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Dare del fascista ad un politico non è reato se .. (Cass. 29433/07)

20 luglio 2007, Cassazione penale

Sul piano politico con l’uso del termine "fascista" si intende stigmatizzare, da parte degli avversari politici, un comportamento ritenuto arrogante ed antidemocratico, improntato cioè a scarso rispetto nei confronti degli oppositori politici, oltre che reazionario nelle scelte di politica sociale.

È un termine che, quindi, sinteticamente ed efficacemente consente di esprimere una valutazione complessiva sull'operato di un pubblico amministratore ed il giudizio negativo che sottende è facilmente comprensibile anche per i comuni cittadini perché l'esperienza del ventennio del secolo scorso dominata dalla ideologia fascista è ancora viva nel ricordo di molti italiani.

Non vi è dubbio, quindi che tale termine non può essere considerato un argumentum ad hominem, ma deve essere ritenuto come espressione di una critica politica, certo assai aspra, ma del tutto legittima.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 20 luglio 2007, n. 29433

(Presidente Nardi – Relatore Marasca)

Osserva

 M. R., consigliere di opposizione del consiglio comunale di Crotone, nel corso di una seduta del consiglio qualificava, tra l'altro, il sindaco della Città, P. S., «fascista nel senso più deteriore della parola».

Per tale fatto il M. veniva condannato, anche al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, dal Tribunale di Crotone, con sentenza del 19 marzo 2002, per il delitto di cui all'articolo 595 c.p..

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza emessa in data 14 febbraio 2006, confermava la decisione di primo grado.

Con il ricorso per cassazione M. R. deduceva la violazione degli articoli 192 e seguenti c.p.p. e precisava che la Corte di merito non aveva esaminato tutti gli elementi processuali, che aveva compiuto un esame frazionato delle espressioni adoperate, che non aveva tenuto conto che si trattava di una critica politica e che mancava nel ricorrente la volontà di denigrare nella persona il S..

Il motivo di ricorso è fondato.

La critica politica consente l'utilizzo di espressioni forti ed anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l'attenzione di chi ascolta.

Il limite all'esercizio di tale diritto è costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali.

Ed è anche ovvio che quando maggiore è il potere esercitato, maggiore è l'esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini.

Nel caso di specie è accaduto che il consigliere comunale M., facente parte del gruppo di opposizione al Sindaco, nel corso di una seduta del consiglio comunale, ha ritenuto di stigmatizzare il comportamento del primo cittadino in modo assai aspro definendolo «traditore», «ingrato», «squallido», «arrogante», «antidemocratico», «intollerante ad ogni forma di democrazia e fascista nel senso più deteriore della parola».

Tutte le espressioni adoperate sono state ritenute scriminate dall’articolo 51 c.p. dal Tribunale di Crotone, con decisione in verità non del tutto condivisibile, come correttamente ha sottolineato la Corte di merito, ma non impugnata dal Pubblico Ministero, ad eccezione dell’epiteto «fascista».

Francamente l’epiteto in questione non solo è il meno offensivo tra quelli adoperati dal M., ma è anche quello che ha un preciso e pregnante significato politico a differenza di termini come squallido, ingrato e traditore.

Con il termine «fascista», infatti, non si fa altro che richiamare una ideologia ed una prassi politica che è stata in passato propria di molti italiani, che ha caratterizzato per un ventennio del secolo scorso il governo del Paese e che, peraltro, trova ancora oggi espliciti sostenitori.

Sul piano politico con l’uso di tale termine si intende stigmatizzare, da parte degli avversari politici, un comportamento ritenuto arrogante ed antidemocratico, improntato cioè a scarso rispetto nei confronti degli oppositori politici, oltre che reazionario nelle scelte di politica sociale.

È un termine che, quindi, sinteticamente ed efficacemente consente di esprimere una valutazione complessiva sull'operato di un pubblico amministratore ed il giudizio negativo che sottende è facilmente comprensibile anche per i comuni cittadini perché l'esperienza del ventennio del secolo scorso dominata dalla ideologia fascista è ancora viva nel ricordo di molti italiani.

Non vi è dubbio, quindi che tale termine non può essere considerato un argumentum ad hominem, ma deve essere ritenuto come espressione di una critica politica, certo assai aspra, ma del tutto legittima.

È appena il caso di considerare, infine, che dare gratuitamente del «fascista» ad un comune cittadino è certamente offensivo perché mira a dipingere lo stesso come arrogante e prevaricatore, ma riferirlo ad un politico che, peraltro, esercita rilevanti poteri pubblici è espressione di critica perché si paragona il modo di governare e di amministrare la cosa pubblica dello stesso ad una prassi ben nota ai cittadini.

Le ragioni esposte impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

 P.Q.M. 

La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.