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MAE rifiutato, sentenza straniera da riconoscere (Cass. 10086/23)

9 marzo 2023, Cassazione penale

Quando la Corte di appello rifiuti la consegna disponendo l'esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza inflitta con la condanna emessa nello Stato emittente, ai sensi dell'art. 18-bis, legge n. 69 del 2005, è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il mandato di arresto europeo e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana. In particolare, tra le condizioni per il riconoscimento, l'art. 10 D.Lgs. n. 161 del 2010 contempla anche la compatibilità della durata e della natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emissione con quelle previste in Italia per reati simili, contemplando, al comma 5, in caso di esito negativo di tale verifica, la possibilità per il giudice di procedere al loro adattamento secondo i canoni di giudizio indicati dalla medesima norma.

Il procedimento di deliberazione del riconoscimento della sentenza straniera attribuisce alla Corte di appello esclusivamente le funzioni di giudice dell'esecuzione e non comporta una riapertura del processo di cognizione.

 

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sent., (data ud. 08/03/2023) 09/03/2023, n. 10086

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente -

Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. ROSATI Martino - Consigliere -

Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza emessa il 31 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Debora Tripiccione;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. A.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna che ha rifiutato la sua consegna all'Autorità giudiziaria spagnola in esecuzione del mandato di arresto Europeo per l'esecuzione della condanna irrevocabile n. 374 del 10 dicembre 2014 per il reato di furto in abitazione con effrazione e concorso e disposto l'esecuzione in Italia della pena residua di anni uno, mesi sei e giorni diciotto di reclusione (da cui va detratto l'ulteriore periodo di privazione della libertà personale a far tempo dall'arresto, calcolato, alla data della sentenza, in mesi tre e giorni sedici).

Deduce la violazione degli artt. 738, comma 2, c.p.p., L. n. 689 del 1981 art. 56 e D.L. n. 162 del 2022 art. 95, comma 1, convertito dalla L. n. 199 del 2022 in quanto la Corte territoriale ha erroneamente dichiarato inammissibile la richiesta di sostituzione della reclusione con la detenzione domiciliare sostitutiva escludendo la equiparabilità del procedimento ad un processo di appello ai sensi dell'art. 738, comma 2, c.p.p. Premette il ricorrente che la richiesta di sostituzione è stata personalmente presentata all'udienza dinanzi alla Corte di appello del 31 gennaio 2023 e che la pena inflitta è formalmente sostituibile con la detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 56 della L. n. 689 del 1981. Sostiene, inoltre, che la Corte ha erroneamente interpretato l'art. 738, comma 2, c.p.p. che, equiparando, ad ogni effetto, la corte di appello che delibera il riconoscimento al giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna, investe detta corte delle funzioni di giudice della cognizione. Ciò trova conferma nel dato letterale,non rinvenendosi nell'art. 738 cit. alcun riferimento alla irrevocabilità della sentenza.

Motivi della decisione


1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto.

Va, innanzitutto, premesso che anche a seguito delle modifiche apportate alla L. n. 69 del 2005 dal D.Lgs. n. 2 febbraio 2010, n. 10, allorchè la Corte di appello rifiuti la consegna disponendo l'esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza inflitta con la condanna emessa nello Stato emittente, ai sensi dell'art. 18-bis, L. n. 69 del 2005, è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il mandato di arresto Europeo secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 aprile 2008, sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea) e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana.

In particolare, tra le condizioni per il riconoscimento, l'art. 10 D.Lgs. n. 161 del 2010 contempla anche la compatibilità della durata e della natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emissione con quelle previste in Italia per reati simili, contemplando, al comma 5, in caso di esito negativo di tale verifica, la possibilità per il giudice di procedere al loro adattamento secondo i canoni di giudizio indicati dalla medesima norma (la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, nè più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna; la pena detentiva e la misura di sicurezza restrittiva della libertà personale non possono essere convertite in pena pecuniaria.) Va, inoltre, aggiunto che, ai sensi del D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 16, comma 1, quando è pronunciata sentenza di riconoscimento, la pena è eseguita secondo la legge italiana. Il comma 2, inoltre, contiene una disposizione affine all'art. 738, comma 2, c.p.p. in quanto prevede che la corte di appello che ha deliberato il riconoscimento è equiparata, a ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario.

Tale equiparazione è stata erroneamente interpretata dal ricorrente come espressione di una regressione del procedimento nella fase della cognizione. Va, infatti, considerato che, come chiarisce l'art. 2 del citato D.Lgs. n. 161 del 2010, il sintagma sentenza di condanna deve intendersi in riferimento a una "decisione definitiva emessa da un organo giurisdizionale di uno Stato membro dell'Unione Europea con la quale vengono applicate, anche congiuntamente, una pena o una misura di sicurezza nei confronti di una persona fisica".

Analogamente, anche la disciplina ordinaria in tema di riconoscimento di sentenze penali straniere contenuta agli artt. 730 e ss. c.p.p. richiede quale presupposto la irrevocabilità della sentenza (art. 734c.p.p.).

Deve, dunque, ritenersi che la deliberazione del riconoscimento della sentenza straniera attribuisce alla Corte di appello esclusivamente le funzioni di giudice dell'esecuzione e non comporta, come erroneamente ritenuto dal ricorrente, una riapertura del processo di cognizione.

Conseguentemente, erra il ricorrente nel dedurre la violazione dell'art. 95 D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150 in tema di disciplina transitoria delle nuove disposizioni introdotte in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi. Va, infatti, considerato che attraverso tale disposizione il legislatore ha inteso regolamentare l'applicazione delle nuove disposizioni, di natura pacificamente sostanziale, esclusivamente ai processi penali pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2022). La norma, infatti, fa riferimento ai processi pendenti in primo e secondo grado e prevede una specifica procedura, da attivare dinanzi al giudice dell'esecuzione, per il solo caso del condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni di reclusione all'esito di un procedimento pendente dinanzi alla Corte di cassazione alla data del 30 dicembre 2022.

Legittimamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la richiesta di sostituzione della pena detentiva inflitta con la misura sostitutiva invocata dal ricorrente.

Ciò non comporta che questo sia privo di tutela, potendo invocare, ricorrendone i presupposti di legge, l'applicazione di una misura alternativa alla detenzione.

2. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. n. 69 del 2005.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2023