Quando problematiche carcerarie sono note ed ufficiali, perché risultano da fonti aperte internazionali accreditate (come condanne della Corte Edu; Rapporti ONU e altri organismi internazionali) è onere del Giudice dello Stato di esecuzione formulare una richiesta di integrazione di informazioni allo Stato emittente per specificare in concreto quale sarà il trattamento penitenziario riservato alla persona richiesta (in quale carcere, e quali sono le relative condizioni di affollamento o le soluzioni adottate per le altre segnalate problematiche da parte del CPT del Consiglio d'Europa): La consegna sarà disposta solo se l'autorità giudiziaria di esecuzione escluda, all'esito di informazioni individualizzate, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante rispetto alla persona richiesta, verificando in quale carcere il ricorrente sarebbe ristretto e le condizioni di detto istituto.
Il trasferimento di una persona detenuta da uno Stato ad un altro per consentire l'espiazione della pena nello Stato di origine può avvenire attraverso distinte procedure che fanno riferimento alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(data ud. 09/04/2025) 10/04/2025, n. 14191
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
A.A., nato in Germania il (Omissis)
avverso la sentenza del 19/03/2025 della Corte di appello Messina
visti gli atti il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Riccardo Amoroso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Flavia Alemi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito l'Avv. DI, in sostituzione dell'Avv. AP difensore di A.A., che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Messina ha pronunciato decisione favorevole alla consegna di A.A. alle competenti Autorità della Ungheria, in relazione al mandato di arresto europeo emesso il 20 dicembre 2024 per la esecuzione della sentenza di condanna, passata in giudicato, relativa ad una pena di anni due di reclusione per i reati detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
A seguito del suo arresto del 14 marzo 2025 ed all'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, la Corte di appello di Messina non ha ravvisato la sussistenza di condizioni ostative all'esecuzione del mandato di arresto europeo riferite ai trattamenti disumani e alle condizioni delle carceri in Ungheria, in assenza di provvedimenti di sospensione della disciplina del MAE da parte dell'Italia o dell'U.E. per violazione dei diritti fondamentali che possano giustificare la necessità di operare verifiche in concreto in merito a tali aspetti con riferimento al rispetto dei diritti umani nelle carceri ungheresi.
2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'Appello, il difensore di fiducia di A.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi qui di seguito illustrati.
2.1. Con i primi due motivi deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 2 e 16 della legge 69/2005 e art. 3 CEDU in relazione al pericolo di trattamenti disumani e degradanti. Si osserva che la Corte d'Appello non ha richiesto informazioni dettagliate sulla esecuzione della pena, ignorando illegittimamente del tutto le allegazioni della difesa circa la condizioni critiche delle carceri in Ungheria testimoniate dal rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del 2023. In definitiva, si censura l'errore di diritto per non essere stata presa in considerazione la situazione critica delle carceri in Ungheria testimoniata dal rapporti del Comitato per la prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa del 2023, oltre che dalle relazioni dell'associazione Comitato Helsinki sulle gravi condizioni di sovraffollamento delle carceri ungheresi rimane allarmante nonostante le numerose condanne della Corte europea per i Diritti dell'Uomo (Hungarian Helsinki Committee - comunicazione del 17/12/2023).
2.2. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in riferimento all'art. 696-novies cod. proc. pen. e 2 L. 69/2005 in relazione agli artt. 4 e 6 della Decisione Quadro 2002/584/GAI. La Corte di appello non si è espressa sulla richiesta di espiazione della pena presso lo Stato di residenza del condannato (Austria) nonostante la disponibilità offerta dalle Autorità di questo Stato a dare esecuzione alla pena presso il proprio territorio nazionale. L'art. 696-octies cod. proc. pen. prescrive che l'autorità giudiziaria dia esecuzione alle decisioni con modalità idonee ad assicurarne la tempestività ed efficacia ed in particolare nel caso di specie l'esecuzione della pena nello Stato di residenza garantirebbe meglio le finalità di rieducazione della pena.
2.3. Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 8 CEDU perché la Corte di appello non tenuto conto che la consegna allo Stato Ungherese comporta una ingiustificata interferenza con il diritto alla vita familiare del condannato, atteso il suo radicamento territoriale e familiare in Austria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato con riferimento ai primi due motivi.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, ai fini della configurabilità del motivo di rifiuto della consegna previsto dall'art. 18, comma 1, lett. h), legge 22 aprile 2005, n. 69 - nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 - per accertare l'effettiva sussistenza di un pericolo di trattamento inumano e degradante, ostativo alla consegna del detenuto all'autorità dello Stato membro di emissione occorre l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria remittente, di informazioni "individualizzate" sul regime di detenzione (Sez. 6, n. 26383 del 05/06/2018, Chira, Rv. 273803). Principio che questa Corte di cassazione ha ritenuto ancora valido anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 10 del 2021, con il quale è stata sensibilmente modificata la disciplina delle cause di rifiuto della consegna richiesta con un mandato di arresto europeo, in quanto si è chiarito che sussiste una continuità normativa tra l'art. 18, comma 1, lett. h), legge n. 69 del 2005, abrogato dall'art. 12 D.Lgs. n. 10 del 2021, ed il novellato art. 2 della predetta legge, relativamente al rifiuto della consegna, ove sussista il rischio di sottoposizione del consegnando a trattamenti inumani o degradanti (così, tra le tante, Sez. 6, n. 14220 del 14/04/2021, Zlotea, Rv. 280878).
Restano, dunque, tuttora operanti i criteri in merito forniti dalla Corte di giustizia della Unione europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu), per cui l'accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna, una volta puntualmente sollecitato dalle indicazioni difensive del soggetto da consegnare, va svolto attraverso la richiesta allo Stato emittente di tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l'interessato (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296).
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha (..) il tema della affidabilità delle fonti informative aperte che il ricorrente non ha affrontato in alcun posto a fondamento del ricorso e delle conclusioni formulate in sede di discussione del giudizio trattato dalla Corte di appello.
D'altra parte, se le problematiche carcerarie sono note ed ufficiali, perché risultano da fonti aperte internazionali accreditate (come condanne della Corte Edu; Rapporti ONU e altri organismi internazionali) è onere del Giudice dello Stato di esecuzione formulare una richiesta di integrazione di informazioni allo Stato emittente per specificare in concreto quale sarà il trattamento penitenziario riservato alla persona richiesta (in quale carcere, e quali sono le relative condizioni di affollamento o le soluzioni adottate per le altre segnalate problematiche da parte del CPT del Consiglio d'Europa).
A fronte di informazioni provenienti dalle segnalazioni emergenti dal Rapporto del 2023 del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa (CPT) sul tema del sovraffollamento carcerario e del trattamento degradante nelle carceri ungheresi, deve essere verificato e ponderato il concreto rischio che il soggetto, di cui è chiesta la consegna, possa trovarsi esposto all'eventualità della sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, correlati alle condizioni degli istituti carcerari di detto Stato estero, in ragione del sovraffollamento o di altri problemi strutturali e non puramente contingenti.
D'altro canto, in presenza di una situazione di allarme, originata dall'accertata esistenza di condizioni di rischio, la necessaria verifica implica che siano acquisite specifiche assicurazioni dallo Stato di emissione, che non possono solo concernere profili di carattere generale, ma devono essere individualizzate in relazione alla situazione riguardante il soggetto interessato alla procedura di consegna.
Di qui il vizio per violazione di legge della sentenza impugnata, occorrendo assumere informazioni sul tipo di trattamento carcerario cui sarebbe specificamente sottoposto il ricorrente.
In tal senso va per intero richiamato quanto sul punto illustrato nella sentenza Barbu (Sez. 6, n. 23277 del 1/6/2016, Barbu, Rv. 267296) ai fini del tipo di informazioni necessarie e delle conseguenze che possono discendere dalla mancanza di risposte adeguate allo scopo.
La consegna sarà quindi disposta se l'autorità giudiziaria di esecuzione escluda, all'esito di informazioni individualizzate, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante rispetto alla persona richiesta, verificando in quale carcere il ricorrente sarebbe ristretto e le condizioni di detto istituto.
L'autorità giudiziaria di esecuzione dovrà poi rinviare la propria decisione sulla consegna fintantoché non ottenga - entro un termine ragionevole - informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di un siffatto rischio.
La sentenza va dunque annullata, con rinvio per nuovo esame del capo relativo al trattamento carcerario, nei termini fin qui esposti.
2. Sono manifestamente infondati gli ultimi due motivi.
La residenza della persona richiesta presso uno Stato europeo diverso da quello di esecuzione non integra alcun motivo di rifiuto della consegna, atteso che l'art. 18-bis, comma 2-bis, legge 22 aprile 2005, n. 69, fa esclusivo riferimento al radicamento nel territorio dello Stato di esecuzione.
Va, peraltro, ricordato che il trasferimento di una persona detenuta da uno Stato ad un altro per consentire l'espiazione della pena nello Stato di origine può avvenire attraverso distinte procedure che fanno riferimento alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983.
La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui all'art. 22, comma 5, della L. n. 69/2005.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Messina.Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, I. n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma il giorno 9 aprile 2025. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2025.