CORTE DI CASSAZIONE,
SEZ. III PENALE - SENTENZA 27 aprile 2015, n.17394
Pres. Squassoni - est. Gazzara
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Genova, con sentenza del 21/3/2013, dichiarava S.A. responsabile di tentativo di induzione alla prostituzione di diverse donne; di induzione e favoreggiamento della prostituzione di C.M.I. , di V.F. , di A.R.G. , di A.S. e di A.S.E. ; del reato di cui all'art. 609 octies cod.pen., commesso in danno della predetta Vizzini; del delitto di cui agli artt. 81 e 609 bis cod.pen. commesso in danno della R. , della C. , di Cr.El. e M.N. ; del delitto di cui agli artt. 56, 629 cod.pen. commesso in danno di C.R.A.S. .
Il Tribunale condannava l'imputato alla pena di anni 13 e mesi 1 di reclusione, con applicazione di pene accessorie, nonché al risarcimento dei danni in favore della R. , della Co. e della V. .
La Corte di Appello di Genova, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse dello S. , con sentenza del 5/6/2014, ha confermato il decisum di prime cure.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, con i seguenti motivi:
- vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato ex art. 609 octies cod.pen., presuntivamente commesso in danno di F. V., rilevato che il giudice di merito è pervenuto al giudizio di colpevolezza dello S. a seguito di una non corretta valutazione delle dichiarazioni rese dalla p. o., intrise da evidenti lacune, non considerando, peraltro, adeguatamente la attendibilità della donna, soggetto sofferente di una patologia psichiatrica, cagionata da anni di dipendenza da sostanze psicotrope; di conseguenza ingiustificato si palesa il diniego di rinnovazione della istruttoria dibattimentale, al fine di procedere a nuovo esame del teste V. e di disporre perizia psichiatrica sulla stessa;
- vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del co. 3 dell'art. 609 bis cod.pen. per tutti i fatti di violenza sessuale rubricati, vista la limitata compressione della libertà sessuale esercitata dal prevenuto sulle vittime;
- insussistenza del reato ex art. 3, co. 4, 5, 8, L. 75/58, in quanto per mancanza di interazione fisica tra le donne assoldate dall'imputato e gli iscritti al sito '(omissis) ', dovendosi ascrivere la suddetta fattispecie al novero della pornografia, fenomeno penalmente irrilevante.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata pronuncia, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in relazione alla ritenuta concretizzazione dei reati in contestazione e alla ascrivibilità di essi in capo al prevenuto.
Il primo motivo di annullamento, con cui si contesta la sussistenza del reato 609 octies cod.pen. è manifestamente infondato.
Osservasi come il giudizio di attendibilità e di credibilità della V. formulato dal giudice di merito sia sorretto da argomentazione pienamente condivisibile: ad avviso della Corte territoriale il narrato offerto dalla donna è stato sempre coerente e la credibilità della stessa si è dimostrata ben salda e per nulla messa in discussione dai rilievi mossi dalla difesa del prevenuto; la donna ha descritto la vicenda in maniera del tutto plausibile, descrivendo la scansione degli eventi che si sono succeduti, allorché in una stanza semibuia dell'appartamento nella disponibilità dello S. era entrato un uomo travisato che la immobilizzava per consentire all'imputato di violentarla.
Peraltro, con la censura sollevata si tende ad una rilettura di elementi costituenti la piattaforma probatoria, sui quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame.
Del pari assolutamente esente da vizi si palesa il discorso argomentativo, sviluppato dal decidente, a giustificare il rigetto della invocata riapertura della istruttoria dibattimentale, al fine di disporre perizia psichiatrica sulla V. , in quanto, ad avviso della Corte territoriale, a giusta ragione, la documentazione certificativo - sanitaria, acquisita in atti, non rappresenta uno stato di deficit mentale del soggetto, tale da farne presumere la inattendibilità: trattasi di donna con stato d'ansia per pregresso uso di oppiacei, con deterioramento psichico; elementi, questi, indicativi di fatica di vivere e non di disturbi, quali stati maniacali o deliri, che avrebbero necessitato di procedere a specifiche indagini peritali per accertarne la incidenza sullo status mentale.
Del pari, compiutamente la Corte territoriale fornisce riscontro negativo alla invocata riaudizione della V., evidenziandone la inutilità e la inconferenza, visto che con lo specifico motivo di appello la difesa ha chiesto di sottoporre la vittima alle medesime domande oggetto del controinterrogatorio, svoltosi davanti al Tribunale, alle quali la persona offesa aveva dato esaustive risposte.
Rilevasi, in ogni caso, che la rinnovazione della istruttoria in appello, posta la presunzione di completezza della già svolta indagine probatoria dibattimentale, svoltasi in primo grado, è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti (Cass. 7/7/2000, n. 8106; Cass. S.U. 15/3/1996, n. 2780); il rigetto della istanza da parte della Corte distrettuale, nella specie, si palesa sorretto da ampia ed esaustiva giustificazione.
Di poi, del tutto destituita di fondamento è la censura sollevata al mancato riconoscimento della attenuante ex art. 609 bis, co. 3, cod.pen., rilevato che la Corte distrettuale, dopo avere assoggettato a compiuta disamina il narrato delle ragazze abusate dallo S. , ha evidenziato come le violenze da queste patite non possano ritenersi fatti delittuosi ascrivibili alla ipotesi attenuata, proprio per la invasività, la non occasionalità, l'efficacia intimidativa, espressione dell'assoluto disprezzo del prevenuto verso il corpo delle vittime, che lo stesso derideva, approfittando, peraltro, dello stato di bisogno in cui versavano alcune di esse, di cui lo S. era ben conscio.
Sul punto va rilevato, inoltre, che la circostanza attenuante ad effetto speciale, di cui al co. 3 dell'art. 609 bis cod.pen., deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie nelle quali, avuto riguardo alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, sicché è necessaria una valutazione globale del fatto; nel caso in questione è evidente, per le ragioni ut supra evidenziate, che la condotta posta in essere dall'imputato non può, di certo, farsi rientrare nella ipotesi lieve, così come richiesto in ricorso.
Manifestamente infondato è, di poi, il terzo motivo di annullamento, con il quale si contesta la sussistenza del reato ex art. 3, co. 1 nn. 4, 5 e 8, L. 75/58.
Osservasi che nella nozione di prostituzione deve farsi rientrare qualsivoglia attività sessuale, posta in essere dietro corrispettivo di denaro, anche se priva di contatto fisico tra prostituta e cliente, i quali possono trovarsi addirittura in luogo diverso. Unica condizione è la possibilità per il secondo di interagire con la prima.
Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza, in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati, assume il valore di atto di prostituzione e configura il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento, creando i necessari collegamenti via internet e ne abbiano tratto guadagno, in quanto il collegamento in videoconferenza consente all'utente di interagire con chi si prostituisce, in modo tale da potere richiedere a questi il compimento di atti sessuali determinati, che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento (Cass. 19/10/2010, n. 37188; Cass. 22/4/2004, n. 25464).
La Corte territoriale sul punto ha svolto un discorso giustificativo assolutamente esente da vizi, evidenziando come gli elementi costituenti il quadro probatorio abbiano consentito di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, l'attività di reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione posta in essere dallo S. : le giovani compivano atti di autoerotismo sul proprio corpo, secondo le richieste del cliente pagante (deposizioni Gr. , A. , R. , Ar. , Co. ).
Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono ragioni per ritenere che lo S. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.