Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Sempre illegale commercializzare infiorescenze di marijuana (Cass. 26264/22)

8 luglio 2022, Cassazione penale

La L. 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceità della sola coltivazione della canapa alle condizioni e per le finalità tassative ivi indicate, tra le quali non rientra la commercializzazione dei prodotti della coltivazione costituiti dalle inflorescenze e dalla resina che, al pari della detenzione e della coltivazione per fini diversi, continua ad essere sottoposta alla disciplina del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(data ud. 26/05/2022) 08/07/2022, n. 26264

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente -

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere -

Dott. GAI Emanuele - rel. Consigliere -

Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere -

Dott. MACRI’ Ubalda - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/10/2021 della Corte d'appello di Salerno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GAI Emanuela;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore che ha insistito nell'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno con la quale l'imputato, all'esito del giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione e Euro 10.000,00 di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, perchè, ai fini di spaccio, deteneva n. 5 buste in cellophane contenenti grammi 187 di sostanza stupefacente marijuana, nonchè coltivava in un fondo di sua proprietà n. 15 piante di marijuana alte circa cm. 100, n. 61 piante di marijuana in vasi, nonchè n. 12 piante poste in essicazione del peso di grammi 216.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore di fiducia dell'imputato, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1. Violazione di legge penale in relazione all'erronea applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 e vizio di motivazione.

La corte territoriale sarebbe pervenuta all'affermazione di responsabilità incorrendo in un errore di diritto là dove non avrebbe compiuto la distinzione tra coltivazione per fini leciti e penalmente irrilevante, e la commercializzazione dei prodotti della coltivazione finendo per condannare l'imputato per la commercializzazione in assenza di prova della finalità di destinazione della sostanza ai fini leciti secondo la L. n. 242 del 2016.

La condotta posta in essere dal ricorrente, per cui ha riportato condanna, difetterebbe della tipicità. L'imputato è un mero coltivatore di cannabis sativa che non aveva ancora individuato la filiera di commercializzazione, sicchè non potrebbe essere condannato perchè commercializzava i prodotti della coltivazione in assenza di prova della finalità della stessa ai sensi della L. n. 242 del 2016.

2.2. Violazione di legge con riferimento all'erronea interpretazione della L. n. 242 del 2016.

La corte territoriale avrebbe confermato la responsabilità dell'imputato dando rilievo al mero dato ponderale, al quantitativo di THC e ad altri indizi, non considerando, da cui il vizio di violazione di legge, che all'imputato era contestata la coltivazione che rendeva necessaria l'individuazione della normativa applicabile. La corte territoriale non avrebbe correttamente individuato la norma applicabile, ossia la L. n. 242 del 2016, che delinea la coltivazione di cannabis sativa per fini leciti, in essa previsti, ed avrebbe erroneamente applicato la disciplina di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1. Da cui l'errore di diritto nell'interpretazione della legge. Di fatti, ai fini dell'esatto inquadramento della disciplina applicabile, non risulta determinante, come ha ritenuto la corte territoriale, nè che la sostanza in oggetto superi i limiti di THC imposti dalla citata legge, nè tanto meno il suo possesso al di fuori di luoghi di produzione con presunzione di una finalità di commercializzazione al di fuori di quella consentita. Dalla liceità della coltivazione discenderebbe anche la liceità della detenzione e dei trasporto della medesima sostanza. Infine, non sarebbe comunque dimostrata la finalità illecita della coltivazione e detenzione in assenza dei tradizionali strumenti dimostrativi della stessa (bilancino, materiale per confezionamento).

2.3. Vizio di motivazione in relazione alla finalità della detenzione allo spaccio.

La corte territoriale avrebbe argomentato la finalità della cessione a terzi, elemento costitutivo del reato di cui all'art. 73 cit., dal mero superamento dei limiti di THC pari al 0,2% previsti dalla legge per la coltivazione a fini leciti, essendo stato accertato un THC pari al 0,6% e dunque superiore. Tale motivazione sarebbe manifestamente illogica là dove non considera che dal superamento della percentuale di THC deriverebbe unicamente la distruzione delle piante (e il mancato finanziamento) nè le altre circostanze emerse nel dibattimento, da cui anche il vizio di travisamento della prova, ossia l'iscrizione dell'imputato ad Assocanapa e l'avere comprato le sementi da questa, l'aver informato i Carabinieri di Eboli, l'avere preso accordi con il Dott. G. per effettuare i controlli sul prodotto per la verifica che esso fosse in linea con le disposizioni di legge con riferimento al THC, l'aver condotto i militari al vivaio il giorno dell'arresto. Non solo, la finalità di spaccio non sarebbe dimostrata stante l'assenza di rinvenimento di strumenti per il confezionamento (bilancino).

Motivi della decisione

4. Il ricorso, i cui motivi possono essere trattanti congiuntamente, va rigettato.

La corte territoriale, in continuità con la decisione di primo grado, ha confermato la condanna dell'imputato, per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, perchè non era stata dimostrata in modo convincente la coltivazione di cannabis sativa autorizzata ex L. n. 242 del 2016 e, in particolare, era mancata la dimostrazione della coltivazione per le finalità lecite indicate dalla legge, quali la vendita a terzi per fini alimentari, di cosmesi etc., ritenendo dimostrata quella punita dall'art. 73 cit.

Per dimostrare l'assenza delle finalità lecite della coltivazione, come individuata dalla L. del 2016, i giudici del merito hanno dato rilievo, a parte gli indici di sospetto, quali l'aver tentato la fuga di fronte ai militari operanti e la presenze di condanne nel certificato penale, che non hanno assunto valenza probatoria, al rinvenimento di una considerevole somma di denaro in banconote di piccolo taglio e alla percentuale di THC superiore allo 0,6%, in un contesto nel quale l'avere acquistato le sementi da Assocanapa e l'aver informato i Carabinieri erano meramente prodromici ad una coltivazione legale, tenuto conto che anche l'esperto contattato dalla difesa, Dott. G., aveva dichiarato di non avere effettuato alcun sopraluogo sul fondo. Infine, il quantitativo di sostanza stupefacente era ricavabile dalle piante, il cui THC era superiore allo 0,6%, consentiva di ricavare oltre diecimila dosi, elemento che rivelava la finalità di cessione di cui all'art. 73 cit..

5. La prima questione sottoposta con il ricorso inerisce alla demarcazione della condotta di coltivazione per fini leciti, secondo le disposizioni della L. n. 242 del 2016, e di quella punita ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73.

La soluzione della questione deve prendere le mosse dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 30475 del 30/05/2019, P.M. Castignani, che, pur relativa alla rilevanza penale della commercializzazione della sostanza derivata dalla coltivazione lecita di canapa, ha, nondimeno, offerto la completa lettura della L. n. 242 del 2016, inquadrandone la collocazione sistemica nell'ordinamento italiano e dell'Unione Europea.

6. Limitando la disamina alla normativa nazionale introdotta dalla L. n. 242 del 2016 "Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa", le citate Sezioni Unite hanno chiarito che le coltivazioni incentivate dalla L. n. 242 del 2016, si collocano nell'alveo delle colture consentite ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 26, che, pur richiamando l'art. 14, disposizione che, al comma 2 lett. b) impone l'introduzione di ogni varietà di cannabis nelle formazione tabelle, introduce un'eccezione al divieto laddove finalizzato alle produzioni consentite (fibre ed usi industriali, diversi dagli usi farmaceutici). Dunque, la coltivazione assume connotazione lecita, stante il permanente divieto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 26, solo se finalizzata alla realizzazione dei prodotti tassativamente indicati nella L. n. 242 del 2016, art. 2, comma 2, nonchè per l'autoproduzione aziendale di energia da biomassa, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione. Mentre, come sempre precisato dalle Sezioni Unite, restano escluse dal novero dei prodotti di per sè commerciabili le infiorescenze di canapa, le foglie o gli olii e le resine derivate, in quanto non ricompresi fra i prodotti di cui all'art. 2 comma 2, la cui cessione costituisce attività illecita ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990.

Per il rilievo che assume, come si dirà oltre, va ancora evidenziata la disposizione di cui alla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, con cui sono introdotte clausole di esclusione della responsabilità penale del coltivatore diretto, che formano il corollario della disciplina che regola la coltura lecita e segnatamente le disposizioni sulle modalità di verifica, di cui al L. n. 242 del 2016, art. 4, sulla percentuale di THC che non deve superare 0,2% per i contributi Europei, in un contesto nel quale, peraltro, il superamento di detta soglia, nondimeno, non implica nella legislazione nazionale il divieto di ricavare dalla coltivazione i prodotti di cui al L. n. 242 del 2009, art. 2, comma 2, posto che il legislatore italiano ha introdotto l'ulteriore limite del 0,6% di THC entro il quale, pur in assenza di sostegno alla produzione, è concesso derivare dalla coltivazione i prodotti consentiti. Solo quando, invece, detta ultima soglia viene superata sono previsti dal della L. n. 242 del 2016, art. 4, comma 7, il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate.

Tirando le fila del discorso, la L. 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceità della sola coltivazione della canapa alle condizioni e per le finalità tassative ivi indicate, tra le quali non rientra la commercializzazione dei prodotti della coltivazione costituiti dalle inflorescenze e dalla resina che, al pari della detenzione e della coltivazione per fini diversi, continua ad essere sottoposta alla disciplina del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Rv. 275956 - 01; Sez. 4, n. 57703 del 19/09/2018, Durali, Rv. 274770 - 01).

Sulla scorta di tali principi si rileva, in primo luogo,, l'infindatezza della censura difensiva là dove denuncia l'assenza di tipicità dal fatto nel senso dell'errata sussunzione del fatto nel perimetro normativo della norma, dal momento che i giudici del merito hanno argomentato che il fatto come descritto nel capo di imputazione (coltivazione nel fondo e nel vaso), per le modalità dello stesso e per l'assenza di collegamento con la filiera, non presentava i requisiti previsti dalla legge del 2016 per l'esclusione della punibilità.

La sentenza impugnata, sulla scorta di indici tratti dal compendio probatorio non qui rivisitabile, pur rilevando che l'imputato aveva acquistato da Assocanapa le sementi, aveva informato i Carabinieri e dato incarico ad un tecnico per il controllo sulla coltivazione, ha argomentato che tali circostanze erano meramente prodromiche ad avviare una coltivazione lecita, ma che non conducevano a dimostrare che la coltivazione in atto (sia nel fondo che nei vasi) fosse per fini leciti. Peraltro, osserva, il Collegio, come la stessa modalità della coltivazione, parte della quale in "vasi", è indice rivelatore di un'attività di coltivazione estranea alle finalità della legge ed è quindi illecita.

Oltre tutto, si deve, altresì, considerare che l'imputato deteneva anche infiorescenze essiccate, steli per un peso di grammi 216, e che, come si è già detto, la clausola di non punibilità è strettamente correlata al lecito impianto della coltura di varietà consentite, con sementi certificate, ed è limitata alla sola figura del coltivatore e non si estende ai prodotti derivati.

Consegue che nessuna violazione di legge nel senso di errata interpretazione della norma è stata compiuta dai giudici del merito con riguardo all'interpretazione delle disposizioni di cui alla L. n. 242 del 2016, nè ricorre alcun vizio di motivazione, apparendo questa congrua, non manifestamente illogica e aderente al dato probatorio, non essendo prospettabile alcun travisamento probatorio con riguardo alle circostanze sopra riferite che sono state esaminate e valutate in un ottica non condivisa dal ricorrente, situazione che, attenendo alla valutazione probatoria, è estranea al vizio di travisamento della prova.

Una volta esclusa la liceità della coltivazione, anche la destinazione della finalità di cessione, ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, è stata congruamente argomentata sul rilievo del quantitativo incompatibile con ogni diversa prospettazione, per altro neppure allegata, di consumo personale.

Infine, deve rilevarsi che l'imputato deteneva, contenuta in cinque buste, grammi 187 di marijuana, e correttamente è stato pertanto condannato per il reato continuato di coltivazione e detenzione (Sez. 6, n. 22549 del 28/03/2017, Ghitti, Rv. 270266 - 01; Sez. 6, n. 39288 del 06/10/2011, Percoco, Rv. 251056 - 01).

8. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 202