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Rischio di trattamento inumano impone rinvio della consegna MAE anche post novella (14220/21)

15 aprile 2021, Cassazione penale

La possibilità di disporre  gli accertamenti integrativi sul rischio individualizzato di trattamenti inumani e degradanti  deve ritenersi ammessa anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, che, pur avendo previsto una rigida scansione temporale per la decisione sulla richiesta di consegna, assegnando termini ristretti, sia per la decisione della corte di appello che della cassazione, non li configura come perentori, nè ricollega effetti decadenziali nel caso del loro superamento - se non a determinati fini cautelari bensì meri obblighi informativi in ordine alle ragioni del ritardo.
Ciò comporta che, pur a seguito delle predette modifiche, deve ritenersi consentito il differimento della decisione e l’invio di richieste integrative volte ad accertare le specifiche condizioni di detenzione cui il consegnando verrebbe sottoposto.

Una volta accertata l’esistenza di un generale rischio di trattamenti inumani e degradanti da parte dello Stato membro, attraverso documenti affidabili, va verificato se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria. A tal fine, l’autorità giudiziaria deve rinviare la propria decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie che le consentano di escludere la sussistenza del rischio e in caso negativo emettere una decisione allo stato degli atti.

Corte di Cassazione

sez. VI Penale

sentenza 14 – 15 aprile 2021, n. 14220
Presidente Fidelbo – Relatore Di Geronimo

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna disponeva la consegna, richiesta dall’autorità giudiziaria rumena, di Z.M. , al fine dell’esecuzione della condanna alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, inflitta con sentenza della Corte di appello di Bucarest, immediatamente esecutiva, emessa il 13 gennaio 2021, avente ad oggetto i reati di corruzione e associazione per delinquere. Il ricorrente veniva tratto in arresto in data 23 febbraio 2021 e, all’esito dell’udienza di convalida, sottoposto alla misura coercitiva dell’obbligo di dimora nel Comune di Bologna.
2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito indicati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p.:
- illegittimità costituzionale del D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, art. 28, per contrarietà agli artt. 3, 25 e 24 Cost., 7 e 6 CEDU, nella parte in cui non consente la prosecuzione del procedimento con l’applicazione della normativa anteriormente vigente, quando alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 10 del 2021, era stato già emesso il MAE;
- violazione di legge, con riferimento alla L. 22 aprile 2006, n. 69, art. 2, per essere stata accolta la richiesta di consegna fondata sulla base del mero dispositivo della sentenza di condanna, prima ancora del deposito della motivazione;
- violazione del novellato L. 22 aprile 2006, n. 69, art. 2, nella parte in cui la consegna del ricorrente lo esporrebbe al rischio di trattamenti disumani e degradanti, in considerazioni delle condizioni detentive esistenti in Romania.
2.1. Con memoria dell’8 aprile 2021, il difensore dello Z. rappresentava che la Corte Costituzionale rumena, in data 7 aprile 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che consente l’esecuzione delle condanne sulla base del mero dispositivo della sentenza, allegando un comunicato stampa relativo alla decisione.
3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, senza la comparizione delle parti.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. In primo luogo deve essere esaminata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, disattesa nel giudizio dinanzi alla Corte di appello, relativa alla presunta contrarietà della disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, rispetto ai parametri costituzionali e convenzionali di riferimento.
La norma in esame ha dettato una specifica disciplina transitoria, al fine di individuare i procedimenti che proseguono secondo la normativa ante novella e quelli soggetti alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, che ha introdotto una sostanziale riduzione dei casi di rifiuto della consegna, sia obbligatori che facoltativi, nonché una rimodulazione del contenuto del MAE e dei tempi per la definizione. Si è previsto, infatti, che i procedimenti relativi alle richieste di esecuzione di mandati di arresto Europeo in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 10 del 2021 (20 febbraio 2021) proseguono con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti, quando a tale data la corte d’appello abbia già ricevuto il mandato d’arresto Europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata.
Ciò comporta che la nuova disciplina si applica alle richieste di mandato di arresto ricevute dalle corti di appello a partire dal 21 febbraio 2021, tra i quali rientra quello oggetto del presente giudizio, atteso che lo Z. è stato tratto in arresto il (OMISSIS) .
Secondo la prospettazione del ricorrente, violerebbe il principio di legalità stabilito dall’art. 25 Cost., e dall’art. 7 CEDU la norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, che, invece di individuare il momento applicativo della novella con riferimento alla data di "emissione" del m.a.e., ha preso a riferimento la data dell’arresto, ovvero quella in cui la richiesta di consegna è ricevuta dalla Corte di appello. Tale criterio fa discendere l’applicazione di una disciplina di minor favore per il consegnando da fattori occasionali ed imprevedibili.
Si assume, inoltre, che la sostanziale imprevedibilità delle circostanze di fatto che determinano il momento in cui il m.a.e. viene eseguito o ricevuto dalla corte di appello, determinerebbe l’irragionevolezza della norma transitoria, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost..
2.1. Il ricorrente, oltre a sollevare la questione di legittimità costituzionale, ha anche prospettato la possibilità di un’interpretazione adeguatrice del D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, evidenziando come la norma andrebbe letta in correlazione con la previsione generale contenuta dal L. n. 69 del 2006, art. 40, comma 1, che disciplinando gli effetti dell’entrata in vigore delle norme sul mandato di arresto Europeo - ne aveva previsto l’applicazione alle richieste "emesse" dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2006.
Partendo dal presupposto secondo cui L. n. 69 del 2006, art. 40, espressamente dava rilievo alla data di emissione del m.a.e. per regolamentare la fase transitoria e ritenendo tale norma come di portata generale, si potrebbe sostenere che D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, andrebbe interpretato ritenendo che la novella si applicherebbe ai soli mandati emessi dopo l’entrata in vigore della riforma.
2.2. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente è manifestamente infondata.
A fronte dell’introduzione di una modifica normativa, infatti, rientra nella discrezionalità del Legislatore stabilire se introdurre una disciplina transitoria e come modularla, ne consegue che - esclusa la ricorrenza di una palese irragionevolezza della norma transitoria - l’opzione normativa non è sindacabile.
Nè per ritenersi violati i parametri della ragionevolezza e della parità di trattamento è sufficiente la circostanza che, per effetto della novella, si determini una diversità di trattamento tra fatti coevi, atteso che tale aspetto rappresenta la fisiologica conseguenza del susseguirsi di normative diverse che, necessariamente, vengono a trovare applicazione rispetto a situazioni processuali ravvicinate tra di loro, diversamente disciplinate a seconda del criterio intertemporale adottato.
Neppure è corretto ritenere che la disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, determini una violazione del principio di legalità, posto che la modifica del regime applicabile incide essenzialmente su aspetti processuali relativi alle modalità ed ai presupposti per la consegna, in applicazione al principio generale del tempus regit actum.
In definitiva, la scelta del Legislatore di applicare la nuova disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 10 del 2021, ai mandati di arresto Europeo "ricevuti" dopo la data del 21 febbraio 2021, ovvero a quelli per i quali l’arresto è avvenuto dopo tale data, è frutto di un’insindacabile scelta legislativa, che non determina nè irragionevoli disparità di trattamento, nè lesione del principio di legalità stabilità dall’art. 25 Cost. e 7 CEDU.
2.3. Parimenti infondata è la prospettata possibilità di fornire un’interpretazione adeguatrice del D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, valorizzando la previsione contenuta alla L. n. 69 del 2006, ’art. 40, secondo cui " Le disposizioni della presente legge si applicano alle richieste di esecuzione di mandati d’arresto Europei emessi e ricevuti dopo la data della sua entrata in vigore". Invero, il dato letterale non consente di interpretare l’art. 28, cit., superando il riferimento alla sola data di "ricezione" del mandato di arresto, per valorizzare il momento dell’emissione. Nè, peraltro, una simile operazione ermeneutica appare giustificata dalla ratio della disciplina in esame, posto che la norma contenuta alla L. n. 69 del 2006, art. 40, non ha affatto una valenza generale, bensì si tratta di una previsione che ha regolamentato esclusivamente la specifica fase intertemporale conseguente al momento dell’introduzione nell’ordinamento interno della normativa in tema di mandato di arresto Europeo.
3. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, si rileva come la doglianza riguardi essenzialmente la possibilità che il mandato di arresto sia emesso sulla base del dispositivo di una sentenza di condanna, evidenziandosi come la mancanza della motivazione e la non definitività della pronuncia ostacolerebbero il controllo del giudice nazionale in ordine ai presupposti della consegna.
3.1. Con riferimento alla mera esecutività della sentenza il motivo è infondato alla luce delle previsioni introdotte dal D.Lgs. n. 10 del 2021, anche se, per completezza, deve rilevarsi come ad analoga conclusione si sarebbe giunti anche nel vigore della previgente disciplina.
Il novellato L. n. 69 del 2006, art. 1, comma 3 (come modificato dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 1, lett. b) non richiede più che la sentenza, rispetto alla quale è stato formulato il mandato esecutivo, debba essere "irrevocabile", richiedendosi solo che la sentenza sia "esecutiva".
Si tratta di un approdo cui la giurisprudenza di legittimità era già giunta nel vigore della previgente normativa, essendosi affermato il principio secondo cui quando l’autorità estera ha richiesto la consegna ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, occorre che la relativa richiesta sia basata su una sentenza di condanna dotata di forza esecutiva, dovendosi ritenere che l’art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro n. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 ha inteso dare rilevanza alla sola "esecutività", e non certo alla "irrevocabilità" della sentenza, quale condizione essenziale del nuovo sistema di cooperazione finalizzato alla consegna delle persone ricercate tra gli Stati membri dell’U.E. (Sez. 6, n. 42159 del 16/11/2010, Cinque, Rv. 248689; Sez.6, n. 2745 del 19/01/2012, Pistoia, Rv. 251787).
Peraltro, una volta che l’autorità di emissione ha affermato che, secondo le norme interne, la sentenza di condanna a carico del soggetto di cui si chiede la consegna è divenuta esecutiva, non spetta all’autorità giudiziaria italiana sindacare, sulla base di quali presupposti normativi dell’ordinamento dello Stato di emissione sia stata affermata la esecutività della sentenza di condanna (Sez. 6, n. 20254 del 04/05/2018, Markuns, Rv. 273276).
3.2. Il ricorrente ha ulteriormente dedotto che, nel caso di specie, la motivazione della sentenza non era stata depositata al momento dell’emissione del m.a.e., richiesto sulla base del solo dispositivo; si sostiene che, ove si ritenesse che il m.a.e. può essere validamente emesso prima del deposito della motivazione, risulterebbe impossibile un effettivo controllo giurisdizionale sui presupposti di legittimità dello stesso, risultando violato anche il principio di cui all’art. 13 Cost..
Infine, con memoria dell’8 aprile 2021, il ricorrente ha dedotto che la Corte Costituzionale rumena, con sentenza del 7 aprile 2021, avrebbe dichiarato l’illegittimità delle norme interne che consentono di dare esecuzione ad una sentenza prima del deposito della motivazione, allegando il comunicato stampa con il quale la notizia è stata diffusa. Si deduce che, a fronte di tale fatto sopravvenuto, verrebbe meno la sussistenza del presupposto sulla base del quale il m.a.e. è stato emesso.
3.3. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, si rileva che la mera informazione circa la presunta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma rumena che legittimava l’esecuzione delle sentenze sulla base del dispositivo, non può essere esaminata in questa sede, pur potendo giustificare le opportune iniziative giudiziarie dinanzi all’autorità rumena, al fine di ottenere la revoca dell’efficacia esecutiva della condanna e conseguentemente del m.a.e..
In applicazione del principio sopra richiamato, secondo cui è solo l’autorità giudiziaria dello Stato richiedente che deve valutare l’esecutività del titolo sul quale si fonda il m.a.e., ne consegue che anche gli effetti della dedotta sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità rientrano nell’esclusiva cognizione dell’autorità giudiziaria rumena.
3.4. Maggior attenzione merita, invece, la questione in ordine alla possibilità che il mandato di arresto sia emesso senza l’allegazione della motivazionei della sentenza di condanna.
In linea generale, si rileva che il mandato di arresto Europeo è, per sua natura, tendenzialmente autosufficiente.
In base al L. n. 69 del 2006, art. 6, lett. c), il mandato di arresto deve contenere esclusivamente la "indicazione dell’esistenza di una sentenza esecutiva", inoltre, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 3, lett. c), sono stati abrogati della L. n. 69 del 2006, art. 6, commi 3, 4, 5 e 6, sicché attualmente non è più necessaria l’allegazione della sentenza di condanna (precedentemente richiesta dall’art. 6, comma 3), sicché ben può verificarsi che la consegna sia richiesta a seguito della mera pronuncia della sentenza - ove il dispositivo sia nell’ordinamento estero di per sé titolo esecutivo - e prima ancora del deposito della motivazione.
Per completezza, deve rilevarsi come - anche prima delle modifiche in senso restrittivo apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, - si riteneva che l’omessa allegazione o acquisizione in via integrativa della copia della sentenza di condanna a pena detentiva non legittima il rigetto della richiesta qualora la documentazione in atti contenga tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione (Sez.6, n. 6758 del 06/02/2018, Kus, Rv. 272162).
3.5. Sostiene il ricorrente che l’emissione del mandato sulla base del solo dispositivo della sentenza determinerebbe una violazione del L. n. 69 del 2006, art. 2, in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 13 Cost. secondo cui la privazione della libertà personale presuppone l’adozione di un provvedimento motivato.
La doglianza è infondata, atteso che la violazione dei parametri costituzionali indicati dal ricorrente risulterebbe integrata solo nel caso in cui il titolo esecutivo fosse intrinsecamente privo di motivazione, mentre, nel caso di specie, si è in presenza di un dispositivo di sentenza cui necessariamente seguirà il deposito delle motivazioni. La privazione della libertà personale, pertanto, non è conseguente ad un atto "immotivato", bensì è la sola esecuzione che viene anticipata rispetto al deposito delle motivazioni della sentenza, secondo uno schema che - pur se non ai fini esecutivi - è noto anche nell’ordinamento interno.
Ne consegue che l’interessato ben potrà far valere i propri diritti di difesa secondo le regole dell’ordinamento estero, come peraltro riconosciuto nel ricorso, lì dove si è dato atto che la sentenza di condanna è stata già impugnata "in attesa del deposito della motivazione", cui seguirà l’integrazione dei motivi.
4. Con l’ultimo motivo di ricorso, si deduce la violazione della L. n. 69 del 2006, art. 2, essendosi ipotizzato il rischio della sottoposizione dello Z. a trattamenti degradanti e lesivi della dignità umana, stante le condizioni degli istituti di pena in Romania, ritenuti tuttora gravemente deficitari.
Occorre premettere che il pericolo di trattamenti degradanti era originariamente contemplato al L. n. 69 del 2006, art. 18, lett. h), quale motivo di rifiuto obbligatorio della consegna.
Tale previsione è stata abrogata dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 12, che ha riformulato L. n. 69 del 2006, art. 18, prevedendo che, fermo quanto previsto dall’art. 1, commi 3 e 3-ter, 2 e 7, la corte di appello rifiuta la consegna nei casi di reato estinto per amnistia ai sensi della legge italiana; nel caso di violazione del principio del ne bis in idem; se la persona di cui si chiede la consegna era minore di anni quattordici al momento della commissione del reato.
Pur a fronte della formale abrogazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h, deve ritenersi che il motivo di rifiuto obbligatorio della consegna continui ad essere operante, in virtù della clausola generale contenuta nel novellato L. n. 69 del 2006, art. 2, in base al quale "L’esecuzione del mandato di arresto Europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 del trattato sull’Unione Europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa".
Deve pertanto riconoscersi che tra l’abrogato L. n. 69 del 2006, art. 18, lett. h), ed il novellato art. 2 della medesima legge, sussiste piena continuità normativa.
Nel merito, una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella oggetto del presente ricorso è stato recentemente affrontata da questa Sezione, essendosi ritenuto che "In tema di mandato di arresto Europeo emesso dalla Romania, la Corte di appello, a seguito della sentenza della Corte EDU del 25 aprile 2017, ric. Rezmives e dell’adozione, da parte dello Stato emittente, di un piano di azione per la rimozione delle rilevate criticità, è tenuta a verificare il concreto mutamento delle condizioni di detenzione, ove sia stata dedotta dalla parte la sussistenza di un "serio pericolo" di trattamenti inumani o degradanti in relazione allo spazio minimo a disposizione all’interno della cella" (Sez. 6, n. 10822 del 16/03/2021, Istrate).
Nel caso di specie, il ricorrente ha espressamente dedotto il rischio di sottoposizione a modalità detentive incompatibili con il rispetto dei parametri di cui al L. n. 69 del 2006, art. 2, evidenziando come la stessa Corte EDU, anche in epoca recente, pur dando atto del miglioramento delle condizioni carcerarie in Romania, ha ritenuto perdurante il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti.
Una volta accertata l’esistenza di un generale rischio di trattamenti inumani e degradanti da parte dello Stato membro, attraverso documenti affidabili, va verificato se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria. A tal fine, l’autorità giudiziaria deve rinviare la propria decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie che le consentano di escludere la sussistenza del rischio e in caso negativo emettere una decisione allo stato degli atti (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296, in relazione a m.a.e. rumeno; Sez. 6, n. 17592 del 05/04/2017, Bulai, Rv. 269879., in relazione ad un m.a.e. rumeno).
4.1, La possibilità di disporre i suddetti accertamenti integrativi deve ritenersi ammessa anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, che, pur avendo previsto una rigida scansione temporale per la decisione sulla richiesta di consegna, assegnando termini ristretti, sia per la decisione della corte di appello che della cassazione, non li configura come perentori, nè ricollega effetti decadenziali nel caso del loro superamento - se non a determinati fini cautelari bensì meri obblighi informativi in ordine alle ragioni del ritardo.
Ciò comporta che, pur a seguito delle predette modifiche, deve ritenersi consentito il differimento della decisione e l’invio di richieste integrative volte ad accertare le specifiche condizioni di detenzione cui il consegnando verrebbe sottoposto.
5. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, vanno rigettati i primi due motivi di ricorsi, mentre l’ultimo motivo è meritevole di accoglimento e comporta l’annullamento con rinvio alla corte di appello competente, al fine di consentire, in conformità ai principi di diritto enunciati, l’acquisizione delle informazioni relative al trattamento carcerario e la valutazione della sussistenza della dedotta causa ostativa alla consegna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bologna. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.