L'espulsione coatta dello straniero, anche per pericolo per la sicurezza pubblica, da parte di uno stato membro verso lo stato di appartenenza costituisce violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, ove sia verosimile che il soggetto espulso sia sottoposto in quel paese a torture, trattamenti inumani o degradanti.
L'espulsione ministeriale per pericolo alla sicurezza pubblica è atto rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno, e costituisce senz’altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa: ciò si evince anche dal carattere estremamente generico dei requisiti prescritti dalla legge che richiede, ai fini dell’adozione del provvedimento de quo, la ritenuta possibilità che la permanenza dello straniero in Italia possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
In proposito, occorre evidenziare che, ai fini dell’emanazione del provvedimento ministeriale di espulsione, non è necessario che sia appurata con assoluta certezza la sussistenza del suindicato pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi di ritenerlo esistente.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
Sentenza 7048/22
17 maggio 2022
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3504 del 2015, proposto da MU K, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Canestrini, con domicilio eletto presso lo studio **;
contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la sede della quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento - del decreto di espulsione dal territorio nazionale emesso dal Ministro dell’Interno in data 15.01.2015.
Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 maggio 2022 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, l’istante ha impugnato, per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, il decreto con cui il Ministro dell’Interno, in data 15 gennaio 2015, lo ha espulso dal territorio nazionale, ordinandone il rimpatrio nel paese di origine (Pakistan), “essendo risultato particolarmente attivo nell’attività di propaganda dello Stato islamico attraverso la condivisione di video e proclami inneggianti alla jihad”.
Il ricorrente, dopo aver ripercorso le tappe della sua esperienza in Italia (ovvero che è entrato in Italia minorenne, che vive con i propri familiari, che lavora regolarmente e che è titolare di un permesso di soggiorno UE di soggiornanti di lungo periodo), ha proposto i seguenti motivi:
1) violazione di legge (art. 13, commi 1 e 3, del d.lgs n. 286 del 1998, artt. 3 e 21 octies della legge n. 241 del 1990 e art. 97 Cost.); eccesso di potere per difetto di istruttoria; erronea valutazione dei fatti e dei presupposti; difetto ed erroneità di motivazione; sviamento di potere e perseguimento di un fine diverso da quello per il quale è stato attribuito il potere. Il provvedimento è illegittimo per difetto di motivazione in quanto si fa riferimento a enunciazioni generiche con il mero richiamo delle norme che regolano la fattispecie in esame, senza dare alcuna contezza dell’attività istruttoria svolta. Peraltro, nel provvedimento impugnato, non vi è alcuna indicazione delle indagini istruttorie svolte dall’amministrazione, trattandosi peraltro di un soggetto perfettamente integrato nel tessuto sociale della comunità nazionale di riferimento, come peraltro dimostrato dal possesso del certificato di bilinguismo, essendo residente in Alto Adige. Altresì, nulla è indicato con riferimento all’indice di pericolosità del ricorrente, unico parametro che consente al Ministro dell’Interno di poter esercitare il potere di N. 03504/2015 REG.RIC. espulsione; peraltro, non può non rilevarsi l’indeterminatezza dell’art. 13, comma 1, del d.lgs n. 286 del 1998 nella parte in cui fa un generico riferimento al pericolo per l’ordine pubblico, senza alcuna ulteriore specificazione. Nessun concreto elemento è rinvenibile nel provvedimento impugnato per giungere ad un fondato giudizio di pericolosità del ricorrente per l’ordine pubblico;
2) violazione dell’art. 19, comma 1, del d.lgs n. 286 del 1998 e dell’art. 3 della CEDU per aver disposto il rimpatrio di uno straniero “che nel proprio Paese rischia di subire violenze o trattamenti persecutori, degradanti e disumani”; omessa motivazione ex art. 3 legge n. 241 del 1990. Nel provvedimento impugnato, sono state del tutto omesse considerazioni in relazione ai rischi per l’incolumità personale ai quali andrebbe incontro l’istante una volta rimpatriato nel paese di origine, ciò in violazione dell’art. 3 della CEDU e, a livello nazionale, dell’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs n. 286 del 1998. Le norme citate vietano l’espulsione dell’interessato qualora vi sia il rischio che l’interessato, nel paese di destinazione, possa essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, come confermato da numerose pronunce della Corte EDU.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto del ricorso. Con ordinanza n. 2095/2015, è stata respinta la domanda di sospensiva.
Con ordinanza n. 4275/2021, oltre a richiedere in forma riservata gli elementi informativi che hanno portato all’adozione del provvedimento impugnato, sono stati disposti ulteriori incombenti istruttori e, in particolare:
- al Ministero degli Affari Esteri, informazioni sulla situazione della sicurezza in Pakistan, sia in termini politici sia dal punto di vista giudiziario, ed in particolare se i soggetti accusati o comunque sospettati di (inneggiare al) terrorismo, come nel caso di specie, siano sottoposti a processi sommari privi delle garanzie previste dalla CEDU e – ancora – se rischino di essere condannati alla pena capitale ovvero a torture o trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell’art. 3 della predetta Convenzione;
- alla parte ricorrente e al Ministero dell’Interno, chiarimenti sulla situazione N. 03504/2015 REG.RIC. contingente dell’istante e, in particolare, se egli è tornato in Pakistan (e, in caso positivo, da quale data e in quale città o paese), l’attuale posizione lavorativa e se, dall’arrivo nel Paese di origine, sia stato sottoposto a processi sommari oppure a trattamenti inumani e degradanti, in ragione del fatto che risulta espulso dal territorio nazionale in quanto ritenuto particolarmente attivo nella propaganda dello Stato islamico e vicino all’ideologia jihadista.
Gli incombenti sono stati adempiuti, tranne con riferimento alla situazione dell’istante.
Con memoria, il ricorrente, tuttavia, ha insistito per l’accoglimento del gravame, ritenendo non sufficienti gli elementi informatici acquisiti a suo tempo dagli organismi competenti e ribadendo la situazione di mancato rispetto dei diritti umani nel proprio paese di origine.
Con ordinanza n. 10256/2021, è stata reiterata l’istruttoria per conoscere la situazione contingente dell’istante.
Con memoria, il ricorrente, per il tramite del suo difensore, ha rappresentato di essere stato rimpatriato a suo tempo (nel 2015) in Pakistan, di aver subito trattamenti inumani e di temere ancora per la sua incolumità personale; altresì, allega documentazione medica e dichiara di essere disoccupato, facendo lavori saltuari e sempre precari.
Alla pubblica udienza del 17 maggio 2022, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
1.1 Giova premettere che il provvedimento di espulsione è stato emesso ai sensi dell’art. 3, comma 1, del decreto legge n. 144 del 2005, convertito in legge 31 luglio 2005, n. 155, secondo cui “il Ministro dell’interno … può disporre l’espulsione dello straniero … nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare N. 03504/2015 REG.RIC. organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.
Trattandosi di atto rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno, esso costituisce senz’altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa.
Ciò si evince anche dal carattere estremamente generico dei requisiti prescritti dal citato art. 3 del decreto legge n. 144 del 2005 che richiede, ai fini dell’adozione del provvedimento de quo, la ritenuta possibilità che la permanenza dello straniero in Italia possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
In proposito, occorre evidenziare che, ai fini dell’emanazione del provvedimento ministeriale di espulsione, non è necessario che sia appurata con assoluta certezza la sussistenza del suindicato pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi di ritenerlo esistente. Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (vgs., per tutte, Cons. Stato, sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471 ma anche, da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687) con riferimento all’espulsione ex art. 3, comma 1, decreto legge n. 144 del 2005 – ma con argomentazioni estendibili alla misura adottata ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 – si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto.
Infatti, il presupposto per l’espulsione è costituito solo dai fondati motivi per ritenere che la presenza dello straniero possa agevolare in vario modo organizzazioni o attività terroristiche o, comunque, mettere in pericolo, con azioni anche proselitistiche, la sicurezza dello Stato.
Ed è, dunque, solo questo il parametro da adottare per valutare la legittimità del provvedimento e, cioè, se esso sia in grado di prevenire la concreta possibilità di comportamenti che potrebbero mettere in pericolo l’ordinamento e i suoi cittadini.
1.2 Nel caso di specie, il provvedimento ministeriale fa riferimento agli atti d’ufficio dai quali è emerso che il ricorrente, in diverse occasioni, ha consultato e N. 03504/2015 REG.RIC. condiviso video e proclami inneggianti alla jihad nonché manifestato ammirazione per la partecipazione di cittadini europei al conflitto in Siria tra le truppe dello Stato islamico; da tali elementi è stata desunta la sua vicinanza alla causa jihadista ed all’autoproclamato Stato islamico.
L’amministrazione ha depositato in giudizio documentazione con classifica di “riservatissimo” dalla quale è risultato confermato il portato motivazionale del provvedimento impugnato.
Emerge infatti dalla documentazione depositata in giudizio che il ricorrente, in più occasioni, ha pubblicato foto, video e proclami inneggianti alla jihad, svolgendo attività di propaganda in favore dello Stato islamico e manifestato ammirazione per la partecipazione di cittadini europei al conflitto in Siria tra le truppe dello Stato islamico; si tratta, invero, di contenuti molto espliciti dai quali è desumibile la contiguità del ricorrente alla causa jihadista ed all’autoproclamato Stato islamico.
Tali circostanze, vertendosi in materia di misure preventive, per l’adozione delle quali è sufficiente la sussistenza di “fondati motivi” per formulare un giudizio di pericolosità dello straniero in quanto ritenuto in grado di agevolare organizzazioni o attività terroristiche (senza la necessità di provare che detta agevolazione si sia in concreto verificata), costituiscono una adeguata esplicazione dei presupposti che hanno indotto l’Amministrazione all’adozione del provvedimento impugnato.
Il giudizio di pericolosità formulato dal Ministro, considerata la tipologia delle condotte tenute dall’istante, risulta pertanto scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria, che rappresentano gli unici vizi sindacabili in questa sede per quanto osservato in ordine alle caratteristiche e alle finalità della misura gravata. Nella specie, quindi, il provvedimento del Ministro enuncia elementi di fatto più che sufficienti a fornire fondati motivi per formulare un giudizio di pericolosità nei confronti dell’istante con particolare riferimento al rischio che possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali, e N. 03504/2015 REG.RIC. quindi minacciare la sicurezza del Paese
1.3 Pertanto, il primo motivo – con cui l’istante ha lamentato il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza degli indizi di pericolosità necessari per l’adozione del provvedimento impugnato – va respinto.
2. È invece fondato il secondo motivo con cui il ricorrente lamenta il fatto che sarebbero state omesse considerazioni in relazione al grado di pericolo al quale lo stesso sarebbe esposto, una volta rimpatriato nel paese di origine, ciò in violazione dell’art. 3 della CEDU e, a livello nazionale, dell’art. 19, commi 1 e 1.1., del d.lgs n. 286 del 1998. 2.1
Come noto, l’art. 19, comma 1.1., del d.lgs n. 286 del 1998 prevede quanto segue: “Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica…”.
Ora, a fronte di tale previsione che costituisce una applicazione concreta dell’art. 3 della CEDU (secondo cui “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), con ordinanza n. 4275/2021, sono state chieste al Ministero degli Affari esteri informazioni sulla situazione della sicurezza in Pakistan, sia in termini politici sia dal punto di vista giudiziario, ed in particolare se i soggetti accusati o comunque sospettati di (inneggiare al) terrorismo, siano sottoposti a processi sommari privi delle garanzie previste dalla CEDU e – ancora – se rischiano di essere condannati alla pena capitale ovvero a torture o trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell’art. 3 della predetta Convenzione.
Sul punto, il predetto Dicastero, con relazione depositata in giudizio in data 14 luglio 2021, ha in sintesi rappresentato quanto segue:
- la normativa pakistana in tema di antiterrorismo si basa principalmente sull’“Anti- Terrorism Act” (ATA) promulgato nel 1997 che, oltre a conferire ampi poteri in capo alle forze dell’ordine (come, ad esempio, l’arresto di sospettati senza mandato), prevede la pena di morte per crimini legati al terrorismo;
- secondo l’ATA, è considerato “terrorista” non solo chi compia atti di terrorismo ma anche chiunque “commissioni, prepari o istighi” tali atti;
- le Corti speciali istituite in quel paese, in molti casi, non rispettano il diritto ad un giusto processo degli accusati;
- il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (UNCAT) ha manifestato la propria preoccupazione circa l’applicazione della legislazione pakistana antiterrorismo, che limiterebbe fortemente le garanzie legali contro la tortura;
- nel 2020, dopo alcuni anni in cui si sono state registrate esecuzioni, in Pakistan non risultano eseguite condanne a morte, ma sono comunque state emesse almeno 49 nuove condanne a morte (di cui 19 per terrorismo); altresì, risulta che, nel c.d. “braccio della morte”, vi siano oltre 4.000 persone.
A ciò si aggiunga che l’istante, in risposta alla richiesta istruttoria della Sezione, con nota depositata in giudizio in data 2 marzo 2022, ha rappresentato di aver subito, dopo essere stato espulso in Pakistan nel 2015, trattamenti inumani e degradanti e di temere ancora oggi per la propria incolumità.
2.2 Ora, a fronte di tali chiare risultanze, ritiene il Collegio, all’esito dell’approfondimento tipico della sede di merito, che la vicenda in esame rientri nel campo di applicazione del citato art. 19, comma 1.1., del d.lgs n. 286 del 1998.
Al riguardo, la Corte EDU ha più volte avuto modo di sottolineare come l'espulsione coatta dello straniero da parte di uno stato membro verso lo stato di appartenenza costituisce violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, ove sia verosimile che il soggetto espulso sia sottoposto in quel paese a trattamenti contrari alla norma convenzionale citata.
Ai fini di tale valutazione, la Corte ha ribadito che è ininfluente il tipo di condotta di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dall'art. 3, deriva l'impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti e il motivo invocato per l'espulsione (per tutte, Corte EDU causa Saadi c. Italia, sent. 28 febbraio 2008, ric. n. 37021 del 2006; causa Abdelhedi c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 2638 del 2007; causa Ben Salah c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 38128 del 2006; causa Bouyahia c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 46792 del 2006; causa Darraji c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 11549 del 2005; causa Hamraoui c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 16201 del 2007; causa O.c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 37257 del 2006; causa Soltana c. Italia, sent. 24 marzo 2009, ric. n. 44006 del 2006; causa Sellem c. Italia, sent. 5 maggio 2009, ric. n. 12584 del 2008; causa Ben Khemais c. Italia, sent. 24 febbraio 2009, ric. n. 246 del 2007; causa Marinai c. Italia, sent. 27 marzo 2010, ric. n. 9961 del 2010; causa Adel Ben Slimen c. Italia, sent. 19 giugno 2012, ric. n. 38435 del 2010).
Dalle predette pronunce, si rileva, in estrema sintesi, un principio comune che non consente agli Stati di combattere il terrorismo a qualsiasi prezzo, in quanto costituirebbe un paradosso ammettere il ricorso a strumenti che minano proprio quei valori che invece si intendono difendere e che costituiscono il fondamento stesso di uno Stato di diritto.
In tale contesto giurisprudenziale, il fatto che l’istante sia sospettato di terrorismo si rivela ininfluente nella valutazione circa l’adozione del provvedimento di espulsione, in quanto avrebbe dovuto prevalere l’accertamento circa la sussistenza di una minaccia alla vita personale ovvero la sottoposizione a tortura ed a trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine, che invece nel caso di specie non risulta effettuato.
2.3 Pertanto, il secondo motivo va accolto con conseguente illegittimità della decisione di espellere l’istante verso il paese di origine.
3. In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi sopra descritti e, per l’effetto, l’atto impugnato va annullato.
4. Per completezza e per una corretta attività conformativa della presente decisione (art. 34, comma 1, lett. e, del cpa), il Collegio ritiene di dover chiarire che l’annullamento del provvedimento impugnato non comporta in via automatica il rientro in Italia del ricorrente la cui praticabilità, invero, nel caso in cui l’istante manifesti una tale intenzione, è comunque rimessa alle valutazioni delle autorità competenti che dovranno verificare la sussistenza dei requisiti necessari per l’ingresso e per la stessa permanenza sul territorio italiano.
5. Le spese del giudizio vanno, tuttavia, compensate, in ragione dell’esito del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Arzillo, Presidente Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore Raffaello Scarpato, Referendario N. 03504/2015 REG.RIC.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Daniele Dongiovanni Francesco Arzillo
IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.