermava di aver incontrato in Russia, a causa della coltivazione di cannabis per uso personale, non erano credibili. Egli ha inoltre deciso che X non poteva ottenere un altro permesso di soggiorno e, a norma dell’articolo 64 della legge sugli stranieri, ha respinto la richiesta di X di sospendere l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio.

19      Con sentenza del 20 dicembre 2018, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi) ha parzialmente annullato tale decisione. Tale giudice, sebbene abbia ammesso che X non potesse rivendicare lo status di rifugiato né di beneficiario della protezione sussidiaria, ha ordinato al Segretario di Stato di riesaminare sia l’argomentazione di X basata sul suo diritto di ottenere un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), sia la sua richiesta fondata sull’articolo 64 della legge sugli stranieri. Tale sentenza è stata confermata con sentenza del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) del 28 marzo 2019.

20      Il 19 febbraio 2020, il Segretario di Stato ha nuovamente negato la concessione a X di un permesso di soggiorno di durata determinata, in base all’articolo 8 della CEDU, nonché di un rinvio del suo allontanamento. Inoltre, ha adottato una decisione di rimpatrio che imponeva a X di lasciare i Paesi Bassi entro quattro settimane.

21      X ha proposto ricorso contro tale decisione dinanzi al giudice del rinvio. Egli ritiene che debba essergli rilasciato un permesso di soggiorno in forza dell’articolo 8 della CEDU o che, quanto meno, debba essergli concesso un rinvio dell’allontanamento in forza dell’articolo 64 della legge sugli stranieri. Al riguardo, egli sostiene che la terapia analgesica a base di cannabis, che gli è somministrata nei Paesi Bassi, è per lui a tal punto essenziale che non potrebbe più condurre una vita dignitosa se tale terapia fosse interrotta. Egli afferma, in particolare, che, in caso di interruzione di tale terapia, il dolore sarebbe talmente forte che egli non sarebbe più in grado di dormire o mangiare, con conseguenze significative non solo per il suo stato fisico, ma anche per il suo stato mentale, provocandogli tendenze alla depressione e al suicidio.

22      Secondo il giudice del rinvio, dalla sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452), risulta che lo stato di salute di un cittadino di un paese terzo non può giustificare che gli sia concesso il beneficio della protezione sussidiaria. È, inoltre, pacifico che X non chiede più lo status di rifugiato.

23      Ciò premesso, il giudice del rinvio, rileva, innanzitutto, che, ai sensi della normativa dei Paesi Bassi, un allontanamento può essere rinviato quando, dal punto di vista medico, lo straniero non è in condizione di viaggiare o esiste un rischio reale di violazione dell’articolo 3 della CEDU per ragioni mediche.

24      La seconda ipotesi presupporrebbe che dal parere del BMA risulti, da un lato, che l’interruzione della terapia medica di cui trattasi comporti, con ogni probabilità, per l’interessato una «situazione di emergenza sanitaria» ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri, e, dall’altro, che la terapia medica adatta non sia disponibile nel paese di destinazione o che il cittadino straniero di cui trattasi non possa accedere ad essa.

25      Nel suo parere emesso su richiesta del Segretario di Stato, il BMA ha affermato in particolare che, anche se, in assenza di flebotomie, ci si poteva attendere che X si potesse trovare, a breve, di fronte ad una «situazione di emergenza medica» siffatta, tale terapia era tuttavia disponibile in Russia. Per contro, il BMA ha considerato che, non essendo dimostrata l’efficacia terapeutica della cannabis, era impossibile pronunciarsi sulle conseguenze mediche di un’interruzione della sua terapia analgesica a base di cannabis terapeutica. Esso ha altresì rilevato che non era stato segnalato alcun disturbo connesso al dolore che facesse temere la morte di X o un qualsiasi stato di dipendenza di quest’ultimo negli atti della vita quotidiana. Esso ha pertanto ritenuto che non si potesse affermare che l’uso di cannabis terapeutica avrebbe consentito di prevenire il verificarsi, a breve termine, di una «situazione di emergenza medica» siffatta. Esso ha altresì ritenuto che sul mercato vi fossero a sufficienza altri analgesici che potevano essere somministrati a X.

26      Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, dalle informazioni fornite da X risulta che i medici che lo hanno in cura ritengono che l’uso di cannabis terapeutica sia l’unico trattamento adeguato per il suo dolore. Tale giudice ritiene, peraltro, che X abbia dimostrato che la terapia a base di cannabis terapeutica è prescritta e utilizzata solo nel caso in cui le altre soluzioni contro il dolore siano non solo inefficaci, ma anche controindicate.

27      Il giudice del rinvio constata peraltro che in Russia non è disponibile alcuna terapia analgesica adeguata. Pertanto, se l’allontanamento di X non venisse rinviato, la terapia analgesica somministratagli sarebbe interrotta e aumenterebbe l’intensità del dolore. Per contro, non sarebbe possibile stabilire se l’aumento del dolore di X, a causa dell’interruzione della sua cura, possa provocare un aggravamento della sua malattia, anche se, alla luce delle informazioni di cui tale giudice dispone, è probabile che ciò non avverrà. Prima di richiedere l’emissione di un parere medico riguardo all’aumento del dolore che X rischierebbe di subire a seguito dell’interruzione della terapia a base di cannabis terapeutica, il suddetto giudice ritiene che sia necessario stabilire, mediante l’interpretazione del diritto dell’Unione, il modo in cui prendere in considerazione tale parametro.

28      In secondo luogo, il giudice del rinvio fa valere che, secondo una giurisprudenza costante del Raad van State (Consiglio di Stato), basata sulla necessità di un rapido deterioramento dello stato di salute dell’interessato, ai sensi della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 13 dicembre 2016, Paposhvili c. Belgio (CE:ECHR:2016:1213JUD004173810) (in prosieguo: la «sentenza Paposhvili»), solo le conseguenze mediche che si verificano nei tre mesi successivi all’interruzione della terapia medica somministrata all’interessato devono essere prese in considerazione per determinare se siffatta interruzione comporti una «situazione di urgenza medica» ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri.

29      Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha fissato un termine esplicito nella sentenza Paposhvili. Sarebbe quindi necessario stabilire se le conseguenze connesse all’interruzione, in caso di rimpatrio nel suo paese d’origine, della terapia medica di un cittadino di un paese terzo gravemente malato possano rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della Carta solo se esse si verifichino entro un periodo di tre mesi, indipendentemente dalle patologie mediche e dalle conseguenze mediche che possono prodursi dopo tale interruzione.

30      In terzo luogo, tale giudice rileva che il Raad van State (Consiglio di Stato) ha dichiarato che, conformemente alla sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a. (C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127), l’articolo 64 della legge sugli stranieri impone altresì di valutare se l’allontanamento, in quanto tale, di un cittadino di un paese terzo che presenti una patologia fisica o psichica particolarmente grave possa generare un rischio concreto di violazione dell’articolo 3 della CEDU. Tale valutazione, tuttavia, dovrebbe essere effettuata unicamente nell’ambito dell’esame delle condizioni in cui il cittadino straniero interessato può viaggiare. Ne conseguirebbe, da un lato, che non si chiede mai al BMA di valutare se il processo di allontanamento, in quanto tale, di tale cittadino di un paese terzo rischi di avere conseguenze mediche che si manifestino dopo che quest’ultimo è stato allontanato nel paese di destinazione e, dall’altro, che tali conseguenze non sono prese in considerazione al fine di determinare se una «situazione di emergenza medica», ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri, osti a un allontanamento siffatto.

31      Un esame del genere, pertanto, difficilmente potrebbe ostare a che l’allontanamento dell’interessato venga rinviato anche nel caso in cui si possa temere un aggravamento dello stato di salute mentale dello stesso, quale un rischio di suicidio prodotto dall’allontanamento stesso.

32      Il giudice del rinvio si chiede, tuttavia, se esso possa limitarsi a valutare se, mediante taluni accorgimenti nel corso dell’allontanamento, le conseguenze mediche dell’allontanamento dell’interessato rimangano limitate. Esso rileva inoltre che, nel caso di X, la terapia a base di cannabis terapeutica non potrebbe essere somministrata durante l’allontanamento propriamente detto e che X ha sostenuto che l’aumento del suo dolore avrebbe l’effetto di renderlo depresso e con tendenze suicide.

33      In quarto luogo, il giudice del rinvio ritiene che occorra determinare se le condizioni di salute di un cittadino di un paese terzo e il fatto che egli riceva cure mediche nello Stato membro in cui il suo soggiorno è irregolare possano rappresentare elementi della vita privata il cui rispetto dev’essere garantito ai sensi dell’articolo 7 della Carta e dell’articolo 8 della CEDU.

34      Tale giudice si chiede, in particolare, se le autorità competenti di uno Stato membro debbano esaminare se occorra concedere, in forza del diritto al rispetto della vita privata, un diritto di soggiorno ad un tale cittadino e se il rispetto della vita privata dell’interessato costituisca un elemento da prendere in considerazione al fine di pronunciarsi sulla domanda di quest’ultimo diretta a far rinviare il provvedimento di allontanamento di cui egli è oggetto.

35      In tali circostanze, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un aumento significativo dell’intensità del dolore a causa dell’interruzione di cure mediche in una patologia invariata possa configurare una situazione contraria all’articolo 19, paragrafo 2, della [Carta], in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, qualora non venga autorizzato un rinvio dell’obbligo di partenza derivante dalla [direttiva 2008/115].

2)      Se la fissazione di un termine prestabilito, entro il quale devono concretizzarsi gli effetti dell’interruzione di cure mediche per dover presumere ostacoli medici ad un obbligo di rimpatrio derivante dalla [direttiva 2008/115], sia compatibile con l’articolo 4 della Carta in combinato disposto con l’articolo 1 della Carta. Qualora la fissazione di un determinato termine non sia contraria al diritto dell’Unione, se sia consentito a uno Stato membro stabilire un termine generale, identico per tutte le possibili patologie mediche e per tutte le possibili conseguenze mediche.

3)      Se sia compatibile con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, e con la [direttiva 2008/115] stabilire che le conseguenze dell’allontanamento di fatto devono essere valutate esclusivamente alla luce della questione di determinare se, e a quali condizioni, lo straniero possa viaggiare.

4)      Se l’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che la condizione clinica dello straniero e le cure mediche che egli ha in precedenza ricevuto nello Stato membro debbano essere prese in considerazione per valutare se la vita privata debba determinare l’autorizzazione del soggiorno. Se l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che, nel valutare se problemi medici possano configurare ostacoli per l’allontanamento, si debba tenere conto della vita privata e della vita familiare, ai sensi dell’articolo 7 della Carta».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

36      Il governo dei Paesi Bassi contesta, in primo luogo, la ricevibilità delle questioni pregiudiziali sollevate in quanto esse sarebbero premature. Prima di interpellare la Corte, il giudice del rinvio avrebbe dovuto, infatti, respingere la domanda di X diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto di soggiorno nel territorio dei Paesi Bassi, in quanto la direttiva 2008/115 sarebbe applicabile nei suoi confronti solo nel caso in cui tale cittadino di un paese terzo soggiorni irregolarmente in tale territorio.

37      Tuttavia, i giudici nazionali sono liberi di interrogare la Corte in qualsiasi fase del procedimento che ritengano opportuna, anche in una fase iniziale del procedimento (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2010, Elchinov, C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 26, e del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia, C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 33).

38      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che X si è visto respingere la domanda di asilo dal Segretario di Stato, cosicché egli è, in linea di principio, in situazione di soggiorno irregolare nel territorio dei Paesi Bassi e rientra, di conseguenza, nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, salvo che egli sia ammissibile per la concessione di un diritto di soggiorno in tale territorio ai sensi, in particolare, del diritto dell’Unione, il che è precisamente l’oggetto della quarta questione pregiudiziale.

39      Ne consegue che deve essere respinta l’argomentazione del governo dei Paesi Bassi secondo cui le questioni pregiudiziali sarebbero premature.

40      In secondo luogo, il governo dei Paesi Bassi ritiene che la seconda questione pregiudiziale non sia rilevante ai fini dell’esito della controversia principale, poiché essa mira, in sostanza, a stabilire se uno Stato membro possa esigere che il deterioramento, temuto in caso di rimpatrio, dello stato di salute del cittadino di un paese terzo di cui trattasi si manifesti entro un termine fisso dopo detto rimpatrio. Orbene, un termine del genere non sarebbe un elemento determinante nell’ambito della controversia principale, in quanto il rifiuto di rinviare l’allontanamento di X è stato giustificato essenzialmente per il motivo che nessuna «situazione di emergenza medica», ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri, doveva temersi a breve termine nel suo paese di origine, in quanto il dolore di X non sarebbero legati ai sintomi della sua malattia ed esisterebbero trattamenti sostitutivi in tale paese.

41      A tale proposito, secondo una giurisprudenza costante della Corte, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso di specie, la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se la questione sollevata verte sull’interpretazione o sulla validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire. Ne consegue che una questione pregiudiziale che verte sul diritto dell’Unione gode di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di pronunciarsi su una domanda siffatta è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 7 settembre 2022, Cilevičs e a., C‑391/20, EU:C:2022:638, punti 41 e 42).

42      Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal governo dei Paesi Bassi, l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta nella seconda questione pregiudiziale non risulta manifestamente priva di relazione con l’oggetto del procedimento principale.

43      Infatti, come sottolineato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 35 delle sue conclusioni, è pacifico che la decisione di rimpatrio adottata nei confronti di X è stata fondata, in particolare, sul fatto che non si verificherebbe a breve termine nessuna «situazione di emergenza medica», ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri, in caso di ritorno di quest’ultimo verso il suo paese d’origine. Orbene, dalla decisione di rinvio risulta chiaramente che, in forza della normativa dei Paesi Bassi, l’esistenza di una «situazione di emergenza medica» siffatta dev’essere valutata alla luce del termine di tre mesi menzionato nella circolare sugli stranieri, termine che costituisce precisamente l’oggetto della seconda questione pregiudiziale.

44      Inoltre, dal contesto fattuale definito dal giudice del rinvio risulta che i dolori di X devono essere considerati causati dalla malattia da cui quest’ultimo è affetto e che, per quanto riguarda tali dolori, nessun trattamento sostitutivo è disponibile nel suo paese d’origine. Orbene, le questioni vertenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione sono sottoposte dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli definisce sotto la propria responsabilità e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza. Pertanto, a prescindere dalle critiche mosse dal governo dei Paesi Bassi in merito alle valutazioni di fatto del giudice del rinvio, l’esame della seconda questione pregiudiziale deve essere effettuato in base a tali valutazioni (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2022, Caixabank, C‑385/20, EU:C:2022:278, punti 34 e 38 nonché giurisprudenza ivi citata).

45      Ne consegue che la seconda questione pregiudiziale è ricevibile.

46      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la quarta questione pregiudiziale, occorre rilevare, da un lato, che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo dei Paesi Bassi, tale questione non verte sull’interpretazione dell’articolo 8 della CEDU, bensì dell’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con altre disposizioni della stessa, nonché della direttiva 2008/115.

47      Ne consegue che la Corte è competente a rispondere a tale questione.

48      D’altro canto, tale governo sostiene che detta questione è irricevibile in quanto il giudice del rinvio mirerebbe a stabilire se l’articolo 7 della Carta debba essere interpretato nel senso che a X deve essere riconosciuto un diritto di soggiorno nei Paesi Bassi, mentre nessuna disposizione sostanziale del diritto dell’Unione consentirebbe di farlo godere di un diritto di soggiorno siffatto.

49      È sufficiente rilevare, a tal proposito, che la questione se l’interpretazione della direttiva 2008/115, letta in combinato disposto con l’articolo 7 della Carta, possa condurre al riconoscimento a un cittadino di un paese terzo, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, di un diritto di soggiorno nel territorio di uno Stato membro rientra, in ogni caso, nella valutazione del merito di tale questione.

50      La quarta questione pregiudiziale è, pertanto, ricevibile.

 Sulle questioni pregiudiziali prima e seconda

51      Con le questioni prima e seconda, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, letta in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, nonché 19, paragrafo 2, di quest’ultima, debba essere interpretata nel senso che essa osta all’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è affetto da una grave malattia, che sarebbe esposto, nel paese terzo in cui fosse allontanato, al rischio di un aumento significativo del dolore causato da tale malattia, a causa del divieto, in tale paese, dell’unico trattamento analgesico efficace. Tale giudice si chiede altresì se uno Stato membro possa prevedere un termine fisso entro il quale possa concretizzarsi siffatto aumento del dolore affinché questo possa ostare a tale decisione di rimpatrio o tale misura di allontanamento.

52      In primo luogo, occorre sottolineare, anzitutto, che, fatte salve le deroghe previste al suo articolo 2, paragrafo 2, la direttiva 2008/115 si applica a qualsiasi cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare. Inoltre, un cittadino di un paese terzo, poiché rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, deve, in linea di principio, essere assoggettato alle norme e alle procedure comuni da essa previste ai fini del suo rimpatrio, e ciò fintanto che il suo soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato [sentenza del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro), C‑673/19, EU:C:2021:127, punti 29 e 31 nonché giurisprudenza ivi citata].

53      Sotto tale profilo, da un lato, dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 risulta che, una volta accertato il carattere irregolare del soggiorno, qualsiasi cittadino di un paese terzo, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5 dello stesso articolo e nella rigorosa osservanza dei requisiti stabiliti all’articolo 5 della stessa direttiva, deve essere oggetto di una decisione di rimpatrio, la quale deve individuare, tra i paesi di cui all’articolo 3, punto 3, della direttiva 2008/115, quello verso il quale deve essere allontanato il cittadino di un paese terzo [sentenza del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro), C‑673/19, EU:C:2021:127, punti 32 e 39 nonché giurisprudenza ivi citata].

54      Dall’altro lato, uno Stato membro non può procedere all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, in forza dell’articolo 8 della direttiva 2008/115, senza che sia stata previamente adottata, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali che tale direttiva istituisce, una decisione di rimpatrio nei confronti di tale cittadino [v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale), C‑808/18, EU:C:2020:1029, punto 253].

55      In secondo luogo, l’articolo 5 della direttiva 2008/115, che costituisce una norma generale che si impone agli Stati membri dal momento in cui essi attuano tale direttiva, obbliga l’autorità nazionale competente a rispettare, in tutte le fasi della procedura di rimpatrio, il principio di non-refoulement, garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Ciò vale, in particolare, come ricordato al punto 53 della presente sentenza, quando tale autorità, dopo aver ascoltato l’interessato, intende adottare una decisione di rimpatrio [v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale), C‑808/18, EU:C:2020:1029, punto 253].

56      Di conseguenza, l’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta a che un cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di rimpatrio allorché tale decisione prenda in considerazione, come paese di destinazione, un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che, se fosse data esecuzione a siffatta decisione, tale cittadino sarebbe esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta.

57      In forza di tale articolo 19, paragrafo 2, nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un serio rischio che egli sia sottoposto non solo alla pena di morte, ma anche alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Il divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, dettato all’articolo 4 della Carta, ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, di cui all’articolo 1 della Carta (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 85).

58      Ne consegue che, qualora vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare, possa essere esposto, in caso di rimpatrio in un paese terzo, a un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, detto cittadino non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio in tale paese fintanto che persista tale rischio.

59      Allo stesso modo, detto cittadino non può essere oggetto di una misura di allontanamento nel corso di tale periodo, come prevede peraltro espressamente l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

60      In terzo luogo, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, poiché i diritti garantiti dall’articolo 4 della stessa corrispondono a quelli garantiti dall’articolo 3 della CEDU, il significato e la portata di tali diritti sono uguali a quelli loro conferiti da detto articolo 3 della CEDU [sentenza del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di atti di tortura subiti in passato), C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 37].

61      Orbene, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU risulta che il dolore dovuto ad una malattia sopraggiunta per cause naturali, sia essa fisica o mentale, può ricadere nella portata di tale articolo 3 se esso è o rischia di essere esacerbato da un trattamento, sia esso risultante da condizioni di detenzione, da un’espulsione o da altri provvedimenti, per il quale le autorità possono essere ritenute responsabili, purché le sofferenze che ne conseguono raggiungano il livello minimo di gravità richiesto da tale articolo 3 (v., in tal senso, sentenza Paposhvili, §§ 174 e 175, e sentenza del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di atti di tortura subiti in passato), C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 38).

62      Occorre, infatti ricordare che, per poter rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU, un trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità; la valutazione di tale minimo è relativa e dipende dal complesso dei dati della causa (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:1020JUD000733413, § 97; Corte EDU, 7 dicembre 2021, Savran c. Danimarca, CE:ECHR:2021:1207JUD005746715, § 122 giurisprudenza ivi citata).

63      A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo deriva che l’articolo 3 della CEDU osta all’allontanamento di una persona gravemente malata per la quale sussiste un rischio di decesso imminente o per la quale sussistono seri motivi per ritenere che, sebbene non corra nessun rischio imminente di morire, si trovi di fronte, in ragione dell’assenza di trattamenti adeguati nel paese di destinazione, o in mancanza di accesso ad essi, a un rischio reale di essere esposta a un declino grave, rapido e irreversibile delle sue condizioni di salute, che possa comportare intense sofferenze o una significativa riduzione della sua speranza di vita [v., in tal senso, sentenza Paposhvili §§ 178 e 183, e sentenza del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di atti di tortura subiti in passato), C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 40).

64      Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che tale sentenza Paposhvili stabilisce uno standard che tiene debitamente conto di tutte le considerazioni pertinenti ai fini dell’articolo 3 della CEDU in quanto preserva il diritto generale per gli Stati di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dei non cittadini, riconoscendo nel contempo la natura assoluta di tale articolo (Corte EDU, 7 dicembre 2021, Savran c. Danimarca, CE:ECHR:2021:1207JUD005746715, § 133).

65      Dalla giurisprudenza della Corte risulta in modo costante che la soglia di gravità richiesta in materia, ai fini dell’applicazione dell’articolo 4 della Carta, equivale alla soglia di gravità richiesta, nelle stesse circostanze, in forza dell’articolo 3 della CEDU [sentenze del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 67, e del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di torture passate), C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 37].

66      Dai punti da 52 a 65 della presente sentenza risulta che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, osta a che uno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio o proceda all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di tale Stato membro è irregolare e che è affetto da una malattia grave, allorché sussistono seri e comprovati motivi per ritenere che il suo rimpatrio possa esporlo, a causa dell’indisponibilità di cure adeguate nel paese di destinazione, a un rischio reale di riduzione significativa dell’aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile delle sue condizioni di salute, comportante intensi dolori.

67      In secondo luogo, occorre esaminare, ai fini del procedimento principale, se uno Stato membro debba astenersi dall’adottare una decisione di rimpatrio o un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di tale Stato membro è irregolare e che è affetto da una malattia grave, qualora sussistano gravi e comprovati motivi per ritenere che tale cittadino possa essere esposto, in caso di rimpatrio, ad un rischio reale di aumento del suo dolore, a causa del divieto, nel paese di destinazione, dell’unica terapia analgesica efficace, senza che tuttavia detto rimpatrio lo esponga al rischio di un aggravamento della malattia di cui soffre.

68      A tale proposito, come rilevato ai punti 61, 63 e 65 della presente sentenza, uno Stato membro è suscettibile di violare il divieto di trattamenti inumani e degradanti, di cui all’articolo 4 della Carta, qualora la decisione di rimpatrio o il provvedimento di allontanamento adottati dalle sue autorità rischi di esacerbare il dolore, causato ad un cittadino di un paese terzo da una malattia sopraggiunta naturalmente, in una misura tale che detto dolore raggiunga la soglia di gravità di cui ai suddetti punti.

69      Pertanto, la circostanza che, in caso di rimpatrio di tale cittadino, rischi di aggravarsi solo il dolore connesso alla malattia grave di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, non è sufficiente ad escludere che siffatto rimpatrio possa essere contrario all’articolo 4 della Carta. Ciò vale a maggior ragione in quanto un aumento del dolore connesso ad una malattia può esso stesso comportare un deterioramento delle condizioni di salute fisica o mentale, propriamente detto, della persona interessata.

70      Tuttavia, non qualsiasi rischio di aumento del dolore, che potrebbe derivare dal rimpatrio di un cittadino di un paese terzo, espone quest’ultimo a un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta. Infatti, per analogia a quanto esposto al punto 66 della presente sentenza, è necessario inoltre che sussistano motivi seri e comprovati per ritenere che, in caso di rimpatrio, tale cittadino sia esposto al rischio reale che il suo dolore aumenti in modo rapido, significativo e irrimediabile.

71      A tal riguardo, occorre precisare, anzitutto, che sussistono fondati motivi per ritenere che un cittadino di un paese terzo rischi di essere esposto, in caso di rimpatrio, ad un aumento significativo e irrimediabile del dolore causato dalla sua malattia, in particolare, qualora sia accertato che nel paese di destinazione non può essergli somministrato legalmente il solo trattamento analgesico efficace e che l’assenza di un siffatto trattamento lo esporrebbe ad un dolore di un’intensità tale da risultare contrario alla dignità umana, in quanto potrebbe causargli disturbi psichici gravi e irreversibili o addirittura condurlo al suicidio, circostanza che spetta al giudice del rinvio determinare alla luce di tutti i dati pertinenti, in particolare quelli medici. Occorre, in particolare, valutare l’irreversibilità dell’aumento del dolore tenendo conto di molteplici fattori, compresi gli effetti diretti e le conseguenze più indirette di siffatto aumento (v., per analogia, Corte EDU, sentenza Savran c. Danimarca, CE:ECHR:2021:1207JUD005746715, § 138).

72      Per quanto riguarda poi il requisito secondo il quale il rimpatrio del cittadino di un paese terzo interessato rischi di causare un rapido aumento del suo dolore, occorre sottolineare che una condizione siffatta non può essere interpretata in modo talmente restrittivo che essa osti al rimpatrio di un cittadino di un paese terzo gravemente malato unicamente nei casi estremi in cui quest’ultimo possa subire un aumento significativo e irrimediabile del suo dolore sin dal suo arrivo nel territorio del paese di destinazione o appena dopo tale arrivo. Occorre, al contrario, tener conto del fatto che l’aumento del dolore della persona interessata, causato dal suo rimpatrio in un paese nel quale non sono disponibili terapie adeguate, può essere progressivo e che può essere necessario un certo lasso di tempo affinché tale aumento divenga significativo e irrimediabile.

73      Inoltre, la necessità di prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti, ai fini della valutazione della soglia di gravità richiesta al riguardo dall’articolo 4 della Carta, nonché il grado di supposizione insito in un esame in prospettiva di questo tipo, ostano a che, per essere considerato rapido, l’aumento del dolore di un cittadino di un paese terzo, in caso di rimpatrio, deve essere idoneo a prodursi entro un termine predeterminato in modo assoluto nel diritto dello Stato membro interessato.

74      L’autorità nazionale competente deve, infatti, poter bilanciare, in funzione della patologia di cui soffre il cittadino di un paese terzo, la rapidità con la quale, in caso di ritorno, siffatto aumento può verificarsi, da un lato, e il grado di intensità dell’aumento del dolore che si teme in una ipotesi siffatta, dall’altro.

75      Se gli Stati membri fissano un termine, esso deve essere puramente indicativo e non esonererà l’autorità nazionale competente da un esame concreto della situazione del cittadino di un paese terzo interessato alla luce di tutti i fattori pertinenti, in particolare quelli menzionati al punto precedente, tenuto conto della patologia di cui soffre tale cittadino.

76      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta nonché 19, paragrafo 2, di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è affetto da una grave malattia, allorché sussistono gravi e comprovati motivi per ritenere che, in caso di rimpatrio, l’interessato possa essere esposto, nel Paese terzo verso il quale verrebbe allontanato, al rischio reale di un aumento significativo, irrimediabile e rapido del suo dolore, a causa del divieto, in tale Paese, della sola terapia analgesica efficace. Uno Stato membro non può stabilire un termine fisso entro il quale siffatto aumento debba concretizzarsi affinché esso possa essere d’ostacolo a tale decisione di rimpatrio o tale misura di allontanamento.

 La terza questione pregiudiziale

77      Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, letta in combinato disposto con gli articoli 1, 4 e 19 della Carta, debba essere interpretata nel senso che essa osta a che le conseguenze del provvedimento di allontanamento, propriamente detto, sulle condizioni di salute del cittadino di un paese terzo siano prese in considerazione dall’autorità nazionale competente unicamente al fine di verificare se quest’ultimo sia in condizioni di viaggiare.

78      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio parte dalla premessa che la normativa dei Paesi Bassi di cui trattasi distingua, da un lato, la valutazione del rischio che l’interruzione della terapia somministrata ad un cittadino di un paese terzo, causata dal suo rimpatrio, provochi a breve termine una «situazione di emergenza medica», ai sensi del punto 7.1.3 della circolare sugli stranieri, e, dall’altro, la valutazione delle conseguenze della misura di allontanamento propriamente detta, che deve iscriversi nell’ambito dell’esame della capacità di viaggiare di tale cittadino e presuppone, pertanto, che si tenga conto solo delle conseguenze mediche che possono subentrare nel corso di tale allontanamento, restando escluse quelle che possono manifestarsi, in esito a quest’ultimo, nel paese di destinazione.

79      Il governo dei Paesi Bassi nega che questa sia la prassi dell’autorità nazionale competente interessata. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 44 della presente sentenza, occorre rispondere alla terza questione partendo dalla premessa esposta dal giudice del rinvio.

80      Tenendo presente tale precisazione, dalla motivazione della risposta alle questioni prima e seconda risulta che l’articolo 5 e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115 esigono che, prima di adottare una decisione di rimpatrio o di procedere all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo affetto da una grave malattia, gli Stati membri possano escludere ogni serio dubbio quanto al rischio che il rimpatrio di tale cittadino generi un aggravamento rapido, significativo e irrimediabile di tale malattia o del dolore causato da quest’ultima. Qualora un dubbio siffatto non possa essere escluso, l’autorità nazionale competente non può adottare una decisione di rimpatrio né procedere all’allontanamento del cittadino di un paese terzo interessato.

81      Pur se un divieto del genere vale anche fino a che lo Stato membro interessato non sia in grado di organizzare l’allontanamento propriamente detto del cittadino di un paese terzo interessato in modo tale che sia garantito, in particolare, che tale cittadino non sarà esposto ad un rischio di aumento significativo e irrimediabile della sua malattia o del suo dolore nel corso di tale allontanamento, non si può da ciò concludere che sia sufficiente per tale Stato membro garantire che detto cittadino fruirà di cure adeguate durante il suo allontanamento per poter adottare una decisione di rimpatrio. Lo Stato membro interessato deve, infatti, garantire che, qualora ciò sia richiesto dalle condizioni di salute della persona interessata, quest’ultima riceva assistenza sanitaria non soltanto durante l’allontanamento propriamente detto, ma anche successivamente nel paese di destinazione (v., per analogia, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti da 76 a 82).

82      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 5 e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che le conseguenze del provvedimento di allontanamento propriamente detto sulle condizioni di salute di un cittadino di un paese terzo siano prese in considerazione dall’autorità nazionale competente unicamente al fine di esaminare se quest’ultimo sia in grado di viaggiare.

 La quarta questione

83      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 7, nonché 1 e 4 della Carta, debba essere interpretata nel senso che le condizioni di salute di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, e le cure che tale cittadino riceve in tale territorio per la grave malattia da cui è affetto debbano essere prese in considerazione da tale Stato membro al fine di valutare se, in forza del diritto al rispetto della vita privata, occorra riconoscere all’interessato un diritto di soggiorno nel territorio di tale Stato membro o rinviare la data del suo allontanamento.

84      Occorre, in primo luogo, ricordare che le norme e le procedure comuni istituite dalla direttiva 2008/115 vertono unicamente sull’adozione di decisioni di rimpatrio e sull’esecuzione di tali decisioni, in quanto tale direttiva non ha lo scopo di armonizzare integralmente le norme degli Stati membri in materia di soggiorno dei cittadini stranieri. Detta direttiva non disciplina, pertanto, né il modo in cui deve essere attribuito ai cittadini di paesi terzi un diritto di soggiorno né le conseguenze del soggiorno irregolare, nel territorio di uno Stato membro, di cittadini di paesi terzi nei confronti dei quali non possa essere adottata alcuna decisione di rimpatrio verso un paese terzo [v., in tal senso, sentenze dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punti 44 e 45, nonché del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro), C‑673/19, EU:C:2021:127, punti 43 e 44].

85      Ne consegue che nessuna disposizione della direttiva 2008/115 può essere interpretata nel senso che essa esiga che uno Stato membro accordi un permesso di soggiorno a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, allorché tale cittadino non può essere oggetto né di una decisione di rimpatrio né di un provvedimento di allontanamento, per il fatto che sussistono seri e comprovati motivi per ritenere che l’interessato possa essere esposto, nel paese di destinazione, a un rischio reale di un aumento rapido, significativo e irrimediabile dei dolori causati dalla sua malattia.

86      Riguardo, in particolare, all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, tale disposizione si limita a consentire agli Stati membri di concedere, sulla base del loro diritto nazionale e non del diritto dell’Unione, un diritto di soggiorno, per motivi caritatevoli o umanitari, ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare.

87      Orbene, conformemente all’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, le disposizioni di quest’ultima non estendono l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Non si può pertanto ritenere che, a norma dell’articolo 7 della Carta, uno Stato membro possa essere tenuto a concedere un diritto di soggiorno a un cittadino di un paese terzo rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

88      Ciò premesso, è necessario, in secondo luogo, rilevare che l’obiettivo principale della direttiva 2008/115 consiste, come emerge dai considerando 2 e 4 di quest’ultima, nel porre in essere un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone interessate (sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

89      Ne consegue che, nell’attuare la direttiva 2008/115, compreso il caso in cui intendano adottare una decisione di rimpatrio o una misura di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali riconosciuti a tale cittadino dalla Carta (sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O., C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 69).

90      Ciò vale in particolare per il diritto al rispetto della vita privata e familiare di detto cittadino, quale garantito dall’articolo 7 della Carta. Tale diritto, preso più specificamente in considerazione dal giudice del rinvio nella sua quarta questione, corrisponde a quello garantito dall’articolo 8 della CEDU e, di conseguenza, devono essergli accordati lo stesso significato e la stessa portata [sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa), C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 122 e giurisprudenza ivi citata].

91      A questo proposito, la Corte ha dichiarato che l’articolo 5, primo comma, lettera b), della direttiva 2008/115 osta a che uno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio senza prendere in considerazione gli elementi pertinenti relativi alla vita familiare del cittadino di un paese terzo interessato [sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 104].

92      Inoltre, e benché tale articolo 5 non menzioni la vita privata del cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare tra gli elementi che gli Stati membri devono prendere in considerazione nell’attuare la direttiva 2008/115, resta il fatto che dai punti da 88 a 90 della presente sentenza discende che non si può adottare una decisione di rimpatrio o un provvedimento di allontanamento che violi il diritto al rispetto della vita privata del cittadino di un paese terzo interessato.

93      Occorre, a tal riguardo, rilevare che le cure mediche di cui un cittadino di un paese terzo fruisce nel territorio di uno Stato membro, anche se il suo soggiorno è irregolare, fanno parte della vita privata di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 7 della Carta.

94      Come, infatti, rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 114 delle sue conclusioni, l’integrità fisica e mentale di una persona partecipa alla sua realizzazione personale e, pertanto, al godimento effettivo del suo diritto al rispetto della vita privata, che comprende anche, in una certa misura, il diritto del singolo di instaurare e sviluppare rapporti con i propri simili (v., in tal senso, Corte EDU, 8 aprile 2021, Vavricka e a. c. Repubblica ceca, CE:ECHR:2021:0408JUD004762113, § 261).

95      Pertanto, come confermato dall’articolo 5, primo comma, lettera c), e dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/115, l’autorità nazionale competente può adottare una decisione di rimpatrio o procedere all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo solo dopo aver preso in considerazione le condizioni di salute di quest’ultimo.

96      Ciò premesso, occorre ricordare che il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’articolo 7 della Carta, non si configura come una prerogativa assoluta, ma deve essere preso in considerazione in relazione alla sua funzione nella società. Come risulta, infatti, dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, quest’ultima ammette limitazioni all’esercizio di tale diritto, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale dei summenzionato diritto e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (sentenza del 5 aprile 2022, Commissioner of An Garda Síochána e a., C‑140/20, EU:C:2022:258, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

97      Occorre a tal proposito rilevare che l’attuazione di un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio, che è perseguita dalla direttiva 2008/115, come sottolineato dal considerando 2 di quest’ultima, costituisce un obiettivo di interesse generale riconosciuto dal diritto dell’Unione.

98      Ciò premesso, l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta richiede inoltre di valutare, in particolare, se l’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo affetto da una grave malattia e che fruisce, nello Stato membro interessato, di un trattamento analgesico non disponibile nel paese di destinazione, non pregiudichi il contenuto essenziale del suo diritto alla vita privata e rispetti il principio di proporzionalità.

99      Un esame del genere presuppone che si tenga conto di tutti i legami sociali che il cittadino ha creato all’interno dello Stato membro in cui il suo soggiorno è irregolare, tenendo in debito conto della fragilità e del particolare stato di dipendenza causato dalle sue condizioni di salute. Come, tuttavia, sottolineato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 112 delle sue conclusioni, quando tale cittadino ha sviluppato la sua vita privata in tale Stato membro senza disporre in esso di un permesso di soggiorno, solo circostanze eccezionali possono opporsi a che esso sia oggetto di un procedimento di rimpatrio (v., per analogia, Corte EDU, 28 luglio 2020, Pormes c. Paesi Bassi, CE:ECHR:2020:0728JUD002540214, §§ 53 e 58).

100    Peraltro, la circostanza che, in caso di rimpatrio, tale cittadino non avrebbe più a disposizione la stessa terapia somministratagli nello Stato membro nel cui territorio egli soggiorna irregolarmente e potrebbe, per ciò, subire, in particolare, un effetto sullo sviluppo delle sue relazioni sociali nel paese di destinazione, non può, di per sé, ostare, in forza dell’articolo 7 della Carta, all’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei suoi confronti.

101    Infatti, come ricordato ai punti 60 e 64 della presente sentenza, è al ricorrere di condizioni rigorose che l’articolo 4 della Carta osta al rimpatrio di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno è irregolare e che è affetto da una malattia grave.

102    Ne consegue che, salvo privare tali condizioni della loro effettività, l’articolo 7 della Carta non può imporre a uno Stato membro di rinunciare ad adottare una decisione di rimpatrio o un provvedimento di allontanamento nei confronti di tale cittadino, unicamente per il rischio di un deterioramento delle condizioni di salute di quest’ultimo nel paese di destinazione se non sono soddisfatte siffatte condizioni.

103    Da tutte le considerazioni che precedono risulta che la direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 7, nonché 1 e 4 della Carta, deve essere interpretata nel senso che:

–        essa non impone allo Stato membro nel cui territorio un cittadino di un paese terzo soggiorna irregolarmente di rilasciargli un permesso di soggiorno quando tale cittadino non può essere oggetto né di una decisione di rimpatrio né di una misura di allontanamento per il fatto che sussistono motivi gravi e comprovati per ritenere che egli possa essere esposto nel paese di destinazione al rischio reale di un aumento rapido, significativo e irrimediabile del dolore causato dalla grave malattia da cui è affetto;

–        le condizioni di salute di tale cittadino e le cure che riceve in detto territorio per tale malattia devono essere prese in considerazione, insieme a tutti gli altri fattori pertinenti, dall’autorità nazionale competente allorché valuta se il diritto al rispetto della vita privata di tale cittadino osti a che egli sia oggetto di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento;

–        l’adozione di una decisione o di un provvedimento del genere non viola tale diritto per la sola ragione che, in caso di rimpatrio nel paese di destinazione, egli possa essere esposto al rischio che le sue condizioni di salute si deteriorino, qualora un rischio siffatto non raggiunga la soglia di gravità richiesta ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

 Sulle spese

104    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 5 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta all’adozione di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è affetto da una grave malattia, allorché sussistono gravi e comprovati motivi per ritenere che, in caso di rimpatrio, l’interessato possa essere esposto, nel paese terzo verso il quale verrebbe allontanato, al rischio reale di un aumento significativo, irrimediabile e rapido del suo dolore, a causa del divieto, in tale paese, della sola terapia analgesica efficace. Uno Stato membro non può stabilire un termine fisso entro il quale siffatto aumento debba concretizzarsi affinché esso possa essere d’ostacolo a tale decisione di rimpatrio o tale misura di allontanamento.

2)      L’articolo 5 e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali, nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima,

devono interpretati nel senso che:

essi ostano a che le conseguenze del provvedimento di allontanamento propriamente detto sulle condizioni di salute di un cittadino di un paese terzo siano prese in considerazione dall’autorità nazionale competente unicamente al fine di esaminare se quest’ultimo sia in grado di viaggiare.

3)      La direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 7, nonché 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali,

deve essere interpretata nel senso che:

–        essa non impone allo Stato membro nel cui territorio un cittadino di un paese terzo soggiorna irregolarmente di rilasciargli un permesso di soggiorno quando tale cittadino non può essere oggetto né di una decisione di rimpatrio né di una misura di allontanamento per il fatto che sussistono motivi gravi e comprovati per ritenere che egli sarebbe esposto nel paese di destinazione al rischio effettivo di un aumento rapido, significativo e irrimediabile del dolore causato dalla grave malattia da cui è affetto;

–        le condizioni di salute di tale cittadino e le cure che riceve in detto territorio per tale malattia devono essere prese in considerazione, insieme a tutti gli altri fattori pertinenti, dall’autorità nazionale competente allorché valuta se il diritto al rispetto della vita privata di tale cittadino osti a che egli sia oggetto di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento;

–        l’adozione di una decisione o di un provvedimento del genere non viola tale diritto per la sola ragione che, in caso di rimpatrio nel paese di destinazione, egli possa essere esposto al rischio che le sue condizioni di salute si deteriorino, qualora un rischio siffatto non raggiunga la soglia di gravità richiesta ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

Firme