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Estradizione, stesso fatto e doppia incriminabilita' (Cass. 3079/18)

23 gennaio 2018, Cassazione penale

Le domande provenienti da un'autorità straniera nonché i relativi atti e documenti sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana, ma l'eventuale omissione non è sanzionata da alcuna ipotesi di nullità.

L'omessa traduzione della documentazione trasmessa dallo stato richiedente ai fini estradizionali può incidere sui profili di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, qualora il mancato espletamento dell'incombente sia tale da pregiudicare la possibilità stessa di effettuare il necessario vaglio delibativo sulle ragioni per le quali le Autorità dello Stato richiedente hanno ritenuto la fondatezza dell'ipotesi accusatoria formulata a carico dell'estradando.

L'omessa traduzione della documentazione trasmessa dallo stato richiedente ai fini estradizioni può ledere il diritto di difesa.

L'omessa indicazione, nella domanda di arresto provvisorio a fini estradizionali da o verso gli Stati Uniti d'America, del tempo e del luogo del commesso reato, non ne è causa di inammissibilità, purché il fatto, come verificatosi nel caso di specie, sia stato sommariamente, ma chiaramente, descritto nelle sue circostanze essenziali, idonee a definirlo e a rendere edotta l'Autorità richiesta della specificità di esso e della sua attendibilità.

In tema di estradizione per l'estero non è necessario che alla richiesta siano allegati tutti gli atti di indagine, ma è sufficiente che la domanda, secondo quanto previsto dall'art. 700, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., contenga una relazione sui fatti addebitati alla persona interessata che consenta di verificare l'assenza di condizioni ostative per l'estradizione.

In tema di estradizione per l'estero, quando dagli atti del procedimento risulti compiutamente identificato l'estradando come la persona destinataria del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall'autorità giudiziaria straniera, a nulla rileva che l'Autorità richiedente non abbia fornito i dati segnaletici o gli altri requisiti di identificazione.

Ai fini dell'estradizione verso gli Stati Uniti d'America, l'Autorità giudiziaria italiana non è tenuta a valutare autonomamente la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma deve soltanto accertare che nella relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda di estradizione a norma dell'art. X, par. 3, lett. b), del Trattato bilaterale del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, risultino evocate le ragioni per le quali appare probabile, nella prospettiva processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato oggetto dell'estradizione.

L'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. la commissione del reato in Italia non esclude la concorrente giurisdizione straniera, né impedisce il decorso della procedura estradizionale fondata sulla previsione di una clausola pattizia in virtù della quale siffatta ipotesi possa dar luogo all'opposizione di un rifiuto solo facoltativo di estradizione, che non è di competenza dell'Autorità giudiziaria, ma rientra nelle attribuzioni esclusive del Ministro della Giustizia.

Il requisito della doppia incriminazione, di cui all'art. 13 cod. pen. e all'art. H del Trattato di estradizione fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, non postula l'esatta corrispondenza della configurazione normativa e del trattamento della fattispecie, ma solo la applicabilità della sanzione penale, in entrambi gli ordinamenti, ai fatti per cui si procedeil requisito della doppia punibilità, di cui al citato art. II, par. 1, del Trattato di estradizione, solo che il fatto, previsto come reato dalla legislazione dello Stato richiedente, corrisponda ad una fattispecie punibile nell'ordinamento italiano al momento della decisione sulla domanda, non anche che al momento del fatto questo fosse già previsto come reato nell'ordinamento richiesto.

Cassazione penale

Sent. Sez. 6 Num. 3079 Anno 2018

Presidente: CARCANO DOMENICO Relatore: DE AMICIS GAETANO
Data Udienza: 06/12/2017 - 23/01/2018

la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da MF, nato **1974 a Roma MGM, nato il **/1962 a Milano avverso la sentenza del 08/06/2017 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Gaetano De Amicis; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato GAe l'Avvocato FC, quali difensori del M, che hanno concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso, e l'Avvocato GAG, quale difensore del M, che ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 giugno 2017 la Corte d'appello di Roma ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dal Governo degli Stati Uniti d'America nei confronti di MF e MGin ordine ai reati oggetto dei capi d'accusa sub 1] (concernente la loro partecipazione ad un'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro in violazione del Titolo 18 del codice degli Stati Uniti, sezione 1956 (h), commessa sino al giugno 2016 nel distretto meridionale di New York ed altrove) e sub 2] (concernente la loro partecipazione ad un'associazione per delinquere finalizzata alla distribuzione di stupefacenti e commessa, in violazione del Titolo 21 del codice degli Stati Uniti, sezione 846, nel corso del medesimo arco temporale).

2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ;, che ha dedotto sette motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 109 cod. proc. pen. e 201 disp. att. cod. proc. pen., oltre che dell'art. X, n.6, del Trattato di estradizione del 13 ottobre 1983, ratificato in data 26 maggio 1984, per l'omessa traduzione della domanda di estradizione in lingua italiana, essendo presente nel fascicolo processuale esclusivamente la domanda nella sua forma originale, redatta in lingua inglese.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del principio della doppia incriminazione di cui all'art 13 cod. pen. e all'art. II, n. 1, del Trattato di estradizione, sul rilievo che le due diverse ipotesi associative contestate al Magni nell'atto di rinvio a giudizio e nel contestuale mandato di arresto emesso dal Tribunale distrettuale di New York - che dovrebbero secondo il diritto interno identificarsi nei reati previsti dagli artt. 416 cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309/1990 - realizzano condotte coincidenti, al più, con l'ipotesi del concorso di persone nel reato di cui all'art. 110 cod. pen., con la conseguenza che il reato di conspiracy previsto dall'ordinamento statunitense non può ritenersi sovrapponibile alle fattispecie associative presenti nel nostro. Analoghe considerazioni devono svolgersi per il reato di riciclaggio, che in assenza di precise indicazioni riguardo al comportamento delittuoso dell'estradando non può essere oggetto di contestazione, essendo punibile nel nostro ordinamento solo se l'agente non abbia preso parte al reato presupposto (che nella domanda avanzata dallo Stato richiedente viene individuato attraverso la contestazione del reato di traffico degli stupefacenti, che si assume favorito dal M attraverso operazioni di trasferimento del denaro che ne costituiscono il provento, benchè egli non vi abbia mai realmente partecipato).

2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. X, n. 2, del Trattato e dell'art. 700, n. 2, lett. a), cod. proc. pen., sull'assunto che la documentazione estera non contiene alcuna specifica indicazione in merito al tempo e al luogo di commissione delle condotte contestate, con le conseguenti difficoltà legate alla proponibilità dell'eccezione di competenza territoriale del richiedente Stato federale di New York, ove tuttavia non sembra essere stato commesso alcun reato.

2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. per la mancata acquisizione di una prova fondamentale rappresentata dalla documentazione aggiuntiva espressamente richiesta dalla difesa per comprendere quale fosse il tipo di condotta delittuosa posta in essere dal M, stante la genericità della base documentale offerta a sostegno della domanda estradizionale.

2.5. Con il quinto ed il sesto motivo di doglianza si deducono vizi della motivazione circa l'omessa valutazione degli elementi documentali prodotti dalla difesa in merito alle risultanze del procedimento penale pendente nei confronti del M dinanzi alla Procura di Roma ed originato proprio dall'attività d'indagine iniziata negli USA. Da tale documentazione, infatti, emergono sia l'estraneità del M al reato presupposto del riciclaggio, sia la competenza territoriale dell'A.G. italiana, essendosi verificate in Italia o comunque nel territorio europeo quasi tutte le condotte di trasferimento delle somme di denaro, con la conseguente nullità della sentenza impugnata per difetto di giurisdizione.

2.6. Con il settimo motivo, infine, si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine all'esistenza degli indizi di colpevolezza riguardo alle condotte illecite che il M avrebbe commesso nel territorio statunitense, avuto riguardo alla genericità della documentazione trasmessa e a talune contraddizioni rilevabili nella valutazione che i Giudici di merito hanno compiuto in merito alla riferibilità al M degli stessi elementi di prova indicati dallo Stato richiedente.

3. Nell'interesse di MG ha proposto altresì ricorso per cassazione il suo difensore, che ha dedotto quattro motivi di doglianza.

3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 201 disp. att. cod. proc. pen., oltre che dell'art. X, n.6, del Trattato di estradizione del 13 ottobre 1983, ratificato in data 26 maggio 1984, per l'omessa traduzione della domanda di estradizione in lingua italiana, essendo presente nel fascicolo processuale esclusivamente la domanda nella sua forma originale redatta in lingua inglese. L'eccezione è stata tempestivamente dedotta dalla difesa, ma è stata erroneamente rigettata sull'assunto che la norma pattizia non prevede la traduzione in italiano della domanda di estradizione, limitando siffatto adempimento ai soli documenti che accompagnano la richiesta.

3.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e mancanza di motivazione in relazione all'art. VII del su citato Trattato Italia-USA, avendo la Corte d'appello omesso di acquisire e valutare gli atti del procedimento penale pendente in Italia per gli stessi fatti oggetto della domanda estradizionale e, come tali,punibili nel nostro ordinamento ai sensi degli artt. 6 e 9 cod. pen. Nella stessa sentenza, d'altronde, si fa riferimento a diverse conversazioni oggetto di intercettazione, alcune avvenute anche a Roma, dalle quali risulta il coinvolgimento di entrambi gli estradandi e in particolare del MG.

3.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 700 comma 2 e 715 cod. proc. pen., non essendo stati trasmessi dallo Stato richiedente alcuni documenti la cui presenza nel fascicolo è prevista a pena di nullità, ossia la richiesta di estradizione ed il provvedimento restrittivo della libertà personale. E' infatti reperibile agli atti unicamente la traduzione della formula esecutiva del mandato di arresto emesso dall'Autorità giudiziaria statunitense dinanzi alla quale pende il procedimento penale, mancando sia l'originale del provvedimento di arresto che la sua parte motiva. Né è possibile, diversamente da quanto affermato nella impugnata sentenza, ritenere correttamente integrato il provvedimento restrittivo con altra documentazione pur depositata dallo Stato richiedente, ossia con la relazione sommaria dei fatti e la copia dell'atto d'accusa, entrambi presenti, invece, nel fascicolo. Mancano, infine, i dati segnaletici utili al fine di fornire tutte le informazioni atte ad individuare esattamente l'identità dell'estradando, che non risulta correttamente accertata per la rilevata discrasia fra le dichiarazioni al riguardo rese dall'agente della D.E.A. (Drug Enforcemente Administration) e quanto concretamente verificato nell'aula di udienza circa la misurazione dell'esatta altezza del ricorrente.

3.4. Con il quarto motivo si deducono violazioni di legge e mancanza di motivazione in relazione all'art. X, comma 3, lett. b), del su citato Trattato di estradizione, sul rilievo che la genericità del contenuto della relazione sommaria dei fatti e delle prove pertinenti non ne permette una compiuta ricostruzione, rendendo impossibile ogni verifica circa la presenza di elementi idonei a ritenere l'effettivo coinvolgimento ed il ruolo del MG nell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui al secondo capo d'accusa.Si contesta, infine, l'assenza del requisito della doppia incriminabilità in ordine al reato (capo d'accusa sub 1) di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro, in quanto dalla stessa relazione del Procuratore generale e dall'atto di accusa si evince che agli estradandi non vengono contestati reati-fine e che il reato scopo della conspiracy è costituito dal riciclaggio di denaro provento delle attività illecite commesse dagli altri imputati concorrenti nei reati, laddove nel nostro ordinamento non è configurabile il delitto di riciclaggio da parte di chi, comunque, abbia preso parte al delitto presupposto.

4. Con memoria depositata in limine litis, all'udienza in data odierna celebrata dinanzi a questa Suprema Corte, i difensori del M hanno allegato documentazione, acquisita dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma solamente in data 4 dicembre 2017, cui essi hanno inteso richiamarsi a sostegno delle ragioni già esposte nel terzo, nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo di ricorso, evidenziando come dal suo contenuto sia possibile evincere la sostanziale identità delle condotte per cui si procede negli Stati Uniti d'America e di quelle oggetto di un procedimento penale in corso in Italia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati e vanno rigettati per le ragioni qui di seguito esposte e precisate.

2. Infondato deve ritenersi il primo motivo di ricorso, la cui formulazione, comune ad entrambi i ricorrenti, viene da essi incentrata sul profilo attinente all'omessa traduzione della domanda di estradizione in lingua italiana. Sul punto, invero, va richiamata una costante linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte in materia di estradizione per l'estero (da ultimo, v. Sez. 6, n. 11548 del 10/02/2017, Cocarcea, Rv. 269400; Sez. 6, n. 9896 del 19/02/2016, Hysa, Rv. 266688), secondo cui l'inosservanza della disposizione contenuta nell'art. 201 disp. att. cod. proc. pen. - la quale stabilisce che le domande provenienti da un'autorità straniera nonché i relativi atti e documenti sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana - non è sanzionata da alcuna ipotesi di nullità. Siffatta omissione, eventualmente, potrebbe incidere sui profili di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, qualora il mancato espletamento dell'incombente fosse tale da pregiudicare la possibilità stessa di effettuare il necessario vaglio delibativo sulle ragioni per le quali le Autorità dello Stato richiedente hanno ritenuto la fondatezza dell'ipotesi accusatoria formulata a carico dell'estradando.

Evenienza procedimentale, questa, che i Giudici di merito hanno tuttavia escluso all'esito della motivata disamina dell'ampio contenuto della documentazione allegata a sostegno della domanda di estradizione, e dallo Stato richiedente integralmente tradotta nella lingua italiana. Né alcuna lesione al concreto esercizio del diritto di difesa è stata al riguardo specificamente prospettata dai ricorrenti nel corso del procedimento di estradizione e nei successivi atti di impugnazione.

3. Manifestamente infondate, inoltre, devono ritenersi le questioni oggetto del terzo motivo di doglianza prospettato nei ricorsi del M e del MG, ove si consideri: a) da un lato, che l'omessa indicazione, nella domanda di arresto provvisorio a fini estradizionali da o verso gli Stati Uniti d'America, del tempo e del luogo del commesso reato, non ne è causa di inammissibilità, purché il fatto, come verificatosi nel caso di specie, sia stato sommariamente, ma chiaramente, descritto nelle sue circostanze essenziali, idonee a definirlo e a rendere edotta l'Autorità richiesta della specificità di esso e della sua attendibilità (Sez. 1, n. 4618 del 02/12/1991, dep. 1992, Hawkins, Rv. 188830);

b) dall'altro lato, che in tema di estradizione per l'estero non è necessario che alla richiesta siano allegati tutti gli atti di indagine, ma è sufficiente che la domanda, secondo quanto previsto dall'art. 700, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., contenga una relazione sui fatti addebitati alla persona interessata che consenta di verificare l'assenza di condizioni ostative per l'estradizione (Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Diuligher, Rv. 268108; Sez. 6, n. 25182 del 16/06/2010, Prusik, Rv. 247778).

In linea con le implicazioni logicamente sottese a tale insegnamento della giurisprudenza di legittimità i Giudici di merito hanno posto in rilievo non solo il compendio indiziario emergénte dal contenuto delle dichiarazioni giurate del Vice Procuratore del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America e dell'Agente speciale dell'Agenzia antidroga "D.E.A." (che ha fornito, in particolare, un riassunto degli elementi di prova raccolti in ordine ai su indicati capi d'accusa, per i quali entrambi gli estradandi sono stati congiuntamente rinviati a giudizio e richiesti in consegna, oltre alla documentazione fotografica riproduttiva dei volti ad essi corrispondenti), ma anche l'esaustivo richiamo operato dal mandato di arresto interno del 10 novembre 2016 (puntualmente allegato alla domanda di estradizione) al contenuto del provvedimento di rinvio a giudizio in pari data emesso nei confronti di entrambi gli estradandi - anch'esso allegato alla su indicata domanda - ove sono riportati i capi d'accusa contestati agli imputati, sì da rendere irrilevante, al fine qui considerato, l'incidenza della correlativa eccezione difensiva.

3.1. Per quel che attiene, poi, al profilo di doglianza che investe la eccepita mancanza dei dati segnaletici utili al fine di fornire tutte le informazioni atte ad individuare esattamente l'identità degli estradandi, deve rilevarsi come i Giudici di merito l'abbiano compiutamente esaminato e congruamente disatteso, per un verso confutando le correlate obiezioni difensive - limitate, peraltro, al solo aspetto dell'erronea percezione del dato relativo all'altezza - per altro verso ponendo in evidenza, alla luce della documentazione trasmessa dallo Stato richiedente, una serie di dati ed elementi di fatto (le immagini dei volti riprese durante le attività d'indagine, gli indirizzi di residenza, la documentazione acquisita a loro nome, i video e le foto-riprese, ecc.) ritenuti inequivocamente corrispondenti o riconducibili alle persone degli estradandi. Al riguardo giova richiamare, sotto altro ma connesso profilo, il principio ormai da tempo stabilito da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 18306 del 12/03/2004, Matic, Rv. 229413), secondo cui, in tema di estradizione per l'estero, quando dagli atti del procedimento risulti compiutamente identificato l'estradando come la persona destinataria del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall'autorità giudiziaria straniera, a nulla rileva che l'Autorità richiedente non abbia fornito i dati segnaletici o gli altri requisiti di identificazione previsti dall'art. 700, comma 2, lett. c), cod. proc. pen.

4. Parimenti infondate devono ritenersi le questioni, in entrambi i ricorsi prospettate, che investono la ipotizzata genericità del contenuto della documentazione estradizionale, sì da rendere impossibile, in tesi, ogni verifica circa la presenza degli indizi di colpevolezza in relazione al ruolo assunto dagli estradandi e all'effettivo coinvolgimento nella realizzazione delle condotte ad essi contestate. Devono sotto tale profilo richiamarsi i limiti pattizi all'esercizio del potere di controllo al riguardo esperibile da parte del Giudice italiano, atteso che, ai fini dell'estradizione verso gli Stati Uniti d'America, l'Autorità giudiziaria italiana non è tenuta a valutare autonomamente la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma deve soltanto accertare che nella relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda di estradizione a norma dell'art. X, par. 3, lett. b), del Trattato bilaterale del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, risultino evocate le ragioni per le quali appare probabile, nella prospettiva processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato oggetto dell'estradizione (Sez. 6, n. 42777 del 24/09/2014, Francisci, Rv. 260431).

Di tale regola i Giudici di merito hanno fatto buon governo, esaminando i numerosi, gravi e specifici elementi indiziari desumibili dalla dettagliata documentazione trasmessa dallo Stato richiedente.

Siffatto quadro indiziario - ampiamente delineato attraverso il vaglio delibativo delle diverse fonti di prova, sia orale che documentale, puntualmente descritte nella motivazione del provvedimento impugnato - è stato da essi ritenuto univocamente sintomatico, sulla base di argomentazioni esaustivamente illustrate ed immuni dai vizi logico- giuridici in questa Sede deducibili, dello svolgimento da parte di entrambi gli estradandi, in concorso fra loro e con altre persone, di una continuativa attività di riciclaggio dei proventi di un'associazione criminale facente capo al narcotrafficante RPR ed ai suoi sodali, i cui collegamenti ed incontri con i ricorrenti sono stati sotto vari profili documentati (da video, foto- riprese, intercettazioni telefoniche, messaggi, ecc.) ed analizzati per inferirne la decisiva rilevanza nella prospettiva decisoria afferente la specifica valutazione di fondatezza del petitum estradizionale.

Entro tale prospettiva la sentenza impugnata ha richiamato, in particolare, il contenuto della dichiarazione giurata dell'Agente speciale della "D.E.A.", là dove si fa riferimento ad una serie di condotte poste in essere dagli estradandi nel territorio statunitense (ad es., il piano relativo alla distribuzione dei proventi del narcotraffico in quattro parti, una delle quali spettante al M, ovvero la documentazione bancaria relativa alle operazioni, sia dal M che dal M realizzate, di prelievo, deposito e trasferimento di rilevanti somme di denaro su un conto riconducibile ad uno degli esponenti dei predetti sodalizi criminali), dai Giudici di merito coerentemente ritenute indicative della configurabilità, quanto meno sul piano indiziario, di un'organizzata attività di riciclaggio, successiva a quella del narcotraffico internazionale (che trova anche nella prima il suo supporto e rafforzamento), con il loro stabile inserimento all'interno degli organigrammi di entrambe le organizzazioni contestate nei capi d'accusa sub 1) e 2).

5. Sono altresì infondate le questioni dai ricorrenti dedotte in ordine alla prospettata violazione dell'art. VII del su citato Trattato Italia-USA del 13 ottobre 1983, sull'assunto della documentata esistenza di un procedimento penale interno avente ad oggetto, in tesi, gli stessi fatti per i quali è stata avanzata la domanda di estradizione, con il conseguente difetto di giurisdizione che investirebbe ab imis la sentenza impugnata. Anche sotto tale profilo, invero, la Corte distrettuale ha compiutamente esaminato la documentazione in atti - ivi compresa quella prodotta dalle difese nel relativo giudizio di merito - ed ha offerto una congrua risposta alla su indicata eccezione, rigettando, sulla base di congrue argomentazioni, la richiesta di integrazione istruttoria attraverso l'acquisizione di ulteriori documenti e, al contempo, escludendo la presenza dell'idem factum sul rilievo che l'oggetto del procedimento estradizionale si fonda, essenzialmente, sulla prospettata condotta di partecipazione di entrambi i ricorrenti alle due associazioni criminali evidenziate nei correlativi temi d'accusa - associazioni fra loro collegate, ma sorrette da diverse finalità - ovvero su fatti specifici che non costituiscono oggetto del procedimento penale pendente in Italia.

Quest'ultimo, infatti, ha per oggetto una serie di attività di riciclaggio ed evasione fiscale realizzate, in favore di facoltosi professionisti, prevalentemente in ambito europeo e non finalizzate alla specifica attività di riciclaggio organizzato ovvero al reato associativo legato all'attività di narcotraffico internazionale facente capo al Ponche-Rocha, che rappresentano, di converso, il precipuo tema d'indagine oggetto del procedimento estero. Considerazioni, quelle or ora riassunte, la cui sostanziale decisività, al fine che qui rileva, non risulta affatto smentita dalla successiva evoluzione delle attività investigative emergenti dalla documentazione acquisita e prodotta dalla difesa del M all'udienza in data odierna celebrata dinanzi a questa Suprema Corte: dalla disamina degli atti d'indagine ivi succintamente riassunti emerge, allo stato, la contestazione di un reato-fine avente ad oggetto un'attività di riciclaggio continuativamente posta in essere dal M, sia in Italia che in altri Paesi europei, nell'arco temporale ricompreso fra il mese di giugno 2012 e quello di aprile 2013, e da lui realizzata attraverso molteplici ed articolate operazioni finanziarie poste in essere sia per conto di tale ARJ, ritenuto coinvolto nella medesima organizzazione criminale di cui fa parte il PR, sia per conto di una serie di "clienti fissi" operanti in Roma, con la necessità di trasferire ingenti somme di denaro all'estero per eludere i controlli fiscali, ovvero con la disponibilità di somme, in diverse valute ed "in nero", da reimpiegare nel circuito legale dell'economia. Ora, l'art. VII del su menzionato Trattato di estradizione fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America prevede un motivo, solo facoltativo, di rifiuto in caso di litispendenza totale, ossia nell'ipotesi in cui l'estradando sia sottoposto ad un procedimento penale dallo Stato richiesto "per gli stessi fatti" oggetto della domanda di estradizione.

A tale riguardo, una pacifica linea interpretativa di questa Corte (Sez. 6, n. 48496 del 19/12/2008, Lusenti, Rv. 242431) individua la condizione ostativa della pendenza del procedimento penale per lo stesso fatto, in tema di estradizione per l'estero, con riferimento all'assunzione, da parte del P.M., di iniziative investigative potenzialmente finalizzate all'esercizio dell'azione penale in relazione ad un fatto coincidente con quello per il quale è stata presentata domanda di estradizione da parte dell'Autorità straniera. Ne discende che, ai fini della configurabilità di tale motivo ostativo, occorre avere riguardo al criterio della identità sostanziale dei fatti oggetto dei relativi procedimenti, indipendentemente dall'eventuale diversa qualificazione giuridica attribuita all'episodio dalle autorità dello Stato richiedente e di quello richiesto (Sez. 6, n. 26414 del 15/06/2012, F., Rv. 253046). Linea interpretativa, questa, che si ricollega al quadro di principii tracciato in linea generale dal Supremo Consesso di questa Corte ai fini della corretta individuazione della preclusione connessa alla garanzia del "ne bis in idem" (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799), là dove si è affermato che l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.

Evenienza storico-fattuale, quella in tale prospettiva declinata, che, sulla base della valutazione di competenza di questa Suprema Corte, non può dirsi propriamente ravvisabile nel caso di specie, ove affiorano fattispecie di reato diverse, aventi ad oggetto condotte non integralmente sovrapponibili finanche sul piano temporale, ma produttive, piuttosto, di una situazione di litispendenza solo parziale e contestate agli interessati in fasi diverse delle rispettive sequenze procedimentali, per essere stato emesso solo nell'ordinamento richiedente, diversamente da quanto verificatosi in quello interno, un provvedimento di rinvio a giudizio per entrambi gli estradandi. Sotto tale profilo, inoltre, v'è da osservare che, in tema di estradizione per l'estero, alla stregua di una linea interpretativa pacificamente seguita da questa Suprema Corte (arg. ex Sez. 6, n. 9119 del 25/01/2012, Topi, Rv. 252040; Sez. 6, n. 24474 del 02/04/2009, Gjoni, Rv. 244359),  la commissione del reato in Italia non esclude la concorrente giurisdizione straniera, né impedisce il decorso della procedura estradizionale fondata sulla previsione di una clausola pattizia in virtù della quale siffatta ipotesi possa dar luogo all'opposizione di un rifiuto solo facoltativo di estradizione, che non è di competenza dell'Autorità giudiziaria, ma rientra nelle attribuzioni esclusive del Ministro della Giustizia (v. Corte cost., sent. n. 58 del 14 febbraio 1997).

6. Infondata, infine, deve ritenersi, in relazione a ciascuno dei profili in narrativa evidenziati, l'evocata violazione del principio della doppia incriminazione, ove si considerino le implicazioni di ordine generale sottese all'insegnamento di questa Corte (Sez. 6, n. 42777 del 24/09/2014, Francisci, Rv. 260432; Sez. 6, n. 297 del 29/01/1999, Sardinas, Rv. 214137), secondo cui il requisito della doppia incriminazione, di cui all'art. 13 cod. pen. e all'art. H del Trattato di estradizione fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, non postula l'esatta corrispondenza della configurazione normativa e del trattamento della fattispecie, ma solo la applicabilità della sanzione penale, in entrambi gli ordinamenti, ai fatti per cui si procede.

Entro tale prospettiva ermeneutica si sono correttamente posti i Giudici di merito nel rilevare - in linea con la clausola contenuta nell'art. II, par. 2, del su indicato Trattato bilaterale, che consente l'estradizione per i reati associativi previsti dalle rispettive legislazioni nazionali (associazione per delinquere per l'ordinamento italiano e 'conspiracy' per quello statunitense) - come il petitum estradizionale abbia investito due tipi di condotte delittuose, tra loro concorrenti e connotate da differenti finalità, che anche nel nostro ordinamento giuridico- penale costituiscono reato ai sensi, rispettivamente, dell'art. 74 d.P.R. n. 309/1990 (in relazione al secondo capo d'accusa formulato dallo Stato richiedente) e degli artt. 416, 648-bis cod. pen. (in relazione al primo capo d'accusa enucleato nella richiesta).

Un vaglio delibativo, questo, che i Giudici di merito - essendo stata la richiesta di estradizione formulata soltanto per reati di natura associativa e in assenza di contestazioni per reati-fine - hanno coerentemente condotto sulla base della disamina dei caratteri fondamentali delle concrete fattispecie associative che venivano in rilievo nel caso in esame (Sez. 6, n. 28825 del 17/05/2002, Buti, Rv. 222136), in tal guisa uniformandosi al quadro di principii delineato da questa Suprema Corte (da ultimo, v. Sez. 6, n. 40169 del 09/11/2010, Schuchter, Rv. 248930), secondo cui il delitto associativo configurato nella legislazione statunitense trova riscontro nel delitto di associazione per delinquere previsto da quella italiana, atteso che le due fattispecie di reato presentano elementi fondamentali comuni, con la sola differenza che la norma straniera è maggiormente restrittiva, richiedendo per la sua applicazione l'avvenuta consumazione dei reati fine.

Parimenti infondate, sotto altro ma connesso profilo, devono ritenersi le questioni dai ricorrenti evocate in merito alla punibilità del delitto di riciclaggio, ove si considerino: a) da un lato, il dirimente rilievo legato alla oggettiva limitazione della richiesta estradizionale ai soli reati di tipo associativo, con l'assenza di contestazioni specificamente estese ad eventuali reati oggetto dei relativi programmi; b) dall'altro lato, l'assenza in atti di specifiche deduzioni ovvero di precisi riferimenti documentali alla diretta derivazione dei profitti illeciti dalla stessa dinamica criminale della fattispecie associativa di riciclaggio, con la conseguente piena configurabilità nel nostro ordinamento, sia pure in via di mera ipotesi, del concorso fra il delitto di tipo associativo e quelli di cui agli artt. 648- bis o 648-ter cod. pen. - nel caso dell'associato che ricicli o reimpieghi proventi dei soli delitti-scopo alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun contributo causale (arg. ex Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259587) - come pure del rilievo attribuibile, di converso, all'eventuale manifestarsi di condotte di autoriciclaggio, poiché sanzionate anch'esse nel nostro ordinamento ex art. 648-ter.1 cod. pen. (inserito dall'art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186), implicando il requisito della doppia punibilità, di cui al citato art. II, par. 1, del Trattato di estradizione, solo che il fatto, previsto come reato dalla legislazione dello Stato richiedente, corrisponda ad una fattispecie punibile nell'ordinamento italiano al momento della decisione sulla domanda, non anche che al momento del fatto questo fosse già previsto come reato nell'ordinamento richiesto (con la conseguente irrilevanza della ulteriore circostanza legata alla delimitazione temporale delle condotte associative, sì come ad entrambi i ricorrenti contestate a decorrere dal mese di agosto del 2013).

7. Al rigetto dei ricorsi, conclusivamente, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen. La Cancelleria provvederà all'espletamen