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Mandato Europeo belga non richiede verifiche in concreto di rispetto dei diritti fondamentali (Cass. 42745/17)

27 settembre 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

In sede di MAE richiesto dal Belgio, non può più sostenersi l'esistenza in Belgio di un problema grave e persistente di malfunzionamento del sistema penitenziario che giustifichi allo stato l'applicazione del meccanismo di verifica "in concreto", che presuppone l'accertamento preliminare dell'esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro di emissione ( e solo a verifica positiva l'autorità giudiziaria deve procedere alla ulteriore verifica, in concreto, del trattamento riservato alla persona richiesta in consegna).

L'autorità giudiziaria italiana in sede di procedimento MAE, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna: è riservata alla sola autorità giudiziaria del paese emittente la valutazione in concreto degli elementi indiziari, esulando dai poteri conferiti al giudice dello Stato di esecuzione qualsiasi valutazione in ordine all'adeguatezza del materiale indiziario posto alla base del provvedimento cautelare e degli elementi di prova addotti a discarico dal ricorrente, i quali trovano la loro normale sede di prospettazione e disamina dinanzi all'autorità giudiziaria emittente.

Quanto alla traduzione degli atti della procedura del Mandato di Arresto Europeo, l'ambito applicativo delle novellate disposizioni di cui all'art. 143 c.p.p., che hanno recepito nell'ordinamento interno i principi contenuti nell'art. 3 della direttiva 2010/64/UE, comprende anche la speciale disciplina della procedura di consegna relativa al mandato di arresto Europeo, con la conseguenza che l'imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana ha diritto ad ottenere la traduzione degli atti suindicati solo se ne faccia espressa e motivata richiesta.

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

setntenza 19.09.2017 (ud. 15/09/2017), n. 42745

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto G. - Presidente -

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -

Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere -

Dott. GIORDANO Emilia A. - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.E., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza dell'03/08/2017 della Corte di appello dell'Aquila;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Cardia Delia, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello dell'Aquila disponeva la consegna di R.E., richiesta con mandato di arresto Europeo dalle autorità giudiziarie di Limburg (Belgio), al fine del suo perseguimento penale per i reati di furto con scasso e associazione per delinquere, commessi nel marzo 2017 in Belgio.

2. Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione, a mezzo del suo difensore, R.E., deducendo come motivi:

- la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non potendosi ritenere sufficienti, come base probatoria, le dichiarazioni del F., in quanto estremamente labili e prive di riscontri individualizzanti, e le investigazioni di polizia, quanto alla presenza del ricorrente nei paraggi dei luoghi della commissione del furto; la Corte di appello non avrebbe controllato la motivazione del provvedimento cautelare sotto tale profilo, come richiesto dalla L. n. 69 del 2005, art. 17 e dall'art. 705 c.p.p., come interpretato dalla Corte di cassazione in relazione alla Convenzione Europea di estradizione;

- violazione dell'art. 698 c.p.p., comma 1, in considerazione del pericolo concreto che l'estradando sia sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in relazione alla gravissima situazione di sovraffollamento del sistema belga (dimostrata dalla documentazione allegata al ricorso), spettando alla Corte di appello, a norma dell'art. 705 c.p.p., di verificare la presenza di tale causa ostativa all'estradizione, come richiesto agli Stati membri dell'U.E. dalla Corte di giustizia;

- omessa traduzione del mandato di arresto nella lingua albanese o in una lingua veicolare; incomprensibile ed erronea traduzione del mandato di arresto Europeo in lingua italiana.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

2. Va preliminarmente osservato che la sentenza impugnata ha dato attuazione ad una richiesta di consegna sulla base di un mandato arresto Europeo e non di una domanda estradizionale, come sostiene il ricorrente.

Conseguentemente è alla luce della pertinente normativa, contenuta nella L. n. 69 del 2005, che devono essere esaminate le censure difensive.

3. In ordine al primo motivo, va ribadito il consolidato principio in tema di mandato di arresto Europeo, secondo cui, l'autorità giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (ex multis, Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348).

Il giudice italiano deve dunque soltanto rilevare che l'autorità giudiziaria di emissione abbia dato "ragione" del mandato di arresto (che può realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna), attuandosi in ciò il "controllo sufficiente" demandato all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione dal Considerando n. 8 della decisione-quadro del 2002.

Conseguentemente, è riservata alla sola autorità giudiziaria del paese emittente la valutazione in concreto degli elementi indiziari, esulando dai poteri conferiti al giudice dello Stato di esecuzione qualsiasi valutazione in ordine all'adeguatezza del materiale indiziario posto alla base del provvedimento cautelare e degli elementi di prova addotti a discarico dal ricorrente, i quali trovano la loro normale sede di prospettazione e disamina dinanzi all'autorità giudiziaria emittente (tra tante, Sez. 6, n. 44911 del 06/11/2013, Stoyanov, Rv. 257466; Sez. 6, n. 16362 del 16/04/2008, Mandaglio, Rv. 239649).

La Corte di appello nel caso in esame risulta aver fatto buon governo dei principi ora richiamati, richiamando le evidenze fattuali poste alla base del provvedimento cautelare emesso nei confronti del ricorrente, costituite dalla chiamata in correità del coimputato F., dalle captazioni foniche effettate sull'utenza mobile in uso al ricorrente, dagli accertamenti effettuati sui tabulati del traffico telefonico e sulla dislocazione delle celle interessate dal telefono in uso al medesimo.

4. L'ultimo motivo non ha fondamento.

Come ha già condivisibilmente affermato questa Corte in tema di traduzione degli atti della procedura del mandato di arresto Europeo, l'ambito applicativo delle novellate disposizioni di cui all'art. 143 c.p.p., che hanno recepito nell'ordinamento interno i principi contenuti nell'art. 3 della direttiva 2010/64/UE, comprende anche la speciale disciplina della procedura di consegna relativa al mandato di arresto Europeo, con la conseguenza che l'imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana ha diritto ad ottenere la traduzione degli atti suindicati solo se ne faccia espressa e motivata richiesta (Sez. 6, n. 1199 del 08/01/2015, Ivancescu, Rv. 261639).

Dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso non si evince che una tale richiesta sia stata presentata ai giudici distrettuali, nè tantomeno che il ricorrente abbia sollevato in quella sede questioni sulla correttezza della traduzione in lingua italiana del mandato di arresto Europeo.

5. Il secondo motivo non può essere accolto.

Questa Corte ha già più volte affermato che, ai fini dell'applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), è necessario accertare preliminarmente l'esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro di emissione, per poi procedere alla verifica, in concreto, del trattamento riservato alla persona richiesta in consegna (tra tante, Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296).

Secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione Europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu), questo preliminare accertamento va condotto dallo Stato di esecuzione sulla base di "elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati" sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione. A tal fine, la Corte di giustizia ha indicato quali fonti conoscitive qualificate le decisioni giudiziarie internazionali, in particolare le sentenze della Corte EDU, le decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonchè le decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.

Relativamente al Belgio, il Collegio rileva che la Corte EDU, nel condannare tale Stato nel caso Vasilescu (sentenza del 25 novembre 2014), ha accertato che le condizioni materiali di detenzione in alcuni penitenziari erano contrarie al divieto di trattamenti inumani e degradanti, rilevando come il sovraffollamento carcerario, nonchè i problemi di igiene e la fatiscenza degli stabilimenti penitenziari in Belgio, avessero carattere generale. Pertanto, ha raccomandato allo Stato l'adozione di misure generali al fine di garantire condizioni detentive conformi all'art. 3 della CEDU e l'introduzione di uno strumento di ricorso effettivo per evitare il protrarsi di una violazione in atto o ottenere il miglioramento delle condizioni di trattenimento.

Dopo tale sentenza, la Corte EDU ha emesso solo tre pronunce sul tema della situazione carceraria in Belgio: mentre in due casi si trattava di carenze relative al trattamento di persone con problemi psichiatrici, nel terzo (sentenza Sylla e Nollomont del 16 maggio 2017) la Corte ha constatato la violazione dell'art. 3 CEDU per problemi di sovraffollamento carcerario (risalente al 2013) e di fumo passivo in carcere (risalente al 2015, nel quale peraltro aveva rilevato l'assegnazione al detenuto di uno spazio adeguato).

Nella riunione tenutasi nel settembre 2016 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha esaminato l'esecuzione della sentenza Vasilescu, quanto alle misure generali adottate, e ha rilevato "con interesse le misure globali adottate o previste dalle autorità belghe, volte a ridurre la popolazione carceraria e al rinnovamento delle infrastrutture carcerarie, in particolare per l'attuazione di una politica penale appropriata" e ha preso atto delle informazioni fornite dal Belgio "in merito alla diminuzione del sovraffollamento carcerario" e delle misure indicate dalle autorità belghe per "i problemi di mancanza di igiene e di vetustà" delle strutture, invitando "le autorità a continuare a mantenere il Comitato informato di qualsiasi sviluppo volto a dimostrare l'efficacia del rimedio preventivo per i reclami relativi ai problemi di sovraffollamento, mancanza di igiene e di vetustà delle carceri".

A fronte di queste informazioni ufficiali che registrano alla data del settembre 2016 un miglioramento della situazione carceraria in Belgio, il ricorrente ha allegato notizie stampa aventi ad oggetto da un alto statistiche sul sovraffollamento carcerario in Belgio rilevate nel 2012 e nel 2014 e dall'altro un problema isolato, occorso nel maggio 2016, causato da uno sciopero del personale penitenziario durato 16 giorni che aveva provocato gravi disagi ai detenuti.

Pertanto, non può sostenersi l'esistenza in Belgio di un problema grave e persistente di malfunzionamento del sistema penitenziario che giustifichi allo stato l'applicazione del meccanismo di verifica "in concreto" delineato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.

6. Al rigetto del ricorso seguono le statuizioni di legge in ordine alle spese processuali.

La Cancelleria procederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017