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Furto di identità evita condanna per diffamzione solo se .. (Cass. 39805/22)

23 settembre 2022, Cassazione penale

Imputato per diffamazione via Facebook, non basta affermare il furto di indentità senza avvalorare la tesi con elementi obiettivi.

 

Corte di Cassazione

sez. V penale Num. 39805 Anno 2022
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: TUDINO ALESSANDRINA
Data Udienza: 23/09/2022
 
RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata del 22 febbraio 2021, la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la decisione del Tribunale di Gela del 21 gennaio
2020, con la quale è stata affermata la responsabilità di Saverio Di Blasi per il
delitto di diffamazione in danno di Anna Moscato.
Dalle sentenze di merito risulta che i fatti attengono alla pubblicazione, sul
profilo Facebook "DBS" e sulla pagina "Il quotidiano di Gela", di un
testo che, nell'ascrivere ad AM il danneggiamento di una moto
dell'imputato, affermava, tra l'altro, che la stessa fosse "schizofrenica certificata".

2. Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l'imputato, con atto a
firma dell'Avv. SM, affidando le proprie censure a cinque motivi, di
seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Con il primo motivo, deduce violazione della legge processuale in
relazione alla celebrazione, in forma cartolare, del giudizio di appello, in quanto -
a seguito della tardiva richiesta di trattazione orale del difensore - la Corte non
avrebbe potuto procedere ai sensi dell'art. 23 del decreto-legge 28 ottobre 2020,
n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in
quanto procedimento previsto per i soli giudizi in cui non sia costituita la parte
civile. Evidenzia, sul punto, il carattere eccezionale della deroga al principio
dell'oralità, che non consente l'estensione della norma fuori dei casi previsti,
limitati ai giudizi nei quali non partecipa la parte civile, come reso evidente dal
riferimento alle conclusioni dell'imputato e del pubblico ministero. Prospetta, in via
subordinata, questione di legittimità costituzionale della norma, ove interpretata
in senso difforme.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della legge processuale e
correlato vizio della motivazione in riferimento ai dati probatori sul punto
dell'attribuzione al ricorrente del profilo Facebook utilizzato, avendo sul punto la
Corte di merito ingiustificatamente disatteso la tesi difensiva, ribadita nell'esame
del DB, atta ad accreditare il furto d'identità, valorizzando il mero dato
onomastico connotativo e assumendo, senza prova alcuna, che il ricorrente non si
fosse dissociato ex post dall'abusiva pubblicazione o che lo stesso ne fosse
comunque venuto a conoscenza.

2.3. Il terzo motivo deduce violazione di legge in riferimento agli artt. 192,
503 e 530 cod. proc. pen., per essere stata ingiustificatamente disattesa la tesi difensiva ed affermata la responsabilità in via apodittica, senza la rigorosa verifica
della effettiva correlazione tra identità fisica dell'imputato e profilo web dell'autore
del messaggio, con conseguente violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole
dubbio, in assenza della prova: dei dati relativi all'indirizzo IP utilizzato; della
titolarità della linea telefonica della connessione; dell'accertamento del luogo fisico
di collegamento del dispositivo.

2.4. Con il quarto motivo, si deduce violazione della legge processuale e
correlato vizio della motivazione, anche sub specie di travisamento delle prove, in
riferimento all'offensività dell'espressione "schizofrenica certificata", unica indicata
dalla persona offesa, mancando la necessaria valutazione di contesto e, in
particolare, il significato di inattendibilità che, attraverso il predetto riferimento,
l'anonimo scrittore avrebbe attribuito alla parte civile quanto alle accuse dalla
medesima mosse al DB. Sul punto, la sentenza impugnata evidenzia il
travisamento della tesi difensiva laddove esclude che destinatari della
propalazione fossero i giornalisti del quotidiano "la Sicilia".

2.5. Il quinto motivo deduce omessa motivazione sulla censura, svolta nel
sesto motivo d'appello, sul punto della mancata applicazione della diminuente
conseguente alla celebrazione del giudizio nelle forme del rito abbreviato.

3. Il 22 settembre 2022, il difensore ha fatto pervenire memoria con
allegata documentazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il quinto motivo è fondato mentre, nel resto, il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

1.1. Giova, al riguardo, ripercorrere l'iter della legislazione emergenziale
da COVID-19, evidenziando - con specifico riferimento al giudizio d'appello - come
l'art. 23 del dl. 9 novembre 2020, n. 149 avesse previsto, al comma 1, che, dalla
data di entrata in vigore e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del d.
I. 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020,
n. 35, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado, la
Corte di Appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico
ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero
faccia richiesta di discussione orale, o che l'imputato manifesti la volontà di
comparire.
 
La stessa norma disponeva, al comma 4, con richiamo anche al comma 2,
come, qualora vi fosse stata richiesta di discussione orale, questa dovesse essere
proposta per iscritto entro il termine perentorio di quindici giorni antecedenti alla
data fissata per l'udienza, indirizzando la richiesta alla Corte d'Appello, in via
telematica, ad uno dei recapiti, individuati ai sensi dell'articolo 24 del decreto-
legge 28 ottobre 2020, n. 137, mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica
certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo
7 del Regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011,
n. 44.
Sebbene formalmente abrogato dall'arti., comma 2, della legge di
conversione del 18 dicembre 2020, n. 176, l'art. 23 del dl. n. 149 del 2020 è
stato, tuttavia, riproposto, inserendone il contenuto nel nuovo art. 23-bis,
aggiunto al testo precedente alle modifiche.
L'assetto normativo richiamato ha, pertanto, introdotto, in via ordinaria, la
trattazione cartolare del giudizio d'appello, riservando la tradizionale forma orale
di celebrazione solo all'esplicita e tempestiva richiesta di parte.

1.2. Dalla mera lettura del testo normativo emerge, all'evidenza il chiaro
riferimento alle parti private; il che esclude in radice la fondatezza del rilievo del
ricorrente.

Quanto alla comunicazione delle conclusioni rassegnate per iscritto dalle
parti private, va qui solo osservato che la previsione dell'invio alle altre parti delle
sole conclusioni del pubblico ministero, prevista dal comma 2 della disposizione
richiamata, s'appalesa finalizzata alla garanzia del diritto di difesa sull'azione
penale; il che rende ragione del fatto che, potendo la parte civile concludere solo
in relazione alla domanda incidentale, l'omessa previsione di una discovery
anticipata non si rivela idonea a compromettere le prerogative difensive, che
possono esplicarsi con l'impugnazione di legittimità.
E tanto vale ad escludere anche solo l'astratta plausibilità di tensioni con i
principi costituzionali sotto il profilo della disparità di trattamento.

2. Il secondo motivo ed il terzo motivo sono aspecifici in quanto meramente
reiterativi di doglianze incensurabilmente confutate.

2.1. Il ricorrente ribadisce la mancanza di prova della riconducibilità
all'imputato dei profili Facebook "DBS" e "Quotidiano di Gela", non solo
insistendo su un furto di identità digitale di cui - come incensurabilmente opinato
dalla Corte di merito - non è stato allegato alcun elemento obiettivo di conforto,
ma trascura del tutto il contenuto stesso delle pubblicazioni che, riportando con
dovizia di dettagli episodi dei quali lo stesso DB era stato protagonista ed iniziative giudiziarie dal medesimo intraprese, finiscono per svolgere un'insuperabile portata individualizzante.

2.2. Nel resto, il terzo motivo contesta l'omessa assunzione di prove che - per quanto già rilevato - non s'appalesano nella specie decisive, indugiando nella prospettazione di un mero dissenso e ponendo la censura nell'alveo della
aspecificità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).

3. Il quarto motivo è proposto fuori dei casi previsti dalla legge.

3.1. Oltre a (ri)proporre una soggettiva reinterpretazione postuma del
contenuto delle pubblicazioni che - oltre all'espressione "schizofrenica certificata",
della cui obiettiva offensività le conformi sentenze di merito hanno dato ampia ed
incensurabile giustificazione - contengono un complessivo svilimento della
persona offesa AM, alla quale vengono attribuiti reati e non verificati
rapporti personali con l'avv. C, il ricorrente evoca un travisamento della prova
che, invece, ne contesta la stessa efficacia dimostrativa, atteso che il vizio di
"contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la
cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel
ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per
evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi
di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato",
atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito
dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva, Rv.
283370).

3.2. Nel resto, sebbene il motivo non evochi il vizio di cui all'art. 606, lett. b),
cod. proc. pen., va qui ribadito come, in materia di diffamazione, la Corte di
cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva
della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in
primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta
contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie (Sez.
5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145); e, sul punto, anche le
valutazioni di contesto riproposte dal ricorrente non si rivelano idonee ad escludere
l'attitudine dell'integrale testo alla lesione della reputazione della parte civile.

4. Il quinto motivo è, invece, fondato.

Alla deduzione, svolta con l'appello, finalizzata all'applicazione della riduzione
di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, non concessa in primo grado,
la Corte territoriale ha omesso di dare risposta, confermando le statuizioni relative
al trattamento sanzionatorio.

 
Il Consigliere estensore Il Presidente