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Fake news, quando sono reato?

12 marzo 2020, Nicola Canestrini

Si fa presto a dire fake news, dato che vi sono innumerevoli tipi di bufale.

Senza soffermarsi sul fenomeno deleterio per una democrazia del  cd. click baiting, cioè la pubblicazione di notizie false o esagerate con foto e titoli sensazionalistici per attirare clic sulle proprie pagine e guadagnare con le impressioni degli annunci online (a discapito del giornalismo serio), vi può essere anche rilevanza penale delle fake news.

In tempo di guerra, la diffusione di notizie false è punito dall'art. 265 c.p., che disciplina il “Disfattismo politico”, collocato tra i “Delitti contro la personalità dello Stato”, il quale prevede la pena della reclusione non inferiore a 5 anni per chiunque diffonda o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico.

 Anche in tempi di pace, le fake news possono però costituire reato.

Evidentemente potranno integrare il delitto di diffamazione, cioè la lesione dell’altrui reputazione, che - se diffusa mediante notizie su Internet ad es. - si manifesterà nella sua forma aggravata, prevista dall'art. 595/3 c.p., poiché l’offesa veicolata online è pacificamente veicolata con un “mezzo di pubblicità”, tale da giustificare la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore ad € 516.

Ma si pensi, ad esempio, agli effetti sulla vita sociale, ed in particoalre agli effetti sull'economia: il reato di aggiotaggio punisce chiunque diffonda notizie false concretamente idonei ad alterare il mercato (variamnete incrimianto art. 2637 c.c., art. 501 cp., art 185 TUB).

Ma anche senza riflessi sul mercato, le notizie false (cioè anche parziali, esagerate) possono costituire reati contro l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica.

 Si tratta, in particolare, di

  • pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico (art 656 c.p.), sanzionata con la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino ad € 309, per chi pubblica o diffonde una notizia “falsa, esagerata o tendenziosa” sia idonea a turbare l’ordine pubblico
  • procurato allarme presso l’Autorità (art. 658 c.p. ), punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da € 10 a € 516, per tutti coloro i quali «annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti» susciti allarme presso Autorità o esercenti di pubblico servizio;
  • abuso della credulità popolare (art. 661 c.p.), che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000 a € 15.000, per chiunque “pubblicamente cerca con qualsiasi impostura” di abusare della credulità popolare, ove dal predetto fatto può derivare un turbamento dell’ordine pubblico.

Non è sanzionata la divulgazione di notizie false inidonee a esporre a pericolo l'ordine pubblico, da intendersi come il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile, cui corrisponde nella collettività l'opinione ed il senso della tranquillità e della sicurezza (per tutti Sabatini, Le contravvenzioni nel codice penale vigente, Milano, 1961, 222).

Trattandosi di contravvenzioni, le condotte vengono punite non solo in caso di diffusione consapevole di notizie fase, ma anche per colpa, cioè negligenza imprudenza, imperizia. Diffondere quindi fake può costituire reato - sussistenti gli altri elementi costituitivi del reato - anche solo se si condivide il post sui social senza aver ad esempio verificato la notizia. Peraltro, le contravvenzioni punite solo con la pena pecuniaria (ammenda) o con l'arresto alternativo alla pena pecuiaria possono essere oblate, cioè estinte (senza conseguenze per la fedina penale) pagando 1/3 o 1/2 del massimo: l'efficacia deterrente è quindi bassissima se non inesistente. 

Evidentemente problematico è il rapporto con la libera manfestazione del pensiero, "pietra angolare del sistema democratico", e tutelato dall'art. 21 della Costituzione: la corte costituzionale ha ritenuto che devono ritenersi legittime tutte le disposizioni legislative che  siano volte a prevenire turbamenti all'ordine pubblico, poiché tale bene, da intendersi come «ordine legale su cui poggia la convivenza sociale» è «connaturale ad un sistema giuridico in cui gli obiettivi consentiti ai consociati non possono essere realizzati se non con gli strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o addirittura di violenza»; né all'emanazione di disposizioni di tale genere può costituire ostacolo l'esistenza di diritti costituzionalmente garantiti, i quali trovano un limite insuperabile nell'esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano sacrificati beni ugualmente garantiti dalla Costituzione (C., Cost. 16.3.1962, n. 19; nello stesso senso la successiva ordinanza C., Cost. 22.6.1962, n. 80 e le sentenze C., Cost. 29.12.1972, n. 199 e C. Cost. 3.8.1976, n. 210).

Preme però ribadire che la disinformazione - anche qando non è reato - può creare pesnati squilibri e costituire un probema per la democrazia: ecco perchè la verifica di ogni notizia, tenuto conto dell'effetto, è un dovere civico anche in assenza di sanzione penale.

Peraltro, l'art. 121, ultimo comma del T.U.L.P.S. (approvato con R.D. 18 giugno 1941, n. 773) vieta espressamente il mestiere di "ciarlatano" e l'art. 231 del relativo regolamento d'esecuzione, approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, chiarisce, che sotto la denominazione di "mestiere di ciarlatano" va compresa ogni attività diretta a speculare sull'altrui credulità o a sfruttare od alimentare l'altrui pregiudizio, ed esemplifica quei mestieri che possono rappresentare l'indice di ciarlataneria, come "gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi, o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette e specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose". Come più volte osservato dalla giurisprudenza (cfr. C.d.S., Sez. IV, 16 ottobre 2002, n. 5502, e 12 marzo 2001, n. 1393), l'elencazione appena indicata non esaurisce tutte le ipotesi di ciarlataneria, ma è meramente esemplificativa, con la conseguenza che è necessaria una approfondita analisi della fattispecie concreta per verificare se tale attività concreti un abuso della credulità popolare e dell'ignoranza. E ciò va fatto anche tenendo conto del mutato contesto storico e sociale rispetto al momento in cui è stata introdotta quella normativa di cui è, peraltro, espressione la stessa giurisprudenza che, da una posizione di assoluta ostilità nei confronti del "mestiere di ciarlatano" (cfr. Cass. 19 aprile 1951) è giunta a ritenere ammissibili le attività di cui di discute in quanto fonte di reddito e quindi soggette al prelievo fiscale al pari di qualsiasi attività professionale (Cass. penale, 28 gennaio 1986).

Per ulteriori info su come difendersi dalle fake news senza tintinnar di manette (operazione che non restituisce immedaito consenso e visibilità sui giornali, ma senz'altro più efficce) si rimanda al sito del Parlamento europeo contro la disinformazione "Tackling online disinformation" raggiungibile qui (https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/tackling-online-disinformation).