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Giudice deve conoscere legislazione degli Stati UE (Cass. 3085/22)

26 gennaio 2022, Cassazione penale

La realtà istituzionale dell'Unione europea non è più assimilabile ad un ordinamento "straniero", cosicché non solo la normativa comunitaria, ma anche il diritto interno degli Stati membri - almeno nella parte coinvolgente i diritti fondamentali (art. 6, n. 2, del vigente Trattato UE) nonché nella parte in cui si intreccia con la funzione giurisdizionale italiana - vanno qualificati come disciplina normativa che il giudice italiano deve conoscere, in base al principio iura novit curia.

Nell'adempiere a tale obbligo conoscitivo - nella specie al fine di colmare eventuale lacune  inoramtive - devono essere richiamati i pertinenti riferimenti normativi dello Stato di emissione belga che ben possono essere ricavati mediante l'accesso al sito ufficiale della Unione Europea Euro-justice che consente di
conoscere le disposizioni contenute nel codice penale e nel codice penale sociale dello Stato belga.

 

Corte di Cassazione

Sez. VI penale Num. 3085 Anno 2022
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CAPOZZI ANGELO
Data Udienza: 25/01/2022

 sui ricorsi proposti da
BS nato a ** il /1972
RB nato in ** /1960
avverso la sentenza del 03/12/2021 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente Angelo Capozzi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;
udito il difensore avv. F. Lugoboni che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha disposto la consegna di RB e BS alla A.G. del Belgio in relazione
ai mandati di arresto europei emessi nei loro confronti rispettivamente il 15 e il 18 ottobre 2021 dal Tribunale di prima istanza francofono di Bruxelles per essere sottoposti a procedimento penale in ordine ai reati di associazione a delinquere, falso, riciclaggio, riduzione in schiavitù ed altro, alla condizione che i predetti consegnandi, dopo essere stati sottoposti a processo, siano rinviati nello Stato Italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà
personale eventualmente applicate nei loro confronti dallo Stato richiedente.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dei consegnandi deducendo con unico atto:

2.1. Con il primo motivo, inosservanza o erronea applicazione dell'art. 18-bis, comma 1 lett.a) I. n. 69/2005, avendo la Corte riconosciuto che parte dei reati era stato commesso in Italia - segnatamente quello associativo, essendo l'organizzazione stabilita in Italia per la sua gestione amministrativa e finanziaria
- errando nel richiamare la necessità che per tali fatti dovesse essere pendente procedimento penale in Italia.

2.2. Con il secondo motivo inosservanza o erronea applicazione degli artt. 6, lett. d) ed f), 7, 8 e 16 della legge n. 69/2005 in relazione alla mancata descrizione di alcuni reati posti a fondamento del mandato di arresto europeo. Rispetto ai nove
reati per i quali questo è stato emesso manca la descrizione di quelli di cui agli artt. 232 del codice penale sociale, 197, 213, 214, 324-ter e 433-novies del codice penale belga. Inoltre, da un lato, emerge solo nell'allegato il reato di cui all'art. 505 del codice penale; dall'altro, per la contestazione associativa relativa all'art.
324-bis del codice penale belga non si indica la sanzione prevista.

Alla pertinente istanza difensiva di richiesta di informazioni svolta all'udienza del 2 novembre 2021 la Corte ha omesso di provvedere, omettendo - altresì - di motivare sul
punto; come pure in relazione alla dedotta mancanza del necessario limite edittale in relazione alle previsioni del codice penale del lavoro, punite con la pena dell'ammenda.

2.3. Con il terzo motivo, inosservanza degli artt. 2 e 16 I. n. 69/2005 in relazione alla mancata indicazione dei termini massimi di custodia cautelare, oggetto di specifica richiesta difensiva di informazione alle udienze del 2 e 16
novembre e 3 dicembre 2021 alla quale la Corte non ha dato corso. L'omissione rileva in relazione alla violazione dei diritti fondamentali tutelati dall'art. 2 della legge n. 69/2005, diretta trasposizione dell'art. 13, comma 5, Cost. e dei principi
comuni di cui all'art. 6 T.U.E., tra i quali si pone quello del contenimento della durata della detenzione preventiva entro "tempi ragionevoli", come garantito dall'art. 5 par. 3 CEDU, fino al giudizio di primo grado.

2.4. Con il quarto motivo, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2 e 16 della legge n. 69/2005 con riferimento alle condizioni della detenzione, dell'attuale aggravamento dell'emergenza pandemica e delle condizioni di salute
di entrambi i ricorrenti. Risulta soltanto parziale il recepimento delle deduzioni difensive al riguardo, mancando nelle richieste di informazioni quella sulla sussistenza o meno di una struttura sanitaria all'interno del carcere e delle norme
vigenti in materia di Covid-19 nonché sul pericolo di sovraffollamento carcerario (emergente dalle stesse informazioni rese dal carcere di Leuze-en-Hainaut).

In particolare, la Corte di merito non ha tenuto conto dei documenti prodotti dalla difesa a riguardo (rapporto Space I 2020 del Consiglio d'Europa sulle problematiche di sovraffollamento carcerario negli Stati Membri UE) e non ha effettuato quella necessaria approfondita verifica richiesta dalle stesse pronunce
della Corte di Strasburgo, in assenza di indicazioni sufficienti da parte della Autorità Giudiziaria belga.

Infine, si censura - in relazione al diritto fondamentale alla salute - l'omessa considerazione della certificazione medica prodotta dalla difesa alla udienza del 2 novembre 2021 e degli articoli attestanti la difficile situazione delle carceri belghe a causa della pandemia.

3. Con memoria il P.G. ha chiesto l'annullamento con rinvio sulla base della fondatezza del primo e terzo motivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato.

2. Il primo motivo è infondato.

La Corte ha riconosciuto che i consegnandi sono accusati, insieme ad altre persone, alcune della quali italiane, per reati che sarebbero stati commessi nell'ambito di un sodalizio criminale che avrebbe creato alcune società, anche in territorio italiano, e che in Italia sarebbe avvenuta parte rilevante del programma
criminoso.

Segnatamente i consegnandi rivestirebbero la funzione di fornitori di manodopera e l'organizzazione sarebbe stabilita in Italia per la sua gestione amministrativa e finanziaria. Tuttavia, ha ritenuto di non esercitare il motivo di rifiuto, ora facoltativo, in relazione alla accertata mancanza di procedimento per i
fatti in questione da parte della A.G. italiana.

Va ricordato che la commissione del reato, in tutto o in parte, nel territorio dello Stato richiesto della consegna costituisce attualmente un motivo facoltativo e non più obbligatorio di rifiuto ai sensi dell'art. 18-bis, comma 1, lett. a), della
legge 22 aprile 2005, n. 69, così come interpolato dall'art. 15 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, che vi ha riversato l'originario motivo di rifiuto (obbligatorio) di cui all'art. 18, lett. p), poi modificato dall'art. 18-bis, lett. b), legge cit., a seguito dell'intervento normativo operato con la legge 4 ottobre 2019, n. 117. Come è
stato osservato da Sez. 6 n. 46641 del 17/12/2021, Parrinello, non massimata, tale modifica è intervenuta per favorire un più stretto coordinamento nell'azione di repressione dei crimini a livello europeo e, al tempo stesso, al fine di prevenire e risolvere conflitti di giurisdizione penale tra gli Stati membri della Unione
europea, alla luce del considerando 9 della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009, recepita nell'ordinamento interno con il d. Igs. 15 febbraio 2016, n. 29. Il legislatore, in tal modo, ha inteso evidenziare i collegamenti del reato oggetto del mandato di arresto europeo con il territorio
nazionale (che potrebbe essere giustificato anche dal verificarsi in Italia di un solo "frammento" della condotta), senza farne derivare un automatico rifiuto della consegna, sul presupposto che l'interesse dello Stato italiano ad affermare la propria giurisdizione deve essere verificato concretamente caso per caso.

L'eventuale opposizione del rifiuto della consegna, in tal caso, è finalizzata a tutelare effettivamente le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione di un conflitto che è già esistente, e non meramente potenziale (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Spasiano, cit.), in quanto disvelato dalla effettiva
volontà dello Stato di affermare in concreto - con la presenza di attività d'indagine in corso di svolgimento - la propria giurisdizione sul fatto oggetto dei m.a.e., in tutto o in parte commesso sul suo territorio (Sez. 6, n. 27992 del 13 giugno 2018,
Huseini, non mass.).

La richiamata normativa europea, infatti, mira non solo a sollecitare, ma a realizzare una più stretta cooperazione fra le competenti Autorità giudiziarie degli Stati membri, sì da "prevenire situazioni in cui la stessa persona
sia oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una decisione definitiva in due o più
Stati membri e costituire in tal modo una violazione del principio ne bis in idem" [art. 1, comma 2, lett. a), della decisione quadro 2009/948/GAI].

Non può essere, pertanto, condiviso l'assunto del ricorrente circa l'erroneo riferimento da parte della Corte alla condizione prevista per la diversa ipotesi di cui alla lettera b) della medesima disposizione dell'art. 18-bis I. cit.. Invero, tale seconda previsione - proprio perché si riferisce a casi in cui non ricorre il
collegamento territoriale tra reato e Stato di esecuzione - richiede, per opporre il rifiuto della consegna, che sia in corso procedimento nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto da parte dello Stato di esecuzione. Ciò non significa che tale condizione non sia criterio per esercitare la valutazione discrezionale demandata in relazione alla ipotesi in cui vi sia collegamento territoriale tra il reato oggetto del mandato e lo Stato di esecuzione.

Pertanto, del tutto corretto risulta l'apprezzamento di merito svolto dalla sentenza impugnata, in conformità al condivisibile orientamento secondo il quale, quando la richiesta di consegna riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello
Stato, o in altro luogo allo stesso assimilato, il motivo facoltativo di rifiuto della consegna, previsto dall'art. 18-bis, comma 1, lett. b) della legge 22 aprile 2005, n. 69, come modificata dalla legge 4 ottobre 2019, n. 117, sussiste solo quando risulti già pendente un procedimento penale per il fatto oggetto del mandato di arresto europeo (Sez. 6 n. 2959 del 22/01/2020, M., Rv. 278197 - 02); ancora, il motivo di rifiuto facoltativo alla consegna previsto dall'art. 18-bis, comma 1, lett. b), legge 22 aprile 2005, n. 69, per i fatti commessi in parte nel territorio dello Stato richiede quantomeno la sussistenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatiche dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione (Sez. 6 n. 5929 del 11/02/2020, Pennisi Alfio, Rv. 278329).

2. Il secondo motivo è solo in parte fondato.

In relazione alla mancata descrizione dei reati va detto quanto segue.

Deve premettersi il condivisibile orientamento espresso da
Sez. 6, Sentenza n. 6901 del 13/2/2007, Ammesso, non massimata sul punto, che richiama l'indirizzo di questa Corte Suprema stando al quale la realtà istituzionale dell'Unione europea non è più assimilabile ad un ordinamento "straniero", cosicché non solo la normativa comunitaria, ma anche il diritto interno degli Stati membri - almeno nella parte coinvolgente i diritti fondamentali (art. 6, n. 2, del vigente Trattato UE) nonché nella parte in cui si intreccia con la funzione giurisdizionale italiana - vanno qualificati come disciplina normativa che il giudice italiano deve conoscere, in base al principio iura novit curia (Sez. 6, 8 maggio 2006, Cusini).
Nell'adempiere a tale obbligo conoscitivo - nella specie al fine di colmare le lacune denunciate dal ricorrente - devono essere richiamati i pertinenti riferimenti normativi dello Stato di emissione belga che ben possono essere ricavati mediante l'accesso al sito ufficiale della Unione Europea Euro-justice che consente di conoscere le disposizioni contenute nel codice penale e nel codice penale sociale dello Stato belga.

Ebbene:
L'art. 232 codice penale sociale belga riguarda il falso e l'uso dell'atto falso
puniti con pena di livello 4 (v. art. 101 codice penale sociale : pena detentiva da
sei mesi a tre anni oltre l'ammenda) stabilendo che "la falsificazione e l'uso della
falsificazione nel diritto penale sociale è punibile con una sanzione di livello 4 che,
al fine di ottenere o far ottenere, mantenere o far mantenere un indebito vantaggio
sociale, o non pagare o non versare contributi, pagare meno o pagare meno di
quelli per i quali lui o un altro è responsabile: (1) a) ha commesso un falso per
iscritto, sia con firme false, sia con falsificazione o alterazione di documenti o
firme, o stipulando accordi, disposizioni, obblighi o appuramenti o inserendoli in
un atto, o aggiungendo o alterando clausole, dichiarazioni o fatti che lo scopo
dell'atto era quello di ricevere o stabilire; b) ha utilizzato un atto o un documento
falso; (2) (a) ha commesso una falsificazione introducendo in un sistema
informatico, modificando o cancellando dati, che sono memorizzati, elaborati o
trasmessi da un sistema informatico, o modificando con qualsiasi mezzo
tecnologico l'eventuale uso di dati in un sistema informatico, e quindi modifica la
portata giuridica di tali dati; b) ha fatto uso dei dati così ottenuti, sapendo che
sono falsi".
L'art. 197 codice penale belga, ed in relazione al reato di cui all'art. 196 dello
stesso codice ascritto ai consegnandi, riguarda l'estensione della punizione come
autore del falso di colui che ha fatto uso dell'atto falso.
L'art. 213 del codice penale belga riguarda la punibilità di colui che ha fatto
uso di atti falsi solo nel caso in cui tale uso abbia avuto intento fraudolento o di
recare danno.

L'art. 214 del codice penale belga stabilisce una sanzione pecuniaria per i reati di cui ai capi da I a IV del titolo sui delitti contro la pubblica fede per i quali non è prevista specifica sanzione.

L'art. 324-ter del codice penale belga stabilisce la pena della reclusione da uno a tre anni oltre la multa in relazione al reato di cui all'art. 324-bis dello stesso codice ascritto ai consegnandi.

L'art. 433-novies del codice penale belga prevede le pene accessorie e disposizioni in materia di confisca in relazione ai reati dall'art. 433-quinquies a 433-octies dello stesso codice.

Quanto, poi, al reato di cui all'art. 505 codice penale belga, vi è un chiaro riferimento nella descrizione dei fatti alla reimmissione dei proventi illeciti attraverso le strutture gestite dai Bordignon.

Quanto alla mancata indicazione della pena prevista dall'art. 324-bis codice penale, deve rilevarsi che essa è individuata - come sopra detto - dal successivo art. 324-ter in quella da un anno a tre anni di detenzione oltre la ammenda.

La Corte ha, poi, rilevato che tra i reati posti a base del mandato di arresto ve ne sono alcuni puniti con pena massima di almeno tre anni (segnatamente, partecipazione ad un'organizzazione criminale, tratta di esseri umani, frode, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione di atti amministrativi e traffico di
documenti falsi).

Purtuttavia la Corte si è limitata considerare - tra i molteplici reati posti a base del mandato di arresto europeo - solo quelli la cui pena edittale massima soddisfa il criterio di cui all'art. 7, comma 3, I. n. 69/2005 che richiede la pena massima
non inferiore a dodici mesi.

In relazione a tale condizione deve essere considerato l'art. 101 del Codice penale sociale belga che prevede i livelli sanzionatori con le correlative pene (da livello 1 a livello 4) cui si riferiscono le singole ipotesi di reato.

Detta disposizione prevede che:
"I reati di cui al libro 2 sono punibili con una pena di livello 1, livello 2, livello 3 o livello 4. La sanzione di livello 1 consiste in una sanzione amministrativa da 10 a 100 euro.
La sanzione di livello 2 consiste in una multa penale da 50 a 500 euro o in una sanzione amministrativa da 25 a 250 euro.
La sanzione di livello 3 consiste in una multa penale da 100 a 1000 euro o in una sanzione amministrativa da 50 a 500 euro.
La pena di livello 4 consiste nella reclusione da sei mesi a tre anni e una multa penale da 600 a 6000 euro o solo una di queste sanzioni, o una multa amministrativa da 300 a 3000 euro".


Pertanto, mentre deve essere esclusa la consegna per i reati previsti dall'art. 177 (pena livello 3), 218 (pena livello 2) e 223 (pena livello 2 o 3) del Codice penale sociale belga in quanto puniti con la sola sanzione pecuniaria, deve ritenersi
consentita la consegna in relazione al reato di cui all'art. 181 punito con pena di livello 4 ovvero da sei mesi a tre anni di detenzione oltre la ammenda.

3. Il terzo motivo è infondato.

L'assenza di considerazioni riguardo all'esistenza nell'ambito dell'ordinamento dello Stato belga di termini massimi di custodia preventiva non inficia il provvedimento impugnato.

Invero, deve essere rilevato che il motivo di rifiuto della consegna già previsto dall'art. 18, lett. e), legge 22 aprile 2005, n. 69 «se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva», è stato abrogato dalle modifiche apportate al medesimo articolo dall'art. 14 del d.
Igs. 2 febbraio 2021, n.10. Del resto, come condivisibilmente osservato da Sez. 6 n. 28703 del 20/7/2021, Foderaro (non massimata), pur nella vigenza della disciplina precedente, la giurisprudenza di questa Corte aveva, in ogni caso,
ripetutamente rilevato - in applicazione di quanto affermato da Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235351, secondo la quale l'autorità giudiziaria italiana deve verificare se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia
espressamente fissato un termine di durata della misura cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado oppure, in mancanza, se un limite temporale implicito sia in ogni caso desumibile da altri meccanismi processuali, che
instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia o, in alternativa, alla estinzione della stessa - che la legislazione belga, pur in assenza di un esplicito limite di tempo massimo, prevede meccanismi processuali di controllo giurisdizionale della custodia cautelare rispondenti ai requisiti richiesti dalla citata "sentenza Ramoci": sicché non poteva ravvisarsi una violazione del citato art. 18, lett. e), che potesse giustificare il rifiuto della consegna (Sez. 6, n. 19394 del 25/6/2020, Cavaliere, n. m., con richiamo, con specifico riferimento alla legislazione belga, dei principi di diritto affermati, relativamente ad analoga disciplina vigente in altri Stati membri dell'Unione Europea, da Sez. 6, n. 2739 3
del 22/01/2020, Boyko Taras, Rv. 278129; Sez. 6, n. 49 del 30/12/2014, Chitoroaga, Rv. 261847; Sez. 6, n. 34439 del 11/07/2017, Ovieroba, Rv. 270761).

Infatti, la legge belga del 20 luglio 1990 sulla custodia cautelare prevede, agli artt. 16, 21, 22 e 23, che:

a) la custodia cautelare inizia con l'emissione di un mandato
di cattura da parte del giudice istruttore, valido per un periodo massimo di cinque giorni dalla sua esecuzione;

b) prima della scadenza di questo termine, l'imputato
deve comparire davanti alla Chambre de Conseil, che da una parte verificherà la regolarità sostanziale e formale del mandato di cattura, dall'altra deciderà se mantenere o meno la custodia cautelare sulla base dei criteri a tale fine definiti dalla legge;

c) il provvedimento con il quale è - eventualmente - mantenuta la
custodia cautelare, ha validità di un mese dal giorno in cui è stato emesso e deve essere motivato sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, sulle circostanze del fatto-reato contestato e su quelle connesse alla personalità dell'imputato;

d) in mancanza di una nuova ordinanza della Camera di Consiglio entro il mese, cessa la custodia cautelare e l'imputato viene rilasciato in quanto detenuto senza titolo;

e) al termine del periodo di un mese, è necessaria una nuova decisione per estendere la custodia cautelare: così - fintanto che essa non sia terminata e l'istruzione o le indagini non siano chiuse - la Camera di Consiglio è chiamata a
pronunciarsi di mese in mese, ovvero, dalla terza decisione, ogni due mesi, sul mantenimento della carcerazione preventiva e sulle modalità di esecuzione.

La stessa sentenza (Sez. 6, Cavaliere, cit.) ha altresì ritenuto priva di pregio la considerazione che il meccanismo processuale belga non sarebbe conforme all'art. 111 Cost. ed ha valorizzato a tal proposito la circostanza che contro la decisione della Camera di consiglio è prevista la facoltà di appellare, così risultando
rispettato il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale.

Il Collegio rileva inoltre che con arresto della Corte costituzionale belga del 21 dicembre 2017 sono state abrogate le limitazioni alla facoltà di ricorso immediato per cassazione avverso le decisioni in materia di custodia cautelare, sicché attualmente anche i
provvedimenti di rinnovo delle misure custodiali sono suscettibili di ricorso in cassazione.

4. Il quarto motivo è infondato ed al limite della inammissibilità per genericità della sua proposizione.

Quanto al pericolo di trattamento disumano e degradante derivante dal sovraffollamento carcerario, la Corte lo ha correttamente escluso sulla base delle informazioni fornite dallo Stato richiedente, che ha proposto il collocamento delle
persone richieste in consegna in un carcere con regime semi-aperto, in celle singole o doppie, con oltre 7 metri quadri pro-capite di spazio a disposizione, mobili esclusi, escludendo vi fossero ragioni per disattendere le garanzie offerte.

Quanto alle condizioni di salute dei consegnandi ed i pericoli conseguenti alla pandemia, deve rilevarsi che le ragioni che inducono a ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute del consegnando attengono alla fase esecutiva ed in tale contesto devono essere fatte valere, mediante istanza alla
Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 23, comma terzo, legge n. 69 del 2005, trattandosi di una condizione personale soggetta a modificazioni nel corso del tempo e, pertanto, non utilmente rappresentabile nelle fasi procedimentali anteriori all'esecuzione del provvedimento di consegna (Sez. 6, n. 108 del 30/12/2013 (dep. 2014), Di Giuseppe Rv. 258460).

In ogni caso, la Corte ha - del pari incensurabilmente - ritenuto che le patologie da cui sono afflitti sono molto comuni, curabili con farmaci, con un'alimentazione corretta e comunque con trattamenti assicurabili da strutture infermieristiche comuni, trattandosi di ernia discale per ** e di
ipertensione arteriosa in paziente sottoposto a bypass gastrico per ** .

5. La sentenza deve, pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente alla consegna per i reati di cui agli artt. 177, 218 e 223 del Codice penale sociale belga, che va esclusa, rigettando nel resto il ricorso.


6.Devono essere disposti gli adempimenti di cancelleria di cui all'art. 22, L comma I.n. 69/2005.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla consegna per i reati di cui agli artt. 177, 218 e 223 del Codice penale sociale belga, che si esclude.

Rigetta nel resto i ricorsi. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, I.n. 69 del 2005.
Così deciso il 25/01/2022