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Giudicato penale e giudizio civile di rinvio (Cass. 27016/22)

14 settembre 2022, Cassazione civile

L'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di proscioglimento perché il fatto-reato non sussiste non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 cod.proc.pen., nel giudizio civile di danno instaurato su annullamento con rinvio ai soli effetti civili disposta della Corte di della Cassazione; nel giudizio civile  è riconosciuto al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio sotto il profilo della loro rilevanza civilistica, per pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale.

L'interrogatorio della parte lesa, assunto in sede di giudizio penale, è atto processuale morfologicamente valido, ma funzionalmente inefficace se trasposto in sede di giudizio di appello civile instaurato ex art. 622 c.p.p.; quell'atto processuale, a seguito della trasmigrazione nel processo civile, non può assumere il carattere della prova civile o della prova atipica; l'interrogatorio della parte reso in sede penale può, peraltro, avere efficacia - ed essere legittimamente utilizzato dal giudice civile - come argomento di prova, ex art. 117 c.p.c., a nulla rilevando che sia stato un altro giudice a raccoglierlo (con tutti i crismi di legittimità indicati dalla norma, ivi compreso il rispetto del principio del contraddittorio, che informa di se l'intero processo penale nella sua nuova forma accusatoria) e senza escludere la facoltà del giudice del rinvio, ove lo ritenga necessario, di procedere autonomamente a disporlo nuovamente dinanzi a se; l'efficacia di argomento di prova del contenuto dell'interrogatorio trasmigrato nel processo civile consentirà al giudice, in ossequio al principio del suo libero convincimento, di porne, in parte qua, il relativo contenuto a fondamento della sua decisione, secondo i canoni interpretativi dianzi esposti.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Sez. III, Sent., (data ud. 15/06/2022) 14/09/2022, n. 27016

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -

Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere -

Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere -

Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 34798/2019 R.G. proposto da:

L.F., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati AV e MG

- ricorrente -

contro

M.A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, ** presso lo studio dell'avvocato PDP  che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MV, FB

- controricorrente -

e nei confronti di:

F.F.;

- intimato -

e da:

F.F., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GA

- ricorrente incidentale -

contro

M.A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell'avvocato..- controricorrente al ricorso incidentale -

e nei confronti di:

L.F.;

- intimato -

avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 2516/2019, depositata in data 11/09/2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15/06/2022 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI. Lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale, nella persona del Sostituto procuratore, Mauro Vitiello, che ha chiesto l'accoglimento del primo motivo di ricorso di L.F. con assorbimento dei restanti e l'accoglimento del primo, del secondo, del quinto e del sesto motivo del ricorso di F.F. e l'assorbimento del quarto.

Svolgimento del processo

Nella notte tra il (OMISSIS), dopo aver cenato a casa di alcuni amici, M.A.A., all'epoca dei fatti ventiseienne, incontrava a (OMISSIS), dapprima il ventottenne F.F., e, successivamente, L.F., di anni 21; trascorreva con loro la serata tra birre, chiacchiere ed effusioni, finchè i tre si avviavano in taxi a casa di F.F.; qui M.A.A. affermava di avere subito violenza sessuale e percosse da parte di F.F. e di L.F., di essere riuscita a scappare inseguita da L.F. e di essere stata soccorsa da alcuni passanti che avevano chiamato un'ambulanza e la polizia; a seguito di denuncia-querela sporta in data (OMISSIS), F.F. e L.F. erano stati fermati dagli agenti di polizia.

Il P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bologna aveva chiesto l'applicazione nei loro confronti della misura cautelare in carcere e aveva formulato l'imputazione per il delitto di cui all'art. 609 octies c.p., perchè con violenza, bloccandole i polsi e trattenendola per le mani e procurandole lesioni, costringevano M.A.A. a subire atti sessuali; nonchè per il delitto di cui agli artt. 110, 582, 576 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, perchè, al fine di eseguire il delitto che precede, avevano provocato ad M.A.A. lesioni personali consistite in edemi diffusi ad entrambi gli occhi ed al naso, abrasioni al ginocchio destro e al livello della cresta iliaca di sinistra, graffio alla radice della coscia sinistra, graffi agli arti superiori e inferiori, ecchimosi al collo ed ai polsi, con prognosi di 7 giorni.

Il Gip, con ordinanza del (OMISSIS), aveva disposto la custodia cautelare in carcere per F.F., pregiudicato con precedenti penali anche specifici per lesioni, e gli arresti domiciliari per L.F..

All'udienza preliminare del 18 settembre 2007, entrambi gli imputati chiedevano che il giudizio fosse celebrato con il rito abbreviato, nel quale M.A.A. si costituiva parte civile.

Con sentenza n. 2096/2007 il Tribunale penale di Bologna dichiarava F.F. e L.F. colpevoli dei reati loro ascritti e, ritenuta la continuazione, li condannava alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione ciascuno e, ai fini che qui interessano, li condannava in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 30.000,00.

Con sentenza n. 1652/2009, la Corte di appello penale di Bologna accoglieva il gravame degli imputati, ritenendo che la deposizione della teste Ma., vicina di casa di F.F. - che aveva riferito di aver visto la donna, urlante e in preda ad un attacco isterico, venire cacciata a forza fuori dalla casa di F.F. smentisse la tesi della fuga di M.A.A. e dell'inseguimento da parte dei suoi aggressori; che non fosse credibile che la colluttazione con i presunti aggressori fosse diretta a ottenere nuovi rapporti sessuali; che la donna fosse più interessata a recuperare il telefono che non a fuggire; che anche la deposizione T., ex fidanzato della giovane, smentisse la vittima, avendo il teste riferito che quest'ultima gli aveva confidato di avere avuto solo la sensazione di un rapporto sessuale; che fosse inverosimile che la donna, dopo la violenza subita sul letto del pavimento al piano terra, si fosse recata sul soppalco per cercare l'aiuto di L.F.; che le lesioni che la M. aveva procurato ai due ragazzi denotassero una forza compatibile con la capacità di difesa per la presunta violenza sessuale; che non fosse credibile che ella si fosse ritratta a seguito della partecipazione di F.F. al tentativo di congiunzione sessuale, visto che aveva accettato gli approcci sessuali espliciti di entrambi i ragazzi anche in luogo pubblico e che si era recata volontariamente a casa di F.F.; che fosse incomprensibile il motivo per cui, se avesse davvero subito una violenza sessuale, non si fosse difesa immediatamente, ossia quando era sul letto del pavimento al piano terra; che la tesi dell'attacco isterico seguito ai rapporti sessuali consenzienti fosse compatibile con la delusione per il fatto che L.F., che lei voleva riconquistare, fosse andato a dormire sul letto soppalcato, lasciandola nelle mani di F.F..

Tanto premesso, il giudice di secondo grado, in parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva gli odierni ricorrenti dalla imputazione di violenza sessuale di gruppo loro ascritta con la formula "perchè il fatto non sussiste", e il solo L.F. anche da quella di lesioni personali "per non aver commesso il fatto"; rideterminava la pena inflitta a F.F. per quest'ultimo reato in soli due mesi di reclusione, riducendo la provvisionale a suo carico ad Euro 3.000,00; condannava F.F. alla rifusione delle spese legali della parte civile.

All'esito della pronuncia, L.F. riceveva la liquidazione dell'importo di Euro 60.000,00, per ingiusta detenzione agli arresti domiciliari protrattasi per un anno e sei mesi.

M.A.A. impugnava, ai soli effetti civili, ai sensi dell'art. 576 c.p.p., la predetta di sentenza di proscioglimento dinanzi alla Corte di Cassazione, deducendone il difetto e l'illogicità della motivazione, con particolare riferimento, tra l'altro, a quanto affermato dal giudice felsineo circa le cause (niente affatto indagate, secondo il giudice di legittimità) dell'attacco di nervi della giovane donna.

Con sentenza n. 35950 del 7 luglio 2010, la Corte di Cassazione penale accoglieva l'impugnazione, ritenendo che la Corte d'Appello non avesse fornito alcuna logica spiegazione delle ragioni atte a sorreggere la sua decisione, della quale rilevava, tra l'altro, un evidente "deficit argomentativo" nella individuazione del motivo per il quale la donna aveva avuto una violenta e plateale reazione (attestata dai certificati medici ed ammessa da tutti i protagonisti della vicenda) nei confronti degli imputati. Tale crisi, a giudizio della Corte di legittimità, avrebbe potuto "essere attribuita plausibilmente a ben diverse cause", mentre la spiegazione fornita dalla Corte di Appello era considerata "nè soddisfacente nè logica, in quanto secondo canoni di comune esperienza - non rientra nella normalità degli accadimenti che una persona, dopo rapporti sessuali consenzienti, abbia senza una specifica ragione un "attacco isterico"...".

In particolare, a giudizio della Corte di legittimità, i giudici d'Appello avevano illogicamente e immotivatamente ritenuto che il l'alterazione dello stato emotivo della donna potesse essere sine causa, e che fosse addirittura "superfluo" approfondire il motivo che lo aveva scatenato, mentre la ricerca della eziologia della crisi della vittima veniva ritenuta dalla Corte di Cassazione penale determinante per la ricostruzione dei fatti.

Per screditare il racconto accusatorio" inoltre, la Corte territoriale aveva fatto leva su due testimonianze (quella della vicina di casa e quella dell'ex fidanzato della parte lesa), che, di converso, ben si prestavano a possibili interpretazioni alternative rispetto a quella scelta dai Giudici di merito, e pertanto risultavano del tutto prive "di un valore decisivo per scardinare la versione dei fatti fornita della parte lesa". Nè era evidenziabile una contraddizione - del tutto apoditticamente riscontrata nella sentenza d'appello - tra la incapacità della donna di resistere ai suoi violentatori e le lesioni inferte agli imputati nel difendersi dall'aggressione, trattandosi di situazioni diverse con possibilità di reazione differenziata.

La Corte d'Appello di Bologna, presso la quale il giudizio civile era stato riassunto a seguito dell'annullamento della Cassazione, premesso di condividere la valutazione del compendio probatorio già effettuata dal Gup del Tribunale di Bologna nell'ambito del processo di primo grado circa l'attendibilità della narrazione dei fatti proveniente dalla persona offesa, ha ritenuto che: 1) dalle dichiarazioni di L.F. emergesse che lo stesso aveva pensato ad un rapporto sessuale di gruppo, in considerazione tanto del fatto che la ragazza non aveva respinto, mentre ancora erano per strada, gli approcci espliciti di F.F., quanto perchè già in passato c'era stato un episodio di sesso di gruppo con M.A.A.; 2) gli imputati avessero reso dichiarazioni discordanti quanto all'assenso della donna rispetto a tale rapporti; 3) per la ricostruzione della seconda parte della serata, quella svoltasi nell'abitazione di F.F., dovesse tenersi conto tanto dello stato di alterazione della ragazza, la quale aveva bevuto ed aveva subito evidenti lesioni fisiche, quanto del comportamento degli imputati una volta che la ragazza aveva lasciato l'appartamento; 4) le dichiarazioni della vicina di casa e di T.S. non inficiassero la coerenza logica di quanto sostenuto da M.A.A., i cui ricordi frammentari trovavano causa nel presumibile stato di shock e nell'alterazione etilica, confermata dalla deposizione del tassista che aveva condotto i due uomini e la ragazza a casa di F.F.; 5) l'interpretazione della vicenda relativa alla crisi isterica della ragazza, immotivatamente accolta dal giudice penale bolognese, non fosse affatto plausibile, perchè palesemente smentita dalle dichiarazioni rese dagli stessi imputati, e non si conciliasse con la natura delle lesioni rilevate su M.A.A., perchè le abrasioni sulla cresta iliaca sx, il graffio sulla radice della coscia sx e l'ematoma alla base del collo erano esiti del tutto compatibili con azioni volte a vincere la resistenza ad un'aggressione di tipo sessuale; 6) le spiegazioni fornite dai due imputati non fossero state tali da chiarire come mai la donna presentasse ecchimosi agli occhi e l'ematoma al naso; 7) il comportamento dei due imputati dopo i fatti - L.F. si era inizialmente dato alla fuga e F.F. aveva lanciato per strada la borsetta della ragazza, aveva urlato di non entrarci nulla, si era chiuso in casa, si era rifiutato persino di aprire alla polizia fosse tale da deporre indiziariamente nel senso della totale attendibilità della versione dei fatti fornita da M.A.A..

La Corte bolognese riteneva, pertanto, di condividere le statuizioni contenute nella sentenza 2097/2007 in ordine alla responsabilità dei due imputati, e li condannava in solido a risarcire alla vittima i danni subiti nella misura da determinare in altro giudizio, riconoscendole una provvisionale di Euro 30.000,00 immediatamente esecutiva.

L.F. affida a cinque motivi il ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Bologna n. 2516/2019 depositata il 11/09/2019.

Resiste con controricorso M.A.A..

Avverso la medesima decisione propone ricorso incidentale F.F., articolato in sei motivi, cui resiste con controricorso M.A.A..

L.F. e M.A.A. hanno depositato memoria.

Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, Dott. Mauro Vitiello, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l'accoglimento del primo motivo del ricorso di L.F. e l'assorbimento dei restanti motivi, l'accoglimento dei primi due e degli ultimi due motivi del ricorso di F.F. e l'assorbimento del quarto, e il conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti fatto richiesta di trattazione orale.

Motivi della decisione


IL RICORSO PRINCIPALE DI L.F..

1) Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 622 c.p.p., artt. 392 e 398 c.p.c., nonchè agli artt. 609 octies, 110, 582, 585, 576 c.p., e art. 61 c.p., n. 2, agli artt. 40 e 41 c.p., all'art. 185 c.p., in relazione agli artt. 2043 e 2055 c.c.".

L.F. assume che, essendo stato assolto dalla Corte d'Appello di Bologna con la formula "perchè il fatto non sussiste", si sarebbe formato il giudicato sugli effetti penali: perciò, nel giudizio di rinvio celebratosi ai sensi dell'art. 622 c.p.p., la Corte d'Appello di Bologna non avrebbe potuto procedere ad una nuova valutazione del fatto; l'art. 622 c.p.p., fa salvi, infatti, gli effetti penali della sentenza, quindi, nel giudizio civile dinanzi alla Corte d'appello, avrebbero dovuto essere osservate le regole, processuali e probatorie, proprie del giudizio civile ed essere applicati i criteri civilistici di accertamento della responsabilità, essendo il giudizio di rinvio sostanzialmente una translatio iudicii e non il giudizio rescissorio del giudizio di impugnazione svoltosi presso la Corte di Cassazione penale.

M.A.A., nell'atto di citazione in riassunzione, aveva chiesto l'accertamento della commissione in suo danno dei delitti di cui agli artt. 609-octies, 110, 582, 576 c.p., e art. 61 c.p., n. 2, e la condanna al risarcimento dei danni, richiamando le conclusioni alle quali era giunto il GIP del Tribunale di Bologna; la Corte d'Appello, accogliendo la domanda, avrebbe violato l'art. 622 c.p.p. e gli artt. 392-394 c.p.c., confermando illegittimamente le statuizioni della sentenza del Tribunale penale di Bologna - sentenza "risorta senza tener conto della sentenza penale di proscioglimento". In altri termini, l'errore della sentenza impugnata sarebbe stato quello di condannare il ricorrente al risarcimento del danno non come conseguenza dell'accertamento della sussistenza di un fatto illecito civile, ma come conseguenza dell'accertamento di una responsabilità penale.

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 622 c.p.p. e artt. 392-394 c.p.c." nonchè agli artt. 609 octies, 110, 582, 576 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, agli artt. 40 e 41 c.p. e all'art. 185 c.p.c., in relazione agli artt. 115, 116 e 246 c.p.c. e artt. 2043, 2055 e 2697 c.c.".

La prova dell'avvenuta commissione dei reati contestati agli imputati sarebbe stata ricondotta alle conclusioni cui era giunto il GIP del Tribunale di Bologna, il quale, a sua volta, avrebbe basato il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese da M.A.A., cui non avrebbe dovuto essere attribuita piena rilevanza probatoria all'interno del processo civile.

Ciò era stato già eccepito nella comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio, ma la Corte d'Appello, ritenendo le dichiarazioni rese in sede penale da M.A.A. logiche, coerenti e pienamente attendibili, anche in virtù della testimonianza di T.S., nonostante esse contrastassero con quanto asserito dagli imputati e con il contenuto della testimonianza di Ma.St., si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, a mente della quale, nel giudizio civile - a differenza che in quello penale, ove la parte civile può, in mancanza di una norma speculare a quella dell'art. 246 c.p.c., legittimamente rendere una testimonianza che può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice penale, il quale può fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa - l'efficacia probatoria di tale atto processuale avrebbe dovuto essere vagliata secondo le regole processuali del codice di rito civile, alla stregua delle quali la ricostruzione del fatto dannoso e qualsiasi eventuale riconoscimento di efficacia probatoria che faccia riferimento alle dichiarazioni rese in sede penale, in veste di testimone, dalla parte civile, si porrebbero in aperto contrasto col principio che vincola il giudice del rinvio, ex art. 622 c.p., al rispetto dei canoni sostanziali e processuali propri del giudizio civile, tra cui quello di cui all'art. 246 c.p.c.. Viceversa, il giudice del rinvio avrebbe accolto la domanda di condanna al risarcimento dei danni sulla base delle affermazioni di parte attrice, non supportate da alcuna prova, poichè anche la deposizione T. sarebbe stata una testimonianza de relato actoris, avente ad oggetto la dichiarazione di M.A.A. e non già il fatto oggetto di accertamento, e come tale avrebbe dovuto considerarsi non utilizzabile (Cass. 12477/2017).

Nella sostanza, la Corte d'Appello avrebbe condiviso la ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice penale di primo grado e lo avrebbe fatto applicando criteri di valutazione delle prove propri del giudizio penale, così incorrendo nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., avendo attribuito l'onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata.

3) Con il terzo motivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia "Nullità della sentenza in relazione all'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 116 c.p.c.", per avere accertato la sua responsabilità in assenza di elementi di prova certi ed inequivocabili e sulla base di un iter motivazionale apparente, contraddittorio e manifestamente illogico, poichè privo di confronto con gli elementi di prova contrastanti.

In particolare, la sentenza impugnata non avrebbe spiegato le ragioni della crisi isterica, cioè della violenta ed aggressiva reazione di M.A.A., successiva agli approcci sessuali.

4) Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, "Nullità della sentenza in relazione all'art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sotto diverso profilo".

Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha condannato il ricorrente, in solido con F.F., al risarcimento del danno, affermandone la specifica responsabilità per violenza sessuale di gruppo e per lesioni personali aggravate, mentre nessun concreto elemento di prova emergerebbe dai fatti di causa al netto della testimonianza della parte offesa - per ritenerlo responsabile, stante che gli approcci sessuali sarebbero stati consenzienti, e che i danni fisici riportati da M.A.A. le sarebbero stati provocati nell'intento di difendersi dalla sua aggressione nei confronti di entrambi i ricorrenti e di portarla via dall'abitazione di F.F., come quest'ultimo avrebbe confessato. L'unica affermazione contenuta in sentenza con riferimento alla presunta violenza sessuale sarebbe consistita nella dichiarazione resa dalla vittima circa il fatto di essere salita sul soppalco per chiedere aiuto e di avere lì subito un tentativo di violenza sessuale, ma tale affermazione sarebbe stata smentita dalla stessa testimonianza resa da T.S.. Peraltro, la Corte territoriale non avrebbe spiegato perchè, a fronte di due comportamenti separati e distinti - quello di F.F. svoltosi al piano inferiore e quello del ricorrente al momento in cui M.A.A. era salita sul soppalco a cercarlo, mentre F.F. era rimasto al piano di sotto - pur dando atto sotto il profilo soggettivo ed oggettivo delle due differenti condotte, aveva poi equiparato la sua posizione a quella di F.F., ricreando un vincolo di solidarietà anche ai fini della responsabilità civile.

5) Con il quinto motivo il ricorrente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 115, 116 e 246 c.p.c., nonchè agli artt. 392-394 c.p.c. e art. 622 c.p.p.", per avere preteso di accertare la sua responsabilità in relazione ai danni subiti da M.A.A. in spregio delle disposizioni processuali che regolano l'istruzione probatoria nel rito civile.

La sentenza gravata non avrebbe accertato la configurabilità di alcun reato a suo carico, perchè l'unico accertamento rilevante - il tentativo di violenza perpetrato quando si trovava sul soppalco - era basato solo sulla dichiarazione della vittima, che era stata specificamente contestata e che risultava contraddetta dalla testimonianza di T.S. e da quella di Ma.St..

IL RICORSO INCIDENTALE DI F.F..

6) Con il primo motivo il ricorrente denuncia "Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e, in particolare, per violazione dell'art. 622 c.p.c. e art. 246c.p.c., artt. 392-394 c.p.c., art. 2697 c.c., alla luce dei principi espressi dalla Cass. n. 15859/2019 del 12.06.2019 Sez. III civile".

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe violato l'art. 622 c.p.p. e artt. 392 e 394 c.p.c., quanto alle regole procedurali da applicarsi al giudizio di rinvio, avendo posto a fondamento della propria decisione le dichiarazioni rese dalla parte offesa che, secondo l'art. 246 c.p.c., applicabile al giudizio di rinvio, essendo dichiarazioni provenienti dalla parte portatrice di un interesse personale nella causa, non avrebbero potuto essere assunte come prova testimoniale; avrebbe anche erroneamente dichiarato la sua responsabilità e quella di L.F. per il reato di violenza sessuale di gruppo e per lesioni aggravate, pur non avendo parte attrice assolto l'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c.. Il ricorrente aggiunge che la Corte di appello non era vincolata a seguire i dettami impartiti dalla pronuncia della n. 35950/2010 della Corte di Cassazione penale, perchè, stando alla decisione n. 15859/2019, la Corte di Cassazione penale non ha il potere di stabilire, in sede di annullamento con rinvio al giudice civile, quali siano le regole e le forme da applicare in tale giudizio, in quanto tale compito deve ritenersi demandato integralmente al giudice civile di appello. La Corte territoriale avrebbe potuto e anzi dovuto motivare la propria decisione sulla base di tutte le altre risultanze processuali, tra cui la documentazione medica in atti e le testimonianze di terzi non interessati, ma non avrebbe dovuto attribuire rilievo pressochè esclusivo alle dichiarazioni di M.A.A., riconoscendovi una forza probatoria tale da confutare le prove testimoniali e da attribuire ai certificati medici in atti un significato esorbitante il loro dato testuale.

7) Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta "Violazione e (o falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, e, in particolare, per violazione dell'art. 622 c.p.p. e art. 246c.p.c., art. 230 c.p.c., art. 257 c.p.c., artt. 392-394 c.p.c., art. 2697 c.c., art. 2727 c.c., art. 2729 c.c., alla luce dei principi espressi dalla Cass. n. 15859/2019 del 12.06.2019 Sez. III civile".

La quaestio disputandi attiene all'utilizzo delle prove formatesi nel giudizio penale quali prove atipiche.

E' vero - sostiene il ricorrente - che il giudice del rinvio può formare il proprio convincimento anche sull'istruzione probatoria compiuta in sede penale considerandola prova atipica, ma nella motivazione della sentenza impugnata sarebbe stato svolto un ragionamento inverso, cioè sarebbero state utilizzate le prove atipiche per interpretare ad libitum le altre risultanze processuali. In particolare, il ragionamento del ricorrente è il seguente: ammesso che le dichiarazioni della persona offesa possano avere valenza nel procedimento civile nei limiti della prova atipica, la Corte territoriale non le avrebbe utilizzate secondo i limiti imposti dagli artt. 257, 230 c.p.c., artt. 2700, 2727, 2729 e 2697 c.c., non avendo sottoposto quanto dichiarato da M.A.A., nella querela e negli interrogatori, ad uno scrupoloso vaglio critico, svincolandosi dalla valutazione fornita dal giudice penale; al contrario, avrebbe artificiosamente adattato le dichiarazioni di M.A.A. per renderle compatibili con quelle rese da Ma.St. e dal suo ex fidanzato T. stravolgendo il dato testuale di queste ultime, e avrebbe utilizzato le dichiarazioni della parte offesa per trovare conferma della violenza sessuale nel certificato medico del pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS). Invece, la teste Ma. aveva sempre dichiarato di aver sentito una ragazza che gridava all'interno dell'abitazione di F.F., invocando la restituzione del cellulare, di aver udito rumori simili a quelli provocati da un vetro rotto e di essere stata attratta dai clamori sul pianerottolo, di avere aperto la porta e di aver visto F.F. che buttava fuori di casa un ragazzo, il quale, a sua volta, trascinava fuori una ragazza che urlava e non voleva andarsene, sbatteva contro la porta di casa, scivolava e cadeva sui gradini d'ingresso. Tale testimonianza smentirebbe il racconto della vittima, la quale, invece, aveva sempre dichiarato di essere fuggita per allontanarsi dai suoi aggressori. Inoltre, il suo ex fidanzato, T.S., avrebbe affermato che la scena dei fatti non gli era stata descritta come una scena di violenza e che M.A.A. gli aveva riferito di avere avuto la sensazione di essere stata violentata.

Le dichiarazioni di T.S., peraltro, essendo un teste de relato actoris, secondo l'orientamento espresso nella decisione di questa Corte n. 3137/2016, non avrebbero dovuto avere rilievo probatorio. Invece, la Corte d'Appello non solo le aveva utilizzate, ma vi avrebbe trovato un riscontro alle dichiarazioni rese da M.A., anch'esse inutilizzabili o comunque costituenti prove atipiche, da usare solo se ed in quanto non smentite dal confronto critico con le altre risultanze processuali, come affermato dalla decisione di questa Corte n. 15859/2019.

8) Con il terzo motivo il ricorrente denuncia "Nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4".

La sentenza impugnata difetterebbe di motivazione o quantomeno avrebbe una motivazione illogica circa le ragioni per cui M.A.A., dopo essere stata violentata da F.F., invece di rivestirsi, di fuggire e di telefonare per chiedere aiuto, sarebbe salita, seminuda, sul soppalco per chiedere aiuto a L.F. che poco prima l'aveva consegnata a F.F., consentendogli di approfittarsi di lei. Peraltro, il ricorrente evoca la sentenza n. 24200 del 4 ottobre 2018, la quale ha enunciato il principio secondo il quale, in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio, fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della Suprema Corte si risolve nel controllo dei poteri del suddetto giudice di rinvio, la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia. Nel secondo caso, la sentenza rescindente non limiterebbe il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti indicati, ma il giudice conserverebbe tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relativamente ai poteri di indagine e di valutazione della prova. Pertanto, la Corte d'Appello, una volta escluso che i rapporti sessuali fossero stati consenzienti, avrebbe dovuto dare una spiegazione del comportamento illogico di M.A.A. consistito nel rifugiarsi da uno dei suoi due carnefici anzichè scappare.

9) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta "Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, e, in particolare, la violazione dell'art. 111 Cost., art. 1 c.p.c., art. 2043 c.c., art. 1 c.p.p., art. 40 c.p.", per avere la sentenza impugnata utilizzato il principio civilistico del più probabile che non in luogo di quello penalistico dell'oltre ogni ragionevole dubbio, pur essendosi avvalsa, nella valutazione degli atti di causa, delle dichiarazioni della persona offesa, della testimonianza de relato actoris e delle regole processuali tipiche del giudizio penale, incorrendo nella violazione del principio costituzionale del giusto processo e dell'art. 40 c.p..

10) Con il quinto motivo la sentenza impugnata è censurata per "Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, e, in particolare, per violazione dell'art. 2043c.c., art. 2056 c.c., art. 1227 c.c., art. 2697 c.c., art. 278 c.p.c., in relazione ai principi espressi dalla Cass. n. 15859/2019 del 12.06.2019 Sez. III civile e dalla Cass. n. 10 del 03.01.2019".

Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe liquidato il danno senza prova della sua concreta esistenza. In particolare, sulla scorta delle due pronunce di legittimità richiamate in ricorso - la n. 10/2019 che ha stabilito che anche nel caso di domanda di condanna generica senza determinazione dell'ammontare, rimandata a successivo giudizio, devono essere allegati i fatti costitutivi del diritto fatto valere di cui deve essere dimostrata l'esistenza, non bastando accertare l'illegittimità della condotta, perchè nel giudizio separato deve essere determinato solo il quantum; la n. 15859/2019 che ha precisato come, quando si forma un giudicato agli effetti penali, venga meno la ragione di attrazione dell'illecito civile nell'ambito delle regole di responsabilità penale, e la domanda risarcitoria va proposta secondo le regole dell'illecito aquiliano così che la parte danneggiata può formulare nuove conclusioni ed anche emendare la domanda originaria ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile - la tesi del ricorrente è che M.A.A. avrebbe dovuto, nell'atto di citazione in riassunzione, descrivere in modo concreto i pregiudizi dei quali richiedeva il ristoro nonchè fornire elementi utili a provare danni subiti. Non solo: la Corte d'Appello avrebbe potuto e dovuto accertare anche l'eventuale contributo della persona offesa al verificarsi dell'evento dannoso ai sensi dell'art. 1227 c.c., stante che era stata la stessa M.A.A. ad affermare che c'era stata una colluttazione, che, per difendersi aveva preso una bottiglia, che aveva sferrato calci e pugni ai suoi aggressori.

11) Con il sesto motivo il ricorrente attribuisce alla sentenza impugnata la "Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, e, in particolare, la violazione dell'art. 2043 c.c., art. 2056 c.c., art. 1226 c.c., art. 1227 c.c., art. 2697 c.c., art. 278 c.p.c., in relazione ai principi espressi dalla Cass. n. 127/2016 della Sez. III civile", perchè avrebbe condannato i convenuti al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 30.000,00 senza alcun riferimento all'accertamento del danno ed alla sua quantificazione.

Secondo il ricorrente, che a sostegno della propria tesi evoca la decisione n. 12/2016 di questa Corte, per la liquidazione in via equitativa della provvisionale, M.A.A. avrebbe dovuto assolvere all'onere della prova della sussistenza del danno e di quella della estrema difficoltà di fornirne una stima esatta.

12) Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, e il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso incidentale evocano questioni comuni, che attengono ai rapporti tra giudizio penale e giudizio civile di rinvio disposto ai sensi dell'art. 622 c.p.p..

La loro trattazione, per tale ragione, può essere congiunta, e verrà condotta alla luce della necessaria premessa per cui l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di proscioglimento perchè il fatto-reato non sussiste non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale è riconosciuto al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio sotto il profilo della loro rilevanza civilistica, per pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale (da ultimo, Cass. 25/11/2021, n. 36638).

Tale chiarificazione risulta indispensabile per inserire nella loro corretta cornice giuridica i temi trattati; lo è ancor di più in considerazione di talune affermazioni contenute soprattutto nel primo motivo del ricorso principale, che sembrano adombrare una restrizione dei poteri di rivalutazione del fatto da parte del giudice del rinvio: affermazioni che, pur essendo inserite in un discorso correttamente volto a qualificare il giudizio di rinvio come solo formalmente prosecutorio di quello penale (cfr., soprattutto, p. 13 del ricorso principale), denotano si vedano le pp. 16-18, interamente volte a dimostrare che gli effetti penai della sentenza di proscioglimento sarebbero stati illegittimamente messi in discussione - una erronea percezione del perimetro delle attività rimesse al giudice di rinvio ex art. 622 c.p.p..

12.1) Su tale aspetto è necessario soffermarsi anche alla luce delle non condivisibili conclusioni cui è giunto il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, il quale, pur muovendo dalla corretta premessa secondo cui "l'attuale assetto processuale ammette che, qualora il fatto illecito generatore di responsabilità aquiliana coincida con un'ipotesi di reato, sia possibile la convivenza di una pronuncia assolutoria penale passata in giudicato con una condanna definitiva in sede civile", ne trae poi una non altrettanto corretta conclusione in diritto, sostenendo, del tutto incondivisibilmente, che l'assoluzione di L.F. dai due reati contestatigli precludesse al giudice civile nel giudizio di rinvio "un rinnovato accertamento degli elementi costitutivi dell'illecito civile ai sensi degli artt. 622 e 652 c.p.p.".

12.2.) Osserva il collegio che, quando il giudizio penale si conclude perchè il giudice di legittimità "annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile" oppure "accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato" (ricorso proposto, nella specie, soltanto dalla parte civile, non avendo il P.G. presso la Corte di appello di Bologna ritenuto necessario nè opportuno proporre a sua volta ricorso avverso la sentenza assolutoria di secondo grado), ai sensi nell'art. 622 c.p.p., la rimessione al giudice civile quale giudice di rinvio significa inevitabilmente conferirgli la cognizione di tutto quanto ancora non è stato deciso con pronuncia passata in giudicato sulla domanda risarcitoria che la parte civile aveva proposto nel giudizio penale. Non sussiste, quindi, una scissione di giudizi paragonabile a quella dell'ipotesi di rimessione ex art. 539 c.p.p.: quello che residua della regiudicanda, come riguardante la domanda civile, viene tutto convogliato davanti "al giudice civile competente per valore in grado di appello": Cass. 05/11/2021, n. 32212; Cass. 20/06/2017, n. 15182.

13) La Corte di Cassazione penale, nel giudizio di annullamento della sentenza della Corte d'appello bolognese, con la sentenza n. 35950/2010 aveva accolto il ricorso della parte civile ai soli effetti della responsabilità civile e aveva rimesso gli atti, per la valutazione da operarsi in sede di giudizio civile in relazione alla domanda risarcitoria, alla Corte d'appello civile ex art. 622c.p.p., sull'assunto che la pronuncia di assoluzione pronunciata in gradi appello avesse violato il disposto di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3, che impone la motivazione delle sentenze a pena di nullità.

Annullando su impugnativa della parte civile - e quindi ai soli fini civili ex art. 576 c.p.p., comma 1, primo periodo, seconda parte, la sentenza di assoluzione dell'imputato per un rilevato vizio di motivazione - la Corte di Cassazione penale non ha espresso alcun principio di diritto, e nulla ha statuito nei termini vincolanti di cui all'art. 384 c.p.c., comma 2, limitandosi a predicare un effetto processuale quale conseguenza necessitata dell'operata rimozione della sentenza di assoluzione (ritenuta illogicamente motivata), con conseguente esigenza di rinnovazione del giudizio di accertamento dell'illecito civile residuato al fatto-reato.

13.1.) Va ancora osservato in proposito (e ad abundantiam) che anche l'assoluzione con la formula piena, ex art. 530 c.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste - la più ampiamente liberatoria perchè presuppone che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie penale contestata risulti provato (fatto, antigiuridicità, nesso causale, colpevolezza), rendendo superflua ogni valutazione della condotta dell'imputato proprio perchè postula l'esclusione del fatto di reato - non compromette l'interesse della parte civile al risarcimento del danno, in quanto il giudizio civile che segue ad un annullamento disposto dal giudice di legittimità in sede penale per accoglimento del ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento o di assoluzione non patisce alcun tipo di condizionamento e si estende all'intera pretesa risarcitoria, sia per l'aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell'eventuale determinazione dell'ammontare risarcitorio (così Cass. 15/10/2019, n. 25917).

13.2.) Pertanto, quando la parte civile impugna vittoriosamente, dinanzi al giudice di legittimità, il proscioglimento dell'imputato, ha piena legittimazione ad agire per ottenere la rimozione dell'effetto preclusivo all'accertamento del suo diritto, chiedendo una diversa valutazione in ordine alla sussistenza dei fatti sul diverso piano civilistico e alla responsabilità dell'imputato al fine dell'esercizio dell'azione risarcitoria, attesa l'intangibilità del solo giudicato penale conseguente alla mancata impugnazione della pubblica accusa, sul presupposto che le due responsabilità (civile e penale) corrono su piani differenti (Cass. 29/04/2022, n. 13513).

Il giudizio civile che ne deriva mantiene natura impugnatoria sugli effetti civili dell'illecito - esclusane la configurabilità come reato sul piano penale - nel limitato senso che restituisce alla parte civile la facoltà di ottenere un nuovo giudizio sull'illecito di natura civile e sul diritto al risarcimento e alle restituzioni civili in base ai normali oneri probatori propri del diritto civile, senza però più il supporto della pubblica accusa (Cass. 15/10/2019, n. 25917).

13.3.) Questa Corte, infatti, ha già ritenuto di non poter prestare adesione alla tesi secondo la quale la parte civile può solo aspirare ad ottenere, impugnando la decisione di proscioglimento, una pronuncia che elida gli effetti pregiudizievoli della sentenza assolutoria, onde intraprendere il giudizio civile senza incorrere negli effetti vincolanti derivanti dal giudicato penale. Ciò in quanto all'accoglimento pieno della sua domanda in sede penale osta il principio contenuto nell'art. 538 c.p.p., comma 1, per il quale soltanto in caso di sentenza di condanna il giudice si pronuncia anche sulla domanda per le restituzioni e sul risarcimento del danno. Un rinvio in sede civile al giudice di appello, in tale ipotesi, risulterebbe, dunque, del tutto superfluo in quanto il danneggiato dovrebbe agire ex novo nella sede propria del giudizio(di primo grado per conseguire una dichiarazione di fondatezza delle sue pretese, mentre il rinvio previsto dell'art. 622c.p.p., varrebbe solamente nei casi in cui il proscioglimento afferisca a motivi processuali e non di merito.

14) Tale conclusione è basata essenzialmente sul principio di autonomia del giudizio civile di danno rispetto a quello penale principio talmente radicato e condiviso che questa Corte, con le decisioni assunte nella Pubblica udienza del 18 aprile 2019, ha fatto leva su di esso per affermare che "nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda civile, sicchè la Corte di appello civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e, conseguentemente, adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del "più probabile che non" e non quello penalistico dell'alto grado di probabilità logica, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio" (così, in massima, Cass. 12/06/2019, n. 15859 e le successive conformi).

14.1) Detto approdo giurisprudenziale ha preso le mosse proprio dal venir meno del principio dell'unità della giurisdizione, come espressamente affermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 233 del 2003 (ove si legge che persino un conflitto tra giudicati deve ormai ritenersi eventualità fisiologica di sistema), fondato su una concezione del processo di matrice punitiva e su un sistema processuale inquisitorio, il quale, disponendo delle tecniche adeguate per ricercare la verità, era ineludibilmente individuabile quale sede elettiva ed esclusiva per l'accertamento dei fatti storici posti alla base del reato, anche quando gli stessi fatti avessero avuto rilievo extrapenale. Il principio ha poi tratto nuova linfa dal superamento dell'avversione per la duplicazione dell'attività giurisdizionale, in passato rinnegata alla luce di una ritenuta "superiore esigenza di giustizia inerente alla certezza e alla stabilità delle situazioni e dei rapporti giuridici" - da cui derivava la necessità di evitare contrasti tra giudicati di diverse giurisdizioni. A risultare determinante è stato però soprattutto lo svuotamento del principio della supremazia della giurisdizione penale nei rapporti tra processo penale e processo civile, realizzata, dal punto di vista definito statico, con il meccanismo dell'efficacia vincolante dell'accertamento penale anche nel giudizio civile (prevalenza), e, dal punto di vista dinamico, sottraendo al giudice civile la cognizione preventiva di fatti potenzialmente accertabili dal giudice penale con l'imposizione della sospensione del processo civile, in caso di pendenza dell'azione civile e di quella penale, in attesa delle statuizioni del giudice penale (precedenza). Si è così aperta la strada all'opposto principio del favor separationis e ad un nuovo modo di intendere i rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, le cui implicazioni devono essere individuate volta per volta, anche allo scopo di evitare scelte irrazionali; scelte che si potrebbe pensare di giustificare con il fatto indiscutibile che i capisaldi concettuali alla base del sistema processuale voluto dal legislatore penale del 1988 non sempre si stagliano nitidamente a livello di enunciazione positiva, volta che alcune fattispecie che prescrivono l'efficacia estensiva del giudicato penale anche in sede extrapenale non sono state totalmente espunte dal sistema (artt. 651-654 c.p.p.).

15) L'autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale sono state recentemente confermate anche dalle Sezioni Unite penali di questa Corte (sent. 04/06/2021, n. 22065) che hanno posto l'accento sull'esclusione della perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale, essendo coerente con l'assetto normativo interdisciplinare che, esaurita la fase penale per essere intervenuto un giudicato agli effetti penali e conseguentemente venuta meno la ragione stessa dell'attrazione dell'illecito civile nell'ambito della competenza del giudice penale, la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell'illecito aquiliano. Detta soluzione si pone in continuità con la regola del favor separationis e appare ispirata al principio generale della parità e della originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e del contenimento delle ipotesi di interferenza tra i diversi procedimenti, cui corrisponde la propensione a considerare di stretta interpretazione ogni disposizione che si ponga come derogatoria rispetto al favor separationis; essa culmina con il riconoscimento che il giudizio di rinvio dinanzi alla Corte d'Appello competente per territorio e per valore ex art. 622 c.p.p., sia un giudizio trasmigrato dalla sede penale a quella civile, più consona ad accertare, senza deroghe e limitazioni alle regole processuali civilistiche ed a quelle sostanziali, una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del "fatto" (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro. In sostanza, il giudizio di rinvio che si svolge dinanzi al giudice civile cui è stato rimesso è strutturalmente e funzionalmente autonomo rispetto a quello penale, da cui pure proviene (Cass. 05/11/2021, n. 32212; Cass. 29/09/2021, n. 26476), e può definirsi tale solo atecnicamente, trattandosi di rinvio c.d. improprio e comportando la translatio iudicii e la diversa regiudicanda un accertamento dei fatti rilevanti (ai soli fini risarcitori) regolato dai canoni sostanziali e processuali propri del giudizio civile, con potere in capo al giudice civile di autonoma valutazione dei fatti accertati nel processo penale (Cass. 25/11/2021, n. 36638).

16) Nel caso di specie - fermo restando che il giudice del rinvio disposto ai sensi dell'art. 622 c.p.p., non era vincolato da alcun principio di diritto - non poteva prescindersi dal fatto che l'annullamento della sentenza penale di assoluzione era stato disposto, in sede di giudizio di legittimità, per un radicale vizio di motivazione, sicchè la Corte di appello, nel rinnovare il giudizio, era tenuto a giustificare il proprio convincimento anche alla luce delle risultanze esplicitamente o implicitamente emergenti dalla sentenza penale di annullamento della pronuncia assolutoria, in sede di esame della coerenza logica del relativo discorso giustificativo, evitando di incorrere nelle stesse carenze e negli stessi vizi del provvedimento annullato (Cass. 15/04/2002, n. 5432).

16.1) La sentenza rescindente della Corte di legittimità, indicando gli aspetti specifici di insanabile carenza e di palese contraddittorietà della pronuncia annullata, non aveva limitato il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti specificati, ma gli aveva conservato tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di valutazione delle prove nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sulle stesse, erronee argomentazioni del provvedimento annullato, ritenute illogiche e contraddittorie, con conseguente necessità di eliminarne le illogicità e le contraddizioni e di sopperire ai difetti argomentativi (ex plurimis cfr. Cass., Sez. Un., 20/10/1997, n. 10598).

Tali principi, nonostante l'istituzionale indipendenza dei giudizi e perfino delle relative discipline della stessa responsabilità, trovano necessaria applicazione anche nel caso di specie, cioè nel rinvio al giudice civile disposto dal giudice penale per vizio di motivazione, dovendosi ritenere preminente l'esigenza di non vanificare le indicazioni fornite dal giudice rescindente (in termini, in motivazione, cfr. Cass. 14/10/2021, n. 28011; nello stesso senso Cass. 21/03/2022, n. 8997).

Il giudice del rinvio, in definitiva, era tenuto ad accertare - non essendo oggetto di preclusione derivante dall'esito del processo penale - non altro che la responsabilità civile degli imputati (arg., ex multis, da Cass. 15/09/2021, n. 24905).

17) E' rilevante, ai fini che qui interessano, ribadire che la Corte d'Appello era tenuta a compiere una valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili, considerando che, in applicazione dei principi discendenti dall'autonomia e separatezza del giudizio civile rispetto a quello penale (come già affermato da questa Corte con la sentenza 15859 del 2019): a) il diritto al risarcimento del danno è un diritto etero-determinato, sicchè l'identificazione della domanda è conseguenza esclusiva dell'individuazione del relativo "petitum" e della relativa "causa petendi", così come rappresentata dal danneggiato in sede di costituzione di parte civile; b) i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno prescindono dall'identificazione del fatto come reato; c) all'esito della trasmigrazione del procedimento dalla sede penale, è diverso l'ambito entro il quale l'attività difensiva delle parti viene a svolgersi, dovendo le relative questioni essere trattate in base alla prospettazione del fatto sotto il profilo (non del reato, ma) dell'illecito civile ex art. 2043 c.c.; d) all'esito del rinvio al giudice civile, il fatto perde la sua originaria connessione con il reato per riacquistare i caratteri dell'illecito civile, seguendo i canoni probatori propri di quel processo; e) il giudice civile in sede di rinvio deve applicare, in tema di nesso causale, in alternativa, il canone probatorio del "più probabile che non", ovvero quello della "probabilità prevalente", e non il criterio dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale; f) rispetto alla fattispecie di reato a condotta vincolata, nel giudizio civile possono essere fatte valere modalità di condotta diverse da quelle tipizzate dalla norma penale, e diversi titoli di responsabilità, che viceversa rilevino ai sensi degli artt. 2043 c.c. e segg.; g) deve ritenersi legittima una diversa valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito ove nel processo penale si sia proceduto per un reato doloso per il quale la legge penale non preveda una speculare punibilità a titolo di colpa, e che la valutazione dell'elemento soggettivo colposo (ove, nel giudizio penale, si sia proceduto a tale titolo) è autonoma dalla nozione di colpa penale; h) l'esistenza di una causa di non punibilità prevista dada legge penale e riconosciuta in quel giudizio non ne preclude un'autonoma valutazione in sede civilistica. i) nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., non è consentito valutare, attribuendole valore di prova, la testimonianza della parte civile sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo viceversa trovare applicazione il principio di cui di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

18) Entro tale cornice di riferimento, dunque, deve stabilirsi se la Corte d'Appello sia incorsa nelle violazioni che le sono state attribuite quanto alla valutazione del corredo probatorio in atti.

Va osservato in proposito che tanto il ricorso di L.F. quanto quello di F.F. non negano i suddetti principi, nè il loro rilievo nella vicenda per cui è causa, ponendo, peraltro, al collegio una questione processuale (la rilevanza probatoria della testimonianza resa in sede penale dalla parte lesa) correttamente formulata in punto di diritto: nondimeno, svolgono argomentazioni che, nella specie, non possono condurre all'accoglimento dell'impugnazione per le ragioni che si andrà ad esporre.

18.1) Sul versante probatorio, tenuto conto che nel processo penale, a differenza che in quello civile, la parte civile può legittimamente rendere testimonianza - in mancanza di una norma speculare a quella dell'art. 246 c.p.c. - e che tale testimonianza può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice penale, il quale può fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa, l'efficacia probatoria di tale atto processuale nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., deve essere vagliata alla stregua delle regole del codice di rito civile. In coerenza con quanto predicato circa la necessità che il giudizio di rinvio si svolga secondo le regole proprie del processo civile deve, pertanto, escludersi che la testimonianza resa dalla parte civile nel processo penale conservi il suo valore di prova testimoniale anche quando, con l'accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, il solo processo civile prosegua dinanzi al giudice di rinvio - fondandosi l'opposto convincimento sul presupposto, evidentemente superato, secondo il quale, in tal caso, continuerebbero ad applicarsi le regole proprie del processo penale (Cass. 14/07/2004, n. 13068). In coerenza con le premesse del ragionamento fin qui sviluppato, sembra correttamente sostenibile (e salvo quanto si dirà infra, sub 18.6 e ss.) che la ricostruzione del fatto dannoso fondata sulle sole dichiarazioni rese in sede penale, in veste di testimone, dalla parte civile non sia, di regola, e ad un primo approccio ermeneutico, astrattamente predicabile, perchè l'art. 246 c.p.c., vieta di assumere "come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio".

18.2) Tanto premesso, va peraltro considerato che, se la testimonianza della parte viene comunemente qualificata nulla se assunta in seno al processo civile, diverso è il caso in cui tale testimonianza sia stata resa - del tutto validamente - in seno al processo penale, e valutata come prova piena in quella sede.

Di conseguenza, non è lecito discorrere di nullità della prova testimoniale in seno al giudizio civile instaurato ex art. 622 c.p.p. - prova, di converso, morfologicamente valida, attesane la genesi, ancorchè riversata agli atti di quel giudizio bensì di inefficacia funzionale della stessa, in sede civile, volta che quella testimonianza, dopo essere stata validamente assunta nel processo penale, ha fatto (altrettanto validamente) ingresso nel processo civile, ove ne difetta una espressa previsione di nullità, alla luce del disposto dell'art. 156 c.p.c., comma 1.

Non si pone, pertanto, una questione di utilizzabilità della prova - l'utilizzabilità della prova presupponendone comunque la validità e l'efficacia - poichè il principio di utilizzabilità/inutilizzabilità delle prove assunte in violazione di un espresso divieto, disciplinato dal codice di procedura penale, non pare predicabile in sede di giudizio civile (Cass. 15859/2019), ove manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova - onde la facoltà del giudice di porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se e in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (Cass. 25/03/2004, n. 5965). In base al principio del libero convincimento, difatti, si afferma costantemente che il giudice civile può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni circostanza di fatto acquisita agli atti - e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale (quali, ad esempio, le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni).

18.2.1) Questa Corte ha ripetutamente affermato che, anche nei casi in cui non possono attribuirsi alla sentenza penale effetti vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli artt. 654, 652 e 651 c.p.p., nulla impedisce al giudice civile, tenuto a rivalutare integralmente i fatti di causa, di tener conto delle acquisizioni probatorie del processo penale e di ripercorrere lo stesso iter argomentativo della sentenza di condanna, condividendone gli esiti. In tale contesto, si ritiene che il giudice civile possa trarre elementi di convincimento - sempre che li sottoponga ad adeguato vaglio critico - anche dalle dichiarazioni c.d. autoindizianti rese da un soggetto in un procedimento penale, non potendo la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 63 c.p.p., posta a tutela dei diritti di difesa in quella sede, spiegare effetti al di fuori del processo penale. L'utilizzabilità, in definitiva, è categoria normativa del solo rito penale, ignota al processo civile, e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo, attraverso la loro produzione e nella successiva decisione, in virtù di un'attività interpretativa che segue i canoni del metodo atomistico-analitico rispetto a ciascun factum probans, per poi sfociare in una complessiva e definitiva valutazione di tipo olistico di tutti quei fatti onde addivenire all'affermazione o alla negazione dell'esistenza del factum probandum (in tal senso, di recente, Cass. 5884/2022).

18.2.2) Tali risultanze probatorie appaiono contestabili solo se svolte in contrasto con le regole, rispettivamente, processuali o di giudizio, che vi presiedono (Cass. 4/06/2014, n. 12577, con riferimento, in particolare, al valore probatorio delle dichiarazioni indizianti ex art. 63 c.p.p.; Cass. 12/02/2021, n. 3689, quanto alle dichiarazioni, a sè sfavorevoli, rese dalla persona offesa alla P.G. ed al P.M. nella fase delle indagini preliminari).

18.3) Va parimenti data continuità all'orientamento di questa Corte secondo il quale, con specifico riferimento ai poteri di valutazione delle risultanze probatorie riservati al giudice di merito, l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (imposto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la sentenza 21 settembre 2010, Marcos Barriosfitalia, in relazione all'art. 6, par. 1 della Convenzione EDU) si impone soltanto in ambito penalistico ogni qualvolta si intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado in ossequio della regola di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio" e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., comma 2, ma non è applicabile ai giudizi risarcitori civili, governati - in tema di accertamento del nesso causale tra condotta illecita e danno - dalla diversa regola probatoria del "più probabile che non", a maggior ragione ove venga richiesta in appello l'affermazione della responsabilità del presunto danneggiante (Cass. 30/09/2016, n. 19430).

18.4) Anche le regole probatorie relative al nesso causale, contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti, devono essere sottoposte al principio di autonomia del giudizio di rinvio rispetto a quello penale che ha dato origine alla vicenda. E' escluso evidentemente che, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, nel giudizio di rinvio debbano continuare ad applicarsi le regole processuali penali che hanno governato il processo fino all'annullamento da parte della Corte di Cassazione con la conseguenza che l'an della responsabilità non deve essere accertata secondo il canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio (così come avviene nel giudizio penale d'impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento impugnata dalla sola parte civile); una volta separata la res iudicanda penale da quella civile, a quest'ultima debbono applicarsi le regole processuali civili, con la conseguente sufficienza di un minor grado certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito, secondo i canoni civilistici tanto del "più probabile che non", quanto della "probabilità prevalente" e senza alcun vincolo per il giudice civile nella ricostruzione della relazione etiologica condotta-evento, non essendo quello del rinvio ex art. 622 c.p.p., un giudizio tecnicamente sottoposto al regime di cui agli artt. 392-394 c.p.c., ed in particolare al vincolo del principio di diritto ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, come già più volte precisato.

18.5) Non errano, in definitiva, i ricorrenti nel contestare la rilevanza probatoria della testimonianza della parte, una volta "trasmigrata" nel processo civile.

Errano, per converso, nell'invocarne la nullità, per i motivi poc'anzi esposti.

La testimonianza della parte resa nel processo penale conserva, difatti, la sua validità genetica anche in sede di rinvio civile ex art. 622 c.p.p., pur non potendo legittimamente rivestire l'efficacia nè di prova stricto sensu, nè di prova atipica, a tanto ostandovi il divieto di cui all'art. 246 c.p.c..

18.6) A differente soluzione deve invece pervenirsi, sotto il medesimo profilo della efficacia (e della valutazione) della predetta testimonianza, con riferimento al disposto dell'art. 116 c.p.c., comma 2 e dell'art. 117 c.p.c. - collocati ne titolo V del primo libro del codice di rito civile, dedicato "ai poteri del giudice" - che disciplina l'interrogatorio non formale della parte, disposto d'ufficio "in ogni stato e grado del processo" - onde consentire al giudice di trarne argomenti di prova.

18.6.1) Non è questa la sede per ricostruire i caratteri di struttura e di funzione dell'istituto previsto dall'art. 117 c.p.c. (la cui disciplina" non essendo oggetto di alcuna specifica previsione normativa, resta affidata - come si osserva in dottrina - alla ricostruzione degli interpreti). Basti qui considerare che le diverse tesi proposte in dottrina e in giurisprudenza oscillano tra quelle più rigorose - che lo riconducono ad una funzione di mero chiarimento delle allegazioni delle parti e dei fatti di causa, senza peraltro costituire un mezzo di prova: in tal senso, tra le altre, Cass. 17238/2010, 21194/2009, 5290/2008 - quelle che, di converso, ne riconoscono l'attitudine a costituire fonte anche unica del convincimento del giudice pur escludendone la natura di mezzo di prova: in tal senso, Cass. 8066/2009, 15019/2005, 6510/2004 - e quelle, per cd. dire "intermedie", che ne ammettono la funzione probatoria allorchè le prove già acquisite al processo non siano sufficienti a fondare il pieno convincimento del giudice (tesi, quest'ultima, che pare peraltro contrastare con lo stesso disposto normativo dell'art. 117, potendo il giudice disporre l'interrogatorio anche in limine litis).

18.6.2) Può soltanto accennarsi, in questa sede, come la tesi più restrittiva (funzione dell'interrogatorio libero esclusivamente ausiliaria/sussidiaria rispetto alla valutazione delle altre prove) sia stata oggetto di profonda rimeditazione dottrinaria, sostenendosi autorevolmente (e argomentandosi da un'analogia strutturale tra argomento di prova e presunzione semplice) che, almeno in taluni casi, l'argomento di prova possa tingersi di autonoma efficacia probatoria, sufficiente ad offrire al giudice la dimostrazione del factum probandum, costituendo una vera e propria inferenza che il giudice può trarre dalle circostanze indicate dalla norma, allo stesso modo in cui, ex art. 2727, può trarre da un fatto noto conseguenze relativa ad un fatto ignorato, e ciò, in particolare, se l'interrogatorio verta su circostanze tali da poter essere conosciute soltanto dalle parti (Cass. 1435/1975; Cass. 1481/1968).

18.7) Il collegio ritiene di dover aderire a tale soluzione, convenendo con la dottrina che l'ha elaborata, sulla premessa per cui, in assenza di espresse previsioni normative circa l'efficacia che può o deve essere attribuita alle conclusioni cui gli argomenti di prova consentono di pervenire, tale efficacia sarà maggiore o minore a seconda della forza (o "gravità") della singola inferenza, e con la conseguenza che l'argomento di prova potrà, o non potrà essere da solo sufficiente a dimostrare la verità o la falsità di un enunciato a seconda del grado di conferma che l'inferenza attribuisce alla conclusione che riguarda quell'enunciato: l'art. 116, comma 2, si limita, pertanto, ad indicare una serie di possibilità logiche di cui il giudice dispone, nel contesto di un più razionale sfruttamento del sapere delle parti.

18.7.1) Vanno pertanto affermati i seguenti principi di diritto: a) l'interrogatorio della parte lesa, assunto in sede di giudizio penale, è atto processuale morfologicamente valido, ma funzionalmente inefficace se trasposto in sede di giudizio di appello civile instaurato ex art. 622 c.p.p.; b) quell'atto processuale, a seguito della trasmigrazione nel processo civile, non può assumere il carattere della prova civile o della prova atipica; c) l'interrogatorio della parte reso in sede penale può, peraltro, avere efficacia - ed essere legittimamente utilizzato dal giudice civile - come argomento di prova, ex art. 117 c.p.c., a nulla rilevando che sia stato un altro giudice a raccoglierlo (con tutti i crismi di legittimità indicati dalla norma, ivi compreso il rispetto del principio del contraddittorio, che informa di se l'intero processo penale nella sua nuova forma accusatoria) e senza escludere la facoltà del giudice del rinvio, ove lo ritenga necessario, di procedere autonomamente a disporlo nuovamente dinanzi a se; d) l'efficacia di argomento di prova del contenuto dell'interrogatorio trasmigrato nel processo civile consentirà al giudice, in ossequio al principio del suo libero convincimento, di porne, in parte qua, il relativo contenuto a fondamento della sua decisione, secondo i canoni interpretativi dianzi esposti, come verificatosi nel caso di specie.

18.7.2) Tali principi sembrano trovare espressa conferma normativa nel disposto dell'art. 159 c.p.c., comma 3, improntato, come è noto, ad un criterio di economia processuale: in tema di atti nulli, difatti, la norma stabilisce che "se il vizio impedisce un determinato effetto, l'atto può tuttavia produrre altri effetti ai quali e idoneo".

Trova, in particolare, conferma, anche in sede processuale, tanto la dicotomia (mutuata dal diritto sostanziale) nullità/inefficacia, quanto il principio "di conversione degli effetti" della nullità, a più forte ragione predicabile quando l'atto di cui dispone il giudice civile non è nullo, ma, come nella specie, soltanto inefficace.

19) Ne consegue, nonostante il ricorso principale e quello incidentale lamentano, con diversi accenti, che la Corte territoriale abbia illegittimamente utilizzato le dichiarazioni rese dalla parte civile nel processo penale per fondare, altrettanto illegittimamente, e in violazione dell'art. 246 c.p.c., l'affermazione di responsabilità di L.F. e di F.F., che tali doglianze, alla luce di quanto sinora esposto, non hanno giuridico fondamento.

19.1) Come emerge da quanto riferito nella parte descrittiva dei fatti di causa, la Corte territoriale ha legittimamente (sia pur non espressamente) attribuito rilievo alle dichiarazioni della parte offesa in sede penale come argomento di prova, e specularmente valutato quelle rese dagli imputati, mettendo a confronto le prime con le seconde; ha esaminato le dichiarazioni rese dai terzi disinteressati - del tassista che ebbe ad accompagnare la sera dei fatti i due uomini e la donna, della vicina di casa di F.F. e dall'ex fidanzato della parte offesa (la dichiarazione di quest'ultimo, per quanto de relato actoris e, quindi, caratterizzata da un valore probatorio fortemente attenuato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, resta pur sempre un elemento di cui il giudice può tenere conto ai fini della decisione, nel contesto delle altre risultanze di causa: Cass. 07/10/2020, n. 21568); ha valutato il comportamento degli imputati successivo ai fatti per cui è causa; ha sottoposto a vaglio critico quanto emerso dalle prove orali con i referti del pronto soccorso e con le lesioni subite da M.A.A. (particolarmente significativa quella riportata sulla parte interna della coscia) per concludere, all'esito di un corretto e motivato giudizio probabilistico, nel senso che il fatto contestato agli odierni ricorrenti potesse dirsi provato.

19.2) Del tutto correttamente, pertanto, il giudice di appello ha valutato le dichiarazioni della parte lesa in guisa di argomento di prova, coniugandolo con ulteriori e significativi fatti indizianti, la cui efficacia probatoria, complessivamente considerata, lo ha condotto, sulla base di un altrettanto corretto ragionamento inferenziale, e tenendo altresì conto delle univoche indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione penale nell'accogliere il ricorso della parte lesa, alla conclusione della maggior probabilità positiva, rispetto a quella negativa, della consumazione della violenza sessuali ai danni dell'odierna contro ricorrente.

19.3) Non senza considerare ancora, e in conclusione, che, se il giudice civile può trarre argomenti di prova anche dal "contegno delle parti nel processo" (art. 116 c.p.c.), a fortiori potrà trarre argomenti di prova dalle dichiarazioni rese dinanzi al giudice penale, che appaiono certamente un "contegno" valutabile in sede civile.

20) Di ciò mostra piena consapevolezza il ricorrente incidentale che infatti, con il secondo motivo di ricorso, (specie al folio 17), riconosce (sia pur erroneamente, per quanto sinora esposto) che le dichiarazioni della parte civile nel giudizio penale sono "utilizzabili" come prove atipiche nel giudizio civile di rinvio, ma imputa assertivamente alla Corte territoriale di non avere sottoposto quanto dichiarato da M.A.A. "ad uno scrupoloso vaglio critico, svincolandosi dalla valutazione fornita dal giudice penale", e di "avere utilizzato le dichiarazioni della M. per adattare artificiosamente le dichiarazioni rese dalla vicina di casa Ma. e dall'ex fidanzato della M., T., alla ricostruzione dei fatti in termini di violenza sessuale, stravolgendo il dato testuale delle testimonianze". Queste, così come le ulteriori censure mosse alla sentenza impugnata, di analogo tenore, non hanno alcun pregio in questa sede, risolvendosi, nel loro complesso, in valutazioni di fatto diverse rispetto a quelle operate dalla sentenza impugnata circa le risultanze istruttorie in atti - ciò che, secondo un indirizzo costante di questo giudice legittimità, non può in alcun modo integrare gli estremi di un vizio cassatorio.

21) Nè a miglior sorte è destinata la denunciata violazione dell'art. 2727 e dell'art. 2729 c.c.. Costituisce principio consolidato presso questa Corte quello secondo cui le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l'attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l'attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche e compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all'esistenza o, al contrario, all'inesistenza del fatto ignoto; chi ricorre in cassazione non può limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sè solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all'esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori, ma deve far emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio.

21.1) La doglianza relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, peraltro, neanche presentata nei termini indicati da Cass., Sez. Un., 24/01/2018 n. 1785, che, in motivazione, identifica la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nell'avere il giudice di merito fondato la presunzione "su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota", per cui, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il giudice di legittimità può essere investito "dell'errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un'inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi"; e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza (così, tra le altre, in motivazione, Cass. 02/11/2021, n. 31071).

22) Nè ricorrono, per altro verso, i presupposti, come individuati dalla giurisprudenza, di questa Corte, per denunciare la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nè dell'art. 2697 c.c.. Per realizzare la violazione della prima disposizione il giudice di merito dovrebbe avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove". Quanto, poi, all'art. 116 c.p.c., la sua violazione è predicabile solo se: a) il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l'ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova di risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi)".

22.1) La violazione dell'art. 2697 c.c., postula, invece, che il giudice abbia alterato o non correttamente applicato la regola di distribuzione dell'errore probatorio, e non già la postulazione che la valutazione delle risultanze probatorie abbia condotto ad un esito non corretto. Approfondimenti sul punto si rinvengono in Cass. 10/06/2016, 11892, che riprende un principio di diritto già espresso in motivazione da Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598/2016 e ribadito da Cass., Sez. Un., 24/09/2020, n. 20087.

23) Il terzo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale hanno la stessa epigrafe e sono sorretti dal medesimo apparato argomentativo.

Entrambi sono immeritevoli di accoglimento, perchè la sentenza impugnata non è affatto basata su una motivazione apparente e non corrisponde al vero che non faccia comprendere il ragionamento seguito riguardo alle ragioni della c.d. crisi isterica di M.A.A..

Peraltro, come si e già detto, il giudice d'appello era tenuto a compiere una valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili, anche allo scopo di non vanificare la pronuncia della Corte di Cassazione penale che aveva ravvisato un grave deficit nel ragionamento della Corte d'Appello penale anche con riguardo alla vicenda della crisi isterica di cui sarebbe stata preda la giovane nell'immediatezza dei fatti. La sentenza oggi impugnata ha convincentemente spiegato le ragioni per cui non ha ritenuto credibile la tesi della crisi isterica (pp. 10-12) e non è affatto inficiata dal fatto di non avere espressamente confutato - pur avendoli presi in considerazione - tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso (Cass. 17/05/2013, n. 12123).

24) Il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, a dispetto della loro epigrafe, sostanziano in una richiesta di diversa valutazione dei fatti, al fine di differenziare la condotta di L.F. rispetto a quella F.F., muovendo dall'assunto, che non trova riscontro nella sentenza impugnata, che essa abbia dato atto della sostanziale differenza sotto il profilo oggettivo e soggettivo delle condotte riferibili ai due imputati, equiparandole la posizione e ricreando un vincolo di solidarietà. La Corte territoriale, al contrario, procedendo ad una autonoma valutazione degli elementi istruttori ha ritenuto che vi fossero i presupposti per ritenere le condotte dei due imputati astrattamente ascrivili alle fattispecie dei reati loro contestati. Pertanto, i motivi sono inammissibili.

25) Il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale sono infondati.

Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente e condiviso dal Sostituto Procuratore, quando il giudice emette una pronuncia di condanna generica è segno che ha accertato la esistenza dell'evento di danno, le cui concrete conseguenze saranno verificate nel successivo giudizio di liquidazione (Cass. 11/10/2016, n. 20444).

25.1) Tale giudizio potrà essere separatamente - e legittimamente - instaurato all'esito di quello, oggi concluso, sull'an debeatur, non potendosi dare seguito alla contraria affermazione, che discetta di una pretesa inscindibilità di giudizi, contenuta (peraltro, in un mero obiter dictum) nella sentenza n. 17984 del 3 giugno 2022 di questa Corte, la quale risulta del tutto isolata, oltre che contrastante con una consolidata e concorde giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 12103 del 17 maggio 1995, n. 108 del 10 aprile 2000 e n. 390 del 2 giugno 2000).

25.2) La sentenza impugnata, difatti, ha accertato tanto l'esistenza dell'evento di danno, quanto del nesso di causalità materiale tra questo e la condotta dei responsabili, senza pronunciarsi, del tutto correttamente, sul nesso di causalità giuridica che lega quell'evento di danno alle conseguenze dannose dell'illecito, ex art. 1223 c.c. - onde la necessità di un'ulteriore indagine, in separato giudizio, circa le conseguenze pregiudizievoli dell'evento (al fine di procedere alla relativa liquidazione), che andrà condotta, giusta il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, sulla scorta del criterio presuntivo di proporzionalità diretta, alla luce del quale ad una più intensa gravità della condotta (quale quella di specie) corrisponde una maggior efficacia probatoria della presunzione semplice, della massima di comune esperienza o del fatto notorio (Cass. 05/05/2020, n. 8477).

25.3) Ne deriva che la liquidazione di una provvisionale e la sua quantificazione si fondano del tutto correttamente su una valutazione prognostica di quello che potrebbe essere l'ammontare del danno conseguenza. Pertanto, è del tutto fuori fuoco la evocazione della giurisprudenza richiamata dal ricorrente a sostegno della propria argomentazione difensiva, che si riferisce alla diversa questione della liquidazione del danno conseguenza.

26) Del tutto priva di pregio risulta, infine, la censura mossa alla sentenza impugnata con riferimento alla mancata applicazione della previsione di cui all'art. 1227 c.c.: in tema di violenza sessuale, difatti, l'eventuale consenso della vittima, pur se, in ipotesi, inizialmente prestato, non riveste alcuna efficienza con-causale rispetto al successivo comportamento degli autori dell'illecito tutte le volte che, a quell'iniziale consenso, abbia poi fatto seguito (come nel caso di specie) un successivo dissenso, degradando il consenso iniziale al livello mera occasione, etiologicamente irrilevante rispetto alta successiva condotta del soggetto agente.

27) I ricorsi di L.F. e di F.F. sono pertanto rigettati.

Le spese del giudizio di cassazione tra L.F. e F.F. sono compensate, in considerazione della loro reciproca soccombenza;

28) L.F. e F.F. sono condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di M.A.A., nella misura indicata in dispositivo;

29) ricorrono i presupposti processuali per porre a carico di L.F. e di F.F. l'obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensa le spese del giudizio di cassazione tra L.F. e F.F.. Condanna L.F. e F.F. al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell' stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi riportati nella sentenza.
Conclusione
Così deciso in Roma, dalla Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2022