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Processo equo richiede confidenzialità delle comunicazioni con l'avvocato (Corte EDU, S-. vs Svizzera, 1991)

28 novembre 1991, Corte Europea per i diritti dell'Uomo

Il diritto di un imputato di comunicare con il suo avvocato senza l'ascolto da parte di una terza persona fa parte dei requisiti di base di un processo equo in una società democratica: se un avvocato non potesse conferire con il suo cliente e ricevere da lui istruzioni riservate senza tale sorveglianza, la sua assistenza perderebbe gran parte della sua utilità, mentre la Convenzione mira a garantire diritti concreti ed effettivi.

 

Corte Europea per i diritti dell'Uomo

CASO DI S. c. SVIZZERA

(Applicazione n. 12629/87; 13965/88)

SENTENZA


STRASBURGO

28 novembre 1991


Nel caso di S. contro la Svizzera[*],
La Corte europea dei diritti dell'uomo, riunita, conformemente all'articolo 43 (art. 43) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione")[*] e alle disposizioni pertinenti del regolamento della Corte[*], in una sezione composta dai seguenti giudici
J. Cremona, presidente,
Thór Vilhjálmsson,
sig.ra D. Bindschedler-Robert,
sig. F. Gölcüklü,
sig. F. Matscher,
sig. B. Walsh,
sig. R. Bernhardt,
sig. J. De Meyer,
signora E. Palm,
nonché del sig. M.-A. Eissen, cancelliere, e del sig. H. Petzold, cancelliere aggiunto,
avendo deliberato in privato il 27 giugno e il 25 ottobre 1991,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDURA

1. La causa è stata deferita alla Corte dalla Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo ("la Commissione") l'8 ottobre 1990 e dal Governo della Confederazione Svizzera ("il Governo") il 12 dicembre 1990, entro il termine di tre mesi previsto dall'articolo 32 par. 1 e dall'articolo 47 (art. 32-1, art. 47) della Convenzione. Essa ha avuto origine da due domande (nn. 12629/87 e 13965/88) contro la Svizzera presentate alla Commissione ai sensi dell'articolo 25 (art. 25) da S., cittadino svizzero, il 18 novembre 1986 e il 28 maggio 1988. Il ricorrente ha chiesto alla Corte di non rivelare la sua identità.
La richiesta della Commissione faceva riferimento agli articoli 44 e 48 (art. 44, art. 48) e alla dichiarazione con cui la Svizzera riconosceva la competenza obbligatoria della Corte (art. 46) (art. 46); la richiesta del governo faceva riferimento agli articoli 45, 47 e 48 (art. 45, art. 47, art. 48). L'oggetto della richiesta e del ricorso era quello di ottenere una decisione in merito al fatto che i fatti del caso rivelassero una violazione da parte dello Stato convenuto dei requisiti dell'articolo 6 para. 3 (b) e (c) e dell'articolo 5 para. 4 (art. 6-3-b, art. 6-3-c, art. 5-4).
2. In risposta all'inchiesta effettuata ai sensi dell'art. 33 par. 3 (d) del Regolamento del Tribunale, il ricorrente ha dichiarato di voler partecipare al procedimento e ha designato l'avvocato che lo avrebbe rappresentato (art. 30).
3. La Camera da costituire comprendeva ex officio la signora D. Bindschedler-Robert, giudice eletto di nazionalità svizzera (articolo 43 della Convenzione) (art. 43), e il signor R. Ryssdal, presidente della Corte (articolo 21 para. 3 (b)). Il 26 ottobre 1990, alla presenza del cancelliere, il presidente ha estratto a sorte i nomi degli altri sette membri, ossia il signor J. Cremona, il signor Thór Vilhjálmsson, il signor F. Matscher, il signor B. Walsh, Sir Vincent Evans, il signor J. De Meyer e la signora E. Palm (articolo 43 in fine della Convenzione e articolo 21 paragrafo 4) (art. 43).
4. Il sig. Ryssdal ha assunto le funzioni di presidente della Camera (art. 21 par. 5) e, tramite il cancelliere, ha consultato l'agente del governo, il delegato della Commissione e l'avvocato della ricorrente sulla necessità di una procedura scritta (art. 37 par. 1). Conformemente all'ordine emanato di conseguenza, il cancelliere ricevette il memoriale della ricorrente e il memoriale del governo il 30 aprile 1991. Il 10 giugno il segretario della Commissione lo informò che il delegato avrebbe presentato le sue osservazioni all'udienza.
5. Dopo aver consultato, tramite il cancelliere, coloro che sarebbero comparsi davanti alla Corte, l'11 febbraio 1991 il presidente aveva disposto l'apertura della procedura orale il 24 giugno 1991 (articolo 38 del regolamento).
6. Il sig. Ryssdal e Sir Vincent Evans non poterono in seguito partecipare al proseguimento dell'esame della causa; il primo fu quindi sostituito come presidente di sezione dal sig. Cremona, vicepresidente della Corte, il secondo dal sig. F. Gölcüklü, giudice supplente. Il sig. Cremona è stato a sua volta sostituito come membro di sezione dal sig. R. Bernhardt, anch'egli giudice supplente (art. 21 par. 3 (b) e par. 5 e articoli 22 para. 1 e 24 par. 1).
7. L'udienza si è svolta in pubblico nell'edificio dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, il giorno stabilito. La Corte aveva tenuto in precedenza una riunione preparatoria.
Sono comparsi davanti alla Corte
- per il Governo
O. Jacot-Guillarmod, direttore aggiunto
dell'Ufficio federale di giustizia, capo della divisione degli
Affari Internazionali, agente,
il sig. R. Hauser, professore emerito di diritto penale all'Università di Zurigo,
il sig. F. Schürmann, assistente tecnico dell'Ufficio federale di giustizia, avvocato;
- per la Commissione
S. Trechsel, delegato;
- per il ricorrente
J.-P. Garbade, avvocato, consigliere,
M.-P. Honegger, avvocato, consigliere.

La Corte ha ascoltato gli interventi del sig. Jacot-Guillarmod per il governo, del sig. Trechsel per la Commissione e del sig. Garbade per il ricorrente, nonché le loro risposte alle sue domande.

PER QUANTO RIGUARDA I FATTI

8. S. è un muratore e vive a Zurigo.
9. Nell'autunno del 1980, nella città di Winterthur (cantone di Zurigo) è scoppiato un movimento di protesta contro la vendita di centrali nucleari a un paese dell'America Latina, allora sotto un regime militare. Continuò nel 1981 sotto forma di manifestazioni contro lo svolgimento di una fiera internazionale di armi, e scrivendo graffiti e occupando edifici per protestare contro la carenza di alloggi. Nel 1983 e 1984 ci fu una serie di casi di incendi dolosi e attentati con esplosivi, che causarono danni a diversi edifici pubblici e privati, tra cui la casa del signor Friedrich, che allora era ministro del governo (Bundesrat) e capo del dipartimento di giustizia e polizia.
Il 20 luglio 1984 la polizia di Winterthur creò un'unità speciale con il compito di coordinare la caccia ai responsabili di questi crimini. Essa pedinava i membri, intercettava i telefoni e svuotava regolarmente le pattumiere di un comune che si pensava ospitasse i criminali.
Il 20 novembre, la polizia ha arrestato ventisette persone e sequestrato numerosi documenti allo stesso tempo. Dieci di queste persone sono state rilasciate lo stesso giorno. Le altre sono state detenute in isolamento, senza poter corrispondere liberamente con i loro avvocati, e ognuna è stata oggetto di una procedura separata.
10. S. era sospettato di essere coinvolto nei crimini summenzionati. Fu arrestato nella sua casa di Ginevra il 21 novembre 1984, ma riuscì a fuggire. Fu nuovamente arrestato il 30 marzo 1985 e accusato dell'uso di esplosivi in relazione all'attentato alla casa del signor Friedrich.
11. Il 2 e il 4 aprile 1985 il procuratore federale (Bundesanwalt) inviò alle autorità ginevrine diversi documenti che coinvolgevano il ricorrente. Il 10 aprile fu interrogato da membri della Procura federale sulle accuse a suo carico, ma esercitò il suo diritto al silenzio.

A. La fase investigativa

12. L'inchiesta divenne di competenza della Procura distrettuale di Winterthur (Bezirksanwaltschaft) il 22 maggio 1985, e S. fu portato nella prigione di Winterthur.
Dopo averlo interrogato il 28 maggio 1985, il procuratore distrettuale (Bezirksanwalt) lo accusò di aver provocato un'esplosione a casa del signor Friedrich e di aver appiccato un incendio in un centro della protezione civile. Lo mise di nuovo in custodia cautelare a causa del rischio di fuga e di collusione con i suoi coaccusati. Il 7 giugno 1985 lo accusò ulteriormente di incendio doloso presso due poligoni di tiro, di allagamento di locali commerciali e di danneggiamento di beni per mezzo di graffiti. Secondo l'avvocato di S. tutte queste accuse si basavano su relazioni grafologiche che erano state redatte sulla base di documenti sequestrati dalla polizia il 20 novembre 1984 (si veda il precedente paragrafo 9).
13. Il 19 luglio 1985 le autorità ginevrine trasmisero alla procura distrettuale di Winterthur i risultati delle loro indagini.

1. La sorveglianza dei contatti e della corrispondenza del ricorrente con il suo avvocato

14. Nell'aprile 1985 il ricorrente aveva chiesto a sua madre di chiedere al signor Rambert, l'avvocato che rappresentava uno degli altri accusati, W., di assumere anche la sua difesa. Il signor Rambert si rifiutò di farlo e il 1° maggio 1985 S. incaricò l'avvocato Garbade. Il 10 giugno il presidente della divisione d'accusa (Anklagekammer) del tribunale d'appello di Zurigo (Obergericht) lo designò come difensore d'ufficio con effetto retroattivo al 4 maggio.
15. L'8 maggio 1985, mentre si trovava ancora in detenzione a Berna, il ricorrente aveva potuto conferire liberamente con il signor Garbade per circa mezz'ora. Dal 15 maggio, invece, le visite si sono svolte sotto il controllo di un funzionario di polizia. Tre lettere del ricorrente al suo avvocato, datate 4, 6 e 21 maggio, sono state intercettate e sono state in seguito utilizzate per i rapporti grafici.
Dopo essere stato trasferito nella prigione di Winterthur, S. ha continuato ad essere soggetto alla sorveglianza della sua corrispondenza e delle visite del suo avvocato. Tuttavia, il 29 maggio ha potuto avere un incontro senza testimoni con il signor H., un avvocato che era stato contattato da sua madre per intraprendere la sua difesa.
16. Il 31 maggio 1985 il ricorrente parlò con il signor Garbade in presenza di un poliziotto che prese appunti e interruppe il colloquio dopo un'ora, con la motivazione che non stavano più parlando del caso e che lui aveva altri affari da sbrigare.
17. In una lettera del 12 giugno 1985 il procuratore distrettuale di Winterthur informò il procuratore principale di Zurigo (Staatsanwalt) che riteneva queste misure necessarie in considerazione del rischio che l'avvocato del ricorrente potesse colludere con altri avvocati o con altri coaccusati. Egli si basava sul secondo comma dell'articolo 18 del codice di procedura penale di Zurigo (Strafprozessordnung), secondo il quale:
"Un imputato detenuto è autorizzato ad avere contatti scritti e orali con l'avvocato difensore, nella misura in cui lo scopo dell'inchiesta non sia compromesso.Una volta che la sua detenzione ha superato i quattordici giorni, all'imputato non deve essere negato il permesso di consultare liberamente e senza controllo un difensore, a meno che non vi siano ragioni speciali, in particolare un pericolo di collusione. Dopo la chiusura dell'inchiesta, l'imputato ha questo diritto senza restrizioni.(...)."

18. Il 27 giugno 1985 la divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo diede all'avvocato di S. il permesso di esaminare presso la cancelleria della Corte tre rapporti di polizia e diverse trascrizioni di dichiarazioni dei coimputati, ma non di prenderne copia. Da quella data fino al gennaio 1986 (cfr. paragrafo 33 qui di seguito) il signor Garbade non ebbe accesso a nessun altro documento del fascicolo del caso.
19. Vi furono numerose controversie tra l'avvocato e coloro che effettuavano la sorveglianza, in particolare il 23 agosto 1985, quando l'avvocato volle consegnare al suo cliente diverse decisioni e lettere del procuratore distrettuale e una copia del memoriale del ricorso di diritto pubblico del 19 agosto 1985 (vedere il paragrafo 27 qui sotto). Quest'ultimo documento fu sequestrato dall'agente e inviato al procuratore distrettuale.
20. Su richiesta del procuratore distrettuale di Winterthur, il presidente della divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo prorogò la detenzione del ricorrente in custodia cautelare fino al 12 settembre 1986, per evitare che egli colludesse con il suo coimputato, che nel frattempo era stato rilasciato, e manomettesse le prove.
21. Nell'ottobre 1985 il signor Garbade vide alcuni estratti del rapporto finale della polizia dell'8 agosto 1985, ma non ebbe accesso al fascicolo del caso fino al gennaio 1986.

2. La prima serie di ricorsi contro le misure di sorveglianza

22. Il 3 giugno 1985 il ricorrente presentò un ricorso alla divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo, lamentando la sorveglianza dell'intervista del 31 maggio (cfr. paragrafo 16 supra), e completò il ricorso il 14 giugno in seguito ad altre visite del 7 e 14 giugno.
23. La divisione d'accusa ha respinto il ricorso di S. il 27 giugno. Essa ha sottolineato che egli era sospettato di aver commesso i reati in questione e ha affermato che, data la complessità e la portata delle indagini delle autorità, esisteva un serio rischio di collusione; poiché l'imputato si era rifiutato di fare una dichiarazione, sarebbe stato facile per lui manomettere le prove, dato che i suoi coaccusati erano stati rilasciati, a parte W. Egli si era inoltre tenuto in stretto contatto con loro, ed era accusato di gravi reati che avevano costituito attentati all'ordine pubblico e sociale. C'era anche un rischio di collusione involontaria da parte del signor Garbade, visti i suoi contatti con gli avvocati che rappresentavano gli altri imputati, in particolare i legali di W. Per quanto riguarda il comportamento del poliziotto responsabile della sorveglianza dell'interrogatorio del 31 maggio 1985 (si veda il precedente paragrafo 16), esso poteva essere giustificato.
24. Il ricorrente fece ricorso contro questa decisione alla divisione civile della Corte d'appello di Zurigo; il 26 luglio 1985 questa corte confermò la decisione. La corte ha constatato che dal suo rifiuto di rilasciare una dichiarazione derivava un pericolo di collusione tra il ricorrente e i suoi coaccusati, e si poteva supporre che egli avrebbe fatto ogni sforzo per far concordare tra loro le rispettive dichiarazioni (abstimmen). Il signor H. aveva effettivamente potuto conferire liberamente con lui, ma la Divisione Civile non ha trovato credibili le affermazioni del signor Garbade che i suoi contatti con gli avvocati che rappresentavano gli altri accusati non erano più stretti di quelli del signor H.; inoltre, l'avvocato di W. aveva informato la Procura Distrettuale che gli avvocati avevano tutti concordato di coordinare la loro strategia.
La corte ha aggiunto:
"Agire in questo modo non è inammissibile, ma deve, tuttavia, essere compatibile con il dovere di accertare la verità materiale (Gebot der materiellen Wahrheitsfindung). Poiché gli imputati rappresentati dai signori Garbade e Rambert stanno esercitando il loro diritto di rifiutare qualsiasi dichiarazione, non si può ignorare il rischio che gli avvocati della difesa non solo coordinino il loro modo di procedere tattico e giuridico, ma possano anche, intenzionalmente o meno, pregiudicare l'accertamento della verità materiale. In queste circostanze, proprio nel caso di reati di questo tipo che devono essere considerati come attentati all'ordine pubblico e sociale, ci sono sufficienti indicazioni che indicano un pericolo di collusione nella persona degli avvocati della difesa."

25. Il 10 giugno 1985 il ricorrente aveva anche impugnato una decisione del presidente della divisione d'accusa che prorogava la sua detenzione preventiva. Egli lamentava di non aver potuto esaminare tutti gli atti del fascicolo e che il procedimento era stato interamente scritto. Il 18 luglio 1985 la Divisione d'accusa respinse il ricorso e confermò l'ulteriore custodia cautelare fino al 12 settembre 1985, con la motivazione che esisteva ancora un pericolo di collusione e di fuga.
26. S. presentò allora due ricorsi di diritto pubblico alla Corte federale il 19 e il 27 agosto.
27. Nel primo ricorso, diretto contro la decisione del 18 luglio 1985 (cfr. paragrafo 25 supra), egli fece valere l'articolo 6 para. 3 (b) in combinato disposto con l'articolo 5 para. 4 (art. 6-3-b, art. 5-4) della Convenzione. Egli ha sostenuto che la sorveglianza dei colloqui ha reso il suo diritto di agire ai sensi dell'articolo 5 paragrafo 4 (art. 5-4) della Convenzione. 4 (art. 5-4) illusorio, e che il suo diritto a un processo equo è stato privato di sostanza per quanto riguarda il controllo della legittimità della sua detenzione preventiva; in particolare, la suddetta sorveglianza ha impedito qualsiasi conversazione riservata con il suo avvocato volta a confutare le prove raccolte durante l'inchiesta. Inoltre, egli non ha avuto accesso al fascicolo e il suo avvocato non ha potuto prenderne copia.
Il secondo ricorso impugnava le decisioni del 27 giugno e del 26 luglio 1985 (si vedano i precedenti paragrafi 23 e 24) e avanzava essenzialmente le stesse doglianze.
28. Il 15 ottobre 1985 la Corte federale respinse il ricorso del 19 agosto (vedi paragrafo 27 supra). Essa constatò, tra l'altro, che il signor Garbade, il cui compito era quello di redigere la domanda di scarcerazione, aveva avuto accesso al fascicolo del caso, per cui i diritti del ricorrente nel procedimento sulla proroga della sua detenzione preventiva non erano stati violati. Il tribunale ha aggiunto che l'avvocato avrebbe avuto diritto, al più tardi al momento della preparazione del processo, a una copia del fascicolo per il suo cliente, se questi ne avesse fatto richiesta.
29. Il ricorso del 27 agosto 1985 (vedi paragrafo 27 qui sopra) subì la stessa sorte il 4 dicembre. Il Tribunale federale ha ritenuto che solo l'articolo 4 della Costituzione federale e l'articolo 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c) della Convenzione (come interpretato dalla Commissione europea dei diritti dell'uomo) erano rilevanti, e non l'articolo 6 para. 3 (b) (art. 6-3-b), poiché la sorveglianza non aveva pregiudicato la preparazione del processo.
Le autorità non erano state arbitrarie nel descrivere i reati in questione come attacchi sistematici all'ordine pubblico e sociale. Gli accusati sembravano essere estremamente pericolosi ed era ragionevole supporre che avrebbero fatto ricorso a metodi illegali anche durante il procedimento giudiziario. Di conseguenza, indipendentemente dalle qualità personali del signor Garbade, la sorveglianza dei suoi contatti con il suo cliente era conforme alla Costituzione e alla Convenzione europea.
In caso di azioni irregolari da parte di un avvocato, spettava in primo luogo alle autorità disciplinari imporgli delle sanzioni. Un avvocato poteva, intenzionalmente o meno, diventare complice di un accusato. Questo era il caso in particolare del sig. Garbade, che era in stretto contatto con il sig. Rambert, il cui cliente W. aveva potuto comunicare liberamente con lui. Tuttavia, il ricorrente non poteva affermare di essere vittima di una discriminazione, in quanto W. era in custodia da molto più tempo ed era accusato di ulteriori reati.

3. La seconda serie di ricorsi contro le misure di sorveglianza

30. Nel frattempo la sorveglianza non era stata allentata. L'ufficiale di polizia incaricato aveva redatto dei rapporti il 23 agosto, l'11 ottobre, il 21 ottobre e il 18 dicembre, che furono successivamente aggiunti al fascicolo. Dal primo rapporto risultava che il signor Garbade aveva dovuto mostrargli i documenti che stava studiando con il suo cliente.
31. In una lettera del 15 ottobre 1985 il procuratore distrettuale di Winterthur aveva informato il procuratore principale che la sorveglianza aveva lo scopo di eliminare ogni rischio di collusione; egli riteneva tuttavia improbabile che una conversazione ascoltata potesse essere utilizzata in qualche modo come prova contro S..
32. Il 21 ottobre 1985 il procuratore distrettuale di Winterthur comunicò al signor Garbade che avrebbe posto fine alla sorveglianza non appena avesse ascoltato la dichiarazione del ricorrente sulle accuse mosse contro di lui. Il signor Garbade rispose che S. si sarebbe rifiutato di fare qualsiasi dichiarazione finché la sorveglianza fosse continuata.
33. La sorveglianza delle visite e della corrispondenza fu terminata il 10 gennaio 1986 dopo un interrogatorio durato un giorno e mezzo. In quell'occasione il procuratore distrettuale chiese al ricorrente di fare una dichiarazione, ma egli esercitò il suo diritto al silenzio. In seguito, egli poté conferire con il suo avvocato nella biblioteca del carcere, senza schermi di vetro o altre restrizioni.
34. Il 20 dicembre 1985 il ricorrente aveva presentato un ricorso, tra l'altro, contro la sorveglianza delle visite e il fatto che non gli era stato permesso di consultare il fascicolo del caso.
L'8 gennaio 1986 la Divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo aveva rinviato la decisione sul primo punto, con la motivazione che la Procura distrettuale stava per interrompere la sorveglianza. Sul secondo punto il tribunale aveva constatato che S. era ancora sospettato dei reati in questione e che la lunghezza dell'inchiesta era dovuta alla sua insistenza a rimanere in silenzio.
Il 10 luglio 1986 il tribunale aveva constatato che la denuncia sulla quale aveva rinviato la decisione l'8 gennaio non era più una questione viva ora che le misure di sorveglianza erano terminate (vedi paragrafo 33 sopra). Al fine di decidere se la ricorrente fosse tenuta alle spese o avesse diritto al risarcimento, valutò quali possibilità di successo avrebbe avuto il ricorso se la sorveglianza fosse continuata. Essa ha osservato che le circostanze menzionate nella decisione del Tribunale federale del 4 dicembre 1985 (cfr. paragrafo 29 supra) non erano cambiate al 20 dicembre, data del ricorso, e che le restrizioni alla libera comunicazione tra il ricorrente e il suo avvocato rimanevano quindi giustificate; non gli ha quindi riconosciuto alcun risarcimento pecuniario.
35. S. presentò ricorso contro questa decisione alla divisione civile della Corte d'appello di Zurigo, che confermò la decisione il 19 gennaio 1987, sempre per il fatto che il ricorso del 20 dicembre 1985 sarebbe probabilmente fallito.
36. S. presentò infine un ricorso di diritto pubblico il 27 febbraio 1987. Il Tribunale federale lo respinse il 30 novembre 1987. Limitandosi ad esaminare se il rifiuto di concedere l'indennizzo fosse viziato da arbitrarietà, esso constatò che vi era stato un pericolo di collusione e approvò in sostanza le conclusioni della Divisione d'accusa (cfr. paragrafo 34 sopra).

B. L'atto d'accusa e il procedimento presso la Corte d'appello di Zurigo

37. In un rapporto redatto per la Procura distrettuale di Winterthur il 26 marzo 1986, la polizia zurighese aveva espresso l'opinione che alcune delle lettere anonime che erano state inviate poco dopo i reati in questione provenivano senza dubbio dal ricorrente.
38. L'interrogatorio finale ebbe luogo il 28 luglio 1986. Secondo il verbale, S. si rifiutò di rispondere alle accuse mossegli, e il suo avvocato attribuì tali accuse al fatto che il suo cliente era ritenuto avere opinioni anarchiche.
39. Il rapporto finale (Schlussbericht) della procura distrettuale di Winterthur del 21 agosto 1986, composto da 235 pagine, accusava il ricorrente di diciannove reati e tentativi di incendio doloso, di partecipazione a tre attentati con esplosivi, di vari furti e di reati di danno criminale, tra cui il danneggiamento di una linea ferroviaria; il danno ammontava a circa 7.670.000 franchi. Il rapporto è stato trasmesso alla Procura di Zurigo.
40. Il 12 settembre, il 6 ottobre e il 22 dicembre 1986 il ricorrente presentò alla Procura, senza successo, richieste di riapertura dell'inchiesta. Egli presentò una nuova domanda il 1° aprile 1987.
41. Conformemente al paragrafo 3 c) dell'articolo 198 a del codice di procedura penale zurighese lasciò alla Divisione d'accusa il compito di decidere quale tribunale lo avrebbe processato. La divisione decise di rinviarlo a giudizio presso la Corte d'appello piuttosto che presso la Corte d'assise (Geschworenengericht), ritenendo che i suoi interessi sarebbero stati meglio tutelati in tal modo, soprattutto per quanto riguarda la sua giovane età.
42. Il processo doveva iniziare il 14 gennaio 1988, ma il ricorrente non si presentò. La Corte d'appello rinviò quindi l'udienza.
Una nuova udienza ebbe luogo l'11 dicembre 1989, in assenza, non motivata, di S. che era stato liberato provvisoriamente il 15 settembre 1988. La Corte d'appello lo dichiarò colpevole, tra l'altro, di fabbricazione di esplosivi, incendio doloso, furto e danneggiamento e lo condannò a sette anni di reclusione - detratti i 1.291 giorni di custodia cautelare - e al pagamento delle spese.
Il ricorrente ha presentato appello. Un nuovo processo ebbe luogo l'8 febbraio 1990, sempre in sua assenza. Dopo aver sentito il suo avvocato e il rappresentante del procuratore principale di Zurigo, la Corte d'appello confermò la sua sentenza dell'11 dicembre 1989. Egli ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione del Cantone di Zurigo, e l'esecuzione della sentenza è stata sospesa dal ricorso.

PROCEDIMENTO DINANZI ALLA COMMISSIONE

43. Nei suoi ricorsi del 18 novembre 1986 (no. 12629/87) e del 28 maggio 1988 (no. 13965/88) S. lamentava che non gli era stato permesso di comunicare con il suo avvocato liberamente e senza sorveglianza; a questo proposito si appellava all'articolo 6 para. 3 (b) e (c) (art. 6-3-b, art. 6-3-c) della Convenzione. Egli sosteneva inoltre che la sorveglianza in questione aveva reso il suo diritto di adire un tribunale ai sensi dell'articolo 5 par. 4 (art. 5-4) illusorio. Infine, egli asseriva che vi era stata una violazione dell'articolo 13 (art. 13), in quanto la Corte federale si era limitata ad esaminare se i tribunali zurighesi avessero agito arbitrariamente nel decidere che il ricorso del 20 dicembre 1985 sarebbe stato respinto (si veda il precedente paragrafo 34).
44. Il 12 dicembre 1988 la Commissione ordinò la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 29 del suo regolamento interno.
Il 9 novembre 1989 dichiarò irricevibile la denuncia basata sull'articolo 13 (art. 13) in quanto manifestamente infondata, ma ritenne le denunce relative all'articolo 5 para. 4 e all'articolo 6 para. 3 (b) e (c) (art. 5-4, art. 6-3-b, art. 6-3-c) ammissibili. Nel suo rapporto del 12 luglio 1990 (redatto ai sensi dell'articolo 31) (art. 31) ha concluso che:
(a) c'era stata una violazione dell'articolo 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c) in quanto il ricorrente dal 31 maggio 1985 al 10 gennaio 1986 non ha potuto conversare liberamente con il suo avvocato (quattordici voti contro uno);
(b) nessuna questione distinta è stata sollevata con riferimento all'articolo 6 para. 3 (b) (art. 6-3-b) (quattordici voti contro uno) e all'articolo 5 para. 4 (art. 5-4) (all'unanimità).
Il testo completo del parere della Commissione e dell'opinione dissenziente contenuta nel rapporto è riprodotto in allegato alla presente sentenza[*].

OSSERVAZIONI FINALI DEL GOVERNO ALLA CORTE

45. Nel loro memoriale il Governo ha chiesto alla Corte "di dichiarare che la Svizzera [non] ha violato la Convenzione europea dei diritti dell'uomo a causa delle circostanze che hanno dato origine alle due domande presentate da S.".

IN DIRITTO

I. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 PARA. 3 (c) (art. 6-3-c)

46. S. ha sostenuto che c'era stata una violazione dell'articolo 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c), che recita come segue:
"Ogni persona accusata di un reato ha i seguenti diritti minimi:

...

(c) di difendersi di persona o mediante un'assistenza legale di sua scelta ..."

Egli ha criticato le autorità svizzere per aver sorvegliato i suoi incontri con il sig. Garbade e per aver autorizzato il sig. Garbade a consultare solo una minima parte del fascicolo, con la presunta conseguenza che gli è stato difficile contestare le decisioni con cui è stata prolungata la sua detenzione preventiva. Il governo non ha apparentemente riconosciuto lo scopo delle garanzie previste dalla Convenzione e ha confuso l'efficacia dei diritti protetti con il loro esercizio riuscito. Ora, questi diritti - in particolare il diritto all'assistenza legale - non erano esclusivi di coloro che sapevano come beneficiarne o che godevano dei servizi di un buon avvocato; erano destinati a garantire l'uguaglianza delle armi. La libera comunicazione tra un avvocato e il suo cliente detenuto era un diritto fondamentale, essenziale in una società democratica, soprattutto nei casi più gravi. C'era quindi una contraddizione tra nominare un difensore d'ufficio all'inizio di un'inchiesta a causa della gravità dei reati contestati e impedirgli di svolgere liberamente il suo compito.

47. Il Governo, pregando in aiuto il rapporto della Commissione, ha sottolineato che il diritto di un imputato di comunicare senza impedimenti con il proprio difensore, nella misura in cui era implicitamente garantito dall'art. 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c), potrebbe richiedere una regolamentazione tale da limitare l'esercizio del diritto in alcuni casi.
La restrizione "particolarmente drastica" imposta in questo caso era giustificata, secondo il governo, dalle circostanze eccezionali del caso. La motivazione delle decisioni dei tribunali svizzeri, che erano nella posizione migliore per valutare la situazione, ha fornito due argomenti decisivi a sostegno della durata "molto insolita" della sorveglianza: in primo luogo, il carattere "straordinariamente pericoloso" dell'accusato, i cui metodi avevano caratteristiche comuni con quelli dei terroristi, e l'esistenza di reati sistematici contro l'ordine pubblico e sociale, e in secondo luogo il rischio di collusione tra il signor Garbade e i coaccusati. Come la divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo ha dichiarato il 27 giugno 1985, un tale rischio aumenta quando un imputato esercita il suo diritto al silenzio, come ha fatto il ricorrente. Infine, S. non aveva in alcun modo dimostrato che la sorveglianza da lui lamentata avesse pregiudicato la sua difesa.

48. La Corte osserva che, a differenza di alcune legislazioni nazionali e a differenza dell'articolo 8 § 2 (d) della Convenzione americana sui diritti dell'uomo, la Convenzione europea non garantisce espressamente il diritto di una persona accusata di un reato di comunicare senza impedimenti con l'avvocato difensore. Tale diritto è tuttavia sancito, in seno al Consiglio d'Europa, dall'articolo 93 delle Regole minime standard per il trattamento dei detenuti (allegate alla risoluzione (73) 5 del Comitato dei Ministri), che stabilisce che:
"Il detenuto non processato ha il diritto, non appena è incarcerato, di scegliere il suo rappresentante legale, o di chiedere l'assistenza legale gratuita quando questa è disponibile, e di ricevere le visite del suo avvocato in vista della sua difesa e di preparare e consegnargli, e ricevere, istruzioni riservate. Su sua richiesta, gli sono concesse tutte le agevolazioni necessarie a tal fine. In particolare, gli sarà data l'assistenza gratuita di un interprete per tutti i contatti essenziali con l'amministrazione e per la sua difesa. I colloqui tra il detenuto e il suo avvocato possono avvenire a vista ma non a udito, diretto o indiretto, di un funzionario di polizia o dell'istituzione."

In un altro contesto, l'Accordo europeo relativo alle persone che partecipano ai procedimenti della Commissione europea e della Corte dei diritti dell'uomo, che è vincolante per non meno di venti Stati membri, compresa la Svizzera dal 1974, prevede all'articolo 3 paragrafo 2:

"Per quanto riguarda le persone detenute, l'esercizio di questo diritto [il diritto "di corrispondere liberamente con la Commissione e la Corte" - vedi paragrafo 1 dell'articolo] implica in particolare che:

...

c. tali persone hanno il diritto di corrispondere, e di consultarsi fuori dell'udienza di altre persone, con un avvocato abilitato a comparire davanti ai tribunali del paese in cui sono detenute per quanto riguarda una domanda alla Commissione, o qualsiasi procedimento che ne derivi."

La Corte ritiene che il diritto di un imputato di comunicare con il suo avvocato fuori dall'udienza di una terza persona fa parte dei requisiti di base di un processo equo in una società democratica e deriva dall'articolo 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c) della Convenzione. Se un avvocato non potesse conferire con il suo cliente e ricevere da lui istruzioni riservate senza tale sorveglianza, la sua assistenza perderebbe gran parte della sua utilità, mentre la Convenzione mira a garantire diritti concreti ed effettivi (si veda tra l'altro la sentenza Artico del 13 maggio 1980, serie A n. 37, p. 16, par. 33).

49. Il rischio di "collusione" invocato dal Governo merita tuttavia una riflessione.
Secondo i giudici svizzeri c'erano "indicazioni che indicavano" un tale rischio "nella persona degli avvocati della difesa"; c'era motivo di temere che il signor Garbade collaborasse con l'avvocato di W., il signor Rambert, che aveva informato la procura distrettuale di Winterthur che tutti gli avvocati si proponevano di coordinare la loro strategia di difesa (cfr. paragrafo 24).

Tale possibilità, tuttavia, nonostante la gravità delle accuse contro il ricorrente, non può, secondo la Corte, giustificare la restrizione in questione e nessun'altra ragione è stata addotta in modo sufficientemente convincente. Non c'è nulla di straordinario in un certo numero di avvocati della difesa che collaborano al fine di coordinare la loro strategia di difesa. Inoltre, né la deontologia professionale del signor Garbade, che era stato designato come difensore d'ufficio dal presidente della divisione d'accusa della Corte d'appello di Zurigo (cfr. paragrafo 14), né la legittimità della sua condotta sono state mai messe in discussione in questo caso. Inoltre, la restrizione in questione è durata più di sette mesi (dal 31 maggio 1985 al 10 gennaio 1986).

50. Anche l'argomentazione secondo cui il ricorrente non sarebbe stato pregiudicato dalle misure in questione, in quanto avrebbe potuto effettivamente presentare diverse domande di liberazione provvisoria, deve essere respinta. Una violazione della Convenzione non implica necessariamente l'esistenza di un danno (si veda, tra molte altre autorità, la sentenza Alimena del 19 febbraio 1991, serie A n. 195-D, p. 56, paragrafo 20).
51. Vi è stata quindi una violazione dell'art. 6 par. 3 (c) (art. 6-3-c).

II. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 PAR. 3 (b) (art. 6-3-b)

52. S. ha originariamente invocato in aiuto anche il paragrafo (b) dell'articolo 6 para. 3 (art. 6-3-b), sostenendo che la sorveglianza delle sue conferenze con il suo avvocato lo aveva privato del suo diritto "a disporre di tempo e mezzi adeguati per la preparazione della sua difesa". Tuttavia, egli non ha più invocato questa disposizione davanti alla Corte e non è necessario che la Corte consideri la questione d'ufficio.

III. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 5 PARA. 4 (art. 5-4)

53. Come reclamo alternativo il ricorrente ha sostenuto che l'impossibilità di conferire liberamente con il suo difensore aveva reso illusorio il suo diritto di contestare la proroga della sua detenzione, comportando così una violazione dei requisiti dell'articolo 5 para. 4 (art. 5-4), che recita come segue:
"Ogni persona che è privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di proporre un'azione per mezzo della quale la legittimità della sua detenzione sia pronunciata rapidamente da un giudice e la sua liberazione sia ordinata se la detenzione non è legittima."

Considerata la conclusione del precedente paragrafo 51, la Corte non vede la necessità di considerare la questione dal punto di vista dell'articolo 5 para. 4 (art. 5-4).

IV. APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 50 (art. 50)

54. Ai sensi dell'articolo 50 (art. 50),
"Se la Corte constata che una decisione o una misura presa da un'autorità giudiziaria o da qualsiasi altra autorità di un'Alta Parte contraente è in tutto o in parte in conflitto con gli obblighi derivanti dalla ... Convenzione, e se il diritto interno di detta Parte consente solo una riparazione parziale delle conseguenze di questa decisione o misura, la decisione della Corte deve, se necessario, dare una giusta soddisfazione alla parte lesa."

A. Danno

55. Il ricorrente ha chiesto in primo luogo il risarcimento del danno non patrimoniale, lasciando alla Corte il compito di valutarne l'ammontare. Si trattava di risarcire il senso di frustrazione e il deterioramento della sua salute che derivava dalla sorveglianza delle visite del suo avvocato.
Il governo riteneva che la constatazione di una violazione avrebbe costituito in questo caso una soddisfazione sufficiente. Se, tuttavia, la Corte dovesse concedere un risarcimento pecuniario, le chiesero di prendere in considerazione tutte le circostanze del caso, in particolare l'entità del danno causato dal ricorrente.
Il delegato della Commissione ha raccomandato un risarcimento di 2.500 franchi svizzeri.
La Corte ritiene che S. deve aver subito un danno non patrimoniale. Facendo una valutazione su base equitativa come richiesto dall'articolo 50 (art. 50), gli assegna 2.500 franchi svizzeri a questo titolo.

B. Costi e spese

56. Il ricorrente ha inoltre chiesto 1.000 franchi svizzeri per gli onorari e le spese che i tribunali di Zurigo gli hanno imposto nell'ambito dei suoi ricorsi contro le misure di sorveglianza, nonché 14.000 franchi svizzeri per gli onorari e le spese relative al procedimento a Strasburgo.
Il governo ha dichiarato di essere disposto a rimborsare le spese relative solo alle decisioni dei tribunali nazionali che erano rilevanti dal punto di vista dell'articolo 6 para. 3 (c) (art. 6-3-c), e 2.000 franchi per il procedimento europeo; su quest'ultimo punto rilevano la mancanza di un'audizione davanti alla Commissione.
Sulla base delle prove in suo possesso, delle osservazioni dei partecipanti al procedimento e della propria giurisprudenza in materia, la Corte ritiene equo assegnare 12.500 franchi svizzeri.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL'UNANIMITÀ

1. Dichiara che c'è stata una violazione del paragrafo 3 (c) dell'articolo 6 (art. 6-3-c);

2. Ritiene che non sia necessario esaminare il caso dal punto di vista del paragrafo 3 (b) dell'articolo 6 (art. 6-3-b), o dell'articolo 5 para. 4 (art. 5-4);

3. Dichiara che lo Stato convenuto deve pagare al ricorrente entro tre mesi 2.500 (duemilacinquecento) franchi svizzeri per il danno non patrimoniale e 12.500 (dodicimilacinquecento) franchi svizzeri per i costi e le spese;

4. 4. Il resto della domanda di equa soddisfazione è respinta.

Fatto in inglese e in francese, e consegnato in un'udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti Umani, Strasburgo, il 28 novembre 1991.

Giovanni CREMONA
Presidente

Marc-André EISSEN
Registrar

Conformemente all'articolo 51 paragrafo 2 (art. 51-2) della Convenzione e all'articolo 53 paragrafo 2 del regolamento della Corte, le opinioni separate dei signori Matscher e De Meyer sono allegate alla presente sentenza.

J.C.
M.-A.E

 

OPINIONE SEPARATA DEL GIUDICE MATSCHER

(Traduzione)

Ho votato con la maggioranza per quanto riguarda la violazione dell'articolo 6 para. 3 (b) (art. 6-3-b), ma desidero fare le seguenti osservazioni:
1. Riconosco che, in linea di principio, deve essere possibile per un imputato comunicare con il suo difensore liberamente e senza sorveglianza.
2. Tuttavia, questo non è un principio assoluto; ci sono situazioni eccezionali in cui la sorveglianza delle comunicazioni dell'imputato con il suo avvocato può essere necessaria e quindi compatibile con il principio sopra enunciato. Che questa possa essere una necessità reale è dimostrato dai casi non infrequenti di grave collusione tra avvocati e persone detenute che si sono verificati in diversi paesi negli ultimi anni.
La mia critica al ragionamento della presente sentenza è che essa - correttamente - enuncia il principio ma - erroneamente - non dichiara esplicitamente la possibilità di eccezioni, che a mio parere è un corollario essenziale del principio, essendo entrambi necessari nell'interesse della corretta amministrazione della giustizia.
Ho votato a favore di una violazione nel caso in questione, in quanto, in base ai fatti, non erano soddisfatte le condizioni per invocare l'eccezione di cui al punto 2.


OPINIONE CONCORRENTE DEL GIUDICE DE MEYER

(Traduzione)

Ritengo opportuno sottolineare che la libertà e l'inviolabilità delle comunicazioni tra una persona accusata di un reato e il suo avvocato sono tra i requisiti fondamentali di un processo equo. Sono inerenti al diritto all'assistenza legale e sono essenziali per l'esercizio effettivo di tale diritto[*].
Lo stesso vale per le comunicazioni tra un avvocato e i suoi colleghi. È perfettamente legittimo che egli agisca di concerto con loro. Il fatto che ciò possa portare a un coordinamento della strategia difensiva non può - anche o soprattutto nel caso di reati gravi - essere usato come pretesto per limitare o sorvegliare le comunicazioni tra un avvocato e il suo cliente.
Non credo che ci possano essere eccezioni a questi principi[*].

Il caso è numerato 48/1990/239/309-310. Il primo numero indica la posizione del caso nella lista delle cause deferite alla Corte nell'anno in questione (secondo numero). Gli ultimi due numeri indicano la posizione della causa nell'elenco delle cause rinviate alla Corte dalla sua creazione e nell'elenco delle corrispondenti domande originarie alla Commissione.
[*] Come modificato dall'articolo 11 del protocollo n. 8 (P8-11), entrato in vigore il 1° gennaio 1990.
[*] Le modifiche del regolamento del Tribunale entrate in vigore il 1° aprile 1989 sono applicabili alla presente causa.

Nota del cancelliere: Per ragioni pratiche, questo allegato apparirà solo con la versione stampata della sentenza (volume 220 della serie A delle pubblicazioni della Corte), ma una copia della relazione della Commissione è ottenibile presso la cancelleria.
[*] Non è sufficiente dire che le comunicazioni devono avvenire "al di fuori dell'udito di una terza persona", poiché ci sono troppi altri modi di violare la loro natura confidenziale perché ci si possa accontentare di formule di questo tipo.
[*] I controlli di sicurezza possono essere ammissibili, ma solo nella misura in cui non pregiudicano la libertà e l'inviolabilità delle comunicazioni in questione.