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MAE ineseguito, va riconosciuta sentenza UE? (Cass. 8439/18)

2 dicembre 2018, Cassazione penale

Nel caso in cui rifiuti la consegna in relazione ad un mandato di arresto Europeo c.d. esecutivo, disponendo l'esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano (o al cittadino di altro Paese dell'Unione legittimamente residente o dimorante in Italia), qualora il Paese richiedente sia uno Stato membro  che abbia dato attuazione alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 aprile 2008 sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea, la Corte d'appello è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il MAE, in ossequio alle norme del D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni tese appunto a conformare il diritto interno alla predetta decisione quadro), e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

 Sent., (ud. 16/02/2018) 21-02-2018, n. 8439

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente -

Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -

Dott. VIGNA Maria S. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 10 novembre 2017 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Sabina Vigna;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Sentito il difensore, avvocato CB che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 10 novembre 2017 la Corte d'appello di Bologna ha rifiutato, ex L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), la consegna di C.F. alle competenti Autorità della Repubblica di Romania, che ne avevano fatto richiesta in conseguenza del mandato di arresto Europeo n. 6 del 17 luglio 2017 (emesso dal Tribunale di Hunedoara per l'esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale di Hunedoara il 9 dicembre 2014, irrevocabile dal 23 giugno 2017 per effetto della sentenza della Corte di Alba Iulia, che lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione per i reati di associazione a delinquere, falsificazione di documenti, evasione fiscale e contributiva commessi negli anni 2009/2012), riconoscendo la su indicata pronuncia ai sensi del D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 12, commi 5 e 7, ai fini dell'esecuzione della suddetta pena detentiva in Italia.

2. Dopo avere dato conto della sussistenza del requisito della doppia punibilità e del limite di pena di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 7, comma 3, la Corte ha evidenziato come, sulla base delle informazioni assunte presso l'A.G. rumena, nell'istituto penitenziario ove sarebbe scontata la pena, non ricorrano le condizioni per garantire il rispetto della persona e delle più elementari esigenze di vita, in relazione allo spazio inframurario, da ritenere insufficiente.

Il Collegio distrettuale ha, però, ritenuto sussistenti le condizioni previste dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. r),, trattandosi di persona stabilmente residente in Italia, ove svolge una regolare attività lavorativa e ove lo stesso consegnando ha chiesto - tramite il difensore - di scontare la pena, ed ha pertanto proceduto al riconoscimento della sentenza ai fini della sua esecuzione in Italia.

La Corte d'appello ha, quindi, rilevato che non ricorrono i presupposti per l'applicazione del condono di cui alla L. 31 luglio 2006, n. 241, nè risultano presofferti in custodia cautelare ad eccezione per periodo di custodia a fini estradizionali a partire dal 16 agosto 2017 e pari a giorni 87. Per effetto del rifiuto di consegna, ha, infine, disposto la revoca della misura degli arresti domiciliari in atto a fini estradizionali.

3. Il difensore di C.F. ha proposto nel suo interesse ricorso per cassazione deducendo come unico motivo la carenza di motivazione e la erronea valutazione della legge in ordine alla legittimazione ex L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r) relativa riconoscimento della sentenza rumena in Italia.

La Corte territoriale rilevava la sussistenza delle condizioni di cui alla citata Legge, art. 18, lett. r) e riconosceva la sentenza straniera in Italia disponendo l'esecuzione della pena. Tale passaggio necessitava di diverse motivazioni e di ulteriori approfondimenti.

La documentazione inviata in data 9 novembre 2017 è insufficiente poichè la motivazione della condanna è chiara solo nella sentenza di primo grado, in quanto, testualmente la sentenza di secondo grado indica nell'intestazione "minuta della decisione".

La sentenza straniera per essere recepita nel nostro paese deve avere tutti i requisiti non solo formali ma soprattutto sostanziali e cioè vi deve essere una disamina attenta delle motivazioni che hanno indotto l'autorità rumena a condannare l'imputato e a stabilire che tali argomentazioni debbano essere almeno condivisibili nel nostro paese.

La motivazione della Corte di appello di Bologna è parziale e non esaustiva.

Non si riscontrano la pena base e i relativi aumenti, per questo ci si trova di fronte a una distonica valutazione che in sede esecutiva può provocare notevoli problemi al fine di ottenere la sospensione dell'ordine di carcerazione o dei benefici penitenziari, non riuscendo a calcolare ogni singolo aumento.

4. In data 13/02/2017 il difensore ha depositato motivi aggiunti ribadendo la violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ineseguibilità in Italia della sentenza rumena di condanna inflitta al ricorrente e in funzione dell'erronea applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali per violazione del D.Lgs. n. 161 del 2010.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile stante la genericità dei motivi dedotti.

2. Deve evidenziarsi che, nel caso in cui rifiuti la consegna in relazione ad un mandato di arresto Europeo c.d. esecutivo, disponendo - ai sensi della L. 22 giugno 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), - l'esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano (o al cittadino di altro Paese dell'Unione legittimamente residente o dimorante in Italia), qualora il Paese richiedente sia uno Stato membro (come la Romania) che abbia dato attuazione alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 aprile 2008 (sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea), la Corte d'appello è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il MAE, in ossequio alle norme del D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni tese appunto a conformare il diritto interno alla predetta decisione quadro), e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana (da ultimo, Sez. 6, n. 38557 del 17/09/2014, Turlea, Rv. 261908).

2.1. Ne consegue che, in caso di incompatibilità della natura e della durata delle pene previste nei due ordinamenti, la Corte d'appello deve procedere agli adattamenti necessari, applicando i principi fissati - in tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea - dal D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, art. 10, comma 5, (pena non inferiore a quella prevista dalla legge italiana, nè più grave di quella applicata nello Stato di emissione; pena detentiva non convertibile in sanzione pecuniaria), qualora, come nel caso della Romania, pure il Paese richiedente abbia dato attuazione alla predetta decisione quadro (Sez. 6, n. 4413 del 29/01/2014, Nalbariu, Rv. 258259; Sez. 6, n. 20527 del 14/05/2014, Vatrà, Rv. 259785; Sez. 6, n. 21912 del 27/05/2014, Varga, Rv. 262269; Sez. 6, n. 38557 del 17/09/2014, Turlea, Rv. 261908; Sez. 6, n. 53 del 30/12/2014, dep. 2015, Petrescu, Rv. 261803; Sez. 6, n. 35986 del 18/07/2017, Untea, non mass; Sez. 6 n. 3075 del 22/11/2017, Casiroli, non mass.).

La Corte deve inoltre verificare che vi sia il consenso dell'interessato o, in mancanza di esso, che sussistano le condizioni di cui al D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, art. 10, comma 1 lett. a) e b), (in caso di cittadino italiano) ovvero che vi sia l'autorizzazione all'esecuzione del Ministero di giustizia con decreto ex D.Lgs., art. 12, comma 2 (in caso di cittadino straniero);

La deduzione della causa di rifiuto della consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), della può sostanzialmente equipararsi alla manifestazione di un consenso alla riconoscimento della sentenza straniera, ai sensi del D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 10, comma 1, lett. d) (Sez. 6, n. 46304 del 5/11/2014, Danila, Rv. 260826): consenso che la stessa Corte d'appello, peraltro, può acquisire d'ufficio.

Al di fuori di casi specifici, la manifestazione del consenso al riconoscimento della sentenza estera deve essere chiaramente espressa dall'interessato o, comunque, ritenersi implicitamente ricavabile dall'invocata applicazione del motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), in forza del quale la Corte d'appello dispone l'esecuzione in Italia della pena irrogata al cittadino italiano o di altro Paese dell'Unione legittimamente residente o dimorante in Italia.

2.2. La Corte deve, inoltre, verificare che ricorrano le altre condizioni previste dal citato D.Lgs., artt. 10 e 11 (quali l'osservanza del principio della doppia incriminazione) e non sussistano condizioni ostative al riconoscimento di cui al del citato D.Lgs., art. 13.

2.3 Il sindacato del Collegio del gravame ai fini del riconoscimento della condanna pronunciata da altro giudice comunitario per la relativa esecuzione in Italia deve rimanere rigorosamente ancorato alla verifica degli aspetti rilevanti nella prospettiva esclusiva di dare esecuzione della pena inflitta con la sentenza irrevocabile, sia pure nel rispetto dei principi generali di eguaglianza, equità e ragionevolezza (v. il considerando n. 6 alla decisione quadro 2008/909/GAI), dei diritti fondamentali della persona di cui all'art. 6 del Trattato dell'Unione Europea e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (v. il considerando n. 13 alla predetta decisione quadro) nonchè dei principi costituzionali del giusto processo e delle libertà di associazione, di stampa e d'espressione (v. il considerando n. 14 alla predetta decisione quadro).

3. Ciò premesso, deve rilevarsi che nel caso de quo, la Corte d'appello di Bologna ha riconosciuto la sentenza pronunciata dall'A.G. romena e disposto l'esecuzione in Italia della pena con essa irrogata sulla base della stessa richiesta dell'interessato, formulata formalmente in udienza.

3.1. La sentenza di cui la Corte d'appello ha disposto il riconoscimento e l'esecuzione non è immotivata, là dove la "minuta di decisione" (così essendo effettivamente intestato il provvedimento) costituisce, a ben vedere, il provvedimento pubblicato il 23 giugno 2017 mediante lettura in udienza dai giudici della Corte d'appello di Alba - Iulia (come si evince chiaramente dalla dicitura in calce all'ultima pagina della sentenza stessa), reca l'indicazione delle norme di legge violate, precisa la pena inflitta per ciascuna delle contestazioni e chiarisce le modalità con le quali la pena complessivamente inflitta è stata calcolata (id est quella di cinque anni di reclusione), segnatamente applicando soltanto la pena applicata per il reato più grave, in essa assorbita la pena inflitta per i reati meno gravi in in applicazione del combinato disposto dell'art. 5 c.p. rumeno, art. 33 c.p. rumeno, lett. a), art. 34 c.p. rumeno, lett. b) e art. 35 c.p. rumeno in tema di concorso di reati.

3.2. Deve sottolinearsi che il ricorrente non ha evidenziato alcun profilo di illegalità della pena inflitta dai giudici romeni, nè ha indicato alcun profilo d'incompatibilità della pena medesima rispetto all'ordinamento nazionale sì da rendere necessario un provvedimento del Giudice distrettuale di "adattamento" della risposta sanzionatoria inflitta con la sentenza posta a base del MAE ai fini della relativa esecuzione in Italia.

Il ricorso si risolve dunque in una generica ed immotivata censura al provvedimento di riconoscimento, con il quale non vengono dedotti elementi suscettibili di impedire l'esecuzione della pena inflitta con la decisione dell'A.G. rumena ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, art. 10 e segg..

4. L'indicazione di motivi generici, in violazione dell'art. 581 c.p.p., lett. c) nell'atto di impugnazione rende inammissibile il proposto gravame anche se successivamente vengono depositati motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., ad integrazione, nei termini di legge (Sez. 1, n. 4641 del 03/12/1991 (dep. 23/01/1992), Rv. 190733).

5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2018