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Nomina via PEC: inesistente (Cass. 38665/19)

19 settembre 2019, Cassazione penale

La nomina del difensore di fiducia via PEC è inesistente, dato che va fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata.

Non può equipararsi l’invio del mandato difensivo tramite lettera raccomandata con la trasmissione telematica via PEC, per il motivo che tale forma di comunicazione garantisce soltanto la provenienza della missiva, ma non l’originalità della firma e della sottoscrizione del documento allegato, il quale praticamente perviene in semplice copia (ove non si tratti di documento a doppia firma digitale).

La nomina del difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 96 c.p.p., deve essere depositata dinanzi al giudice che procede e deve essere eseguita in forme tali da non consentire dubbi o incertezze sull’individuazione della persona incaricata dell’ufficio e sul procedimento per il quale la nomina viene disposta.

 

Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 18 febbraio – 19 settembre 2019, n. 38665
Presidente Di Tommasi – Relatore Liuni

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 18/6/2018 il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Lanciano revocava l’indulto che D.R.A. aveva conseguito con i seguenti provvedimenti: 1) ordinanza del Tribunale di Napoli del 26/9/2006, per la pena di anni 2 di reclusione ed Euro 600 di multa; 2) ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 25/1/2011, per la pena di anni 1 di reclusione ed Euro 7.764,57 di multa; 3) ordinanza del Tribunale di Frosinone del 28/7/2015, per la pena di anni 1 di reclusione ed Euro 1.326,33 di multa.

Rilevava il GE - dopo avere rigettato l’istanza di rinvio per legittimo impedimento "pervenuta dall’avv. CD, con la quale lo stesso si qualificava difensore di fiducia del condannato, nomina per altro mai pervenuta nè depositata nel presente procedimento e ritenendosi comunque non valevole a tale scopo quella contenuta nel diverso ed autonomo procedimento di esecuzione iscritto al n. 24/2018 Sige su iniziativa del D.R. " - che il condono doveva essere revocato di diritto ai sensi della L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, con riguardo alla pena complessiva di anni 4 di reclusione ed Euro 9.690,90 di multa, avendo il condannato commesso, entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge (1/8/2006), un delitto non colposo per il quale aveva riportato condanna a pena detentiva non inferiore a due anni (sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 19/5/2015, irrevocabile il 31/10/2015). La mera commissione del reato nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge di indulto era condizione necessaria e sufficiente ad integrare il presupposto della revoca di diritto del beneficio.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del D.R. , avv. CD, avanzando a motivo di impugnazione la violazione di legge con riferimento agli artt. 127, 666 e 420 ter c.p.p. per evidente lesione del diritto di difesa nel procedimento camerale, in quanto era stata disattesa dal giudice dell’esecuzione l’istanza di rinvio dell’udienza inviata a mezzo PEC dal medesimo difensore del condannato, la cui nomina risultava parimenti inviata a mezzo PEC.

Nonostante il ricorrente conosca il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui il rinvio del processo in caso di legittimo impedimento del difensore non si applica ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono con le forme previste dall’art. 127 c.p.p., tanto che le Sezioni Unite di questa Corte qualificano tale approdo come "diritto vivente", purtuttavia propugna una rimeditazione della materia alla luce della necessità di assicurare anche nei procedimenti camerali la partecipazione necessaria ed effettiva del difensore, recuperando il rilievo del legittimo impedimento anche di questa figura processuale, come accade per l’udienza preliminare, a termini dell’art. 420 ter c.p.p., comma 4. Tale necessaria reimpostazione deve essere considerata in massima misura negli incidenti di esecuzione ex art. 666 c.p.p..

2.2 Ulteriore censura di violazione di legge viene avanzata quanto alla contestata sussistenza del presupposto per la revoca dell’indulto.
Assume il ricorrente che la condizione risolutiva del beneficio non può riferirsi alla pena complessivamente riportata per i due reati, sia pure avvinti ex art. 81 c.p. come nella specie, ma deve essere rapportata al singolo reato, che da solo deve avere dato luogo all’irrogazione di una pena superiore ad anni 2 di reclusione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato nel primo motivo e deve essere rigettato.

1.1 Invero, il problema si colloca a monte e risiede nel difetto di legittimazione del difensore a rappresentare il condannato, in quanto non soltanto la richiesta di rinvio, ma anche la nomina fiduciaria risultano inviate a mezzo PEC.

È noto che - ai sensi dell’art. 96 c.p.p., comma 2, - la nomina del difensore di fiducia è fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata.

Si tratta di formalità che non ammettono equipollenti, in particolare non può equipararsi l’invio del mandato difensivo tramite lettera raccomandata con la trasmissione telematica via PEC, per il motivo che tale forma di comunicazione garantisce soltanto la provenienza della missiva, ma non l’originalità della firma e della sottoscrizione del documento allegato, il quale praticamente perviene in semplice copia (ove non si tratti di documento a doppia firma digitale).

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la nomina del difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 96 c.p.p., deve essere depositata dinanzi al giudice che procede e deve essere eseguita in forme tali da non consentire dubbi o incertezze sull’individuazione della persona incaricata dell’ufficio e sul procedimento per il quale la nomina viene disposta (Sez. 1, n. 11268 del 02/03/2007, Cravotto, Rv. 236162; Sez. 5, n. 4874 del 14/11/2016 - dep. 2017, D’Amico, Rv. 269493).

A tale necessaria certezza può pervenirsi solo con la produzione rituale dell’atto di scelta il quale deve indiscutibilmente dimostrare attraverso l’autografia - o la personale dichiarazione - la volontà dell’interessato, sicché non può avere alcuna efficacia dimostrativa dell’avvenuto conferimento dell’incarico la produzione di una semplice copia teletrasmessa dell’atto pervenuta con modalità irrituali (Sez. 1, n. 35127 del 19/04/2011, Esposito, Rv. 250783; n. 18244 del 02/04/2019, Constantin, Rv. 275470).

1.2 Il vizio che affetta il mandato difensivo si riverbera sulla richiesta di rinvio operata con le stesse modalità di trasmissione. In assenza dell’interessato, cioè della persona destinataria dell’attività difensiva, deve dunque affermarsi l’irritualità di una istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore avanzata da un professionista che si limiti ad affermare la propria qualità di difensore, senza depositare atto di nomina sottoscritto dall’interessato (in tali termini, Sez. 1, n. 54079 del 14/06/2017, Gravina, Rv. 271547, in cui si rinviene un’articolata disamina delle pronunce di questa Corte apparentemente ispirate da criteri più "elastici" in ordine alle formalità della nomina fiduciaria, ma tutte accomunate dall’inequivoca concorrenza della volontà dell’interessato verso la produzione dell’effetto sostanziale di nomina fiduciaria, che nel caso in esame non è dato apprezzare).

2. Inammissibile per genericita e il secondo motivo di impugnazione.
In termini generali, è noto che ai fini dell’applicazione o della revoca dell’indulto, in caso di reati unificati per la continuazione, si deve avere riguardo alla pena inflitta relativamente a ciascuno di essi e non a quella complessiva (Sez. 1, n. 49986 del 24/11/2009, Agnello, Rv. 245967).

Ma la doglianza risulta generica, perché il ricorso non è autosufficiente sul punto, non avendo specificato la pena in concreto irrogata per detti reati nella sentenza che li aveva accertati.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.