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Divieto di testimonianza indiretta per la PG non vale per riferire di successivi sviluppi investigativi (Cass. 13734/20)

6 maggio 2020, Casssazione penale

Il divieto di cui all'art. 195 c.p.p., comma 4, impedisce dunque al teste di polizia giudiziaria di introdurre nel processo "fatti" in contrasto con quelli su cui il teste di riferimento ha reso dichiarazioni. 

Nel caso dell'agente di polizia giudiziaria, l'oggetto della prova, cioè ciò che si dovrebbe essere chiamati a ricostruire oralmente, è lo sviluppo delle investigazioni nell'ambito del quale si colloca la deposizione del teste raccolta nelle indagini preliminari.

Ne consegue che il divieto si riferisce solo ai casi in cui l'oggetto specifico della testimonianza è proprio la dichiarazione ricevuta dal testimone, ma non la circostanza che detto teste sia stato sentito e cosa abbia riferito per orientare le investigazioni.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 25/02/2020) 06-05-2020, n. 13734

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Presidente -

Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

K.D., nato in (OMISSIS) - (C.U.I. (OMISSIS));

avverso la sentenza del 07/03/2019 della CORTE d'APPELLO di REGGIO CALABRIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. STEFANO APRILE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PEDICINI ETTORE, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avvocato NF del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di K.D., che si riporta ai motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria in data 28 maggio 2018 con la quale K.D. è stato giudicato responsabile di concorso in immigrazione clandestina (art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, lett. a), b), d), commi 3-bis e 3-ter), riducendo la pena ad anni due di reclusione e Euro 1.050.000 di multa.

1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata affermata la responsabilità dell'imputato per il sopra indicato delitto, concernente l'immigrazione clandestina di circa ottanta persone provenienti dall'Africa imbarcatesi dalla Libia su un gommone diretto alle coste italiane e tratte in salvo da una nave della Marina Militare, sulla base delle attività di polizia giudiziaria, compiute in alto mare e sulla terraferma una volta effettuato lo sbarco dei migranti, e delle dichiarazioni delle persone offese A. e R., acquisite ai sensi dell'art. 512 c.p.p. e di quelle rese dall'altra persona offesa S., acquisite sull'accordo delle parti, nonchè delle parziali ammissioni dell'imputato che è stato indicato come (e ha ammesso di essere il) conducente della imbarcazione, pur allegando di esservi stato costretto da un ignoto cittadino straniero.

2. Ricorre K.D., a mezzo del difensore avv. FN, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando:

- la violazione di legge, in riferimento all'art. 195 c.p.p., per avere la Corte d'appello aggirato il meccanismo processuale consentendo la citazione, quali testi di riferimento rispetto alle dichiarazioni rese dall'agente di polizia giudiziaria che ha svolto le indagini, delle due persone offese che non erano state indicate nella lista testimoniale del Pubblico ministero, pur essendo al medesimo ben nota la rilevanza delle loro dichiarazioni. Del resto, l'agente di polizia giudiziaria, non potendo riferire del contenuto di quanto appreso dalle dichiarazioni delle persone offese che erano state verbalizzate nel corso delle indagini preliminari, non poteva nemmeno riferire di esse e perciò introdurre la citazione delle medesime quali testi di riferimento (primo motivo);

- la violazione di legge, in riferimento all'art. 526 c.p.p., comma 2, per l'inutilizzabilità delle dichiarazioni delle persone offese, che si sono sottratte all'esame dibattimentale in quanto irreperibili, acquisite erroneamente a norma dell'art. 512 c.p.p. (secondo motivo);

- la violazione di legge, con riguardo al ragionevole dubbio, avendo l'imputato dedotto lo stato di necessità per essere stato costretto a subentrare alla guida del barcone che portava gli immigrati verso le coste italiane poichè minacciato con un coltello dalla persona che conduceva l'imbarcazione dalla costa libica. Il ricorrente, infatti, ha allegato lo stato di necessità, mentre è errata la valutazione operata dai giudici di merito che ne hanno escluso la rilevanza perchè lo stesso non sarebbe stato in grado di indicare il nome dell'aggressore (terzo motivo).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato per le ragioni che saranno esposte.

2. E' infondato il primo motivo di ricorso secondo il quale l'ufficiale di polizia giudiziaria non potrebbe riferire di avere proceduto alla verbalizzazione delle dichiarazioni acquisite dalla persona offesa e dal testimone a norma dell'art. 351 c.p.p., essendogli persino impedito di indicarne il nominativo.

2.1. Il vigente ordinamento processuale ammette la cd. testimonianza indiretta in forza della quale "quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre" (art. 195 c.p.p., comma 1); si precisa inoltre che "il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1" (art. 195 c.p.p., comma 2).

A fronte di tale previsione di carattere generale - che, tra l'altro, consente al giudice di utilizzare, in mancanza della richiesta di parte di esaminare la fonte primaria, il contenuto delle informazioni che ha riferito il cd. teste "de relato" (ex multiis Sez. 3, n. 6212 del 18/10/2017 dep. 2018, C., Rv. 272008) -, il legislatore del 2011 ha introdotto all'art. 195 c.p.p., comma 4 uno specifico divieto, prevedendo che "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui all'art. 351 c.p.p. e art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a) e b)".

La disposizione (ulteriormente emendata a seguito della sentenza n. 305 del 2008 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con la modalità di cui all'art. 351 c.p.p. e art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a) e b), e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate) ha lo scopo di impedire l'utilizzazione processuale del contenuto delle dichiarazioni che la polizia giudiziaria ha acquisito dai testimoni, ma non, invece, quello di impedire all'agente di polizia giudiziaria di riferire di ciò che ha appreso, essendo tali elementi necessari per l'illustrazione al giudice dello sviluppo delle investigazioni e del complessivo panorama investigativo.

Si è, infatti, chiarito che "il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, contenuto nell'art. 195 c.p.p., comma 4, non riguarda i casi in cui la deposizione del teste di polizia giudiziaria non ha valore surrogatorio di quella del teste primario, già acquisita nel processo, ma è solo illustrativa di essa, essendo limitata a provare che non vi è contrasto tra la dichiarazione resa dal teste alla polizia giudiziaria e quella fornita dal medesimo nell'esame dibattimentale" (Sez. 1, n. 44219 del 17/09/2014, Miani, Rv. 262067).

Il divieto di cui all'art. 195 c.p.p., comma 4, impedisce dunque al teste di polizia giudiziaria di introdurre nel processo "fatti" in contrasto con quelli su cui il teste di riferimento ha reso dichiarazioni. L'art. 195 c.p.p., comma 4, nel vietare che il teste di polizia giudiziaria possa deporre sul "contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni", deve essere letto con il precedente art. 194 che, nel definire l'oggetto e i limiti della testimonianza, statuisce che "il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova".

Nel caso dell'agente di polizia giudiziaria, l'oggetto della prova, cioè ciò che si dovrebbe essere chiamati a ricostruire oralmente, è lo sviluppo delle investigazioni nell'ambito del quale si colloca la deposizione del teste raccolta nelle indagini preliminari.

Ne consegue che il divieto si riferisce solo ai casi in cui l'oggetto specifico della testimonianza è proprio la dichiarazione ricevuta dal testimone, ma non certo la circostanza che detto teste sia stato sentito e cosa abbia riferito per orientare le investigazioni.

Ricostruita in questi termini la ratio della disposizione, diventa agevole constatare che nel divieto di cui all'art. 195 c.p., comma 4, non ricade la situazione processuale in cui la deposizione del teste di polizia giudiziaria non ha valore surrogatorio o sostitutivo di quella del teste primario, indipendentemente dal fatto che essa già sia stata acquisita o che possa essere acquisita nel corso del processo, ma è solo illustrativa di essa e non la surroga, essendo limitata a illustrare lo sviluppo dell'indagine e la complessiva coerenza degli elementi di prova raccolta durante essa, anche con riferimento all'evidenziazione di eventuali contrasti tra la dichiarazione resa dal teste alla polizia giudiziaria e quella dallo stesso resa in sede dibattimentale, ciò in analogia con quanto previsto per la testimonianza dall'art. 500 c.p.p., nonchè con altri elementi di prova di cui la polizia giudiziaria sia a conoscenza.

2.2. Alla luce di tali considerazioni deve concludersi per l'infondatezza del motivo di ricorso che riguarda il divieto dell'ufficiale di polizia giudiziaria di riferire dell'avvenuto esame, nel corso delle indagini preliminari, della persona offesa, sicchè deve escludersi che sia inutilizzabile la dichiarazione del teste di polizia nella parte in cui si è limitato ad indicare che, nell'ambito delle investigazioni concernenti l'episodio di immigrazione clandestina che ha portato al salvataggio di circa ottanta migranti che si trovavano su un gommone in grave difficoltà nelle acque internazionali, sono state raccolte informazioni a norma dell'art. 351 c.p.p. dalle persone offese A., R. e S. che hanno consentito di identificare l'imputato come conducente dell'imbarcazione.

2.3. Del resto, con riguardo all'esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice che ha disposto l'audizione dei testi di riferimento, il ricorso è inammissibile perchè non contesta le ragioni di necessità che imponevano un tale sviluppo processuale, limitandosi a denunciare che per tale via si sarebbe aggirata la decadenza dalla prova che avrebbe dovuto essere dedotta dal Pubblico ministero.

Ora, in disparte la questione concernente la mancata critica ai poteri istruttori del giudice - per la quale deve farsi richiamo al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "il potere del giudice di assumere d'ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell'art. 507 c.p.p., può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e da cui sono decadute per omesso tempestivo deposito della lista testi, ove sussista il requisito della loro assoluta necessità" (Sez. 4, n. 22033 del 12/04/2018, Militello, Rv. 273267; in precedenza Sez. 1, n. 3979 del 28/11/2013 dep. 2014, P.G. in proc. Milano, Rv. 259137) -, il motivo di ricorso è inammissibile perchè si fonda su un presupposto inconsistente e cioè che il Pubblico ministero sarebbe decaduto dalla prova perchè non dedotta nella lista depositata ai sensi dell'art. 468 c.p.p., mentre la prova è stata disposta dal Tribunale ai sensi dell'art. 195 c.p.p., comma 2.

3. Anche il secondo motivo di ricorso, concernente l'utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite ai sensi dell'art. 512 c.p.p., è infondato poichè, senza attaccare la sentenza per quello che riguarda il sopravvenuto stato di irreperibilità delle persone offese, si limita a dedurre che tali dichiarazioni sarebbero stati illegittimamente acquisite e sarebbero perciò inutilizzabili perchè le suddette parti offese si sono volontariamente sottratte al contraddittorio, mentre i giudici di merito hanno accertato che le stesse sono successivamente divenute irreperibili, sicchè è risultato impossibile individuarle e citarle per l'esame dibattimentale.

Tali conclusioni sono conformi al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "la legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni predibattimentali rese da persona successivamente divenuta irreperibile, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., richiede che le stesse siano state raccolte in presenza di adeguate garanzie procedurali o, in alternativa, confermate da elementi esterni ai contenuti accusatori e che l'irreperibilità, non prevedibile in fase investigativa ed accertata sul territorio nazionale ed estero con tutti gli strumenti disponibili, non sia riconducibile alla volontà del soggetto di sottrarsi al contraddittorio" (Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, Mellone, Rv. 276531).

In effetti, il ricorso non deduce specificamente che lo stato di irreperibilità fosse prevedibile al momento in cui le dichiarazioni sono state raccolte, nè la completezza delle ricerche effettuate, mentre il provvedimento impugnato dà atto che le dichiarazioni in discorso sono state raccolte con tutte le garanzie procedurali del caso che, difatti, il ricorso non contesta.

3.1. Il ricorso, che si limita a dedurre assertivamente la decisività delle ridette dichiarazioni ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato come neppure l'imputato neghi di avere condotto l'imbarcazione verso le coste italiane, salvo abbandonare il timone non appena la stessa è entrata nel campo visivo della nave di soccorso e ciò al preciso scopo di sottrarsi alla possibile identificazione, pur allegando una, ritenuta però insussistente, causa di giustificazione, sicchè la materialità del fatto risulta in realtà non controversa poichè ammessa dallo stesso ricorrente.

4. E', del pari, inammissibile il terzo motivo di ricorso che riguarda il ragionevole dubbio sotto l'angolo visuale della ricorrenza di un principio di prova in ordine alla causa di giustificazione dello stato di necessità.

Il motivo di ricorso è inammissibile perchè generico in quanto non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato come non costituisce affatto principio di prova la mera labiale indicazione da parte dell'imputato di essere stato costretto a porsi al timone dell'imbarcazione perchè minacciato da un soggetto rimasto sconosciuto, risultando, del resto, indimostrata tale circostanza sulla base delle convergenti dichiarazioni di due testi oculari nonchè logicamente esclusa sulla base del comportamento posto in essere dall'imputato che, al momento in cui l'imbarcazione è stata individuata dalle forze di soccorso, invece di invocare l'aiuto dei soccorritori e protestarsi innocente, ha preferito abbandonare frettolosamente il timone per mischiarsi ai migranti onde non essere individuato quale comandante del mezzo.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020