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Infortunio a scuola non sempre risarcibile (Cass. 9983/19)

10 aprile 2019, Cassazione civile

Infortunio subito da uno studente all’interno della struttura scolastica: ai fini della configurabilità della responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, ma è altresì necessario:

a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara;

b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto.

In caso di infortunio sportivo subito da uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, incombe al medesimo dare la prova dell’illecito commesso da altro studente, quale fatto costitutivo della sua pretesa, laddove è a carico della scuola la prova del fatto impeditivo, cioè l’inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto, ivi ricompresa l’illustrazione della difficoltà dell’attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate affinché gli stessi, se affrontati, possano essere svolti da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza.

In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, ove siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso allorquando l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta, mentre la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, nonché nell’ipotesi in cui pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta l’atto sia a questa funzionalmente connesso, rientrando cioè nell’alea normale della medesima.

 

Corte di Cassazione

sez. III Civile, ordinanza 9 maggio 2018 – 10 aprile 2019, n. 9983
Presidente Armano – Relatore Scarano

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/3/2016 la Corte d’Appello di L’Aquila ha respinto il gravame interposto dai sigg. P.L. ed D.P.E. in relazione alla pronunzia Trib. L’Aquila n. 325/08, di rigetto della domanda proposta nei confronti del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, nonché dell’Istituto Comprensivo Statale Scuola Elementare e Media (omissis) e della chiamata in garanzia compagnia assicuratrice società Allianz s.p.a. - di risarcimento dei danni rispettivamente subiti in conseguenza del sinistro nel quale era rimasto coinvolto il loro figlio D. , "il quale, mentre partecipava ad un torneo di pallamano organizzato dalla propria scuola, l’Istituto Comprensivo Statale, cadeva a terra andando ad urtare contro una panchina, riportando lesioni alla bocca".
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la D.P. , in proprio e quale erede del marito P.L. , e il P.D. , in proprio, propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, tardivamente effettuata con denominato "atto di costituzione" invero non qualificabile come controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio "con il ricorso al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1".
A tale stregua risulta da detta Amministrazione invero violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base al quale il controricorso deve a pena di inammissibilità contemplare l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (v. Cass., 13/3/2006, n. 5400).
Ne consegue che, giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, alla parte contro la quale il ricorso è diretto, la quale non abbia depositato il controricorso (situazione cui deve equipararsi quella in cui come nella specie trattisi di atto privo dei relativi requisiti essenziali, e pertanto non qualificabile come tale), nel periodo che va dalla scadenza del termine per la proposizione del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio - anche se soltanto ai fini della partecipazione alla discussione orale - o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 11/4/1981, n. 2114; Cass., 28/5/1980, n. 3513; Cass., 9/8/1962, n. 2486).
Ai fini della sanatoria, con effetto ex nunc, dell’irrituale attività processuale compiuta nelle more (v. Cass., 28/5/1980, n. 3513) non può d’altro canto nel caso nemmeno valorizzarsi la concreta partecipazione dell’intimato alla discussione orale, non essendo il medesimo comparso all’udienza, svoltasi in camera di consiglio non partecipata.
Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2048 e 2050 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia "ritenuto non responsabile ex art. 2048 c.c." la controparte, senza invero considerare il lamentato "mancato rispetto da parte dell’Istituto scolastico della disposizione dell’art. 1, comma 2, del regolamento ufficiale della Federazione Italiana Giuoco Handball... prescrivente l’obbligo di circondare il terreno di gioco di una fascia di sicurezza di almeno 1 metro sui lati lunghi e di 2 metri sui lati corti, e la mancata predisposizione ed apposizione di apposite ed idonee cautele e protezioni relativamente alle panchine a bordo del campo... atte ad evitare che il P.D. , urtandovi, si procurasse lesioni personali".
Con il 2 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2048, 2050 e 1218 c.c., artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia escluso nella specie la responsabilità di controparte senza prendere in considerazione "le ulteriori ipotesi di responsabilità del Ministero dell’Istruzione ex art. 2051 c.c. e/o ex art. 2043 c.c., e/o ex art. 1218 c.c., prospettate dai ricorrenti nell’atto di appello in data 18.09.2009, oltre che l’ipotesi di responsabilità ex art. 2048 c.c., espressamente allegata dagli attori (odierni ricorrenti) fin dal primo grado".
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato che i motivi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’"atto di citazione in data 18.06.2001", alla "prova testimoniale richiesta", ai "capitoli 1) e 12) di cui alla memoria istruttoria in data 23.01.2004", alle dichiarazioni della teste D.N.L. ", all’espletata CTU, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
È al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Con particolare riferimento al 2 motivo, va sottolineato come il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 debba essere dal ricorrente rispettato nella redazione del ricorso per cassazione pure allorquando la Corte di legittimità è giudice anche del fatto (processuale), come ripetutamente affermato in particolare con riferimento all’ipotesi ex art. 112 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978. E, da ultimo, Cass., 13/2/2018, n. 3406), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, giacché preliminare ad ogni altra questione si prospetta in tale ipotesi quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicché esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonché, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 25/9/2017, n. 22333 e Cass., 13/2/2018, n. 3406).
Va per altro verso posto in rilievo che, al di là della formale intestazione dei motivi, i ricorrenti prospettano in realtà doglianze di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie la contraddittorietà della motivazione ovvero l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Quanto al merito, deve ribadirsi che in caso come nella specie di infortunio subito da uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica nel corso di una partita di pallamano, ai fini della configurabilità della responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, ma è altresì necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto (v. Cass., 28/9/2009, n. 20743).
In termini più generali, si è da questa Corte precisato in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, ove siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso allorquando l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta, mentre la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, nonché nell’ipotesi in cui pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta l’atto sia a questa funzionalmente connesso (v. Cass., 8/8/2002, n. 12012), rientrando cioè nell’alea normale della medesima (v. Cass., 27/10/2005, n. 20908).
Si è altresì sottolineato che, in caso di infortunio sportivo subito da uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, incombe al medesimo dare la prova dell’illecito commesso da altro studente, quale fatto costitutivo della sua pretesa, laddove è a carico della scuola la prova del fatto impeditivo, cioè l’inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto (v. Cass., 8/4/2016, n. 6844), ivi ricompresa l’illustrazione della difficoltà dell’attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate affinché gli stessi, se affrontati, possano essere svolti da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza (v. Cass., 28/7/2017, n. 18903).
Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.
È rimasto nella specie dai giudici di merito accertato che durante una partita di pallamano svoltasi "all’interno della palestra coperta della scuola", il "giovane P.D. ", mentre rincorreva un avversario che gli aveva sottratto il possesso della palla senza toccarlo, cadeva scivolando "all’esterno del campo" di gioco, andando ad urtare "una panchina di legno... dove sedevano i giocatori di riserva".
Risulta nell’impugnata sentenza esposto che "la partita rientrava nella normale attività didattica della scuola;... non vi era stata alcuna azione scorretta o comunque fallosa di altri giocatori;... la partita si è svolta interamente sotto il controllo diretto dell’insegnante;... il campo di gioco era perfettamente libero ed idoneo alla partita;... l’insegnante aveva preventivamente istruito i giocatori".
Si è altresì esclusa la "rilevanza causale" della "presenza di un tavolo nel contorno di un campo di gioco, poiché il P. non è finito contro di esso", nonché della "panchina" contro la quale "sfortunatamente il giocatore è andato ad impattare" essendo "notorio che i campi da gioco siano fiancheggiati da una o più panchine per consentire ai giocatori di riserva di stare seduti, sicché la presenza della stesse costituisce ordinario completamento del campo da gioco, e non certamente in sé una insidia".
Nell’esercizio dei poteri ad essa spettanti la corte di merito è quindi pervenuta a concludere che l’"incidente è avvenuto per una ragionevole causa fortuita, legata alle fisiologiche modalità di gioco della pallamano".
Ravvisando avere la scuola fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 c.c., ha in particolare ritenuto essersi il sinistro nella specie verificato con modalità tali da non potere essere impedito, e rientrare l’evento nell’alea normale dell’attività sportiva cui nella specie lo studente odierno ricorrente ha preso parte.
A fronte del suindicato accertamento e delle conclusioni motivatamente raggiunte dai giudici di merito i ricorrenti non deducono invero doglianza alcuna idonea a scalfire la relativa correttezza, limitandosi a riproporre la tesi difensiva già prospettata in sede di giudizio di merito e non accolta.
Emerge pertanto evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366, n. 4, c.p.c., si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.