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Inviare foto intime altrui integra revenge porn anche se anonime e senza sequestro (Cass. 11743/25)

28 febbraio 2025, Cassazione penale

Il delitto di cui all'art. 612-ter cod. pen., c.d. di revenge porn, è integrato anche nell'ipotesi in cui la persona offesa non sia riconoscibile dalle parti intime oggetto di illecita diffusione né da ulteriori elementi. Invero, il delitto in esame è collocato nell'ambito di quelli posti a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale e che deve ricevere una protezione assoluta, ossia che prescinda dalla concreta riconoscibilità da parte dei destinatari del video o delle immagini a contenuto sessualmente esplicito della persona le cui parti intime siano rappresentate perché, anche ove ciò non avvenga, si realizza la violazione del bene protetto.

 

Corte di Cassazione

sez. V penale, dep. 28 febbraio 2025, n. 11743

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano confermava la condanna del ricorrente per il delitto di cui all'art. 612-ter cod. pen.

2. Avverso la richiamata sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, avv. FA, articolando tre motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente assume violazione dell'art. 612-ter, commi primo e secondo, cod. pen., nonché degli artt. 192 e 533, comma 1, cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione poiché dal messaggio inviato al D non si potrebbe desumere che l'immagine, pur sessualmente esplicita, ritraeva la persona offesa, come era stato irragionevolmente ritenuto dai giudici di merito in virtù dell'invio di tale immagine nel contesto di una conversazione prolungata con l'amico.

2.2. Mediante il secondo motivo l'imputato denuncia violazione degli artt. 192 e 533, comma 1, cod. proc. pen. nonché in relazione agli artt. 191 e 2 del medesimo codice e motivazione illogica.

A fondamento della censura assume, innanzi tutto, che, nel ritenere dimostrato da parte del consulente tecnico del Pubblico Ministero l'invio delle immagini anche al Cl., sebbene esse non risultassero sul suo dispositivo solo perché ne era verosimile la cancellazione, la Corte era incorsa, come già il giudice di primo grado, in un travisamento della prova.

E di conseguenza detta prova sarebbe derivata solo da uno schreenshot della relativa conversazione non acquisito nel rispetto delle disposizioni processuali di riferimento.

2.3. Con l'ultimo motivo il LC denuncia violazione degli artt. 152 cod. pen., degli artt. 529,336 e 340 cod. pen. e del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 50, poiché la Corte territoriale avrebbe violato ed erroneamente applicato tale norma penale e le relative disposizioni processuali.

Assume, a fondamento di tale censura, che l'art. 152, secondo comma, terzo periodo, cod. pen., per come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, attribuisce valore di remissione al compimento da parte del querelante di fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela, a differenza di quanto previsto nell'art. 340 cod. proc. pen.

Di qui sottolinea che pur non essendosi la persona offesa mai presentala né in udienza preliminare né dinanzi al Giudice monocratico, non ne è stata accertata la persistente volontà che esso ricorrente sia perseguito penalmente.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo è inammissibile.

1.1. A riguardo, occorre premettere che, poiché con esso viene in se stanza censurato un vizio di manifesta illogicità della motivazione delle due decisioni di merito, che, integrando una c.d. doppia conforme, si saldano l'una con l'atta nel dare luogo ad un compendio argomentativo unitario, il convincimento già espresso nella pronuncia di primo grado e ribadito, a fronte delle analoghe censure del Li.Ni., nella sentenza impugnata, è assolutamente plausibile e ancorato a salde risultanze processuali, sì da non consentire alcun sindacato in questa sede di legittimità che non si traduca in un'inammissibile rivalutazione delle prove (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).

E, invero, la possibilità per il destinatario dell'immagine di riconoscere nella stessa la persona offesa è stata ragionevolmente desunta non solo dalla lunga conversazione intrattenuta tra i due amici, ma, altresì, dai riferimenti effettuati dall'imputato alle circostanze relative alla fine della relazione con la "tessa vittima, elementi che, considerato il rapporto d'amicizia tra il Li.Ni. e il Dr., denotano, come ha congruamente evidenziato la Corte d'Appello, la consapevolezza da parte del destinatario dell'identità della donna della quale erano ritratte nelle immagini inviate le parti intime.

1.2. Il collegio ritiene inoltre opportuno precisare che, su un piano generale, la questione sollecitata dal motivo, anche ove in sede di merito non fosse stata accertata la riconoscibilità della persona le cui parti intime erano ritratte: nelle immagini, sarebbe stata priva di pregio.

Ciò in quanto il delitto di cui all'art. 612-ter cod. pen., c.d. di revenge porn, è integrato anche nell'ipotesi in cui la persona offesa non sia riconoscibile dalle parti intime oggetto di illecita diffusione né da ulteriori elementi.

La norma incriminatrice tutela, infatti, le vittime dalla diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privali, che avvenga senza il consenso delle persone rappresentate, e non richiede anche che esse siano riconoscibili.

Invero, il delitto in esame è collocato nell'ambito di quelli posti a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale (Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, T., Rv. 284576, in motivazione), che deve ricevere una protezione assoluta, ossia che prescinda dalla concreta riconoscibilità da parte dei destinatari del video o delle immagini a contenuto sessualmente esplicito della persona le cui parti intime siano rappresentate perché, anche ove ciò non avvenga, si realizza la violazione del bene protetto.

2.Il secondo motivo non è fondato per le ragioni di seguito indicate.

Le suggestive argomentazioni afferenti la circostanza che la fotografia istantanea dello schermo ("screenshot") deve avvenire, trattandosi di una forma di corrispondenza, anche in forza dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 170 del 2023, nelle forme previste dall'art. 254 cod. proc. pen., non si attaglia alla fattispecie in esame.

La richiamata decisione della Corte Costituzionale, infatti, ha per oggetto la tutela della segretezza della corrispondenza ai sensi dell'art. 15 Cost. rispetto a quelle che sono le comunicazioni che riguardano i parlamentari, l'intercetti azione delle quali è stata ritenuta, nell'ambito del conflitto di attribuzioni definito dalla predetta sentenza, lesiva della prerogativa di cui all'art. 68 Cost.

E, invero, nella stessa motivazione della pronuncia in questione, si puntualizza che le forme previste dall'art. 254 cod. proc. pen., cui si riconduce la giurisprudenza di questa Corte, riguardano il solo sequestro della corrispondenza "in itinere" e non già le comunicazioni che ormai siano sui dispositivi dei soggetti interessati, posto che, soggiunge la sentenza n. 170 del 2023, la "disciplina recata dall'art. 254 cod. proc. pen. regola esclusivamente il sequestro di corrispondenza operato presso i gestori di servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni: dunque, il sequestro di corrispondenza in itinere, che interrompe il flusso comunicativo".

Né peraltro si attaglia alla fattispecie in esame il principio, espresso nella recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi "WhatsApp" acquisiti, in violazione dell'art. 254 cod. proc. pen., mediante "screenshots" eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero (Sez. 6, n. 39548 del 11/09/2024, Di Francesco, Rv. 287039).

Il principio non rileva nel caso di specie per due ragioni.

La prima è che, nel caso in discussione, lo "screenshot" ritraente la propria immagine è stato fornito agli inquirenti dalla stessa persona offeso, per documentare l'immagine che le aveva inviato il Cl. (al quale, a propria volta, l'aveva trasmessa l'imputato). Ne consegue che non viene in rilievo un profilo di segretezza della corrispondenza tutelabile ex art. 15 Cost. poiché lo "screenshot" non è stato acquisito da soggetti estranei alla comunicazione cui esso si riverisce, ma è stato consegnato dallo stesso soggetto che aveva partecipalo alla conversazione Cl./Mo. nel corso della quale il primo, per informare l'amica della fotografia che l'imputato gli aveva inviato, aveva i inoltrato l'immagine ricevuta.

La seconda è che la pretesa inutilizzabilità dell'immagine non sarebbe comunque dirimente nell'economia della decisione, come invece pretese dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416); l'immagine prodotta (che pure non è stata rinvenuta sul dispositivo dell'imputato, alla medesima stregua del messaggio inviato al Cl., il che è stato spiegato logicamente dal consulente tecnico del Pubblico Ministero per la possibilità di cancellazione), infatti, non è stata decisiva per pervenire all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente, a fronte della rilevanza probatoria delle convergenti dichiarazioni rese, senza acrimonia, sia dalla vittima che dal Cl. e vagliate anche sul piano dell'attendibilità dei soggetti escussi, dichiarazioni grazie alle quali si è ricostruito l'accaduto.

3.Il terzo motivo non è fondato.

A riguardo, occorre premettere che l'art. 152, terzo comma, n. 1, cod. pen., introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. h), del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30 dicembre 2022, stabilisce che vi è remissione tacita della querela anche nell'ipotesi in cui il querelante, senza giustificato motivo, non comare all'udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone.

Contestualmente l'art. 41, comma 1, lett. t), n. 1), dello stesso D.Lgs. n. 150 del 2022, ha previsto, con la nuova lettera d-bis) del comma 3 dell'art. 142 disp. att. cod. proc. pen., che l'atto di citazione contiene l'avvertimento che la mancata comparizione senza giustificato motivo del querelante all'udienza in cui è citato a comparire quale testimone integra remissione tacita di querela, nei casi in cui essa è consentita.

Le richiamate disposizioni "codificano" l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (Sez. U, n. 31668 del 23/06/2016, Pastore, Rv. 267239-01), ferino restando che il giudice deve comunque dar conto, nel percorso motivazionale, della incompatibilità degli atti compiuti dal querelante con la volontà di persistere nella querela (Sez. 4, n. 5801 del 29/01/2021, Statuetta, Rv. 280484 - 01).

Sennonché, nella fattispecie in esame, la regola in questione non può trovare applicazione poiché la persona offesa non è mai stata citata come teste, in quanto il Tribunale, sul consenso delle parti, ha acquisito le dichiarazioni rese dalla stessa (come dagli altri soggetti assunti a sommarie informazioni nella fase delle indagini preliminari.

Non può infatti ritenersi, come sembra assumere la difesa del ricorrente, evocando la remissione tacita della querela, che la norma espressa dall'art. 152, terzo comma, n. 1, cod. pen. trovi applicazione anche se la persona offesa non si presenti all'udienza nella quale è acquisito il consenso all'acquisizione al dibattimento delle sue dichiarazioni rese nella precedente fase delle indagini preliminari. Si tratta, invero, di fattispecie eterogenee dacché una contraria impostazione condurrebbe ad ampliare il concetto di remissione tacite della querela al di là della volontà del legislatore senza che ricorrano le medesime esigenze che hanno giustificato l'introduzione della nuova ipotesi (già anticipata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite). E ciò poiché, quando le dichiarazioni rese a sommarie informazioni dalla persona offesa sono state acquisite in dibattimento rendendone irrilevante l'esame in tale sede, l'esigenza di una partecipazione attiva della persona offesa al dibattimento medesimo, quale espressione della persistente volontà punitiva, già estrinsecatasi con la presentazione della querela, nei confronti dell'imputato, non può' considerarsi sussistente.

Deve dunque essere affermato il principio di diritto in forza del quale alla remissione tacita della querela, che si realizza, a seguito dell'introduzione nel terzo comma, n. 1, dell'art. 152 cod. pen. da parte del D.Lgs. n. 150 del 2022, "quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all'udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone", non può essere equiparata la condotta della persona offesa che non partecipa al dibattimento quando e parti abbiano dato il consenso all'acquisizione delle sue dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari e, dunque, non sia stata citata in qualità di testimone nel dibattimento.

4.Il ricorso deve pertanto essere complessivamente rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettete le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge, stante la natura dei fatti di reato e i rapporti tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del e spese processuali;

In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.