Spacciare sostanze stupefacenti di tipo diverso, a prescindere dal dato quantitativo, osta alla configurabilità dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990?
La parola alle Sezioni Unite (che non potranno che dire .. di no, almeno in punto di diritto).
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 marzo 2018 – 25 maggio 2018, n. 23546
Presidente Di Nicola – Relatore Reynaud
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 1 giugno 2017, la Corte d’appello di Catania ha respinto il gravame proposto dall’odierno ricorrente A.P. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Catania lo aveva condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e 14.000 Euro di multa, in ordine ai reati di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per aver illecitamente detenuto e ceduto a terzi sostanze stupefacenti di tipo marijuana e cocaina.
1.1. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo con unico motivo la violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990 per avere la Corte territoriale negato la riqualificazione del fatto ai sensi della menzionata disposizione, nonostante il modestissimo quantitativo di stupefacente illecitamente detenuto, non potendo ritenersi ostativa la circostanza che si trattasse di sostanze di diversa natura.
Considerato in diritto
2. Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni unite di questa Corte ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen.
3. L’imputato risponde, in concorso con tale C.G. e con un altro soggetto non identificato, dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990 per aver ceduto sulla pubblica via a sei persone sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina (capo A) e per aver illecitamente detenuto, a fine di vendita: a) 13 involucri in carta stagnola contenenti sostanza stupefacente del tipo marijuana, quantificata in gr. 2,536 di principio attivo, da cui era possibile ricavare 101 singole dosi; b) 5 involucri in plastica termosaldati contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina, quantificata in gr. 0,329 di principio attivo, da cui era possibile ricavare circa 2,6 singole dosi (capo B).
3.1. Dalle conformi sentenze di condanna di primo e secondo grado, risulta - ed il ricorrente non lo contesta - che nel corso di un servizio di osservazione i Carabinieri notarono che un soggetto (rimasto ignoto perché poi datosi alla fuga) veniva avvicinato, in strada, da persone che gli consegnavano del denaro e che poi si rivolgevano ad A. ed al coimputato C. , i quali si alternavano nel recarsi a prelevare qualcosa da un tombino posto in una limitrofa pubblica via, consegnandolo quindi alle persone che avevano pagato. Dopo aver assistito a sei cessioni, gli operanti decisero di intervenire e, avendo rinvenuto le sostanze stupefacenti oggetto di successiva contestazione nel tombino dove il ricorrente ed il coimputato erano stati visti recarsi ad effettuare i prelievi, li trassero in arresto, mentre il soggetto che incassava il denaro riuscì a dileguarsi.
3.2. Il tribunale aveva quindi ritenuto provata la penale responsabilità dell’A. e del coimputato C. per i reati loro ascritti e - per quanto qui rileva - aveva escluso l’ipotesi di reato della lieve entità del fatto, giudicandola incompatibile con la detenzione di sostanze stupefacenti appartenenti a diverse tipologie, a prescindere dal quantitativo. Ricondotti i fatti ad un’unica ideazione criminosa, il giudice aveva ritenuto più grave la detenzione della cocaina, ponendo a base del calcolo la pena di otto anni di reclusione e 26.000 Euro di multa, riducendola a cinque anni e quattro mesi di reclusione e 18.000 Euro di multa in conseguenza dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata recidiva, aumentandola a cinque anni e sei mesi di reclusione e 21.000 Euro di multa ai sensi dell’art. 81, cpv., cod. pen., diminuendola ulteriormente per la scelta del rito abbreviato alla misura definitiva di tre anni ed otto mesi di reclusione e 14.000 Euro di multa.
3.3. Nel disattendere il motivo di appello al proposito proposto, la Corte territoriale ha escluso la lieve entità del fatto valorizzando, in particolare, a prescindere dal quantitativo, la diversa natura delle sostanze detenute e spacciate - ritenuta indicativa della capacità di procurarsi stupefacenti tali da rifornire un’ampia platea di assuntori con conseguente danno non tenue al bene della salute pubblica - e le modalità della condotta, sintomatiche di una "professionalità acquisita sul campo" incompatibile con la fattispecie invocata. Il giudice d’appello ha di fatti osservato come si trattasse di un modus agendi idoneo a consentire, in sicurezza, lo spaccio indeterminato di sostanze stupefacenti, posto in essere da soggetti che avevano mostrato un affiatamento in grado di realizzare un meccanismo delittuoso perfetto ed efficace, aggiungendo che poteva anche desumersi il collegamento con ambienti criminali che notoriamente controllano le piazze di spaccio.
4. Occorre innanzitutto rimarcare l’erroneità di quest’ultimo argomento: la tipizzazione dell’associazione per delinquere costituita al solo fine di commettere "i fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73" (art. 74, comma 6, T.U. stup.) comporta la conseguenza logica che l’esistenza di una rudimentale organizzazione non osta di per sé alla qualificazione del reato in termini di minore gravità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (così, da ultimo, Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, Mascali, Rv. 270397; Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068; Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, Airano, Rv. 256609, secondo cui l’attenuante di cui al comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore - tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a "decine").
4.1. È evidente, dunque, che l’aspetto organizzativo deve necessariamente coniugarsi con gli altri elementi pure valorizzati dalla corte territoriale quali: il rischio di intaccare con muffe e batteri la sostanza occultata nel tombino aumentandone l’effetto dannoso per la salute; la diversa qualità delle sostanze stupefacenti che sono oggetto della condotta.
4.2. La diversa qualità delle sostanze stupefacenti (nella specie, cocaina e marijuana) potrebbe costituire argomento di per sé dirimente.
4.3. Sul punto, però, si registra un contrasto interpretativo di questa Corte.
4.3.1. Un primo e più risalente indirizzo sostiene che l’ipotesi del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73, comma quinto, del d.P.R. n. 309 del 1990, non è mai configurabile nel caso di detenzione di sostanze di differente tipologia, a prescindere dal dato quantitativo, trattandosi di condotta indicativa della capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 47671 del 09/10/2014, Cichetti, Rv. 261161; Sez. 3, n. 26205 del 05/06/2015, Khalfi, Rv. 264065; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491; Sez. 4, n. 6624 del 15/12/2016, Bevilacqua, Rv. 269130).
4.3.2. Il secondo, più recente, indirizzo sostiene, invece, che in caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non può di per sé costituire ragione sufficiente ad escludere l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore (Sez. 6, n. 46495 del 19/09/2017, Rachadi, Rv. 271338; Sez. 4, n. 22655 del 04/04/2017, Ben Ali, Rv. 270013; Sez. 6, n. 14882 del 25/01/2017, Fonzo, Rv. 269457; Sez. 4, n. 48850 del 03/11/2016, Barba, Rv. 268218; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016, Tropeano, Rv. 268171).
4.4. La peculiarità del caso in esame sta nel fatto che - al di là dei pochi episodi di cessione (sei in tutto), riconducibili allo spaccio di strada e di per sé compatibili con la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., non essendo neppure stato accertato se si trattava di cessione di cocaina oppure di marijuana - la quantità di cocaina detenuta (gr. 0,392) è decisamente, ed eccezionalmente, modica e, per quanto osservato, l’aspetto organizzativo non è di per sé incompatibile con l’ipotesi della lieve entità.
L’ulteriore rilievo secondo cui l’occultamento della sostanza nel tombino determinerebbe il rischio di contaminazione con muffe e batteri aumentando l’effetto dannoso per la salute pubblica, del resto, appare frutto di mera congettura e incorre pertanto nel vizio di manifesta illogicità, considerato anche che si trattava di sostanze confezionate in distinti involucri ed ulteriormente custodite in una borsa di plastica, secondo quanto riferisce la sentenza di primo grado.
La diversità delle sostanze costituirebbe, dunque, argomento decisivo perché, ove si accogliesse la prima tesi - espressamente condivisa dai giudici di merito - il maggior disvalore del fatto sarebbe interamente assorbito dalla detenzione di una modica quantità di sostanza stupefacente "pesante" a fronte di una ben più consistente quantità di "droga leggera". Coerentemente a tale impostazione i giudici di merito hanno infatti applicato la pena base individuandola in quella di cui al primo comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 ed operando sulla stessa i relativi calcoli.
4.5. Il secondo indirizzo impone di valutare anche il dato ponderale delle diverse sostanze oggetto di condotta. Nel caso in esame deve osservarsi come il quantitativo di "droga leggera" - assestandosi sul centinaio di dosi - sia ben più significativo e tale da poter forse indurre ad escludere la lieve entità della contestuale detenzione della cocaina, detenzione che, si ribadisce, se non fosse accompagnata dal possesso di marijuana, potrebbe invece essere qualificata ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Con la conseguenza, però, che anche in questo caso il maggior disvalore del fatto sarebbe integralmente attratto dalla detenzione di una pur modica quantità di "droga pesante", a meno di ritenere possibile la "scissione" dell’unica condotta di detenzione in due distinti reati in concorso formale tra loro ai sensi dell’art. 81, comma primo, cod. pen.: quello, più grave, di cui al comma quarto e quello, meno grave, di cui al comma quinto dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990.
4.6. La natura autonoma del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 non osterebbe a tale interpretazione, resa possibile dal tenore letterale della norma che sanziona "uno dei fatti previsti dal presente articolo" e, dunque, una delle diverse condotte previste nei commi che lo precedono.
4.7. È opportuno ricordare che l’attuale comma quinto dell’art. 73 d.p.r. 309 del 1990, deve essere letto avendo presente la formulazione della disposizione incriminatrice anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 4-bis, d.l. n. 272 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 49 del 2006 e dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 32 del 2014. Per effetto di tale intervento, il comma primo del citato art. 73, così recita: "Chiunque senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, è punito con la reclusione da otto a venti anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228". Il successivo comma quarto recita: "4. Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468".
4.8. La "reviviscenza" della norma precedente alle modifiche annullate dal Giudice delle leggi rende nuovamente possibile il concorso formale di reati quando le sostanze oggetto delle condotte previste dai commi primo e quarto non appartengono alla medesima tabella o al medesimo gruppo omogeneo di tabelle (Sez. 7, n. 6615 del 02/12/2004, Nasto, n.m.; Sez. 6, n. 12153 del 10/10/1994, Napoli, Rv. 200068; Sez. 6, n. 7902 del 25/05/1992, Sagripanti, Rv. 191092).
4.9. Il fatto che l’attuale quinto comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309, cit., faccia riferimento a "uno dei fatti previsti dal presente articolo" (e dunque a una delle condotte tipiche previste rispettivamente dal primo o dal quarto comma del medesimo articolo) e la "trasformazione" della circostanza attenuante in reato autonomo sembrano legittimare l’interpretazione secondo la quale, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti che non appartengono alla medesima tabella o al medesimo gruppo omogeneo di tabelle, è astrattamente possibile il concorso del reato di cui al comma quinto dell’art. 73 T.U. stup. con uno di quelli di cui ai commi primo o quarto del medesimo articolo.
4.10 Tale approdo interpretativo consentirebbe di ritenere anche la continuazione interna ove si dovesse accogliere la tesi secondo la quale la diversità delle sostanze non è di per sé ostativa alla valutazione del fatto in termini di lieve entità.
4.11. In senso (solo apparentemente) contrario a quest’ultima conclusione è stato affermato che la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del d.l. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), deve essere configurata come ipotesi autonoma di reato, con una pena unica ed indifferenziata, quanto alla tipologia di stupefacente, rispetto a quella delineata dall’art. 73, comma 1 del medesimo decreto. Sicché è illegittima la determinazione della pena operata applicando l’aumento della continuazione per effetto della erronea trasformazione della qualificazione del fatto da unico reato in due distinti reati (Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017, Dubini, Rv. 270806).
4.12. Sennonché tale decisione (l’unica, per quanto consta, ad aver affrontato ex professo la questione della continuazione interna, rectius del concorso formale), si inseriva in un quadro normativo diverso. È noto che l’art. 2, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, aveva innovato il testo del comma quinto dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, "trasformandolo" da circostanza attenuante in reato autonomo e, tuttavia, all’epoca tutte le condotte oggi nuovamente diversificate per l’oggetto (il tipo di sostanza stupefacente) erano accomunate dai commi 1 e 1-bis del medesimo articolo. Sicché, quando il quinto comma dell’art. 73 faceva inizialmente riferimento a "uno dei fatti previsti dal presente articolo", i commi 1 e 1-bis del medesimo articolo non operavano alcuna distinzione, a fini sanzionatori, tra le sostanze stupefacenti, tutte accomunate dall’appartenenza alla medesima tabella I prevista dall’art. 14. Quel che poteva variare, all’epoca, erano le condotte (coltivazione, produzione, fabbricazione....cessione e detenzione), non di certo l’oggetto (le sostanze stupefacenti).
4.13. La più recente riformulazione del quinto comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ad opera dell’art. 1, comma 24-ter, lett. a), legge 16 maggio 2014, n. 79, è invece successiva all’intervento demolitivo/ripristinatorio del Giudice delle leggi e si inserisce in un contesto radicalmente diverso i cui effetti non possono non riflettersi, mutandolo, sull’oggetto delle parole "uno dei fatti previsti dal presente articolo", oggetto non più confinabile ad una delle possibili alternative condotte di consumazione del medesimo fatto-reato, ma estensibile proprio a uno dei diversi fatti-reato previsti dalla stessa norma.
4.14. Sicché, ove dovesse ritenersi fondato il secondo indirizzo interpretativo, la modica quantità delle diverse sostanze stupefacenti oggetto materiale della condotta ipotizzata al quinto comma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 legittimerebbe la sussistenza del concorso formale ovvero della continuazione interna tra più ipotesi lievi; la modica quantità di una sola delle diverse sostanze stupefacenti consentirebbe il concorso formale o la continuazione esterna tra il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e uno dei due più gravi delitti previsti ai commi 1 e/o 4 del medesimo articolo.
4.15. La questione, pertanto, può essere così compendiata: "se la diversità di sostanze stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990; se, in caso negativo, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 possa concorrere con uno dei reati di cui ai commi 1 e 4 del medesimo art. 73".
4.16. Nel caso di specie, dalla soluzione del contrasto interpretativo deriva la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di appello che, valorizzando sostanzialmente la diversità delle sostanze detenute, ha escluso la lieve entità del fatto punendolo con la pena prevista dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite penali.