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Relazione extraconiugale svelata via mail dall'investigatore: è diffamazione? (Cass. 33106/20)

25 novembre 2020, Cassazione penale

Integra lesione della reputazione altrui non solo l'attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione o da patti riconosciuti vincolanti dal diritto civile, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della "communis opinio"

Lede la reputazione ed è obiettivamente pregiudizievole della reputazione della persona offesa, l'attribuzione non veritiera di una relazione clandestina, in costanza di matrimonio, ad uno dei coniugi.

L'elemento psicologico della diffamazione consiste, non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase o notizia denigratoria venga a conoscenza di più persone, sicché ai fini della configurabilità del reato, è necessario che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone, ovvero con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri ed agisca rappresentandosi e volendo tale evento

Quando il mezzo utilizzato per la comunicazione con più persone dia già in sé conto della destinazione a più persone (come, ad esempio, nel caso di una e-mail trasmessa contemporaneamente a più soggetti), è agevole ricavare dalla materialità della condotta la volontà del denigrante.

Analoga conclusione deve effettuarsi quando l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia verrà sicuramente a conoscenza di altri, o comunque con modalità che lascino ragionevolmente ipotizzare che ciò avvenga. In tal caso, ad esempio, il requisito soggettivo è stato ricavato quando l'espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone, come nel caso di un vaglia postale, o di un telefax indirizzato ad un soggetto, ma trasmesso ad un numero di fax di un ufficio al quale hanno accesso plurime persone, poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o la conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di soggetti.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 28 settembre – 25 novembre 2020, n. 33106
Presidente Sabeone – Relatore Pezzullo

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 31 ottobre 2018, in parziale riforma della sentenza del Giudice di Pace di Roma del 12 ottobre 2016 di assoluzione di Ma. Gi. perché il fatto non sussiste- lo ha condannato, su appello della parte civile, La Ro. Ma., al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, in relazione al delitto di diffamazione ex art. 595 comma 2 c.p.. La condotta diffamatoria è stata ravvisata nell'avere il Ma., legale rappresentante dell'agenzia investigativa AN 2001 s.r.l., in una nota investigativa datata 9 maggio 2011, redatta su carta intestata dell'agenzia e avente quale destinataria Ca. Sa. Ma. Do. (all'epoca moglie del La Ro. e committente dell'attività investigativa le cui risultanze erano destinate ad essere prodotte nel procedimento di separazione personale fra quest'ultima e il La Ro.), attribuito al La Ro. una relazione sentimentale con una sua collega, risalente a due anni e mezzo prima dell'11.4.2011.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l'imputato Ma. Gi., con atto a firma del proprio difensore di fiducia, Avv. Ma. Sa., affidato a tre motivi, con i quali lamenta:
2,1 con il primo motivo, la violazione di legge in relazione agli elementi costitutivi del reato ed il vizio di motivazione sul punto. Invero,
a) in merito al requisito della comunicazione con più persone, esso deve ritenersi nella fattispecie carente, avendo la A svolto un incarico per conto della Ca. che riservatamente aveva espresso la volontà di venire a conoscenza di eventuali relazioni sentimentali del marito ed avendo in maniera riservata trasmesso solo alla Ca. la relazione sugli esiti dell'attività svolta; in ogni pagina della relazione compare la dicitura "servizio riservato" e la relazione è priva, sia di timbro che di firma del Ma., a riprova (non solo della non riconducibilità all'imputato, ma anche) della sua finalità meramente interna ai rapporti agenzia-cliente; la Ca. ha utilizzato, poi, la nota investigativa esclusivamente per tutelare un suo diritto in giudizio e/o per esercitare il diritto di difesa, sicché la condotta in questione risulterebbe commessa quantomeno in presenza di una causa di giustificazione (art. 51 c.p.); in ogni caso difetta l'elemento soggettivo della volontà da parte dell'imputato di comunicare con più persone, alla luce degli insegnamenti della S.C. e, comunque, non vi è prova della divulgazione della notizia "riservata", sulla base di quanto dichiarato dai testi; il giudice di appello, all'opposto di quanto sostenuto dal giudice di primo grado, ha ritenuto che il Ma. non potesse ignorare che la Ca. avrebbe fatto di quella notizia uso a proprio vantaggio, mettendone a parte terze persone, senza tuttavia fornire, sul punto, alcuna adeguata motivazione, dando altresì per scontato, che il Ma. fosse consapevole dello stato di coniuge separando della Ca., fornendole la notizia della relazione, con l'intento di farle conseguire un vantaggio nel giudizio di separazione;
b) in merito all'offesa alla reputazione, anch'essa deve ritenersi carente, atteso che l'attribuzione di una relazione clandestina e, quindi, di un comportamento riprovevole, idoneo a determinare la pronuncia di addebito della separazione a carico del coniuge inadempiente non trova conferma nell'esatto contenuto della nota investigativa che indica un semplice "rapporto sentimentale" - peraltro senza alcuna connotazione negativa -che è del tutto inconferente rispetto al riferimento all'addebito della separazione, il quale potrebbe al più scaturire da una testimonianza o produzione fotografica e non certo da una semplice frase; l'addebito peraltro, anche ove sussistente, non avrebbe nulla a che vedere con la valenza diffamatoria o meno dell'informazione contenuta nella nota investigativa;
2,2 con il secondo motivo, i vizi di cui all'art. 606, primo comma, lett. e) e c) c.p.p., relativamente alla attribuibilità al Ma. della condotta contestata, il quale dovrebbe rispondere del reato di diffamazione solo in virtù del ruolo ricoperto (quasi sulla base di una responsabilità oggettiva), non contenendo la relazione investigativa -redatta su carta della Argo- né la firma dell'imputato, né un timbro; la corrispondenza via e-mail è intervenuta tra la Ca. e la società AN 2001 s.r.l. in persona della sig.ra Ri., senza nessun intervento del Ma.;
2.3. con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma, lett. d) c.p.p., stante la mancata assunzione di prove decisive, richieste a discarico dell'imputato, che seppur tempestivamente formulate, sono state disattese; l'imputato invero, al fine di dimostrare la sua estraneità ai fatti, aveva richiesto dinanzi al G.d.P. sia perizia tecnico-informatica volta a dimostrare che la relazione inoltrata dalla A alla Ca. non recava alcuna firma ed alcun timbro, e aveva in ogni caso, natura meramente interna alla relazione investigativa, priva di qualsivoglia volontà indirizzata alla sua produzione in un giudizio, offrendo all'uopo alcuni documenti, ai fini della comparazione delle firme per dimostrare che la relazione non era mai stata sottoscritta dal Ma..

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui si dirà, mentre va dichiarato inammissibile quanto alle doglianze con le quali vengono addotti vizi diversi dalla violazione di legge. In proposito, deve osservarsi come la sentenza impugnata sia stata emessa il 31 ottobre 2018 e, ai sensi degli artt. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. e 39-bis del D.Lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274 (introdotti dal d. Igs. 6 febbraio 2018, n. 11, entrato in vigore il 6 marzo 2018), avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace non può essere proposto ricorso per cassazione per mero vizio della motivazione, di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 5 n. 22854 del 29/04/2019 Rv. 275557), ovvero per il vizio di cui all'art.606, comma 1, lett. d) c.p.p., essendo consentita la proposizione del ricorso per cassazione esclusivamente per le ipotesi di all'art. 606, comma 1, lett. a), b) e c) c.p.p..
Pertanto, il secondo motivo (che si traduce nell'enunciazione di vizi motivazionali e nella prospettazione di censure di fatto) ed il terzo motivo di ricorso (art. 606 c.p.p. lett. d) sono inammissibili, siccome preclusi dal disposto del comma 2 bis dell'art. 606 c.p.p..
2. Vanno, dunque, analizzate in questa sede esclusivamente le censure di cui al primo motivo di ricorso, con le quali è stato denunciato il vizio di violazione di legge, anche sotto l'aspetto dell' omessa motivazione o della motivazione apparente (cfr. Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Rv. 261590), in merito all'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 595 c.p., ossia l'offensività delle espressioni utilizzate nella nota investigativa dei 9.5.2011 e la comunicazione con più persone.
2.1. Quanto alla prima censura essa è infondata.
Secondo la sentenza impugnata, in data 11 maggio 2011 l'imputato Ma. Gi., amministratore unico della "AN 2001 S.R.L.", inviò all'indirizzo di posta elettronica della committente dell'attività investigativa, Sa. Ca. (coniuge in fase di separazione di La Ro. Ma.), una nota avente ad oggetto "Esito riservati accertamenti", del seguente tenore: "A seguito dell'incarico conferitoci, si trasmette l'unita relazione riguardante l'esito dei riservati accertamenti espletati da personale di questo Istituto"... .In particolare, con riferimento al servizio effettuato il giorno 11 aprile 2011, si evidenziava che "da indagini espletate sul conto del sig. Ma. La Ro. emerge che lo stesso ha una relazione sentimentale da due anni e mezzo circa con una sua collega tale An. Ni.". All'uopo il Tribunale, dopo aver evidenziato l'assenza di elementi di riscontro in merito all'affermazione contenuta nella nota suddetta- circa la relazione sentimentale risalente ad oltre due anni prima dell'aprile/maggio 2011- e, quindi, sulla non verità di tale fatto, ha concluso nel senso che l'attribuzione di una relazione clandestina, iniziata quando era ancora pienamente operante il dovere di fedeltà nascente dal matrimonio, ha un'oggettiva idoneità lesiva della reputazione del querelante La Ro. Ma., trattandosi di un comportamento riprovevole secondo la communis opinio.

2.1.1. Tale valutazione risulta immune da vizi.
Ed invero, il bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art 595 c.p. è l'onore in senso oggettivo o esterno e cioè la reputazione del soggetto passivo del reato, da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, Rv. 269270). L'evento del reato si verifica nel momento in cui viene leso il bene della reputazione ed è dunque costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Sez. 5, n. 5654 del 19/10/2012). All'uopo è necessario che i termini o le espressioni utilizzate siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo e in tal senso la divulgazione di fatti non veritieri concernenti la vita di quest'ultimo può non determinare automaticamente tale lesione, ben potendo risultare indifferenti per l'integrità della sua reputazione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, Rv. 269270).

2.1.2. Alla stregua di tali principi appare, senza dubbio, munita di oggettiva idoneità lesiva della reputazione ed è obiettivamente pregiudizievole della reputazione della persona offesa, l'attribuzione non veritiera di una relazione clandestina, in costanza di matrimonio, ad uno dei coniugi, atteso che integra lesione della reputazione altrui non solo l'attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione o da patti riconosciuti vincolanti dal diritto civile, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della "communis opinio" (Sez, 5, n. 18982 del 31/01/2014, Rv. 263167). Descrivere la persona, oggetto di comunicazione con altri, capace di tradire la fiducia del coniuge, allacciando una relazione sentimentale con un'altra donna, si ritiene costituisca condotta idonea ad esporla al pubblico biasimo e, conseguentemente, a ledere la sua reputazione (arg. ex Sez.5, n. 40359 del 23/09/2008, Rv. 241739).

2.2. Fondata si presenta, invece, la doglianza relativa al requisito della "comunicazione con più persone". La valutazione del Tribunale, secondo cui tale requisito sotto il profilo soggettivo si ricaverebbe dal fatto che "nonostante la diffusione della comunicazione diffamatoria avvenne su iniziativa e ad opera della Ca., la diffusione sarebbe rientrata pienamente nella sfera di rappresentazione del Ma., il quale non avrebbe potuto ignorare che di quella notizia la cliente avrebbe fatto uso a proprio vantaggio, mettendone a conoscenza terze persone" si traduce in una motivazione assertiva, del tutto apparente, che ha omesso effettivamente di indagare sull'elemento psicologico del reato in contestazione.

2.2.1.Giova evidenziare come questa Corte abbia più volte affermato il principio, secondo cui l'elemento psicologico della diffamazione consiste, non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase o notizia denigratoria venga a conoscenza di più persone, sicché ai fini della configurabilità del reato, è necessario che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone, ovvero con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri ed agisca rappresentandosi e volendo tale evento (cfr. Sez. 5, n. 34178 del 10/02/2015,Rv. 264982; Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010,Rv. 248431;Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016,Rv. 269016).

Nel caso di specie, per quanto è dato evincere dalla sentenza impugnata, la notizia del comportamento riprovevole del La Ro. con e-mail del 9.5.2011, avente ad oggetto "esito accertamenti riservati" contenente, tra l'altro, la relazione investigativa dell'11.4.2011, è stata comunicata dall'imputato esclusivamente alla committente dell'attività investigativa, la quale, a sua volta, avrebbe prodotto la relazione in questione nel giudizio di separazione tra i coniugi così determinando la conoscenza da parte di terzi della notizia non veritiera riferita dall'imputato stesso.

2.2.2. Tenuto conto del contesto di sviluppo della vicenda in esame occorre effettuare una premessa relativa alla ricorrenza dell'elemento psicologico nel delitto di diffamazione. Quando il mezzo utilizzato per la comunicazione con più persone dia già in sé conto della destinazione a più persone (come, ad esempio, nel caso di una e-mail trasmessa contemporaneamente a più soggetti), è agevole ricavare dalla materialità della condotta la volontà del denigrante. Analoga conclusione deve effettuarsi quando l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia verrà sicuramente a conoscenza di altri, o comunque con modalità che lascino ragionevolmente ipotizzare che ciò avvenga. In tal caso, ad esempio, il requisito soggettivo è stato ricavato quando l'espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone, come nel caso di un vaglia postale (cfr. Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016, Rv. 269016), o di un telefax indirizzato ad un soggetto, ma trasmesso ad un numero di fax di un ufficio al quale hanno accesso plurime persone, poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o la conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di soggetti.

2.2.3. Senz'altro diverso è il caso, come quello in esame, in cui l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi direttamente con una persona e, in via mediata, attraverso quest'ultima, la notizia diffamatoria venga a conoscenza di altre persone. In tal caso l'indagine sull'elemento psicologico dell'agente diventa essenziale, dovendosi ricondurre appunto alla volontà del denigrante l'evento della conoscenza da parte di più persone della notizia diffamatoria.

2.2.4. Nel caso di specie il Ma., per quanto è dato evincere dalla sentenza impugnata, nella nota indirizzata alla Ca. non avrebbe espressamente manifestato la volontà che il contenuto della lettera venisse divulgato ad altri ( stante le diciture utilizzate "esito dei riservati accertamenti"- "servizio riservato" nella nota), sicché tale nota potrebbe astrattamente essere assimilata ad una comunicazione confidenziale (caratteristica questa che ha già portato questa Corte a ritenere che «il requisito della comunicazione con più persone, atto ad integrare il delitto di diffamazione non sussiste nel caso di comunicazione confidenziale la cui diffusione sia esclusivamente opera del destinatario della confidenza, in quanto difetta l'esplicita volontà del soggetto attivo di destinare alla divulgazione il contenuto della comunicazione» Sez. 5, n. 40137 del 24/04/2015, Rv. 265788).

2.2.5. Nella sentenza impugnata non risultano enunciati elementi dai quali desumere che il Ma. fosse a conoscenza del fatto che la Ca. aveva commissionato l'attività investigativa proprio in funzione del giudizio di separazione, con il fine appunto di produrre gli esiti di essa in giudizio, utilizzandoli a proprio vantaggio e mettendoli a conoscenza di terze persone, sicché l'affermazione, secondo cui "la diffusione sarebbe rientrata pienamente nella sfera di rappresentazione del Ma., il quale non avrebbe potuto ignorare che di quella notizia la cliente avrebbe fatto uso a proprio vantaggio, mettendone a conoscenza terze persone", si traduce in una motivazione, come già accennato, del tutto apparente. Invero, il vizio di violazione di legge ricomprende anche quello di mancanza della motivazione, ossia di quella motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o comunque non idonea -per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso - a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito.

3. Tale vizio determina che, in relazione all'elemento psicologico del reato, la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.