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Foto nude esibite per estorcere consenso alla modifica del diritto di visita (Cass. 5716/25)

12 febbraio 2025, Cassazione penale

E' reato minacciare di esibire e diffondere fotografie compromettenti in corso di giudizio di separazione, quando la persona offesa venga indotta ad accettare una modifica delle condizioni di separazione per lei peggiorativa ed invece vantaggiosa per il coniuge, così subendo una compressione della propria libertà di scelta ed una compromissione dei rapporti con le figlie, esposte a prevedibili condizionamenti nell'esprimere la propria volontà di frequentare o meno la madre.

In materia di delitti contro il patrimonio di cui al titolo XIII del codice penale, deve riconoscersi che il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore.

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 Sez. II penale

 Sent., (data ud. 26/11/2024) 12/02/2025, n. 5716
 

Composta da:

Dott. PELLEGRINO Andrea - Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano - Relatore

Dott. ALMA Marco Maria - Consigliere

Dott. D'AURIA Donato - Consigliere

Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato a A il (Omissis)

avverso la sentenza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PATARNELLO, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio.

udito il difensore, l'avvocato PS, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal GUP del Tribunale di Asti, all'esito di giudizio abbreviato, nei confronti di A.A. in ordine ai reati di cui all'art. 167 del D.Lgs. n. 196/2003 - così riqualificata l'originaria contestazione di cui all'art. 612-ter cod. pen. - e 629 cod. pen., ritenuti in continuazione tra loro, con la conseguente condanna alla pena ritenuta di giustizia.

Il procedimento aveva preso le mosse da una querela presentata dalla parte civile che, già coniugata con il A.A. aveva riferito che, in occasione dell'udienza di comparizione nel giudizio di separazione tra i due, soltanto pochi minuti prima dell'inizio di questa, il legale del marito aveva mostrato al suo delle fotografie a sfondo sessuale che la raffiguravano nuda (fotografie che le aveva carpito la figlia X, di appena dodici anni, che le aveva poi condivise con il padre), proponendole di accettare una modifica delle condizioni di separazione già concordate, con la quale si subordinava la possibilità per la donna di vedere le figlie al consenso di queste ultime ("solo se e quando le figlie manifesteranno il desiderio e la volontà di restare con la madre e ogni altra volta in cui lo vorranno").

La Corte territoriale ha qualificato la condotta del A.A. come "minacciosa e coartante" nei confronti della persona offesa, presa alla sprovvista ed indotta dal suo stesso avvocato ad accettare una modifica delle condizioni di separazione per lei peggiorativa e vantaggiosa -invece-per il coniuge, così subendo una compressione della propria libertà di scelta ed una compromissione dei rapporti con le figlie, che così si allontanavano da lei per effetto dell'opera di persuasione posta in essere dal A.A. Da qui il riconoscimento della penale responsabilità di quest'ultimo in ordine al delitto di estorsione, oltre che per il reato di cui all'art. 167 del codice della privacy, così riqualificata la condotta originariamente contestata ai sensi dell'art. 612-ter cod. pen., non configurabile nel caso di specie perché entrato in vigore dopo i fatti.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il A.A., affidandolo a tre motivi di impugnazione:

2.1. Il primo motivo prospetta il vizio di omessa o contraddittoria motivazione per travisamento della prova in ordine agli elementi dell'ingiusto profitto con altrui danno, nonché la violazione dell'art. 629cod. pen., sotto diversi profili:

2.1.1. con riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, per essersi riportati in sentenza solo alcuni passaggi di queste, trascurando le affermazioni della denunciante di aver visto solo una cartellina senza sapere quante e quante foto fossero state mostrate al suo legale, che le aveva consigliato di firmare le modifiche dell'accordo al fine di evitare una separazione giudiziale, senza riferirle espressamente che, se non avesse firmato, le fotografie sarebbero state prodotte in giudizio;

2.1.2. con riferimento alla relazione dello psicoterapeuta dott. MP, per essersi omesso di considerare che questo, oltre a riferire che solo il ricorrente si era mostrato interessato alle sedute di psicoterapia delle figlie, ha riferito anche di aver ricevuto dalla minore Ilenia la confidenza del suo ritrovamento delle fotografie ritraenti la madre nuda, con conseguente vergogna della bambina e connesso rifiuto di vedere la madre;

2.1.3. con riferimento alla relazione dei servizi sociali, per essersi omesso di considerare che questi hanno riferito del percorso terapeutico intrapreso dalle figlie del ricorrente, interrotto soltanto per la mancanza di supporto della madre che, pur riconoscendo l'utilità di un simile percorso, non si fidava del terapeuta scelto;

2.1.4. con riferimento alla relazione informatica conclusiva del consulente tecnico del pubblico ministero, GD, per essersi omesso di considerare che dalle chat da questo esaminate emergeva che la piccola X affermava di essere a conoscenza di relazioni affettive della madre già dal marzo del 2019 e che era stata la stessa minore ad informare il padre delle fotografie della madre rinvenute sul cellulare di questa.

Il ricorrente deduce, altresì, l'assenza di qualsiasi vantaggio di tipo economico conseguito del ricorrente con gli accordi raggiunti, tale da integrare il "profitto" richiesto per configurare il reato di cui all'art. 629 cod. pen., e contesta l'assunto secondo cui sarebbe "costante" la giurisprudenza di questa Corte che ritiene che il "profitto" di cui all'art. 629 cod. pen. possa essere anche non patrimoniale. Deduce che, comunque, "l'altrui danno" del reato di estorsione deve avere necessariamente una connotazione patrimoniale, requisito che difetta nel caso di specie, atteso che gli accordi così raggiunti dalle parti non hanno inciso sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della legge penale con riferimento alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di cui all'art. 610 cod. pen., in considerazione del difetto di danno patrimoniale per la persona offesa, oppure nel reato di cui all'art. 393 cod. pen., atteso che il contesto familiare disfunzionale evidenziato dalla Corte di Appello, aggravato dalla scoperta del materiale fotografico a sfondo sessuale, aveva indotto il A.A. alla ragionevole convinzione di esercitare un suo diritto a tutela delle figlie.

Sotto questo profilo, si chiede l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, con pronuncia di improcedibilità per difetto di querela, che deduce essere stata tardivamente proposta, diversi mesi dopo la celebrazione della menzionata udienza del 21/5/2019.

2.3. Con l'ultimo motivo di ricorso il A.A. ha dedotto la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di tutelare l'interesse delle figlie minori a non frequentare la madre, che si assume aver tenuto nei loro confronti comportamenti inadeguati sotto il profilo genitoriale.

3. Con requisitoria scritta del 4/11/2024 il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Marco Patarnello, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata "se del caso con rinvio".

Motivi della decisione

1. Rileva preliminarmente il Collegio che nessuna censura è stata formulata nel ricorso con riferimento alla ritenuta responsabilità del A.A. in ordine al trattamento illecito dei dati personali della persona offesa, di cui all'art. 167 del D.Lgs. n. 196/2003, contestato al capo A) dell'imputazione, in relazione al quale, pertanto, l'affermazione di responsabilità del ricorrente deve ritenersi ormai irrevocabile.

2. La sentenza impugnata va, invece, annullata limitatamente all'accertamento di responsabilità per il reato di cui al capo B), con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte territoriale, in quanto va riconosciuta la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, nei limiti di seguito esposti, per l'assenza del vantaggio di natura patrimoniale, richiesto per la configurazione del delitto di cui all'art. 629 cod. proc. pen.

3. Con riferimento alla ricostruzione dei fatti oggetto delle imputazioni deve, però, preliminarmente riconoscersi l'inammissibilità di quelle censure oggetto del primo motivo di ricorso che, valorizzando circostanze che si assumono considerate in maniera incompleta dalla Corte territoriale, tendono a prospettare una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione che esula dai poteri della Corte di cassazione, trattandosi, invece, di valutazione riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Rv. 207944).

Sul piano della ricostruzione dei fatti, infatti, la motivazione della sentenza impugnata risulta idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata, e non "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica ed esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; né risulta logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha, infatti, precisato che gli atti del processo invocati dal ricorrente a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (cfr. Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516-01), ipotesi che non ricorre nel caso di specie, atteso che nessuna delle doglianze relative alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, o dello psicoterapeuta dott. P, risulta idonea a disarticolare il percorso argomentativo della sentenza impugnata, né tale idoneità può essere riconosciuta all'individuazione del momento in cui la figlia del ricorrente sarebbe venuta a conoscenza di relazioni affettive della madre o alle modalità con cui la stessa ha acquisito le fotografie di questa dal suo telefono cellulare o, ancora, alla relazione dei servizi sociali in ordine al percorso terapeutico successivamente intrapreso dalle figlie del ricorrente: si tratta, infatti, di elementi inidonei a determinare una diversa valutazione della condotta del A.A. ai danni della persona offesa, in quanto, ai fini della configurazione dell'ipotizzato reato di cui all'art. 629 cod. pen.: rileva solo la coartazione della volontà della persona offesa, per finalità di profitto e con conseguente danno patrimoniale arrecato alla vittima.

4. In tale prospettiva, la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale non può ritenersi disarticolata nemmeno dalla vistosa imprecisione terminologica in cui è incorsa la sentenza laddove, alla pag. 9, per evidenziare l'incidenza della clausola apposta sulle condizioni di affidamento delle figlie, impropriamente definiva "affido esclusivo" la previsione di regole riduttive della facoltà di visite delle figlie minori alla madre, rispetto all'originaria previsione delle regole che le parti avevano precedentemente concordato per meglio disciplinare le condizioni di affido delle figlie.

Quel che rileva, invece, è che risulti accertato con argomentazioni congrue che, con la minaccia di esibire e diffondere fotografie compromettenti, la persona offesa è stata indotta dal ricorrente ad accettare una modifica delle condizioni di separazione per lei peggiorativa ed invece vantaggiosa per il coniuge, così subendo una compressione della propria libertà di scelta ed una compromissione dei rapporti con le figlie, esposte a prevedibili condizionamenti nell'esprimere la propria volontà di frequentare o meno la madre.

Si tratta di condotta posta in essere con fine di profitto ed a danno della persona offesa, e tuttavia inidonea ad integrare tutti gli elementi costitutivi del reato contestato al capo B), per il carattere non patrimoniale del danno arrecato.

La condotta contestata al ricorrente, come dinanzi ricordato, risulta palesemente finalizzata ad ostacolare e limitare i contatti delle figlie con la madre, a vantaggio del padre, che la sentenza indica aver inciso sulle loro scelte con opera di denigrazione della persona offesa, sicché deve riconoscersi la sussistenza del fine di ingiusto profitto necessario per la configurazione del reato.

Giova rilevare, infatti, che, contrariamente all'assunto del ricorrente, secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di delitti contro il patrimonio di cui al titolo XIII del codice penale, deve riconoscersi che il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore.

Le sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145 - 01), con specifico riferimento al delitto di furto hanno affermato il principio evidenziando che il significato della parola "profitto", già nel linguaggio comune, non è riferito solo a vantaggi di natura economica, ed hanno anche richiamato il tenore della relazione al progetto definitivo del codice penale che si riferiva significativamente al concetto di "vantaggi.

La stessa pronuncia delle sezioni unite ha richiamato anche la consolidata giurisprudenza di legittimità che riconosce che, anche nel delitto di rapina, l'ingiusto profitto non deve necessariamente concretarsi in un'utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l'agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o minaccia, della cosa mobile altrui (Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, Rv. 276104-01; Sez. 2, n. 11467 del 10/03/2015, Rv. 263163-01; Sez. 2, n. 12800 del 06/03/2009, Rv. 243953-01), e ad analoghe conclusioni si è giunti anche in tema di ricettazione (Sez. 2, n. 45071 del 14/10/2021, Rv. 282508-01).

Più specificamente, per quel che qui interessa, anche in tema di estorsione deve ritenersi conforme ai principi riconosciuti dalle sezioni unite (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145-01 cit.) l'orientamento ampiamente maggioritario, condiviso dal collegio, secondo il quale l'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto, ovvero è perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, Rv. 239780-01, fattispecie nella quale l'imputato intendeva impedire alla vittima di procedere giudizialmente nei suoi confronti con un'azione ritenuta ingiusta; Sez. 2, n. 29563 del 17/11/2005, Rv. 234963-01).

5. Diversamente da quanto riconosciuto in relazione al fine di profitto, la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, invece, riconosce pacificamente che, in tema di estorsione, l'altrui danno, necessario alla configurazione del reato, deve avere necessariamente una connotazione patrimoniale (cfr. Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, Rv. 285002 - 01, in una fattispecie in cui il soggetto agente aveva rivolto minacce alla persona offesa per costringerla a non sporgere querela per una truffa subita e, quindi, a rinunciare all'esercizio del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto per effetto degli artifici e raggiri posti in essere in suo danno; conf. Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Rv. 282980; Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Rv. 278998).

Si tratta di principi confermati anche dalle Sezioni Unite di questa Corte che, nel ribadire la necessità di un danno patrimoniale ai fini della configurabilità del delitto di estorsione, hanno precisato che, in tale nozione; rientra anche la perdita di una seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale. (Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, Rv. 286656-01; conf., Sez. 2, n. 44230 del 13/11/2024, Rv. 287217-01 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva ravvisato il delitto di estorsione, e non già quello di violenza privata, nella condotta del ricorrente che aveva costretto la vittima ad ammettere l'addebito nel procedimento giudiziale di separazione, identificando il profitto nel vantaggio patrimoniale a non versare il mantenimento).

Analogamente, si è ritenuto che integri il delitto di estorsione la minaccia o la violenza diretta a costringere la vittima a rinunciare ad una propria legittima aspettativa ed in tal caso il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilità di conseguire un vantaggio economico (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Rv. 270209-01, con riferimento ad una fattispecie in tema di intimidazione finalizzata a far recedere la vittima dalla richiesta di concessione di un'area demaniale per svolgere la propria attività economica).

Nel caso in esame, invece, la coartazione della volontà della persona offesa risulta rivolta al fine di ottenere da questa non già una modifica delle condizioni economiche della separazione già precedentemente concordate, bensì una modifica delle condizioni di frequentazione con le figlie, con la quale si subordinava la possibilità per la madre di vedere le figlie al consenso di queste ultime: si tratta, pertanto, di modifica che, di per sé, non avrebbe dovuto incidere sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, né la sentenza impugnata ha evidenziato conseguenze economicamente sfavorevoli per la persona offesa conseguenti al nuovo assetto così concordato.

La perdita o, o comunque, riduzione delle frequentazioni con le figlie ha innegabilmente comportato, per la persona offesa, un danno di rilevante entità sotto il profilo affettivo e dell'esercizio del ruolo genitoriale ma, per quanto dinanzi evidenziato, non può essere ritenuto di natura patrimoniale, non essendo stata prospettata alcuna modifica dell'assetto economico dei rapporti tra i coniugi, in relazione alle frequentazioni con le figlie.

Conseguentemente, la condotta ascritta al A.A. non rientra nell'alveo dell'art. 629 cod. pen., né lo svolgimento dei fatti nell'ambito di un procedimento civile di separazione tra coniugi consente di configurare l'ipotesi di cui all'art. 393 cod. pen. che, invece, si riferisce ad una condotta volta a sottrarre le pretese delle parti al giudizio dell'autorità giudiziaria alla quale, invece, nel caso di specie era rimessa la valutazione delle modalità operative dell'affido condiviso delle figlie minori del A.A. concordate dalle parti.

La condotta a questo contestata, ed emersa senza vizi logici dalla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata configura, pertanto, deve ritenersi rientrare nell'alveo dell'art. 610 cod. pen., in quanto, nel difetto di prospettazione di danno di natura economica patito dalla persona offesa, deve comunque riconoscersi l'esercizio di una minaccia con l'effetto di costringere la persona offesa a fare, tollerare od omettere una condotta determinata (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Rv. 268405-01):nella specie, a modificare gli accordi tra coniugi accettando la subordinazione dei rapporti con le giovanissime figlie al loro consenso.

6. Anche così riqualificando la condotta del ricorrente, però, deve riconoscersi la manifesta infondatezza dell'ultimo motivo di ricorso, volto a prospettare la scriminante dell'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere, in considerazione dell'asserita finalità del ricorrente di tutelare un non meglio precisato interesse delle figlie minori a non frequentare la madre, che si assume aver tenuto comportamenti inadeguati sotto il profilo genitoriale. Si tratta di motivo meramente reiterativo di censure già disattese dal giudice di merito che, senza incorrere in vizi logici o giuridici, ha rilevato il difetto di prova di qualsivoglia comportamento inadeguato della parte civile nei confronti delle figlie minorenni, evidentemente esposte ai condizionamenti del padre convivente nell'esprimere la propria volontà di frequentare o meno la madre, né possono rilevare in tal senso le fotografie a sfondo sessuale consegnate al A.A. da una delle figlie, in quanto relative alla persona della madre, e non già ai rapporti di questa con le minori.

7. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, limitatamente al reato di cui al capo 8) con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per nuovo giudizio che valuti la condotta sotto il profilo dell'art. 610 cod. pen., reato perseguibile a querela di parte, e pertanto verificando anche la sussistenza e tempestività delle condizioni di procedibilità del reato.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per nuovo giudizio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma il 26 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2025.