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Permesso di soggiorno: pericolosità prevale su coesione familiare (Cass. 19949/20)

23 settembre 2020, Cassazione civile

In tema di permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare, il divieto di espulsione non opera "in ipotesi di comportamenti della persona che rappresentino una minaccia concreta ed attuale tale da pregiudicare l'ordine e la sicurezza pubblica, secondo un giudizio che il giudice di merito deve effettuare in concreto, senza ricorrere ad automatismi sulla base dei precedenti penali ma valutando, ad esempio, la rilevanza dei reati accertati, l'eventuale condizione di disoccupazione, il comportamento tenuto nelle occasioni in cui ha dichiarato false generalità.

Corte di Cassazione

sez. II Civile, ordinanza 25 giugno – 23 settembre 2020, n. 19949
Presidente Di Virgilio – Relatore Oliva

Fatti di causa

Il ricorrente, cittadino marocchino, veniva attinto da provvedimento di espulsione adottato ai sensi degli artt.13 comma secondo lettera c) e 14 del D.Lgs. n.286 del 1998 perché socialmente pericoloso.
Con il provvedimento impugnato il Giudice di Pace di Novara rigettava il ricorso proposto avverso la predetta misura espulsiva.
Propone ricorso per la cassazione di detto provvedimento El Ma. El Mo. affidandosi ad un unico motivo.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Ragioni della decisione

Con l'unico motivo il ricorrente lamenta la mancanza, erroneità ed illogicità della motivazione e l'omessa valutazione delle prove fornite in uno al ricorso avverso l'espulsione. Ad avviso del ricorrente, il Giudice di Pace avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la sua pericolosità sociale nonostante la risalenza nel tempo delle condanne penali indicate nel provvedimento impugnato, il suo inserimento in Italia, l'attività lavorativa da egli svolta nel territorio nazionale e l'assenza di legami con il Paese di origine.
La censura è infondata.
Dal provvedimento impugnato risulta che il ricorrente è entrato in Italia e vi si era trattenuto per effetto della sanatoria del 2002; aveva poi ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di lavoro sino al 2008; aveva quindi ottenuto il permesso di lungo periodo ed aveva, da quel momento, iniziato a riportare condanne penali e fermi di polizia per diversi reati. Dalla lettura del ricorso risulta altresì che il ricorrente vive in Italia con la moglie e le tre figlie minorenni.
In tema di permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare, il divieto di espulsione non opera "... in ipotesi di comportamenti della persona che rappresentino una minaccia concreta ed attuale tale da pregiudicare l'ordine e la sicurezza pubblica, secondo un giudizio che il giudice di merito deve effettuare in concreto, senza ricorrere ad automatismi sulla base dei precedenti penali ma valutando, ad esempio, la rilevanza dei reati accertati, l'eventuale condizione di disoccupazione, il comportamento tenuto nelle occasioni in cui ha dichiarato false generalità" (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n.6666 del 15/03/2017, Rv. 643648).

Analogamente, si è affermato che le ragioni di pericolosità sociale vanno esplicitate in concreto nella motivazione del provvedimento espulsivo, mediante una valutazione che -a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n.5 del 2007 all'art.4 comma 3 ed all'art.5 comma 5, nonché dell'aggiunta del comma 5-bis, del D.Lgs. n.286 del 1998- non è più effettuata ex ante in via legislativa, ma articolata su un giudizio di pericolosità sociale da svolgere in concreto, "...il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato art.5 comma 5 del D.Lgs. n.286 del 1998 (la natura e la durata dei vincoli familiari, l'esistenza di legami familiari e sociali con il paese d'origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso)" (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n.17070 del 28/06/2018, Rv. 649646).

Si è parimenti ritenuto che la pericolosità sociale vada intesa "...come pericolosità non solo per l'ordine pubblico, ma anche solo per la sicurezza pubblica ... e, pertanto, la sua sussistenza deve essere valutata dall'autorità competente al rilascio o al rinnovo del titolo, in conformità con l'art. 20 del D.Lgs. n. 30 del 2007, in forza del quale la pericolosità sociale costituisce, conformemente alla direttiva 2004/38/CEE, una limitazione al mantenimento del diritto di soggiorno" (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17289 del 27/06/2019, Rv. 654421

Nel caso concreto i principi affermati dai sopra richiamati precedenti di questa Corte sono stati correttamente applicati dal giudice di merito: quest'ultimo ha infatti evidenziato, nel provvedimento impugnato, che il ricorrente ha "collezionato" dal 2008 in avanti numerosi precedenti penali e fermi di polizia, per reati gravi quali il furto in concorso e la detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio; è stato destinatario, in ragione di tali comportamenti, di un provvedimento del Questore di Novara in data 26.10.2015, contenente un avviso a cambiare condotta; non ha, nonostante tale avviso, modificato le proprie abitudini di vita, tanto da essere rinvenuto, in data 30.12.2017, in possesso di due chilogrammi e mezzo di hashish, che deteneva anche presso l'abitazione nella quale lo stesso risiede insieme ai figli minori.

Sulla base di tali considerazioni, nonché del fatto che anche la moglie del ricorrente risultava essa pure prevenuta per furto e che i figli minori della coppia, di tenerissima età, meritavano di essere protetti, hanno portato il Giudice di Pace a ritenere corretto l'inquadramento del ricorrente come soggetto socialmente pericoloso. Simile motivazione, che appare logicamente coerente e conforme ai principi affermati da questa Corte, esprime un giudizio di pericolosità formulato in concreto, sulla base di elementi di fatto aggiornati -l'ultimo episodio apprezzato dal giudice di merito è del 30.12.2017- e, pertanto, non è suscettibile di essere oggetto di sindacato in questa sede.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell'art.13, comma 1-quater, del D.P.R. n.115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art.13 comma 1-quater del D.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.