La prostituta per evitare di aggravare la situazione di disparità nei rapporti con il cliente ha diritto ad essere retribuita per la prestazione sessuale; il profitto che ne consegue non è quindi ingiusto, dovendosi escludere che la richiesta di pagamento con minaccia sia estorsiva.
TRIBUNALE di ROMA
SENTENZA 7 maggio 2014
Pres. Liotta ? est. Di Nicola
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di arresto in flagranza avvenuto il 24 luglio 2013 XX e YY YY comparivano davanti a questo Tribunale, in composizione collegiale, all?udienza del 25 luglio 2013, nella quale veniva convalidato l?arresto ed era rigettata la richiesta del PM di applicazione di misura cautelare dell?obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Su istanza di termine a difesa il processo era rinviato al 7 ottobre 2013 udienza in cui veniva ammessa la costituzione di parte civile della parte offesa ZZ ZZ.
Il 14 ottobre 2013, presenti gli imputati, il Tribunale rigettava l?istanza di rito abbreviato condizionato avanzata dalla difesa di YY e si procedeva per entrambi gli imputati con il rito ordinario. All?udienza del 3 febbraio 2014, ammesse le prove richieste, venivano esaminati l?operante, la persona offesa e gli imputati; all?esito il Collegio disponeva l?acquisizione dei tabulati telefonici relativi alle utenze della persona offesa e dell?imputata XX per il periodo compreso tra il 19 luglio ed il 24 luglio 2013, con indicazione delle celle di aggancio delle chiamate.
All?udienza del 7 maggio 2014 la persona offesa chiedeva di essere nuovamente esaminata e la difesa di parte civile depositava fotografie riproducenti l?abitazione dello ZZ ed alcune parti del suo corpo nonché la piantina dell?appartamento.
Dichiarata l?utilizzabilità degli atti acquisiti le parti concludevano come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il verbale di arresto, redatto dai Carabinieri della Stazione di Roma ///, come puntualmente confermato dall?operante in sede dibattimentale, descrive i fatti nel modo che segue:
il 24 luglio alle ore le 9.40 si era presentato presso la stazione dei carabinieri ZZ ZZ per denunciare di essere stato vittima di richieste estorsive di ? 100 da parte di una donna, a cui aveva prestato soccorso alcuni giorni prima, della quale forniva il telefono corrispondente al numero AAAAAAAA.
Nell?occasione aveva mostrato i messaggi minacciosi ai carabinieri e con questi aveva concordato l?invio di un SMS con il quale indicava alla donna il luogo dell?incontro.
Gli operanti avevano, quindi, predisposto un servizio di appostamento alle 16.00 in Roma in Via /////, previa fotocopiatura delle banconote che dovevano essere consegnate all?estorsore e corrispondenti a 90 euro.
Nel corso dell?appostamento i carabinieri avevano visto prima una donna vestita con abiti succinti, accompagnata da un uomo che, però, al momento in cui era sopraggiunta la persona offesa si era allontanato; poi avevano notato la donna che si avvicinava allo ZZ dal quale riceveva una somma di denaro che riponeva nella borsa.
A questo punto gli operanti avevano proceduto all? identificazione:
sia della donna (con fotosegnalamento), trovandola in possesso delle banconote precedentemente fotocopiate e di un telefono con scheda telefonica corrispondente all?utenza indicata dalla vittima in sede di denuncia ed utilizzata per l?invio degli SMS e delle telefonate di contenuto estorsivo;
sia dell?uomo che l?aveva accompagnata, identificato per YY YY odierno imputato, ed avevano proceduto al loro arresto.
L?operante ha dichiarato che la XX era una prostituta che esercitava nella zona.
Il PRIMO esame della persona offesa all?udienza del 3 febbraio 2014
La prima versione dei fatti fornita dalla persona offesa è stata la seguente:
circa 2/3 giorni prima della denuncia, mentre si trovava all?interno del proprio giardino, aveva soccorso una donna che si trovava sulla strada in una situazione di estrema difficoltà e di panico. L?aveva fatta entrare in casa offrendole dell?acqua e consentendole di utilizzare il bagno, poi, uscendo, le aveva lasciato il suo numero di telefono nel caso avesse avuto ulteriori problemi.
Mentre l?accompagnava alla stazione di //// si era fermato ad un supermercato all?interno del quale la giovane gli aveva chiesto ?pressantemente anche i soldi per il biglietto, i soldi per la spesa quindi ho pensato che la cosa migliore era chiudere lì quella situazione che stava diventando anche abbastanza imbarazzante, quindi sono uscito dal supermercato e me ne sono andato via? (pagina 15 delle trascrizioni).
A dire dello ZZ la giovane non parlava italiano e quindi avevano comunicato per tutto il tempo in lingua inglese.
A distanza di circa 1-2 giorni da questo episodio l?uomo aveva iniziato a ricevere dei messaggi sul proprio telefono cellulare che all?inizio apparivano ambigui, tanto da riferirli ad uno scherzo di vecchi compagni di scuola, ma ben presto si erano fatti più numerosi e con un contenuto esplicito di minaccia (vedi infra il testo), tale da averlo determinato a denunciare tutto ai carabinieri e a predisporre con questi l?appostamento da cui era conseguito l?arresto.
Lo ZZ ha dichiarato di non avere messo in collegamento gli SMS estorsivi ricevuti con la donna, proprio perché scritti in perfetta lingua italiana e accompagnati anche da una telefonata proveniente da una persona di sesso maschile che parlava italiano. In questa conversazione era emerso che l?interlocutore conoscesse il suo indirizzo e voleva ? 1000 senza spiegarne il perché, sebbene i messaggi chiedessero ? 100.
Alla esplicita domanda del Collegio se si fosse reso conto che la giovane che stava aiutando fosse una prostituta il teste ha risposto in maniera netta di NO, anche perché il suo abbigliamento era normale, così come ha escluso, in modo altrettanto categorico, di avere avuto con questa un rapporto sessuale.
Il SECONDO esame della persona offesa all?udienza del 7 maggio 2014
Va premesso che la persona offesa è stata esaminata per la seconda volta, su sua esplicita richiesta, all?udienza fissata per la decisione e solo all?esito dell?acquisizione dei tabulati telefonici, acquisiti d?ufficio dal Collegio.
In questa deposizione sono emerse gravi incongruità e contraddizioni rispetto alle precedenti dichiarazioni tanto da imporre la trasmissione degli atti al Pm per falsa testimonianza.
Lo ZZ, nella sua seconda versione, ha ammesso di avere conosciuto la XX in un parco attrezzato per bambini mentre si trovava con sua figlia e di essersi in quella occasione scambiati i numeri telefonici.
Successivamente c?erano state delle telefonate finalizzate ad un appuntamento per domenica, 21 luglio 2013, alle 13.30 per avere un rapporto sessuale nell?appartamento dello ZZ.
Quando la XX si era presentata, però, l?uomo si era sentito in immediato imbarazzo e aveva ripensato al suo proposito, così erano usciti per andare al supermercato e mangiare insieme qualcosa e lì, con una scusa, aveva lasciato la giovane da sola allontanandosi senza fornire alcuna spiegazione.
Il teste ha sostenuto di non avere riferito la verità sull?effettivo svolgimento dei fatti antecedenti alla pretesa economica né agli operanti né al Collegio perché si vergognava profondamente di avere preso contatti con una prostituta.
Inoltre ha dichiarato di non avere concordato alcun prezzo della prestazione ed ha insistito nel sostenere di non avere avuto alcun rapporto sessuale con la donna, ciò al solo fine di giustificare il proprio illegittimo mancata pagamento alla XX.
Per le ragioni che verranno di seguito esposte anche questa seconda versione dei fatti è risultata inattendibile e falsa.
Esame dell?imputata XX
L?imputata è una giovanissima nigeriana, all?epoca dei fatti dell?età di 19 anni, che non conosce una parola di italiano, sebbene sia nel nostro Paese dal febbraio 2012 (vedi precedenti fotodattiloscopici).
La sua versione è l?unica ritenuta credibile e verosimile da parte del Collegio.
La XX ha ricordato di avere conosciuto lo ZZ nella pineta di /// un venerdì di luglio quando lei era in abiti ?da lavoro? (testualmente) e mentre questi si trovava con la bambina in bicicletta, e di avere declinato l?invito dell?uomo di avere un rapporto sessuale proprio per la presenza della minore. Si erano quindi scambiati i numeri di telefono e successivamente lo ZZ l?aveva chiamata per incontrarsi ed avere con lei un rapporto sessuale la domenica successiva, 21 luglio. Quel giorno era andato lui stesso a prenderla alla pineta con la moto, per portarla nel suo appartamento, concordando ? 100 come prezzo della prestazione.
Arrivato in casa lo ZZ si era spogliato solo dalla cintola in giù e dopo avere consumato il rapporto sessuale ed essere rimasti a lungo a casa dell?uomo, la giovane gli aveva chiesto di comprare del cibo al supermercato perché aveva fame, ma una volta arrivati presso l?esercizio commerciale l?uomo era sparito. La XXlo aveva cercato per telefono per ottenere il prezzo concordato per il rapporto avuto, ma lui non aveva risposto. Al fine di ricevere quanto a lei spettante l?imputata aveva chiesto aiuto ad un amico italiano, YY YY, affinché scrivesse, per suo conto, un SMS allo ZZ in lingua italiana. Poi si erano dati appuntamento nel luogo del primo incontro e lì, dopo che lo ZZ le aveva consegnato il denaro pattuito, erano intervenuti i carabinieri.
Esame dell?imputato YY
YY ha dichiarato di avere conosciuto la XX circa 6/7 mesi prima del fatto oggetto della contestazione e di avere ricevuto una telefonata dalla giovane che gli chiedeva aiuto per recuperare, da un cliente, il prezzo di una prestazione non corrisposto perché l?uomo si era rifiutato di pagarla e l?aveva abbandonata all?interno di un supermercato.
In sostanza, a seguito della richiesta della XX, di scrivere un SMS indirizzato al cliente lui si era limitato a tradurre dall?inglese all?italiano il contenuto del messaggio che la giovane aveva inviato dal proprio telefono cellulare.
L?imputato ha recisamente escluso di avere mai telefonato al cliente.
Esiti dei tabulati telefonici
Dai tabulati telefonici acquisiti dal tribunale in relazione alle utenze cellulari di XX(111111111) e di ZZ (22222222) nel periodo compreso tra il 19 luglio ed il 24 luglio del 2013 è stata pienamente riscontrata la tesi dell?imputata e, di converso, confermata l?inattendibilità della versione dello ZZ nella parte in cui ha tentato, invano, di sostenere, di non esseresi intrattenuto nella propria abitazione con la XXse non per pochi minuti.
Il 19 luglio 2013, venerdì, giorno dell?incontro nel parco alla presenza della bambina dello ZZ, non risultano né telefonate né messaggi;
il 20 luglio 2013, sabato, giorno in cui i due prendono l?appuntamento per il giorno successivo, risultano 6 telefonate la prima è alle ore 11.38 di ZZ alla XX;
il 21 luglio 2013, domenica, giorno dell?incontro risultano le seguenti telefonate:
ore 13.17 ZZ chiama XX, il primo aggancia la cella di via TTT, nei pressi della sua abitazione; la seconda aggancia la cella di via MMMM vicino al luogo in cui si prostituiva;
ore 13.34 i cellulari di ZZ e della XX agganciano la stessa cella di via BBBB, corrispondente proprio all?abitazione dello ZZ. Entrambi sono, dunque, nella stessa casa fino alle 15.00 circa perché non risultano telefonate né sul cellulare dell?uomo né sul cellulare della donna;
ore 15.01 il telefono della XX aggancia la cella di piazza dei FFF, corrispondente al supermercato e alla stazione;
ore 15.15 il telefono di ZZ aggancia di nuovo la cella della sua abitazione;
ore 15.26 il telefono della XX aggancia la cella di Via CCC, verso la HHHH a riprova che la donna si è allontanata dal supermercato.
il 23 luglio, giorno dei messaggi e delle telefonate minatorie, a parte gli SMS, che sono stati riportati di seguito testualmente, risulta alle 22.41 una sola telefonata inviata dalla XX allo ZZ che dura circa 40 secondi.
Sulla base dell?istruttoria dibattimentale svolta e della solo parziale ritrattazione da parte della persona offesa della ricostruzione dei fatti che hanno portato alla denuncia per estorsione, si può ritenere acclarato che lo ZZ, dopo avere contattato la giovane prostituta, al fine di avere con questa un rapporto sessuale al prezzo di ? 100, e dopo averla impegnata per un?ora e mezza nel suo appartamento, verosimilmente consumando la prestazione, senza corrispondere il dovuto, l?aveva poi portata con l?inganno all?interno di un supermercato per sparire.
A seguito di questo comportamento la donna, in possesso del numero di telefono cellulare dello ZZ, aveva tentato di recuperare il denaro che le spettava avvalendosi dell?aiuto di un suo amico italiano che aveva inviato degli sms al cliente dall?univoco contenuto intimidatorio:
- ?Devi sapere che io ti riconosco e so chi sei e dove abiti se tu non vieni a portarmi i ? 100 per la scopata che hai fatto avrai un sacco di problemi ieri era domenica 21 luglio. Ti do tre giorni per portarmi i miei soldi. Conosco tua figlia. La tua macchina la tua casa. Ti do l?opportunità di risolvere la situazione prima che inizino i veri problemi. VOGLIO DIRTI CHE IO NON SONO SOLA.? (SMS del 23 luglio 2013 ore 11.13 inviato dal telefono cellulare della XX sul telefono cellulare dello ZZ);
- ?Ti do ancora un giorno per portarmi ? 100 in pineta per la scopata che hai fatto domenica a casa tua? (SMS del 24 luglio 2013 ore 9.03 inviato dal telefono cellulare della XX sul telefono cellulare dello ZZ);
- ?Tu stai delirando se non mi porti i soldi in pineta verrò a casa tua quando meno te l?aspetti? (SMS del 24 luglio 2013 ore 9.20 inviato dal telefono cellulare della XX sul telefono cellulare dello ZZ).
Si ritiene che la versione fornita dalla persona offesa, volta a rappresentare il ripensamento circa la decisione di avere un rapporto sessuale a pagamento con una giovanissima prostituta straniera all?interno della propria abitazione, per un sussulto moralistico al pensiero della propria famiglia ? come affermato dallo stesso ZZ -, non sia altro che l?ennesimo tentativo di deviare rispetto ad una decisione non solo assunta in piena coscienza e, per di più, alla presenza della bimba di un anno (si veda il primo contatto con la XX avvenuto al parco quando ZZ portava la figlia in bici), ma con la riserva mentale di non pagare la prestazione sessuale, per mera arroganza ed esercizio di potere.
D?altra parte la mentalità tipica del cliente di una prostituta straniera è quella ben rappresentata dalla condotta tenuta dallo ZZ nella certezza che la parola di un uomo professionalmente affermato ed italiano assuma maggiore credibilità di quella di una giovane prostituta priva di documenti.
Ma c?è di più.
Lo ZZ a tal punto aveva ritenuto non preoccupante contravvenire ad un accordo per ? 100 ? che per lui erano nulla, ma per la XX erano la sua stessa vita, per le ragioni che verranno rappresentate di seguito ? che i primi sms non li aveva affatto presi in considerazione credendo davvero che fossero uno scherzo, come risulta dal testo delle risposte.
Solo quando era stato messo in pericolo il suo apparato di famiglia perfetta, attraverso la rivelazione da parte della prostituta alla moglie dello ZZ di quanto accaduto, l?uomo aveva temuto per la propria serenità familiare e invece che pagare quanto dovuto si era finto vittima dell?orchestrazione di un pericoloso accordo estorsivo, tanto da chiedere persino l?intervento delle Forze dell?Ordine che avevano predisposto il sopra descritto appostamento. Ma era andato oltre, con l?arroganza di presentarsi al Collegio come un cittadino modello che, per aiutare passanti bisognosi, era stato ripagato con minacciose richieste di denaro, tanto da rendere falsa testimonianza (vedi infra) pur di mantenere fermo il punto della sua integrità morale nella certezza di potere mettere facilmente a repentaglio la credibilità della versione fornita dall?imputata solo perché giovane, prostituta e straniera priva di documenti.
Né assume valenza dirimente la circostanza, reiteratamente sostenuta dallo ZZ, che tra lui e la XX non si fosse consumato alcun rapporto.
Invero, a parte la inverosimiglianza della tesi secondo cui due persone che non hanno nulla in comune, hanno età diverse, parlano lingue differenti (sebbene lo ZZ parli bene l?inglese), si diano appuntamento a casa dell?uomo e vi restino per circa un?ora e mezza limitandosi a parlare; si ritiene che anche se così fosse stato la XX legittimamente avrebbe potuto pretendere di essere pagata per il tempo trascorso con il cliente visto che svolge professionalmente l?attività di prostituta e nulla la lega allo ZZ, se non un rapporto di interesse economico.
Così ricostruiti i fatti si pone la questione della loro qualificazione giuridica che il Pm ha ricondotto nell?ambito dell?estorsione, aggravata dell?essere stata commessa da più persone.
In detta fattispecie la vittima/ZZ/cliente è costretta, con violenza o minaccia, a fare o ad omettere quanto imposto dall'agente/XX/prostituta, che persegue un ingiusto profitto/pagamento del prezzo della prestazione sessuale con altrui danno/del cliente che ha consumato il rapporto e non ha pagato.
Il problema posto all?attenzione del Collegio in ordine alla qualificazione giuridica del fatto.
La questione che deve affrontare il Collegio è la seguente: se possa ritenersi ?profitto ingiusto? quello della prostituta che intende ottenere il pagamento del prezzo pattuito e non versato per la prestazione sessuale consumata con il cliente.
E? necessario prima partire dal consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, che esclude qualsiasi valore giuridico alla pretesa della prostituta rispetto al compenso pattuito, qualificando il rapporto con il cliente come prestazione contraria al buon costume ai sensi dell?articolo 2035 codice civile; poi esaminare le ragioni giuridiche, sovranazionali e nazionali, che sottraggono la prestazione della prostituta alla qualificazione di atto contrario al buon costume, previa attualizzazione di detta nozione; infine concludere per la legittimità del profitto preteso dalla prostituta di un cliente che decide di non pagare.
Si tratta di un percorso giuridico, necessariamente culturale, al centro del quale è doveroso collocare i principi, sovranazionali e costituzionali, in tema di diritti umani tra i quali rientra quello dell?autodeterminazione della donna e della sua libertà sessuale.
L?orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità sul profitto ingiusto nel reato di estorsione commesso dalla prostituta a danno del cliente
Secondo l?orientamento consolidato della corte di legittimità il rifiuto del cliente circa il pagamento di una prestazione sessuale ricevuta da una prostituta è un atto consentito poiché nessuna forma di tutela è prevista per ottenere detto compenso non essendo riconosciuto il diritto di pretenderne il pagamento.
Questa interpretazione prende le mosse dalla univoca qualificazione dell?obbligazione che intercorre tra prostituta e cliente come prestazione contraria al buon costume ai sensi dell?art. 2035 codice civile, ovverosia un?obbligazione che, diversamente dall?obbligazione naturale, è priva di meritevolezza e apprezzamento sociale.
Infatti, la prostituzione, nell?interpretazione giurisprudenziale corrente, è ritenuta un?attività ontologicamente immorale, nonostante diffusamente e apertamente praticata e pur non essendo di per sé vietata dall?ordinamento giuridico.
Si ritiene rappresentantiva di detto orientamento in particolare la motivazione posta a base della sentenza della III sezione della corte di cassazione civile del 1 agosto 1986 numero 4927 nella quale ? diversamente da quanto stabilito dal giudice di primo grado ? è stato ritenuto non risarcibile il danno al reddito professionale patito da una prostituta a seguito di incidente stradale.
In detta sentenza si sostiene che l?attività di prostituzione è contraria al buon costume ?in quanto è avvertita dalla generalità delle persone come violatrice di quella morale corrente che rifiuta, sulla scorta di quelle norme etiche che rappresentano ancora il patrimonio della civiltà in cui viviamo, il commercio per denaro che una donna faccia del proprio corpo rendendolo disponibile a soddisfare ogni istinto sessuale di qualsiasi partner?.
Il paradosso cui perviene la citata sentenza è che il risarcimento riconosciuto alla prostituita viene commisurato al reddito medio di una casalinga.
A distanza di oltre 20 anni nel panorama interpretativo giurisprudenziale poco cambia.
Infatti, nel 2011, la Corte di legittimità civile dopo avere ritenuto che l'attività di prostituzione vada assoggettata all'IVA:
a) richiama la sentenza della Corte di Giustizia dell?Unione Europea, 20 novembre 2001, in causa C-268/99 secondo cui 'la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita' che rientra nella nozione di 'attività economiche', demandando al giudice nazionale di 'accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia: senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente';
b) torna a ribadire il punto, ormai tralaticiamente richiamato ogniqualvolta si affronti il tema della prostituzione con espressioni tipizzate, secondo cui si tratta di un?attività contraria al buon costume ?in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo? (Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 13/05/2011).
Ci si chiede come possa la Corte di Cassazione civile ritenere, da un lato, la prostituzione soggetta ad IVA in quanto attività lavorativa retribuita e riconosciuta, e dall?altro qualificarla come obbligazione con causa illecita ai sensi dell?art. 2035 cc in quanto tale priva di tutela.
Non v?è chi non veda che in queste due sentenze, rappresentative di un consolidato orientamento, si esprime una valutazione di tipo moralistico della prostituzione ? peraltro non richiesto per affrontare i casi esaminati -, e si manifesta un larvato stereotipo di genere che stigmatizza la donna in quanto tale, partendo da giudizi di valore che non solo non tengono affatto conto del panorama legislativo, nazionale ed internazionale vigente all?epoca (vedi infra), oltre che della giurisprudenza della Corte di Giustizia richiamata, ma che sono preclusi al giudice che deve limitarsi a decidere in ordine a condotte, senza compiere valutazioni etiche ? in quanto tali soggettive - circa modelli comportamentali o scelte di vita.
Ritiene il Collegio che escluso che i negozi giuridici debbano perseguire una finalità morale, la rilevanza del buon costume va circoscritta in ambito contrattuale ed il giudice, esclusa ogni valutazione etica, è tenuto ad accertare se gli strumenti che la legge predispone vengano utilizzati per il perseguimento di finalità disapprovate dal comune sentire sociale che fa propri.
L'unico effetto giuridicamente rilevante riconosciuto alla prestazione contraria al buon costume è la soluti retentio nel senso che l'obbligazione adempiuta fa sorgere il diritto a trattenere quanto conseguito ed evita la restituzione del pagamento.
Il fondamento di detta ricostruzione giuridica risale al diritto romano che, con Ulpiano, definisce la prostituzione come un?attività socialmente turpe (turpiter facere) ma lecita le cui prestazioni non consentono di ripetere da parte del cliente quanto pagato. È necessario precisare che, però, per Ulpiano perché si possa parlare di prostituzione sono necessari alcuni elementi: che l?atto venga compiuto pubblicamente, dovunque, senza piacere e per guadagno. Quindi giuridicamente non è la prestazione sessuale a pagamento in se stessa ad essere illecita quanto l?offesa a ciò che, in seguito, sarà chiamato buon costume.
Se, dunque, per questo consolidato orientamento di dottrina e giurisprudenza non vi è rimedio al comportamento omissivo del cliente della prostituta, poiché non viola alcun precetto ne' normativo ne' negoziale, la sua mancata esecuzione non sarà ingiusta e non sarà configurabile, in capo alla prostituta che pretenda il prezzo con violenza o minaccia, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma solo quello di estorsione.
Infatti, la Corte penale di legittimità, rinviando al riguardo alla relativa disciplina civilistica, ritiene INGIUSTO anche il profitto fondato su una pretesa non tutelata dall?ordinamento né in via diretta, né in via indiretta, come avviene per le obbligazioni naturali (2034 cc) o le prestazioni contrarie al buon costume (art. 2035 cc) (in questi termini tra le tante Cass. Pen. Sez VI, sentenza 2460 del 23/2/1991 e da ultimo Sez. II Pen., sentenza n. 9348 del 17/01/2001 Cc. (dep. 05/03/2001) Rv. 218204, richiamata nel dettaglio infra).
La lenta evoluzione interpretativa è pervenuta comunque alla conclusione che la nozione dei negozi contrari al buon costume non possa essere limitata ai negozi di contenuto sessuale, ma si estende fino a comprendere i negozi contrari a quei principi ed esigenze etiche della coscienza collettiva che costituiscono la morale sociale, in quanto ad essi uniforma il proprio comportamento la generalità delle persone in un determinato momento ed in un dato ambiente.
Vengono qualificati contro il buon costume e non ripetibili il versamento di denaro:
-per una finalità truffaldina o corruttiva (da ultimo Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 9441 del 21/04/2010 (Rv. 612552);
- per gioco d?azzardo e per mutuo stipulato per far proseguire il gioco d?azzardo in un locale aperto al pubblico (Cass. Civ. 17 giugno 1950 n. 1552 e 14 ottobre 1958 n. 3255);
- per violazione di norme valutarie per esportazione di capitali all?estero (vedi Sezioni unite civili del 7 luglio 1981 n. 4414, anche infra).
In questo ordine di idee, però, non v?è chi non veda che truffa, corruzione, gioco d?azzardo non autorizzato, esportazione di capitali all?estero, sono tutte fattispecie di reato che vengono collocate sullo stesso piano, in termini di contrarietà al buon costume, di un?attività lecita perchè riconosciuta per legge, come la prostituzione, solo per ragioni di carattere morale.
Inoltre, nel caso della prostituta questa ha messo a disposizione del cliente il proprio corpo, la propria intimità ed il proprio tempo dietro corresponsione di un prezzo; mentre nel caso del funzionario pubblico infedele, del creditore del giocatore d?azzardo, dell?esportatore di valuta questi hanno messo a disposizione beni illeciti, in nessun modo equiparabili al primo, visto che la libertà di autodeterminazione è un bene inviolabile della persona, garantito innanzitutto dalla Costituzione.
Collocare dunque sullo stesso piano le condotte di chi non versa il dovuto in queste diverse situazioni è del tutto contrario alla logica, alla coscienza sociale, al comune sentire e ai principi fondamentali dell?ordinamento giuridico a partire dall?art. 3 della Costituzione.
Prima di affrontare la soluzione cui perviene il Collegio, discostandosi da un orientamento che trova origine in assetti giuridici che appaiono ampiamente superati, è necessario un breve excursus su come si sia trasformato il fenomeno della prostituzione che, diversamente dai connotati che lo rendevano dalla fine dell?Ottocento un fenomeno aborrito sotto il profilo morale e per questo ancorato all?idea del buon costume, ha assunto nel tempo ben più diversificate forme.
Come comprovato da plurime fonti giuridiche di carattere internazionale, di cui si dirà oltre, si tratta, infatti, di un fenomeno innanzitutto sociale che sottende l?incontro tra una domanda di prestazioni sessuali a pagamento e un?offerta caratterizzata in modo plurale e complesso; offerta che può provenire da persone libere e consapevoli oppure, come nel caso in esame, da donne controllate dalla criminalità e vittime di quella nuova forma di schiavitù delle popolazione del Sud del mondo praticata ad uso e consumo dei Paesi economicamente avanzati e dei suoi ricchi clienti.
In Europa
Per compiere questo difficile percorso, culturale e giuridico allo stesso tempo, si ritiene di prendere come punto di riferimento le numerosissime fonti di diritto sovranazionale che descrivono e regolamentano il fenomeno della prostituzione.
Se ne richiamano alcune in particolare.
- La Convenzione ONU per la Repressione della Tratta degli Esseri Umani e dello Sfruttamento della Prostituzione Altrui del 2 dicembre 1949, adottata dall?Assemblea Generale e ratificata da 17 Stati membri dell?Unione Europea, che afferma, nel suo preambolo, che «la prostituzione e il male che l?accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, sono incompatibili con la dignità ed il valore della persona umana e pericolosi per il benessere dell?individuo, della famiglia e della comunità » (ratificata nel nostro Paese nel 1966)?.
- La Convenzione ONU del 1979 sull?eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) che chiede agli Stati membri di «prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni legislative, per reprimere, in ogni sua forma, il traffico e lo sfruttamento della prostituzione delle donne», ratificata dall?Italia solo il 10 giugno 1985 (con adesione al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002).Con la ratifica della Cedaw gli Stati si obbligano a riconoscere l'uguaglianza giuridica tra uomini e donne, abolire le leggi discriminatorie, contrastare la violenza di genere, eliminare gli stereotipi associati ai ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società, istituire tribunali e istituzioni pubbliche per assicurare una protezione effettiva contro la discriminazioni. Per completezza di fonti interpretative, si ritiene in questa sede opportuno segnalare anche il Rapporto Ombra della Piattaforma 'Lavori in corsa - 30 anni di CEDAW', con riferimento al VI Rapporto Periodico in merito allo stato di attuazione da parte dell?Italia della Convenzione della CEDAW, presentato alle Nazioni Unite nel corso della 49ma sessione del 14 luglio 2011, in cui vengono indicati i notevoli ritardi che affliggono il nostro Paese su questo tema.
-La Risoluzione n. 2004/2216/(INI) del Parlamento europeo, ?sulle strategie di prevenzione della tratta di donne e bambini, vulnerabili allo sfruttamento sessuale?, che pone al centro il legame che intercorre fra tratta di esseri umani e prostituzione.
Come può leggersi al decimo ?considerando? della lettera N) della citata Risoluzione, infatti, ?uno dei attori pi importanti nel contesto della tratta internazionale di donne e bambini l'esistenza di mercati locali della prostituzione, in cui alcune persone hanno la possibilità e la volontà di vendere e comprare donne e bambini ai fini di sfruttamento sessuale, e che i trafficanti di esseri umani spediscono donne e bambini soprattutto da paesi del Sud verso paesi del Nord e da Est ad Ovest, dove la domanda dei compratori maggiore?.
- Da ultimo appare necessario focalizzare l?attenzione sulla Risoluzione del Parlamento europeo del 26 febbraio 2014 su ?sfruttamento sessuale e prostituzione e loro conseguenze per la parità di genere? in cui dopo essere stata riconosciuta la prostituzione come una violazione dei diritti umani che concorre a perpetuare le diseguaglianze di genere, vengono invitati gli Stati membri dell'UE ad adottare una normativa ispirata al modello nordico (Svezia, Norvegia e Islanda, cui si è aggiunta recentemente la Francia), che sanziona l'acquisto delle prestazioni sessuali, cioè non l?offerta (obbligata) ma la domanda (libera).
La risoluzione citata richiama la relazione del 2012 della fondazione Scelles secondo cui la prostituzione ha una dimensione globale che coinvolge circa 40-42 milioni di persone, essenzialmente donne, di cui il 90% dipende da un protettore, tanto da potersi pacificamente concludere che la quasi totalità delle prostitute sono vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale, specialmente quelle che provengono, come la XX, da paesi del Sud del mondo come la Nigeria .
Testualmente la relazione approvata dal Parlamento Europeo, sostiene che ?tutti coloro che acquistano servizi sessuali sono uomini. Lo sfruttamento nell'industria del sesso è causa e conseguenza della disparità di genere e perpetua l'idea che i corpi di donne e ragazze siano in vendita.
La prostituzione è un'inequivocabile e terribile violazione della dignità umana. Considerando che la dignità umana è espressamente citata nella Carta dei diritti fondamentali, il Parlamento europeo ha il dovere di riferire in merito alla prostituzione nell'UE e di esplorare soluzioni che consentano di rafforzare la parità di genere e i diritti umani a tale riguardo.?
In questo quadro giuridico internazionale è di tutta evidenza che la prostituzione non è più una questione morale o di costumi sociali, ma un fenomeno spesso gestito dalla criminalità proprio in quanto la domanda, proveniente dal Nord del mondo, stimola l'offerta che origina da situazioni di disperazione economica dei paesi più poveri.
La relazione al Parlamento Europeo spiega anche il profilo altamente culturale del tema posto: ?La prostituzione è quindi legata alla parità di genere in quanto è direttamente correlata al ruolo e al posto delle donne nella società, al loro accesso al mercato del lavoro, al processo decisionale, alla salute e all'istruzione, nonché alle alternative loro offerte, considerata la strutturale disparità di genere.?.
La citata relazione conclude descrivendo i diversi modelli che si misurano in Europa sul fenomeno della prostituzione, quello abolizionista e quello regolazionista:
a) Il primo qualifica la prostituzione come una violazione dei diritti delle donne e uno strumento per perpetuare la disparità di genere e criminalizza l'acquisto dei servizi sessuali, ritenendo però la prostituzione non illegale di per sé;
b) il secondo teorizza che la prostituzione stimola la parità di genere perché promuove il diritto della donna a stabilire in autonomia cosa fare del proprio corpo. In questo modo la prostituzione diventa una professione e le relative attività vengono regolamentate dall?ordinamento.
Come è noto in Europea sono diffusi entrambi i modelli per ciascuno dei quali la prostituzione non è illecita e al centro vanno collocati i diritti della prostituta.
La risoluzione del Parlamento Europeo ha fatto una scelta di campo a favore del primo modello (cosidetto modello nordico) e nella relazione ?esorta i governi degli Stati membri che adottano altri approcci per affrontare la questione della prostituzione a riesaminare la loro legislazione?..Tale scelta comporterebbe significativi progressi per la parità di genere nell'Unione europea.
La relazione non è contro le donne che si prostituiscono. E? contro la prostituzione, ma a favore delle donne che ne sono vittime. Raccomandando di considerare colpevole l'acquirente, ossia l'uomo che compra servizi sessuali, anziché la prostituta, il presente testo costituisce un altro passo sul cammino che porta alla totale parità di genere nell'Unione europea.?
Lo stringente collegamento tra tratta di esseri umani, criminalità e prostituzione viene denunciato già nel 2007 nella relazione del Ministero dell?Interno, Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi, che sottolinea come la profonda diseguaglianza sociale, economica, politica, culturale, propria delle diverse aree del pianeta, favorisca o imponga i flussi migratori dalle zone più povere e marginali a quelle più ricche, nel cui contesto si inseriscono le organizzazioni criminali che sfruttano le condizioni di vulnerabilità delle migranti per costringerle, una volta giunte nel paese di destinazione, innanzitutto alla prostituzione (e poi al lavoro forzato, all?adozione illegale, ai matrimoni coatti, all?accattonaggio, all?espianto di organi da rivendere sul mercato nero, alla commissione di reati dei cui proventi appropriarsi).
In sostanza persone come la XX, che noi definiamo prostitute, sono nella stragrande maggioranza vittime della tratta, rese schiave dalla propria vulnerabilità, dal proprio bisogno, dalla propria condizione di irregolarità nel nostro Paese.
E questo riguarda specialmente le giovani nigeriane, come l?imputata, che - costituisce fatto notorio - per affrontare il viaggio si indebitano per anni con i loro sfruttatori e una volta giunte in Europa sono private, da parte degli stessi trafficanti, dei documenti, di ogni risorsa economica e di qualsiasi contatto umano, venendo così assoggettate allo sfruttamento e costrette a rendere prestazioni sessuali o lavorative dal carattere così degradante da renderle schiave.
A conferma di questo dato si ritiene utile richiamare testualmente il § 11 della Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia nel periodo 1° luglio 2012 ? 30 giugno 2013 sulla Tratta di persone in cui viene espressamente ricordato ?Non vi è chi non veda come non si d un solo caso di donna nigeriana c e spontaneamente si dedichi alla prostituzione e che il suo sfruttatore sia completamente scollegato da qualsiasi organizzazione criminale, come appunto la sola legge Merlin prevedeva?.
Una particolare menzione va qui fatta alla Nigeria, oggi uno dei Paesi da cui maggiormente provengono trafficanti e vittime della tratta. I trafficanti nigeriani gestiscono contemporaneamente i traffici di droga e di persone; essi hanno una grande abilità nell?individuare i mercati più redditizi e nello sfruttarne le potenzialità; tale capacità deriva da una bene organizzata struttura criminale, che consente loro il reperimento della merce (droga o persone) in Nigeria, il trasferimento all?estero attraverso una iliera predisposta, il reinvestimento in patria dei proventi illeciti.?
L?UNODC, agenzia ONU per la lotta al crimine organizzato, indica in oltre 6.000 le donne nigeriane che vengono portate ogni anno in Europa a scopo di sfruttamento sessuale, per un giro d?affari annuo di oltre 228 milioni di dollari.
A conferma della condizione della XX di essere vittima di tratta di esseri umani basta la lettura dei suoi precedenti fotodattiloscopici da cui risulta che l?8 febbraio del 2012 la stessa è stata denunciata in stato di libertà per reato di distruzione del passaporto proprio al posto di frontiera dell?aeroporto di Fiumicino.
Questa panoramica internazionale è indispensabile per collocare in un diverso quadro il fenomeno della prostituzione, rispetto a quello che se ne aveva negli anni ?50 e sul quale appare ancora radicata parte della giurisprudenza di legittimità civile e penale, per cercare nuovi e più adeguati approdi, interpretativi e giurisprudenziali, del concetto di buon costume.
In Italia
Prima dell?approvazione della legge 20 febbraio 1958, n. 75, c.d. legge Merlin, nel nostro ordinamento l?esercizio della prostituzione era consentito in appositi ?locali dichiarati di meretricio?, debitamente autorizzati e registrati, e previa sottoposizione delle prostitute a controlli sanitari periodici e obbligatori.
È con un decreto del 1859, voluto da Camillo Benso conte di Cavour per favorire l'esercito francese che appoggiava i piemontesi contro l'Austria, che si autorizza l'apertura di case controllate dallo Stato per l'esercizio della prostituzione in Lombardia. Il 15 febbraio 1860 il decreto diventa legge con il 'Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione?.
Il fulcro della normativa era, dunque, la vigilanza sanitaria, concentrata sullo strumento della cosiddetta 'patente' (artt. 24, 26 e 27), rilasciata alle prostitute dalla Pubblica Sicurezza e obbligatoria per l'esercizio dell'attività, dove venivano registrate le visite sanitarie bisettimanali (art. 71). Tali controlli andavano eseguiti 'colla massima diligenza e con tutti i mezzi che nello stato attuale della scienza' erano 'riconosciuti utili a rendere più certa la diagnosi delle malattie veneree' (art. 72).
Qualora dalla visita medica, i cui risultati venivano annotati anche sul registro dell'ufficio sanitario (art. 82), fosse risultato un qualsiasi sospetto d'infezione la donna veniva trasferita immediatamente al sifilocomio per la cura coatta (art. 84).
Quindi le prostitute che lavoravano nelle ?case di tolleranza? erano schedate, sia da un punto di vista amministrativo che medico.
Erano invece puniti i reati di lenocinio, sfruttamento della prostituzione e tratta di donne e minori, (artt. da 531 a 536 del codice penale), all?interno del titolo IX del libro II dedicato ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, nell?ambito del capo intitolato ?Delle offese al pudore e all?onore sessuale?.
Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure ancor più restrittive nei confronti delle prostitute private di molti dei loro diritti civili, con il risultato di essere ridotte in uno stato di semi-schiavitù alla mercé dei collocatori e dei tenutari delle case.
Di pari passo con la regolamentazione statale della prostituzione e dell?ideologia autoritaria che l?accompagnava vanno lette le disposizioni che prevedevano l?applicazione delle misure di prevenzione oltre che a persone ?dedite a traffici delittuosi? anche a ?persone pericolose per la pubblica moralità?, tra le quali, ovviamente, non potevano che esserci le prostitute.
La disciplina prosegue negli stessi termini afflittivi anche con la legge 1423 del 1956 (?Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità?) che all?articolo 1 numero 5 includeva ?coloro che svolgono abitualmente altre attivita' contrarie alla morale pubblica e al buon costume?. Si dovranno aspettare oltre 20 anni per escludere le prostitute dal novero dei soggetti cui applicare le misure di prevenzione, al pari dei mafiosi.8
La frequentazione delle case di tolleranza era una pratica consueta della popolazione maschile, mentre le donne che si prostituivano avevano assai poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso le conduceva alla malattia e alla morte prematura.
Un incentivo alla nuova azione legislativa venne dall'adesione dell'Italia all'ONU che portò il governo a sottoscrivere la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (del 1948) che faceva obbligo agli Stati firmatari, tra gli altri, di porre in atto 'la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione.?
Il dibattito italiano fu molto cruento perché la legge Merlin metteva in discussione l?ideologia posta a fondamento della prostituzione e della sua regolamentazione ovvero l?essere quest?ultima un male necessario che la società patriarcale doveva consentire come sfogo della sessualità maschile, per impedire adulterio, incesti e altri delitti sessuali che avrebbero potuto mettere in crisi il modello familiare.
La legge n. 75 del 1958, la cui proposta di legge era stata presentata dalla Senatrice Merlin dieci anni prima (agosto del 1948), ha dettato una disciplina di regolamentazione della prostituzione tesa a tutelare la libertà personale e l?autodeterminazione di chi si prostituisce, cui è assicurata la non punibilità, con la previsione, ad un tempo, di misure di lotta allo sfruttamento della prostituzione e di assistenza e recupero delle ex-prostitute.
In particolare, la legge Merlin vieta l?esercizio delle case di prostituzione nel territorio dello Stato e dispone la chiusura dei ?locali di meretricio?, così abolendo ogni forma diretta o indiretta di controllo dell?attività di prostituzione. Stabilendo di non disciplinare la prostituzione la consente, purché liberamente esercitata, a tutela dell?autodeterminazione delle donne e della loro libertà sessuale (in questi termini si sottolinea l?avanzato orientamento sostenuto da Cass pen. 3 sez., Sentenza n. 35776 del 08/06/2004 Ud. (dep. 02/09/2004) Rv. 229359).
La legge punisce sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione (art. 3, n. 8 della l. 75/1958 punisce ?chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui?).
Con la legge Merlin si mette in crisi un sistema che rappresentava la prostituzione come il ?mestiere più antico del mondo? perché volto a soddisfare bisogni fisiologici? irrinunciabili (esclusivamente maschili) dei quali si faceva carico in modo istituzionale lo Stato, a favore di un approccio individuale in base al quale il rapporto prostitutivo diventa un fatto privato tra due persone adulte e consenzienti al cui centro viene collocata la dignità e la libertà sessuale della donna.
Secondo la legge Merlin l?abolizione della prostituzione regolamentata trova le proprie basi, giuridiche e culturali, nei principi costituzionali ed in particolare nella tutela della libertà individuale sia in relazione alla dignità umana (articolo 3 della Costituzione), in quanto ?la prostituta non è libera?, sia in relazione ad un obbligo di trattamento sanitario che supera i limiti imposti dal rispetto della persona (articolo 32 della Costituzione), sia in relazione ad un?attività economica privata che reca danno alla libertà e alla dignità (articolo 41 della Costituzione).
Ma nel tempo le finalità costituzionali perseguite dalla legge Merlin si sono scontrate da un lato, con un significativo problema di carattere culturale e dall?altro con una realtà in cui sempre più le
struttura criminali controllano le donne che si prostituiscono sovrapponendo alla prostituzione la tratta di esseri umani.
L?emergenza di forme organizzate di sfruttamento e le modalità violente e inumane di subordinazione di donne, prevalentemente straniere provenienti dai paesi più poveri, hanno prodotto specifici interventi normativi in ambito penale non solo con profilo strettamente repressivo (il delitto di tratta), ma anche di carattere preventivo, dissuasivo o di riduzione del danno, volte queste ultime a comprovare il collegamento tra prostituzione e gravi forme di sfruttamento come la tratta (art.18 TU immigrazione).
I diritti sessuali sono diritti umani
Premesso che la sessualità è parte integrante di ogni essere umano ed in quanto tale va garantita, i diritti sessuali nel cui ambito sono contemplati uno spettro di diritti, possono sinteticamente definirsi l? uguale diritto di tutte le persone adulte ad un?attività sessuale consensuale in privato, libera da discriminazione, coercizione, violenza e minaccia per la salute, e di diritto ad (auto) determinare la relazione tra comportamento sessuale e riproduzione.
Al centro della nozione di ?diritti sessuali?, vi è un elemento volitivo indispensabile: il consenso libero ed incondizionato dell?avente diritto.
Nell?elaborazione del diritto internazionale dei diritti umani, e della CEDAW (Convenzione ONU del 1979 sull?eliminazione di tutte le orme di discriminazione nei confronti delle donne supra cit.) in particolare, si è cercato di definire i confini all?ingerenza del ruolo regolatore/criminalizzatore degli Stati nazionali rispetto al diritto all?autodeterminazione della persona nell?esercizio della propria libertà sessuale, quale espressione del principio di autodeterminazione individuale.
La definizione di discriminazione contenuta nella CEDAW all?art. 1, copre ogni forma di discriminazione (?Ai fini della presente Convenzione, l?espressione ?discriminazione contro le donne? indica ogni distinzione, esclusione o limitazione e ettuata sulla ase del sesso e che ha l?e etto o lo scopo di compromettere o nullificare il riconoscimento, il godimento o l?esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile e sulla base della parità dell?uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile, o in ogni altro settore?) dunque la CEDAW può essere utilizzata ? ed è stata nel tempo utilizzata- per determinare degli standard riferibili ai diritti sessuali delle donne, nella misura in cui si può dimostrare che le donne sono state discriminate, sulla base di una regolamentazione o di una disciplina della sessualità utilizzata per rafforzare il predominio maschile e la subordinazione della donna all?uomo.
La CEDAW, in particolare, ha stabilito il diritto all?autodeterminazione nella scelta sessuale nell?ambito del matrimonio ?art.16-, nonché l?uguaglianza uomo/donna in qualsiasi ambito contrattuale ?art.15.
Il diritto alla sessualità è stato poi sviluppato nell?interpretazione sovranazionale, ai fini che qui interessano, anche nel diritto alla scelta di vendere la propria prestazione sessuale.
In sostanza, l?elaborazione della nozione di diritti sessuali è volta a limitare l?interferenza degli Stati nelle decisioni sessuali delle persone.
In questi termini ne consegue che acquistare servizi sessuali a pagamento non implica un conflitto con i diritti umani delle persone coinvolte nella prostituzione se queste operano autonomamente e consapevolmente, in quanto esiste anche un diritto all?esercizio dell?attività di prostituzione allorché questa ponga al centro la libertà di scelta della prostituta e preveda un sistema volto a facilitare l?abbandono volontario da detta attività.
Il profitto della prostituta è giusto
Ritiene il Collegio che questa lunga disamina sia necessaria per pervenire alla conclusione che l?imputata XX, prostituta nigeriana giovanissima, che non conosce una parola di italiano e proprio per questo inevitabile vittima di tratta e di sfruttamento, persona vulnerabile ed emarginata sotto il profilo sociale, economico e culturale, non puo? collocarsi su un piano di parità rispetto al suo cliente italiano, professionalmente inserito, economicamente forte che, si serve in modo arrogante proprio di questa posizione di potere per non pagare i servizi sessuali ricevuti, ritenendo il corpo della ragazza come di suo libero dominio.
A prescindere dal modello che si adotta sotto il profilo giuridico e culturale (abolizionista o regolazionista) è di tutta evidenza che:
- la prostituzione rafforza gli stereotipi di genere e l?idea di un accesso illimitato degli uomini ai corpi delle donne in forza del solo potere economico che rende i loro desideri sessuali una sorta di diritto cui la prostituita non si può sottrarre;
- la prostituta è vittima due volte, cioè di un sistema criminale che la sfrutta e del cliente che utilizza le sue prestazioni anche con facoltà di non pagarle;
- la prostituta per evitare una immotivata ed irragionevole disparità, che comunque è già presente nel rapporto di forza descritto, ha diritto ad essere retribuita ed il profitto che ne consegue è giusto.
Il paradosso, cui giunge la tesi accolta dalla giurisprudenza sinora dominante secondo cui invece questo profitto sarebbe ingiusto, è quello di incoraggiare la mala fede del contraente-cliente che ha già ricevuto la prestazione sessuale, facere infungibile tanto da non essere ripetibile da parte della prostituta, e di tutelare sostanzialmente proprio la parte forte del rapporto sinallagmatico, tale sotto il profilo economico, sociale, giuridico e di genere, consentendogli un comportamento antigiuridico (su questo vedi infra).
D?altra parte ritenere ammissibile che il cliente di una prostituta possa, a proprio piacimento, decidere se pagare o meno la prestazione sessuale ottenuta e che il pagamento costituisce una semplice facoltà rimessa alla sua buona volontà, determina l?aberrante conseguenza giuridica di mettere sullo stesso piano il cliente che paga e quello che non paga per di più rispetto a vittime, per quello che si è sopra detto, come sono le prostitute straniere e giovani come la XX.
Al riguardo si richiama da ultimo la sentenza della Sez. 2 penale, Sentenza n. 9348 del 17/01/2001 Cc. (dep. 05/03/2001) Rv. 218204 secondo cui integra il reato di minaccia aggravata dall'uso delle armi (art. 612, comma secondo, cod. pen.) e non quello di estorsione aggravata (art. 629, comma secondo, cod. pen.), la condotta di colui il quale, dopo aver avuto un rapporto sessuale con una prostituta, usi minaccia alla donna per impedirle di richiedere il pagamento della somma pattuita, atteso che quest'ultima non può mai formare oggetto di un credito esigibile ma solo di una obbligazione naturale nascente da un contratto nullo, perché avente causa illecita. Per rafforzare il proprio ragionamento la Corte di Cassazione arriva a sostenere che allorchè la prostituta consumi il rapporto sessuale pattuito e non riceva il dovuto dal cliente è ravvisabile un ?mero arricchimento insuscettibile di ledere la sfera giuridica della donna?.
Discostandosi in modo fermo da detto non condivisibile orientamento ad avviso del Collegio, sotto il profilo giuridico, il cliente che non paga non è il mero fruitore di un?obbligazione che, a proprio piacimento, può decidere se adempiere o meno - come ha finora sostenuto gran parte della giurisprudenza civile e penale -, ma potrebbe diventare, per ciò solo, sfruttatore della prostituta avendo lo stesso utilizzato abusivamente, e dunque tratto vantaggio, dalle sue prestazioni sessuali.
Infatti, per sfruttamento si intende qualsiasi vantaggio, economico o meno, che provenga dall?altrui attività di prostituzione, in quanto la norma che incrimina lo sfruttamento è volta a contrastare ogni fenomeno di utilizzo non libero del corpo di una donna, compiuto anche non abitualmente ed, al limite, per una sola volta, da altra persona (in questi termini in ordine al favoreggiamento della prostituzione vedi Sez. 3, Sentenza n. 33615 del 2002 che lo qualifica come reato solo eventualmente abituale non essendo necessaria ad integrarlo una attività a carattere continuativo, ben potendo il favoreggiamento essere ravvisato in un solo episodio).
Nè il consenso della prostituta esclude la configurabilità del reato ma soltanto l?aggravante dell?aver commesso il fatto con violenza o minaccia.
Ma si potrebbe persino ipotizzare che lo ZZ risponda di violenza sessuale, ai sensi dell?art. 609 comma 2 n. 2 cp, proprio in quanto la XX è una giovanissima prostituta nigeriana, verosimilmente vittima di tratta e di certo soggetto vulnerabile e quindi in una condizione di inferiorità, fisica e psichica, perché alla disperata ricerca di denaro, della quale l?uomo ha approfittato ottenendone, con l?inganno, il consenso ad una prestazione sessuale.
Ed invero l'elemento che connota la condotta di induzione non si identifica solo nell'attività di persuasione esercitata sulla parte offesa per convincerla a prestare il proprio consenso al compimento dell'atto sessuale, ma consiste in ogni forma di sopraffazione posta in essere senza l'uso di atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale, non essendo in grado di opporsi e di resistere per le sue condizioni di inferiorità, soggiace al volere del soggetto attivo, divenendo puro strumento di soddisfazione sessuale di quest'ultimo (Sez. 4, Sentenza n. 40795 del 2008).
Se, infatti, la violenza sessuale è un delitto contro la persona (tit. XII c.p.) e, più specificatamente, un delitto contro la libertà individuale perché offende la libertà personale intesa come libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale, è di tutta evidenza che il consenso alla prestazione sessuale della XX è stato carpito rappresentandole un pagamento che, invece, lo ZZ ben sapeva non avrebbe mai corrisposto.
D?altra parte la XX se non fosse stata certa del versamento del prezzo non avrebbe permesso all?uomo di portarla a casa e di restarvi oltre un?ora, tanto da avere reso la prestazione sessuale priva del consenso perché sorretta da un consenso interamente viziato (si veda in questi termini Cass Sez. 3 pen., Sentenza n. 48521 del 200420).
In un caso come quello in esame, quindi, il profitto dell?imputata non puo? dirsi INGIUSTO perché ha venduto, in modo discreto con appuntamenti telefonici, le proprie prestazioni sessuali ed il proprio tempo ad un uomo che se ne è servito per poi fuggire senza pagare e senza fornire alcun tipo di giustificazione del proprio comportamento.
Qui viene in rilievo l?integrità personale della donna che è stata violata da un uomo che, come lo ZZ, ha approfittato della sua buona fede, oltre che della sua condizione di minorazione, determinata dall?essere prostituta, straniera ed irregolare nel nostro Paese.
Il caso esaminato dalla Corte riguardava un imputato che, dopo essersi accordato per un rapporto sessuale protetto al prezzo di lire cinquantamila, quando la ragazza si era ormai spogliata, l?aveva minacciata con la pistola sparachiodi ed aveva preteso allo stesso prezzo un rapporto sessuale non protetto. Secondo il giudice di primo grado l'imputato aveva offeso la libertà sessuale della donna allorché con la minaccia della pistola si era preteso un rapporto sessuale non protetto che la ragazza non era disposta a concedere al prezzo pattuito per quello protetto ed il suo dissenso doveva essere rispettato per cui il mancato accordo sul prezzo aveva trasformato in violento il rapporto sessuale concordato. La Corte di legittimità conferma la decisione sostenendo: ?Invero, la mancata accettazione da parte della donna della proposta avanzata dal ''$ di avere un rapporto sessuale non protetto al prezzo di quello protetto aveva escluso il consenso originariamente prestato ed aveva trasformato il rapporto sessuale da consensuale in violento. L'accordo patrimoniale originariamente posto a base del consenso alla prestazione sessuale era stato unilateralmente neutralizzato dal prevenuto ed aveva perciò perduto ogni rilevanza?
La riprovazione sociale e morale, tale da qualificare una prestazione come contraria al buon costume, oltre che illecita per la ragione sopra indicata, nel caso in esame è quella del cliente che, contrariamente a quanto fissato dall?art. 2 della Costituzione che tutela ?la persona umana? in tutte le sue espressioni, ha violato la dignità della prostituta approfittando della sua condizione di vulnerabilità, sapendo che non ha alcuno strumento per difendersi dall?utilizzo indebito del suo corpo e l?ha esposta all?ulteriore rischio di non versare al proprio sfruttatore quanto ricevuto, con ciò che ne consegue per la sua integrità personale.
Lo ZZ, infatti, a maggior ragione per il suo livello socio-culturale medio/alto, per come dallo stesso rappresentato in udienza, doveva essere consapevole che si stava rivolgendo ad una donna nigeriana di soli diciannove anni che si prostituiva sul litorale di Ostia senza conoscere una parola d?italiano che quindi, per dette caratteristiche, non poteva che essere vittima di tratta.
Secondo dei recenti studi del Parlamento Europeo il 90% dei clienti sono in grado di individuare gli indicatori di prostituzione forzata.
L?interpretazione che si è sino ad oggi proposta dell?art. 2035 cc, sostanzialmente a tutela dei clienti delle prostitute che allorchè non pagano la prestazione sessuale possono andare esenti da qualsiasi conseguenza, non solo la si ritiene incostituzionale, proprio alla luce delle argomentazioni proposte che rendono questo un contratto passibile di doverosa tutela in caso di inadempimento per omesso pagamento, ma appartiene ad un superato comune sentire che non tiene in alcun modo conto non solo della legge Merlin, ma neanche delle citate fonti internazionali che hanno fatto evolvere la lettura di questo fenomeno tale da sganciarlo dalla nozione di buon costume.
E? appena il caso di ricordare che sebbene detta nozione costituisca uno dei cosiddetti polmoni dell?ordinamento, il giudice deve adottare interpretazioni costituzionalmente orientate anche al fine di evitare di proporre lo scrutinio di costituzionalità; qualora, però, tale interpretazione non fosse possibile è, comunque, dovuta la proposizione della questione di legittimità costituzionale.
Il buon costume
Diventa a questo punto opportuno delineare i contorni della nozione di buon costume proprio in relazione alla prostituzione.
Va premesso che si tratta di un limite che l?articolo 21 della Costituzione prevede in contrapposizione alla libertà dei singoli in materia di manifestazione del pensiero, cosicché esso esprime non solo l?esigenza di una civile convivenza tra individui diversi, ma rappresenta un valore riferibile alla collettività, in relazione ai contenuti morali e alle modalità di espressione del costume sessuale, in un determinato momento storico, tale da assicurare la tutela della inviolabilità della dignità umana ed il rispetto delle persone, disegnati dall?articolo 2 della Costituzione.
Come sostenuto dal giudice delle leggi il buon costume non è suscettibile di una definizione categorica, ma è dotato di una relatività storica dovuta al fatto che ?varia notevolmente, secondo le condizioni storiche d?am iente e di cultura? (così Corte costituzionale sentenza numero 191 del 1970) ed il giudice si deve attenere all?imprescindibile criterio ermeneutico secondo il quale ?la carta ondamentale accoglie e sottolinea il principio? per il quale il di più di libertà soppressa costituisce abuso? (così Corte Costituzionale sentenza numero 487 del 1989).
Ritiene il Collegio, in adesione ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, che la morale attiene alla sola sfera interiore della persona e al giudice è precluso imporre una propria concezione etica con strumenti giuridici, come invece avvenuto sino ad oggi, troppo spesso, proprio in tema di prostituzione.
Se, dunque, al buon costume va attribuita una definizione minimale, residuale, relativa, storicistica e deontologica, nel senso di ricomprendervi solo quei valori appartenenti alla coscienza sociale in un determinato contesto socio-culturale, non puo? che avviarsi un processo, anche giuridico, di rivisitazione del buon costume in relazione proprio alla prostituzione che costituisce l?emblema della sovrapposizione e della commistione tra diritto e morale, come evincibile da alcuni orientamenti richiamati della corte di legittimità.
E? un dato culturale che lo stesso termine ?prostituta? costituisca il prototipo della cosiddetta donna stigmatizzata ovverosia della donna ad un tempo definita e disonorata, anziché della donna che esplica un lavoro di carattere sessuale riconosciuto dall?ordinamento.
In questo ordine di idee è, quindi, da ritenersi contraria al buon costume e causa ?immorale? nel nostro sistema ordinamentale non la prestazione sessuale che avviene riservatamente a pagamento tra adulti, liberi e consenzienti, ma la condotta del cliente che pretende da una prostituta giovane, straniera, e di certo vittima di sfruttamento, la prestazione sessuale come gratuita in considerazione proprio della disparità sociale, economica e di genere tra i due soggetti del rapporto.
Come può qualificarsi contrario al buon costume un contratto che incide su comportamenti non sanzionati penalmente e ammessi per legge, visto che lo stesso legislatore, proprio escludendo la rilevanza penale di tali fatti per ciò solo attenua la valutazione negativa degli stessi anche sotto il profilo etico e sociale?
Ma a questo vanno aggiunti anche dei dati tali da dimostrare che alla prostituzione non è più applicabile il modello arcaico e patriarcale del ?contratto immorale o turpe? secondo cui la prostituta, ?vendendo il proprio corpo?, per ciò solo, mette in pericolo il sano assetto sociale.
La tolleranza di cui gode la prostituzione da parte delle pubbliche autorità e della collettività nel suo complesso, nasce da un dato di realtà: secondo le percentuali rilevate dall'Eurispes (Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali) nel ?Rapporto Italia 2001? i clienti delle prostitute sono tra i nove e i dieci milioni di uomini, per lo piu' impiegati, professionisti, commercianti; il 4% non e' neanche maggiorenne ed il 70% e' sposato.
Se nel 1958 le case di tolleranza ?ospitavano? 3000 prostitute, nel 2001, sempre secondo i dati dell?Eurispes, si stima che siano in Italia almeno 50/70 mila di cui il 70% immigrate. In particolare al 42,9% di esse era stato promesso un lavoro, nel 29,5% si tratta di donne prive di permesso di soggiorno, il 16,1% e' stato vittima di rapimento nel proprio paese, il 3,8% e' stato sequestrato in Italia, il 7,8% di donne sono sfruttate dai fidanzati, il 65% esercita in strada, il 29,1% lavora in albergo e la restante parte in case private. Il giro d?affari ammonta ad una cifra che si aggirava già nel 2001 attorno ai 5 miliardi di euro l?anno.
Secondo i dati forniti dal Gruppo Abele tra il 10 e il 20% di prostitute sono minorenni e secondo i dati del Parlamento Europeo il 75% ha solo tra i 13 ed i 25 anni.
La cosidetta ?prostituzione autogestita?, quella cui aspirava la Legge Merlin, invece, si ritiene abbia numeri poco significativi e comunque non desta alcun allarme sociale, economico e criminale, proprio perché rappresentativa di una consapevolezza e di un consenso liberamente prestato dalle parti nell?accordo prostituivo alla pari.
Significativo che non vi siano dati aggiornati sul fenomeno della prostituzione in Italia, diversamente da quello che avviene negli altri Paesi Europei in cui vi è un monitoraggio continuo da parte delle istituzioni.
Considerati i dati sopra indicati, si comprende perché, ormai, il comune sentire vede la prostituta, sempre più spesso, come parte vulnerabile della struttura sociale oltre che parte debole dell?accordo anche sotto il profilo giuridico perché è posta alla mercè di clienti che, paradossalmente, per come ricostruita la fattispecie civilistica di cui all?art. 2035 cc - in cui è espressamente richiesto che sia contraria al buon costume la prestazione di chi la esegue oltre che dell?accipiens -, cui sinora è stata erroneamente ricondotta l?obbligazione, hanno la libertà di corrispondere o meno il prezzo della prestazione ricevuta a loro piacimento, senza che essa possa azionare alcuna legittima pretesa.
Inoltre, qualificare come riprovevole, sotto il profilo morale e sociale, le attività prostitutive crea un ambiente culturale sfavorevole proprio alla tutela dei diritti delle prostitute che, infatti, vengono stigmatizzate anche quando si trovano ad operare nella legalità o, peggio, vivono in una condizione di sfruttamento e violenza, tanto da rendere, appunto, la condotta dello ZZ come sostanzialmente tollerabile per l?ordinamento.
Ma non solo.
E? un dato che appartiene alle cronache, e in Italia purtroppo non risulta essere oggetto di alcun monitoraggio istituzionale, che le prostitute siano sempre più vittime di femicidi o gravi reati come violenze sessuali, rapine o lesioni, commessi in parte dai clienti ed in parte dai loro sfruttatori (secondo una stima che risale al 199826 il 73% delle prostitute è sottoposta a violenze fisiche ripetute ed il 62% a violenze sessuali),27 una larga percentuale (68%) ha sofferto di disturbi da stress post-traumatico con un livello di gravità paragonabile a quello sperimentato dai veterani del Vietnam in guerra e dal 43% al 69% delle prostitute hanno subito abusi sessuali durante l'infanzia.
Nel 2013 le donne prostitute/prostituite uccise sono state 13 su un totale di 134 femicidi, in particolare 6 di loro sono state uccise da clienti (il 4% del totale dei femicidi).
Questi dati contraddicono la tesi che la prostituzione sia una mera prestazione contraria al buoncostume per la condotta della prostituta.
CONCLUSIONI DEL COLLEGIO
Da questi elementi, di fatto e di diritto, consegue, ad avviso del Collegio:
che tra le prestazioni contrarie al buon costume ai sensi dell?art. 2035 cc non è ricompreso l?esercizio della prostituzione in quanto tale; trattandosi di attività ampiamente diffusa nella collettività oltre che consentita dall?ordinamento giuridico.
Se un profilo di contrarietà al buon costume c?è, nell?accezione sopra proposta, esso riguarda il cliente che approfitta della prestazione sessuale della prostituta e non adempie o il caso in cui la prostituzione venga esercitata ostentatamente, con modalità indecenti, tali da raggiungere la percezione di un numero indeterminato di soggetti e da mettere in pericolo o offendere il loro sentimento del pudore;
che non è ingiusto il profitto per il solo fatto che la pretesa sulla quale detto profitto si fonda è una pretesa sino ad oggi non tutelata dall?ordinamento per una certa interpretazione offerta del buon costume allorchè si tratti della prestazione sessuale di una prostituta non pagata;
che non vi è il danno della vittima quando questa è il cliente della prostituta che ha beneficiato della prestazione sessuale senza corrispondere il dovuto, perché si tratta di una forma di sfruttamento o di violenza, penalmente perseguibile, in cui l?uomo, con dolo, ottiene un consenso viziato alla prestazione sessuale di chi la concede.
In conclusione poiché lo ZZ ha beneficiato di un unilaterale arricchimento, consistente nell?utilizzare il tempo e le prestazioni sessuali della XX, il suo inadempimento non ha reso ingiusto il profitto della donna che, invece, va legittimamente preteso da questa, pur nelle forme dovute che non trasmodino in violenza o minaccia.
Se, infatti, a fronte dell?omesso pagamento del prezzo della prestazione sessuale, si consentisse alla prostituta di adire il giudice civile, anziché continuare a qualificare moralisticamente il relativo contratto ai sensi dell?articolo 2035 codice civile, non solo si riconoscerebbe quello che a livello ordinamentale, nazionale e sovranazionale, è già un dato di fatto - ovverosia che ?la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita che rientra nella nozione di attività economiche? ?, ma si eviterebbe quella che viene definita la ?vittimizzazione secondaria? ovverosia la criminalizzazione delle persone vulnerabili, così ristabilendo anche culturalmente, sotto il profilo dell?uguaglianza di genere, il corretto rapporto tra la prostituta ed il cliente.
Va a questo punto sottolineato che la XX, sebbene abbia corrisposto la propria prestazione sessuale, ad oggi non è stata pagata dallo ZZ in quanto il denaro da questi dovuto gli è stato restituito dai carabinieri dopo l?appostamento perché prezzo della presunta estorsione.
Se l?obiettivo perseguito dall?imputata non ha avuto connotazioni tali da attribuire alla sua condotta rilevanza ai sensi del?art. 629 cp, tuttavia ciò non vuol dire che essa non rivesta gli estremi di altra diversa fattispecie criminosa che il Collegio ritiene essere, allo stato, la violenza privata.
Infatti lo ZZ si è determinato a pagare quanto da lui dovuto, non liberamente, ma coartato nella sua volontà e nella sua autodeterminazione dagli sms di contenuto minaccioso sopra testulamente riportati (vedi Cass. pen., Sez. VI, 11.10.2011 (dep. 9.11.2011), n. 40673), seppure ponendo in essere una condotta gravissima, direttamente accertata dal Tribunale, consistente nel far credere ai Carabinieri e all?Autorità giudiziaria di essere stato la povera vittima di un ricatto, inaspettato ed inspiegabile, di una donna generosamente aiutata per strada.
Con particolare riguardo al YY egli risponde in concorso con la XX perché ha telefonato personalmente allo ZZ, intimandogli il pagamento, e conoscendo la lingua italiana, ha tradotto gli sms della giovane, tanto da rafforzare da un lato il proposito criminoso della donna e dall?altro da coartare ulteriormente l?uomo a cui aveva fatto così credere di essere il protettore, uomo ed italiano, della prostituta, diversamente da quest?ultima, per ciò solo, davvero temibile.
Quantificazione della pena
Ai sensi dell?articolo 133 codice penale si ritiene di quantificare la pena, per il reato di violenza privata, nella misura di quattro mesi di reclusione per entrambi gli imputati, tenendo conto della grave condotta tenuta dalla vittima nel celare l?effettiva ragione che era alla base della legittima pretesa di denaro da parte della XX, previa applicazione delle attenuanti generiche proprio in considerazione dell?approfittamento da parte dello ZZ della condizione di potere rispetto ad una donna molto giovane, straniera, prostituta e priva di documenti come la XX (pena base sei mesi di reclusione ? 62 bis cp).
Dalla condanna consegue per gli imputati il pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell?articolo 185 codice penale la commissione del reato determina nella persona offesa un danno morale rispetto al quale il colpevole è tenuto al relativo risarcimento che, nella specie, si liquida equitativamente nella misura di complessivi euro 500, solidalmente dovuti da entrambi gli imputati.
Alla condanna risarcitoria consegue il rimborso delle spese di costituzione e difesa della parte civile che, proprio in considerazione della descritta condotta processuale, viene liquidato in complessivi euro 800 oltre cpa ed Iva.
La peculiarità della vicenda della quale gli imputati sono stati protagonisti, la loro incensuratezza e l?arroganza assunta dallo ZZ nel non volere pagare il prezzo della prestazione sessuale ottenuta dalla XX, peraltro commettendo falsa testimonianza, consentono al Collegio una prognosi favorevole circa la futura condotta degli imputati nell?astenersi dal commettere altri reati, tale da rendere concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il telefono cellulare e la relativa Sim card possono essere dissequestrati e restituiti alla XX in quanto pur essendo serviti alla commissione della violenza privata non è emerso che ove lasciati nella disponibilità della giovane essi potrebbero costituire un incentivo alla commissione di ulteriori reati.
Infine si ritiene doveroso ordinare la trasmissione di copia degli atti e della sentenza all?ufficio del pubblico ministero in sede per le valutazioni di competenza in ordine, tra gli altri, al reato di falsa testimonianza commesso da ZZ ZZ.
Stante la complessità degli argomenti trattati si indica in 30 giorni il termine per il deposito dei motivi.
P.Q.M.
Visti gli articoli 521,533 e seguenti CPP
DICHIARA
XX e YY YY colpevoli del reato di cui all?articolo 610 c.p, così diversamente qualificato il fatto contestato nell?imputazione, e con attenuanti generiche, li condanna alla pena di quattro mesi di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.
Condanna degli imputati in solido al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidandoli in via definitiva nella misura di euro 500 oltre al rimborso delle spese di costituzione difesa che liquida in euro 800 oltre cpa e Iva.
Visto l?articolo 163 c.p.
ORDINA
Che l?esecuzione della pena resti sospesa per entrambi gli imputati per la durata di cinque anni ed alle condizioni di legge.
ORDINA
Il dissequestro immediato del cellulare della Sim card in sequestro e la loro restituzione a XX.
ORDINA
La trasmissione di copia degli atti e della sentenza all?ufficio del pubblico ministero in sede per la valutazione di sua competenza in ordine al reato di falsa testimonianza a carico di ZZ ZZ.
Indica i giorni trenta il termine per il deposito della motivazione