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Manifestazione caricata da polizia, reazione è reato (Cass. 47004/17)

12 ottobre 2017, Cassazione penale

Anche la semplice presenza sul luogo dell'esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa purchè, palesando chiara adesione alla condotta dell'autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all'azione e un maggiore senso di sicurezza.

Il mancato assolvimento delle formalità previste dalla legge in materia di scioglimento di un assembramento in luogo pubblico (invito, tre formali intimazioni, preceduta ognuna da uno squillo di tromba) preclude l'insorgenza della responsabilità penale per l'inottemperanza a tale ordine ma non determina ex se la illegittimità dell'ordine di scioglimento.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 25/07/2017) 12-10-2017, n. 47004

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico - Presidente -

Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -

Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -

Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - rel. Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.F., nata a (OMISSIS);

B.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 3/10/2016 della Corte di Appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabrizio D'Arcangelo;

sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. De Masellis Mariella, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

udito il difensore, avv. SC, in sostituzione dell'avv. RL, nell'interesse degli imputati L.F. e B.M., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo


1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza di condanna emessa in data 19 maggio 2014 dal Tribunale di Torino nei confronti di L.F. e di B.M. per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale (capo a) e di lesioni aggravate (capo b) posti in essere in (OMISSIS), nel contesto di una manifestazione studentesca, condannando gli imputati appellanti al pagamento delle spese del grado.

2. L'avv. RL, difensore degli imputati, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo tre motivi di ricorso e, segnatamente:

- la mancanza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla doglianze formulate nell'atto di appello relativamente alla ritenuta prevalenza da parte del giudice di primo grado delle testimonianze di accusa rispetto alla testimonianze offerte dalla difesa;

- la erronea applicazione della legge penale, in relazione al mancato riconoscimento della causa di giustificazione prevista dall'art. 393 bis c.p., in applicazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 22 e ss., e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione sul punto.

- la erronea applicazione della legge penale, in relazione al ritenuto concorso di persone nel reato, in quanto la Corte di Appello di Torino, accedendo alla teorizzazione di una sorta di responsabilità collettiva dei presenti alla manifestazione in relazione a ciascun delitto commesso in tale contesto, aveva inammissibilmente dilatato l'ambito della fattispecie di cui all'art. 110 c.p..

La mera partecipazione alla manifestazione e, quindi, la presenza sul luogo del reato non poteva, infatti, essere convertita in un contributo moralmente rilevante sotto il profilo concorsuale.

Motivi della decisione

1. I ricorsi devono essere inammissibile in quanto i motivi negli stessi dedotti si rivelano manifestamente infondati.

2. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la mancanza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta prevalenza da parte del giudice di primo grado delle testimonianze di accusa e la contestuale immotivata svalutazione delle deposizioni dei testi della difesa e delle dichiarazioni dell'imputata L..

Le dichiarazioni resa dalla stessa avevano, infatti, rinvenuto riscontro nella deposizione della teste a difesa C.C. e la Corte di Appello non aveva motivato su tale doglianza formulata nell'atto di appello.

Tale motivo si rivela, tuttavia, manifestamente infondato.

Nell'atto di appello, la contestazione relativa alla valenza dimostrativa della testimonianza di C.C. è, invero, affidata a poche, rapsodiche righe, a pagina 4, nella quali l'appellante si limita a riportare, tra virgolette, una parte della deposizione della testimone.

Si è, pertanto, non già in presenza di un motivo di appello pretermesso, bensì di un mero argomento addotto dall'appellante a sostegno della propria impugnazione, che non incongruamente la Corte di Appello ha ritenuto di non accogliere, ribadendo implicitamente ma nitidamente il giudizio di inattendibilità della teste, che non aveva dimostrato un ricordo lucido della sequenza degli accadimenti, formulato a pag. 8 della sentenza di primo grado.

L'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede, del resto, necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il proprio discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicchè, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (ex plurimis: Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841).

E' ben possibile, del resto, che nella valutazione sulla "tenuta" del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell'8/2/2007, Conversa, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell'8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).

Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado, come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado ed, a maggior ragione, ciò è legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la erronea applicazione della legge penale, in relazione al mancato riconoscimento della causa di giustificazione prevista dall'art. 393-bis c.p., in applicazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 22 e ss., e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione sul punto.

La sentenza impugnata, infatti, non aveva adeguatamente motivato in ordine al mancato assolvimento delle formalità previste dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 22 e 23 con riferimento all'ordine, dato dall'autorità di pubblica sicurezza, di scioglimento di un assembramento in luogo pubblico o aperto al pubblico.

La Corte di Appello di Torino, infatti, obliterando le censure formulate nell'atto di appello, non aveva motivato circa la contestata idoneità della intimazione posta in essere dal dirigente Di Gaetano, in quanto rivolta al solo "fronte del corteo", ad essere percepita da quanti non si trovavano nelle prime file.

In assenza delle modalità di esteriorizzazione prescritte dalla legge e della dimostrazione delle necessarie caratteristiche di visibilità, di percepibilità e di comprensibilità, pertanto, la intimazione rivolta ai manifestanti non poteva essere ritenuta legittima e, dunque, la condotta degli imputati doveva essere ritenuta scriminata quale reazione ad atti arbitrari.

4. Tale doglianza si rivela, tuttavia, manifestamente infondata.

La sentenza impugnata ha, infatti, evidenziato, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, come le intimazioni rivolte dal D.G., dirigente del servizio di ordine, di desistere da comportamenti sediziosi, fossero rimaste inascoltate dai manifestanti, che, in condizione di superiorità numerica, avevano persistito nelle proprie condotte violente e minacciose ai danni degli agenti.

La Corte di Appello di Torino ha, peraltro, correttamente rilevato come, secondo un risalente ed incontrastato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il mancato assolvimento delle formalità previste dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 22 e 23 in materia di scioglimento di un assembramento in luogo pubblico preclude l'insorgenza della responsabilità penale per l'inottemperanza a tale ordine, ai sensi dell'art. 24 del medesimo testo normativo, ma non determina ex se la illegittimità dell'ordine di scioglimento (Sez. 6, n. 1168 del 17/05/1969, Lai, Rv. 112548; Sez. 3, n. 1053 del 01/04/1966, Corigliano, Rv. 101644).

Il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 24, del resto, prevede espressamente che gli ufficiali di pubblica sicurezza possano ordinare lo scioglimento della riunione con la forza, quanto le intimazioni "non possano essere fatte per rivolta od opposizione" e le sentenze di merito hanno ritenuto integrata proprio tale condizione, in ragione delle convulse condizioni del caso concreto ed in assenza di fasi di pacato "fronteggiamento", che avrebbero consentito un dialogo tra le forze dell'ordine ed i manifestanti.

La sentenza impugnata ha, peraltro, rilevato non incongruamente come tali condizioni di contesto avessero reso "indispensabile ed urgente" la carica di alleggerimento.

La censura si rivela, peraltro, inammissibile nella parte in cui è volta a contestare le concrete modalità di svolgimento delle intimazioni, in quanto si risolve nella prospettazione di una versione alternativa dei fatti, che esula dall'ambito cognitorio proprio della giurisdizione di legittimità.

Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

5. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentato la erronea applicazione della legge penale, in relazione al ritenuto concorso degli imputati nei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni, in quanto la Corte di Appello di Torino, accedendo alla teorizzazione di una sorta di responsabilità collettiva dei presenti alla manifestazione in relazione a ciascun delitto commesso nell'ambito della manifestazione studentesca, aveva inammissibilmente dilatato l'ambito della fattispecie del concorso di persone nel reato.

La mera partecipazione alla manifestazione e, quindi, la presenza sul luogo del reato, infatti, non poteva essere convertita in un contributo moralmente rilevante dei ricorrenti alla commissione in forma concorsuale dei predetti delitti.

6. Manifestamente infondato si rivela anche tale motivo.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (ex plurimis: Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, Salamone, Rv. 268972).

In tale prospettiva interpretativa, anche la semplice presenza sul luogo dell'esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa purchè, palesando chiara adesione alla condotta dell'autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all'azione e un maggiore senso di sicurezza (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979).

La partecipazione psichica a mezzo istigazione richiede, del resto, che sia provato, da parte del giudice di merito, che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche soltanto rafforzato (Sez. 6, n. 39030 del 05/07/2013, Pagano, Rv. 256608; Sez. 1, n. 2260 del 26/03/2014, A., Rv. 261893).

La sentenza della Corte di Appello di Torino ha, tuttavia, congruamente rilevato come fosse giustificata la condanna degli imputati pronunciata all'esito del giudizio di primo grado non solo per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, ma anche per quello di lesioni aggravate, in quanto i medesimi avevano concorso materialmente agli stessi; il B. era, infatti, stato visto dagli inquirenti lanciare un oggetto all'indirizzo delle forze dell'ordine e la L. aveva scagliato all'indirizzo degli operanti una bottiglietta.

Inammissibile si rivela, inoltre, la censura nella parte in cui i ricorrenti deducono che la L. aveva, invero, lanciato la bottiglietta in terra, quale gesto di stizza, in quanto la stessa si risolve in una sollecitazione ad una rinnovata valutazione dei fatti di causa, in una chiave alternativa a quella enucleata dalla sentenza impugnata, anzichè in una verifica della coerenza logica della loro interpretazione rispetto agli atti del processo.

Parimenti inammissibile è la doglianza secondo la quale la mancata identificazione dell'oggetto lanciato dal B. potrebbe assumere al più valenza di oltraggio e non già integrare il più grave delitto di resistenza a pubblico ufficiale.

La sentenza impugnata ha, infatti, congruamente rilevato come il lancio dell'oggetto da parte del B. all'indirizzo delle forze dell'ordine, indipendentemente dalla identificazione specifica dello stesso, nel contesto di una aggressione posta in essere dai manifestanti ai danni delle forze dell'ordine, in inferiorità numerica, accompagnata dal lancio di oggetti, integra una condotta rilevante sotto il profilo del concorso materiale.

Parimenti, tutt'altro che illogicamente, la Corte di appello di Torino ha rilevato che le condotte del B. e della L., oltre ad essere rilevanti quali forme di contributi materiali alla realizzazione delle predette fattispecie di reato in forma concorsuale, integravano anche forme di concorso morale negli stessi.

Gli imputati, infatti, con il loro comportamento avevano, se non determinato, sicuramente rafforzato i compagni di corteo nella decisione di attaccare il cordone della polizia, nonchè di intraprendere contro lo stesso un serrato lancio di oggetti, ponendo, pertanto, in essere ai danni degli appartenenti alle forze dell'ordine condotte di violenza e di minaccia.

7. Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 2000 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 25 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017