Chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di persona notoria è tenuto al risarcimento del danno, la cui quantificazione deve essere operata tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, in sé considerato, delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività (nella specie, nel campo dello spettacolo) cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi.
In tema di danno patrimoniale, conseguente a plurime violazioni di legge relative alla pubblicazione di foto della propria vita privata, quand’anche relative ad un soggetto molto conosciuto, dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione delle immagini abusivamente utilizzate, non discende l’abbandono del diritto, con la conseguente sua caduta in pubblico dominio.
Nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, che si può protrarre per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo e, per altro verso, la stessa gestione del diritto assoluto può comportare la scelta di non sfruttare economicamente i propri dati personali, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto.
Nei casi in cui il titolare del bene protetto non intenda concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri, non può essere escluso un danno patrimoniale, atteso che anche qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimonialmente valutabile, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente domandato per concedere il suo consenso alla pubblicazione (che non cade in pubblico dominio), può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo alla consistenza del vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.
Corte di Cassazione
sez. I Civile, sentenza 3 dicembre 2018 – 23 gennaio 2019, n. 1875
Presidente Giancola – Relatore Genovese
Fatti di causa
1. - Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda risarcitoria proposta dal signor C.G.T. contro il direttore (la signora M.C.) e la società editrice (RCS Periodici SpA) della rivista (omissis) che, nell’(omissis), aveva pubblicato, in due puntate settimanali, tredici fotografie che lo ritraevano all’interno del parco di (omissis) , sul (omissis) (in Comune di omissis) da solo o assieme ai suoi ospiti (e, particolarmente, assieme alla soubrette C.E., con la quale intratteneva, all’epoca, una relazione sentimentale), in atteggiamenti intimi (a torso nudo, in compagnia della signora C.), condannando (art. 185 c.p., artt. 2059 e 2043 c.c.) i convenuti al pagamento di una somma a titolo di danno patrimoniale (equitativamente determinata, in base al criterio del compenso che l’attore avrebbe, presumibilmente, richiesto per la pubblicazione delle riprese fotografiche) ed un’altra per il danno non patrimoniale arrecatogli con l’illecita intrusione nella sua vita privata (per il turbamento e la sofferenza psicologica).
1.1. - Riferisce la Corte territoriale che, in particolare, il Tribunale, superando l’eccezione dei convenuti circa il legittimo esercizio del diritto di cronaca (riguardando quelle foto due personaggi pubblici, intrattenenti una relazione sentimentale di interesse per la cd. cronaca rosa, i quali erano stati ritratti in un luogo esposto al pubblico: il parco di (omissis ), ha affermato che: a) la pubblicazione, senza il consenso dell’avente diritto, violava il diritto al ritratto, di cui all’art. 10 c.c., e art. 96 L.A., non rientrando il caso in uno di quelli giustificati ai sensi dell’art. 97 L.A., essendo palese - in mancanza di fatti di pubblico interesse - l’intento dell’attore, in vacanza nella sua dimora, di escludere ogni intrusione in essa da parte degli estranei; b) l’iniziativa editoriale integrava un duplice illecito, quello del trattamento abusivo dei dati personali (con violazione degli artt. 2, 11 e 23 Codice Privacy), e del reato di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p., comma 2).
1.2. - Il Tribunale, inoltre, ha escluso l’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e ha, perciò, condannato i convenuti al pagamento: a) per il danno patrimoniale, della somma equitativamente determinata in Euro 80.000,00; b) per il danno non patrimoniale, quella di Euro 40.000,00.
2. - Avverso tale decisione hanno proposto appello la signora M.C. e la società RCS Periodici SpA.
2.1. - La Corte territoriale ha ribadito che: i) le immagini sono state carpite in violazione della riservatezza dei personaggi, ritratti attraverso una abusiva introduzione nelle pertinenze dell’abitazione privata, tendenzialmente esclusa dalla visione dall’esterno, con prolungati appostamenti, postazioni sopraelevate e utilizzo degli interstizi nelle siepi di recinzione nonché di tecnologie avanzate; ii) nella specie era stato superato il punto di equilibrio tra il diritto di cronaca, da un lato, e il diritto alla riservatezza e alla protezione della propria immagine, che pure spetta alle persone note, quando ì dati non hanno rilievo per il loro ruolo o vita pubblica, da un altro; iii) per soddisfare l’interesse della cd. cronaca rosa sarebbe bastato dar conto delle apparizioni pubbliche dell’attore C. con la compagna (la C.).
2.2. - La Corte, non sussistendo alcun interesse legittimo alla captazione e diffusione delle fotografie, ha perciò confermato la sussistenza delle violazioni del diritto alla riservatezza dell’appellato, così come del trattamento illecito dei propri dati personali e del diritto all’immagine del personaggio pubblico, abusivamente e illecitamente ritratto, con foto pubblicate nei due numeri della rivista. Sicché, nel caso in esame, ricorrerebbero anche gli estremi del reato di cui all’art. 615-bis cod. pen., ascrivibile sia a chi carpì le foto, con potenti teleobiettivi, e sia a chi le diffuse, nonostante la verifica ed il rilascio di dichiarazioni liberatorie da parte dei fotografi.
2.3. - La Corte territoriale ha, tuttavia, negato l’esistenza di un danno patrimoniale atteso che il C. aveva - per il tramite del suo portavoce - espressamente escluso il consenso alla pubblicazione di immagini della propria vita privata cosicché, negandosi la stessa possibilità dello sfruttamento economico di tali immagini, era inconfigurabile un danno patrimoniale.
2.4. - Un danno non patrimoniale era astrattamente configurabile, per l’obiettiva illecita interferenza nella vita privata subita dall’attore assieme alla lesione del diritto alla propria immagine, illecitamente diffusa senza consenso riguardo a momenti destinati a restare del tutto privati e riservati (al punto che lo stesso Sindaco del comune competente avrebbe, con ordinanza, limitato l’accesso agli operatori nel luogo di soggiorno dell’ospite famoso): tali fatti, accertati, facevano presumere - secondo la Corte - l’esistenza di una sofferenza, un disagio e l’imbarazzo, oltre che il danno morale conseguente al commesso reato (di cui all’art. 615 bis c.p.).
2.5. - Tuttavia, in considerazione della lesione dei menzionati diritti, durata solo alcuni giorni, e del grado di intrusività non particolarmente elevato (perché relativo alle riprese fotografiche dell’attore mentre si aggirava nel parco della villa, ossia in un luogo privato, ma non intimo), della loro attinenza non alla sfera sessuale o religiosa, sebbene gli episodi illeciti non fossero stati modesti (per il numero delle foto carpite e dell’elevato grado di diffusione della rivista, avente una tiratura nazionale, di circa 200.000 copie), oltre che della lesione di plurimi beni, dei quali alcuni protetti dal presidio penale, la Corte ha ridotto il quantum liquidato a Euro 30.000,00, maggiorato di ulteriori 5.000,00 Euro, per la lesione del diritto all’immagine, e di altrettanti Euro per la violazione dell’art. 615 bis c.p., per la complessiva somma di Euro 40.000,00.
3. - Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C. , con due mezzi di impugnazione.
4. - M.C. e la società RCS Periodici SpA hanno resistito con controricorso e memoria illustrativa.
5.- Il PG, dr. Federico Sorrentino, ha depositato requisitoria scritta ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.
Ragioni della decisione
1. - Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione della L. n. 633 del 1941, art. 158, art. 2056 c.c., comma 2) il ricorrente si duole della esclusione del danno patrimoniale conseguenza degli illeciti accertati.
1.1. - Infatti, l’attore avrebbe - in momenti successivi a quello oggetto di esame in questa causa - consentito alla pubblicazione di proprie immagini dietro corrispettivi milionari. Pertanto, essendo il danno arrecatogli incommensurabile, esso andrebbe parametrato - se non al prezzo del consenso - quantomeno al numero delle copie vendute, all’incasso realizzato o al prezzo richiesto in più recenti occasioni.
2. - Con il secondo (violazione e falsa applicazione della L. n. 633 del 1941, art. 158, art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, artt. 95 e 97) egli lamenta il fatto che, rispetto alla gravità degli illeciti accertati dal giudice, non sia conseguita un’altrettale quantificazione dei danni morali cagionati al ricorrente.
3. - La sentenza in esame ha fatto solo astratta applicazione dei principi di diritto già affermati da questa Corte, secondo cui Chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di persona notoria (...) è tenuto al risarcimento del danno, la cui quantificazione deve essere operata tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, in sé considerato, delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività (nella specie, nel campo dello spettacolo) cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi (Sez. 1, Sentenza n. 4031 del 1991).
3.1. - Essa, infatti, come si è detto, ha escluso la concreta esistenza di un nocumento patrimoniale in quanto era ben noto che l’attore aveva - per il tramite del suo portavoce - espressamente escluso il consenso alla pubblicazione di immagini della propria vita privata, cosicché si sarebbe negata la stessa possibilità dello sfruttamento economico dei ritratti.
3.2. - Ma la medesima sentenza non ha considerato l’ulteriore precedente di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 22513 del 2004: il caso Sandrelli, dal nome della nota attrice italiana) nel quale, richiamati i principi della decisione del 1991, la Corte ha poi affermato che "l’abusiva pubblicazione, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della facoltà di offrire al mercato l’uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio. Tale pregiudizio non è, poi, escluso dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione degli specifici ritratti abusivamente utilizzati (nella fattispecie si trattava di foto di scena di un’opera cinematografica), atteso che, per un verso, detto rifiuto non può essere equiparato ad una sorta di abbandono del diritto, con conseguente caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, protratta per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinati ritratti, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo, e, per altro verso, la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare un determinato ritratto, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto; con la conseguenza che lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio - ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, ove questa sia stata allegata in giudizio, da valutarsi caso per caso dal giudice di merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all’art. 1226 c.c.".
3.3. - Successivamente, ponendosi il problema della tecnica liquidatoria del danno patrimoniale, in un altro caso di pubblicazione abusiva di fotografie (non autorizzate), è stato affermato (Sez. 3, Sentenza n. 12433 del 2008) il principio secondo cui "L’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione".
3.4. - Dunque, la Corte - attraverso i menzionati principi, dai quali non vi sono ragioni per distanziarsi, ma solo per metterli a punto, considerando il novum contenuto nel caso sottoposto - ha nella sostanza già esaminato la complessiva fattispecie come quella di cui si discorre, atteso che l’odierno ricorrente ha allegato (ma il dato non è neppure decisivo) di aver, successivamente, disposto la pubblicazione di proprie foto dietro corrispettivo monetario ma, soprattutto, facendo valere il principio, sopra richiamato, secondo cui dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione degli specifici ritratti abusivamente utilizzati, non discende affatto l’abbandono del diritto, con la conseguente sua caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, che si può protrarre per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinati ritratti, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo, e, per altro verso, la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare un determinato ritratto, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto.
3.5. - Né si dica che in casi come questi, in cui il titolare del bene non intenda concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri, non sia possibile enucleare un danno patrimoniale liquidabile, atteso che anche qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di esso, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e a ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.
3.6. - La mancata considerazione dei richiamati principi di diritto, rende fondato il ricorso che deve essere accolto, in parte qua, e la sentenza cassata con rinvio della causa per il riesame delle questioni ivi poste, in ossequio alle seguenti regulae iuris:
a) in tema di danno patrimoniale, conseguente a plurime violazioni di legge relative alla pubblicazione di foto della propria vita privata, quand’anche relative ad un soggetto molto conosciuto (nella specie: un notissimo attore), dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione delle immagini abusivamente utilizzate, non discende affatto l’abbandono del diritto, con la conseguente sua caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, che si può protrarre per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo e, per altro verso, la stessa gestione del diritto assoluto può comportare la scelta di non sfruttare economicamente i propri dati personali, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto;
b) nei casi in cui il titolare del bene protetto non intenda concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri, non può essere escluso un danno patrimoniale, atteso che anche qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimonialmente valutabile, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente domandato per concedere il suo consenso alla pubblicazione (che non cade in pubblico dominio), può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo alla consistenza del vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.
3.7. - Il primo motivo di ricorso è dunque fondato e deve essere accolto.
4. - Non altrettanto, invece, il secondo con il quale si è lamentato il fatto che, rispetto alla gravità degli illeciti accertati dal giudice, non sia conseguita un’altrettale quantificazione dei danni morali cagionati al ricorrente.
4.1. - Nella censura si cela un’evidente richiesta di riesame delle liquidazioni, che - com’è noto - attengono all’esercizio della discrezionalità giudiziale, per quanto soggetta all’osservanza di criteri e parametri che, tuttavia, nella specie non risultano oggetto di una specifica e conducente censura.
4.2. - Il secondo mezzo è dunque inammissibile.
5. - In conclusione va accolto il primo motivo, dichiarato inammissibile il secondo e, cassata in parte qua la sentenza impugnata, la causa rinviata alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, oltre che per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al mezzo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase del giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. n.198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.